Una Convenzione nel segno di una partecipazione ampia di tutte le realtà di base, per scambiarsi esperienze, criticità, buone pratiche.



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Transcript:

PER NON FALLIRE DI MAFIA CONVENZIONE NAZIONALE DELLE ASSOCIAZIONI ANTIRACKET E ANTIUSURA NO PROFIT Le proposte 25 febbraio 2014 ore 10,00 c/o R.E TE Rete Imprese Italia - Sala Conferenze Corso Vittorio Emanuele II, 282-284 Roma

Una Convenzione nel segno di una partecipazione ampia di tutte le realtà di base, per scambiarsi esperienze, criticità, buone pratiche. Al fine di definire un sistema di regole e proposte sul tema del contrasto alle mafie e per non lasciare soli coloro che hanno denunciato. Un associazionismo solidale, disinteressato e organizzato per prevenire e combattere con maggior forza l usura, il racket e tutti quei condizionamenti mafiosi che limitano la libertà di migliaia di imprenditori e cittadini. Tutto ciò però non basta, i problemi che le vittime di questi reati soffrono, sono in larga parte irrisolti e sentiamo il bisogno di dare forza, visibilità ed soluzioni all attività di tante associazioni, gruppi, imprenditori colpiti. Per questo, emblematicamente abbiamo voluto dare come sottotitolo all evento Per non fallire di mafia proprio a sottolineare il nesso tra impresa e criminalità organizzata, ed un sistema di aiuto pubblico che non consente un piena tutela di chi più si è esposto. Per iniziare, bisogna partire dalla ridefinizione del rapporto mafia- economia. Così, come abbiamo denunciato, anche attraverso la pubblicazione del rapporto annuale di Sos Impresa, le mafie oggi hanno assunto connotazioni differenti, trasformandosi in maniera camaleontica, in impresa. E ormai una situazione consolidata: gli affari di famiglie e clan hanno superato i confini delle regioni di tradizionale radicamento per raggiungere tutto il territorio nazionale. I clan investono sempre più nelle zone ricche, con nuove e meno evidenti forme di controllo di mercato e territorio, lasciando nei paesi di origine le forme classiche di controllo mafioso del territorio. Quello che accade oggi, infatti, non si riferisce solo al controllo del traffico di stupefacenti o di altre attività illegali, da sempre in mano alle batterie criminali, ma di interessi e affari ben più consistenti e che inquinano fortemente il tessuto economico. Le numerose indagini, gli arresti e, soprattutto, gli ingenti sequestri di beni degli ultimi anni dimostrano, infatti, come il Nord d Italia rappresenti una base sicura, dove ripulire i capitali illeciti, reinvestendoli in imprese e cantieri, in strutture legate all industria del turismo e del divertimento, nella grande distribuzione e molto altro. Non ultimo, basti guardare il caso dell Emilia Romagna, un tempo considerato territorio sano e produttivo, oggi ospita uno dei più importanti processi di mafia del Nord degli ultimi tempi. (Processo Black Monkey a Bologna). Appare evidente, come il potere delle mafie si rafforza sempre più non solo tramite estorsioni, usura, traffico di droga e sfruttamento della prostituzione, ma anche in tutte quelle attività imprenditoriali per mezzo delle quali vengono riciclate le enormi quantità di denaro a disposizione della criminalità mafiosa. I clan, occupano da almeno quattro decenni quei territori dove si costruisce l eccellenza d impresa. Sono gli stessi territori dove si manovrano finanze e capitali con estrema velocità e dove si produce la maggior parte del Pil nazionale. Non solo. I clan più strutturati hanno trapiantato, nelle zone più ricche e più industrializzate del Paese, le proprie strutture organizzative tanto che, in alcune particolari zone del centro-nord, sono diventate il vero cuore economico del clan. Sono le stesse zone che hanno sempre creduto di essere immuni da quella cultura socio-mafiosa tipica del Mezzogiorno. Dunque, il legame stretto che intercorre tra mafia ed economia, non ha fatto altro che inquinare la libera concorrenza, vanificando anche le leggi di mercato a favore delle famiglie mafiose conosciute come imprese-clan. Tra le prime vittime di questo condizionamento dell economia legale vi è sicuramente il noto sistema economico e di welfare. E rischia di mandare nel tritacarne del fallimento tutti quegli operatori economici da una parte, lavoratori dall altra, non accettano questo sistema. Imprenditori, spesso costretti al lastrico

per non avere accettato le condizioni imposte da un ormai diffuso sistema economico mafioso. Il peso della criminalità mafiosa- racket, pizzo e usura, che incide direttamente sul mondo dell impresa da solo, sfiora i circa 100 miliardi (sui 138 che fattura annualmente la Mafia Spa), pari al 7 per cento del Pil nazionale. Una somma ingente che va dai commercianti e imprenditori onesti a quelle dei mafiosi. Le imprese, subiscono circa 1300 reati al giorno. Oggi la criminalità organizzata e mafiosa, pur non tralasciando la pratica del pizzo, entra nell economia tramite i cosiddetti uomini cerniera: faccendieri, intermediari, pseudo imprenditori. Oggi, il classico sistema del pizzo, come siamo abituati a conoscerlo, diventa imposizione di manodopera, assunzioni, materiale da acquistare a prezzi poco concorrenziale, in cambio di una sorta di protezione. Al mutare di questo fenomeno in senso classico, si è assistito negli ultimi anni alla crescita del fenomeno. I numeri sono esorbitanti. Sono circa 200 mila i commercianti colpiti dall usura, un giro d affari che in periodo di crisi economica è destinato a crescere, mentre il suo giro d affari al momento è di circa 20 miliardi. STORIE DI ORDINARIA IMPRENDITORIALITÀ A fronte della crescita del fenomeno usuraio, le denunce, dopo un breve periodo di calo hanno ripreso a crescere, con un aumento del 15 % dal 2011 al 2012, e per il 2013 il trend è rimasto invariato. Malgrado questo considerevole aumento, l imprenditore vittima di usura o racket, oggi spesso è costretto al fallimento. Spesso, le misure normative vigenti, non riescono a tutelare la vittima. Il primo freno è quello della mancata convenienza della denuncia. Infatti, se da un punto di vista del processo penale l imprenditore riesce a fare arrestare i propri usurai e quindi ha soddisfazione nella denuncia, dal punto di vista del diritto civile le cose non sono così semplici, determinando un peggioramento delle condizioni di vita dell imprenditore. Accade spesso, infatti, che le aziende falliscono e i patrimoni della vittima vengono aggrediti da Enti, istituti di credito, pagamenti. In questo modo, per una parte della giurisprudenza che non ha la possibilità di valutare alcuni atti, l imprenditore è un reo, per le procedure penali un eroe. Lo stesso ruolo del Comitato Antiracket assume un ruolo marginale, di momentanea ristorazione, ma non risolve i problemi ai quali è soggetto l imprenditore, pagare per avere denunciato ed essere estromesso dal mercato. Perché, se da una parte le attuali normative in materia sembrano superate, dall altro mancano gli incentivi a sostegno di coloro i quali denunciano. Denunciare, abbiamo più volte detto, deve diventare conveniente, la vita dell imprenditore deve continuare ad andare avanti dimostrando che denunciare salva se stessi e l economia sana. VITO, VITTIMA DELLA DOPPIEZZA GIUDIZIARIA Vito è un imprenditore siciliano, a distanza di anni dalla denuncia, continua a vivere una drammatica condizione. Eroe per un tribunale e colpevole per un altro. Ci racconta che dal 24 dicembre 2011 per gravi atti di intimidazioni il comitato per la sicurezza lo ha sottoposto alla tutela delle forze dell ordine. Io, la mia compagna e i miei figli abbiamo perso la libertà e dovuto abbandonare la normale vita trasferendoci in casa di mia madre nella povertà più assoluta. Nel 2010 avevo tre possibilità: vendere le mie strutture ricavandone un importo di euro

12.000.000,00; continuare a pagare i mafiosi, finire di costruire, firmare i contratti di affitto d azienda con un canone annuo di euro 1.540.000,00. Ho scelto la via della ribellione. E dal 2010, anno delle mie denunce, che non riesco a venire a capo di una vicenda tortuosa dai tempi lunghi. La giustizia ha preso atto che il fallimento dell impresa era la conseguenza della mia ribellione al sistema criminale del potere mafioso, ma quella stessa giustizia si è rivoltata contro di me, dove non sono riusciti i mafiosi grazie alle mie denunce, c è riuscita la giustizia. Quella stessa giustizia a seguito lettere anonime alla procura della repubblica nel 2000 sequestra le aree dove l imprenditore doveva iniziare i lavori, e nel 2003 li dissequestra perché il reato non esiste. Quella stessa giustizia che assolve gli istituti bancari per avermi revocato i fidi mutui delibere di finanziamento, inserito nella black list, rifiutato il risanamento del contenzioso proposto da altre banche, minacciandomi di farmi fallire se non cedo a loro le costruendo strutture e mi condanna al risarcimento. Oggi non posso presentare il ricorso in corte di appello per mancanza di liquidità. Quella stessa giustizia a seguito verifica dell Agenzie entrate per un verbale di 1.140.000,00 ancora pendente verso la commissione regionale di Palermo ha già inviato cartella Serit per il pignoramento prima ancora del giudizio. Dalla verifica si evince che per l agenzia entrate sono l unica società al mondo che costruisco senza avere sostenuto dei costi. Dopo vari incontri mi propongono la riduzione del verbale a 60.000,00 circa, il sottoscritto non accetta e gli dimostra che la società e in debito verso l agenzia di 2.000,00. La stessa Agenzia mi denuncia penalmente, il giudice mi assolve. Quella stessa giustizia che mi ha rinviato a giudizio come amministratore di una delle mie società per iva non versata, ma come ho già dimostrato nelle indagini preliminari che la fattura emessa al cliente non è stato ancora pagata. Quella doppia faccia della giustizia. ANTONIO, LA LEGGE ANTIUSURA VA MIGLIORATA Antonio, assicuratore e broker finanziario, di Reggio Calabria, entra nel tunnel dell'usura quando è arrivato al punto più alto della sua carriera. Ma a un certo punto qualcosa nell'azienda si incrina e degli amministratori poco trasparenti, riescono a camuffare la crisi: bluffando, propongono ad Anile di entrare in una nuova azienda che attraverso un'opa. A lui l'impegno di trovare in due mesi un certo numero di piccoli azionisti, che ci mettessero sopra almeno 150 milioni di lire e una somma di 60 milioni di lire per entrare nel nuovo consiglio di amministrazione. Traguardi difficili, da raggiungere in poco tempo, ma necessari pena l'immediato licenziamento. Dopo avere bussato ai canali tradizionali senza nessun esito, ad Antonio viene suggerito di passare a quelli nascosti: tra quelli che gli prestano denaro ad usura c'è anche un narcotrafficante di cocaina. Lui, per esempio, gli dà 100.000 euro e gli chiede un interesse del 10% mensile, ma gli spiega anche che se non paga, l'interesse raddoppia. A questo si sommavano altri individui che però, affermavano di essere usurai per procura, cioè di non volere gli interessi per sé, ma per altri che hanno prestato loro quel denaro che poi loro hanno dato ad Antonio. Quasi subito per Anile è stato impossibile far fronte alle richieste su più fronti, e allora è cominciata una spirale di violenza e soprusi: violenza perché ha subito pestaggi, pedinamenti,

appostamenti sotto casa e molestie telefoniche a tutte le ore, fino ad essere sequestrato e portato in un capannone abbandonato, dove è rimasto per ore in totale balia degli usurai che davanti a lui hanno soppesato se e quanto era più vantaggioso lasciarlo in vita o ucciderlo. bruciano altre due auto, minacciano il figlio all'uscita di scuola, suonano a casa a tutte le ore, anche alla sera quando sanno di trovare la moglie da sola in casa, lo chiamano in continuazione per insultarlo e fissano appuntamenti all'improvviso, costringendolo a uscire immediatamente e negli orari più impensati. A un certo punto denuncia. Scattano le manette per i suoi aguzzini che, in primo grado di giudizio vengono condannati a sette anni. Il processo di appello fa ribaltare le cose, diminuendo le colpe a 'esercizio arbitrario delle proprie ragioni'. Ma la Cassazione e il secondo processo di appello ribaltano nuovamente, dichiarando che la prima sentenza d'appello non aveva fondamento. Adesso Antonio, si occupa di uno sportello antiusura a titolo gratuito all'interno dell'associazione antiracket e antiusura Sos Impresa, di cui è componente nazionale. Ascolta altre vittime e cerca di aiutarli a dirimere i problemi economici ma soprattutto ad accompagnarli verso la denuncia.

PROPOSTE SOS IMPRESA- RETE PER LA LEGALITÀ PREMIARE CHI DENUNCIA Premiare gli imprenditori che si ribellano.. Il primo dato di partenza è quello della primalità o convenienza. A tale scopo, diventa necessario che gli imprenditori che hanno denunciato, possano partecipare a corsie preferenziali per quanto riguarda il sistema di appalti pubblici e forniture. Infatti, gran parte dei profitti mafiosi dipendono anche dall aggiudicazione di appalti pubblici e commesse private, in questo modo garantendosi possibilità di reinvestire capitali illeciti e risparmiare costi e controlli del credito bancario. Tenuto conto, della capacità produttiva dell impresa e della situazione in cui versava prima della denuncia, riuscire a garantire gli appalti alle imprese che hanno denunciato, rappresenterebbe il primo passo verso quel senso di convenienza di cui abbiamo parlato. Altro capitolo riguarda l assegnazione dei beni sequestrati e confiscati. Uno dei problemi attuali riguarda spesso il fallimento di imprese che un tempo erano gestite dalla criminalità. Una volta che l azienda viene posta sotto sequestro, l amministratore giudiziario opera per conto dell azienda. Spesso, non per proprio demerito, ma per relative capacità imprenditoriali, l impresa è costretta al fallimento col rischio di fare passare il messaggio per cui con la mafia si lavora, con lo Stato no. A tale proposito, riteniamo indispensabile che ad affiancare l amministratore giudiziario nel suo lavoro di gestione dell impresa sottratta alle mafie, sia un imprenditore o un Consorzio nazionale costituito da imprenditori che hanno denunciato e quindi dimostrato di avere capacità e cultura nella gestione di un impresa libera dai condizionamenti mafiosi. Il Consorzio, dovrebbe essere in grado di rimettere sul mercato legale l impresa, anche in un ottica di cogestione tra lavoratori e imprenditoria sana. Un terzo elemento a sostegno della denuncia è sicuramente il cosiddetto ombrello produttivo. La vittima che denuncia, si trova spesso costretta ad assistere al fallimento delle proprie aziende a causa dei vincoli amministrativi che scattano in automatico. Diventa necessario, dunque, il blocco di tutte le esecuzioni e le sospensioni dei debiti acquisiti dall imprenditore che ha denunciato. In questo contesto entra anche il ruolo delle banche, che devono essere in grado di facilitare l accesso al credito delle vittime, con strumenti che tengano conto della denuncia. Al contrario, accade che l imprenditore che ha percepito la somma dell apposito Fondo, non può avere l accesso a un conto corrente bancario perché gli

viene negato. E in questo contesto, diventa utile l istituzione di un tutor antiracket. Una figura, legata anche al mondo delle associazioni antiracket e antiusura no profit, in grado di seguire la vittima dal dopo denuncia alla sua riabilitazione. Una sorta di garante, in grado di potersi interfacciare con istituzioni e banche. Uno strumento in grado di impedire alla vittima di finire nelle mani di finte finanziarie che in realtà rischiano di applicare tassi di usura o sono veri e propri usurai. A tal proposito pensiamo sia necessaria l istituzione del reato di esercizio abusivo dell attività finanziaria. Questo meccanismo, consentirebbe di facilitare il riconoscimento del reato di usura, ancora oggi sottovalutato e poco dimostrabile. A cura di Lino Busà Interviste di Laura Galesi Roma, 25 febbraio 2014