Alessandro Oliva FILTRARE L IGNOTO ATTRAVERSO IL NOTO IL MORAVIA REPORTER, L AFRICA NELLE PASSEGGIATE AFRICANE E UNA MIA PERSONALE ESPERIENZA DI VIAGGIO. Nessun viaggio finisce mai, sono i viaggiatori che arrivano alla loro fine. Claudio Magris, intervista al Corriere della Sera del 09-10-1998 1. Moravia reporter. Non bisogna dimenticare che Alberto Moravia è stato anche un grandissimo reporter. La letteratura italiana vanta molti casi di scrittori prestati al giornalismo: si pensi solo a Edmondo De Amicis e al successo dei suoi reportage, pubblicati da Treves. Moravia è un grande di questo filone, fedele collaboratore del Corriere del Sera per gran parte della sua vita: parlare di lui e della sua attività culturale significa allora leggere un attento testimone del Novecento. La storia del reportage italiano si potrebbe suddividere in tre fasi. In origine ci sono i grandi reporter, inviati in giro per il mondo dai maggiori quotidiani italiani: si pensi a Barzini, Vergani, Fraccaroli e Tomaselli. La seconda fase del reportage vede invece il reporter affiancato da uno scrittore: l idea è quella di giungere a corrispondenze maggiormente letterarie, con note di colore (garantite dalla presenza del letterato) a coronamento del resoconto dei fatti (dei quali si occupa il giornalista). La terza ed ultima fase, infine, si sviluppa quando tutto il mondo è stato esplorato e raccontato: a partire è allora il solo scrittore, che valorizza l aspetto letterario del viaggio. Protagonisti della terza fase sono celebri autori del calibro di Anna Maria Ortese (che raccontò l Unione Sovietica per L Europeo ), Alberto Arbasino (celebre, ad esempio, il viaggio di formazione in Grecia raccontato in Dall'Ellade a Bisanzio), Pier Paolo Pasolini (del quale è stato recentemente pubblicato lo splendido reportage dai litorali italiani, La lunga strada di sabbia) e, appunto, il nostro Alberto Moravia. Per farsi un idea degli interessi e dei luoghi toccati dallo scrittore romano, basta dare un occhiata al catalogo Bompiani. C è prima di tutto molta Africa, grande amore dell autore: A quale tribù appartieni?, una serie di corrispondenze pubblicate dal Corriere tra il 1963 e il 1972, in cui lo scrittore descrive l'africa post-coloniale; Lettere dal Sahara, che raccoglie le corrispondenze scritte tra il 1975 e il 1981 (dopo il viaggio, ebbe a dire che l odore del continente nero «non si dimentica mai»), e Passeggiate A- fricane. Poi c è l'unione Sovietica: Un mese in URSS, diario di un viaggio compiuto nel 1
1958, e L inverno nucleare, che raccoglie articoli e interviste del periodo 1982-1985 per giungere ad un articolata riflessione sul rischio di un suicidio nucleare collettivo. Non manca infine la politica: in Diario europeo, il giornalista Moravia racconta un anno (il 1984) da parlamentare europeo. Nonostante la mole della sua produzione giornalistica, Moravia ha raccolto nei volumi meno di un quarto del totale dei suoi scritti di viaggio e fornisce la motivazione di questa sua scelta solo in anni recenti: ho riunito soltanto gli articoli che mi sembravano significativi di un certo atteggiamento 1. Il criterio di cui si è avvalso per selezionare gli articoli destinati ad essere pubblicati nei libri di viaggio sembra essere la presenza in essi di un qualcosa in più, un certo atteggiamento, una riflessione da sottoporre a un lettore che non è più quello del quotidiano. Il trasferimento di sede dell articolo dalla testata giornalistica al libro, oltre ad un cambiamento di pubblico, provoca il mutare dell atteggiamento del lettore verso il testo, ma a mio avviso anche il riappropriarsi, da parte dello scrittore, del suo testo. Ritengo sia interessante notare come Moravia abbia eliminato ogni riferimento che rimandasse alla precedente collocazione del testo. Gli articoli sono anticipati infatti solo da un breve titolo, luogo e data. L eliminazione di ogni traccia che riportasse al giornale si inserisce in quel processo di recupero del proprio testo da parte dell autore: dando una collocazione letteraria ad alcuni suoi resoconti di viaggio, Moravia ne rivendica appunto il possesso, ricollocandoli nel mondo più specificatamente narrativo e cancellando ogni traccia della sede originaria del testo. D altronde, diceva lo stesso Moravia: non sono un giornalista ma uno scrittore che scrive sui giornali e non per i giornali. Gli aspetti e- conomici, sociali, storici, non mi interessano più di tanto, sono appena accennati, come, del resto, nella mia narrativa 2. Di fronte alle numerose critiche che colpirono i suoi reportage accusati di superficialità nei confronti della realtà sociale e politica dell Africa, ma anche degli altri paesi del terzo Mondo che egli visitò come reporter, Moravia si difende ricordando la propria professione di scrittore, precisando che il fatto che le sue prose di viaggio siano pubblicate sui giornali non fa di lui un giornalista; piuttosto si può dire che egli si è calato nei panni del giornalista, ma ciò non ha soffocato quell istinto di artista che dipinge la realtà che vede, affascinato dalle sensazioni che questa produce in lui, senza dover per for- 1 Lo ricorda T. TORNITORE, Postfazione a A. Moravia,Viaggi. Articoli 1930/1990, a c. di E. Siciliano, Milano, Bompiani 1994, p. 1801. 2 A MORAVIA, Breve autobiografia letteraria, in A. Moravia, Opere 1927/1947 a cura di G. Pampaloni, Milano, Bompiani 1986, p. XXXIII. 2
za svolgere delle inchieste, fare il punto della situazione e quindi spesso sorvolando su questioni importanti del contesto politico o sociale dei luoghi che visita. Moravia preferisce quindi concentrarsi sulla loro bellezza e sulle impressioni che gli trasmettono questi luoghi. Ancora in un altra citazione, in cui Moravia definisce e descrive il carattere delle sue prose di viaggio in riferimento a Lettere dal Sahara, ma che ha senz altro validità generale, ritroviamo accanto agli ingredienti base del reportage, descrizione e commento, il modello di una prosa impressionistica, legata cioè alla sensibilità dell autore: Le impressioni che consegnerò in questo diario saranno soprattutto visive; quanto a dire che descriverò quello che vedo nonché il senso di quello che vedo ma non più che il senso, cioè quello che penso della cosa nel momento stesso che la vedo. Sarà, insomma, il diario di un turista 3. 2. L Africa di Moravia: le Passeggiate africane. In un articolo del «Gazzettino» del 20 maggio 1987, Moravia scriveva: Tutti gli altri paesi del mondo hanno una storia; l Africa, lei, ha invece un anima che tiene il luogo della storia. Cosicché la storia dell Africa, alla fine quando tutto è stato detto, è la storia della sua anima. Lo stesso articolo è stato inserito in Passeggiate africane e precede la narrazione dell avventuroso itinerario moraviano attraverso la Tanzania, il Burundi, il Ruanda, lo Zaire, il Gabon e lo Zimbabwe. Sotto lo sguardo entusiasta di Moravia, le linee e i tracciati di una qualunque cartina raffigurante l Africa guadagnano straordinariamente volume. L autore, quasi a voler rassicurare prima di tutto se stesso, informa già dall inizio del carattere non turistico e imprudente 4 del suo percorso. Evitando le affollate tappe delle agenzie di viaggi, schivando il più possibile i privilegi che, paradossalmente, in taluni luoghi e occasioni l Africa sa offrire, Moravia ha cercato di cogliere per intero la selvaggia indole di quei luoghi, fino ad arrivarne al cuore e a poterli definire suoi. Nelle passeggiate lungo scenari in cui il tempo, più che distinguere, ha mescolato passato, presente e futuro, lo scrittore riscopre una potenza generatrice matrigna, temibile, forte, la stessa a lungo narrata da Lucrezio e Leopardi, assai lontana dall immagine europea in cui regnano l uomo e la scienza. La natura africana, nella sua infinita bellezza, insieme fascinosa e accattivante, sembra tuttavia celare una falsità demoniaca e pericolosa. Non è più il concetto di no- 3 A. MORAVIA, Lettere dal Sahara, Milano, Bompiani 1981 pp. 7-8. 4 Ivi, p. 5. 3
bile a contrassegnare il carattere profondo del paesaggio africano; l autore trova più consono l utilizzo dell aggettivo religioso e infatti scrive: il solo sentimento religioso proprio dell Africa è la paura 5. Per capire in cosa consista effettivamente questa paura, non vale pensare ad Hemingway ed alla sua narrazione al riguardo che sa di safari e colonialismo, quanto ad una maschera tribale con la faccia di teschio, gli occhi di perline, i denti di conchiglie e i capelli e la barba di rafia 6. Durante la narrazione, si percepisce il distacco dalla visione dello scrittore statunitense, il quale contempla e ritrae gli animali solo dopo averli cacciati e uccisi. Moravia, invece, descrive leoni, elefanti, gorilla, proprio come fecero gli anonimi artisti preistorici, disegnandoli nelle grotte africane: in quelle rappresentazioni la vita prima della caccia prevaleva sulla morte dopo la caccia 7. Lo scrittore appare stordito dall incanto di un paesaggio che non smette mai di ammaliare ed intreccia riflessioni dettate dall impulso visivo ad altre intensamente razionali. Egli è alla continua riscoperta di vecchie immagini impolverate dal tempo, attraverso cui lo sfondo africano possa sembrare più familiare o, forse, meno terribile nella sua geniale e originale essenza. È la scena di un film a ripetersi senza più alcuna regia nella corsa lungo una pista di solo nulla, a perdita d occhio: una bambina in perizoma della tribù dei Manyati appare davanti alla Land Rover su cui lo scrittore viaggia; sorride in modo provocante e fa cenno con le braccia di fermarsi. L autista, senza rallentare, la e- vita sterzando violentemente. A Moravia, che si volta a guardare dal vetro posteriore, balza subito alla mente la scena di un film di Fellini, tratta da una novella di Poe intitolata: Mai scommettere la testa con il diavolo, in cui una bambina gioca a palla di notte su un ponte in costruzione. Un senso di inquietudine invade la sua mente, l idea di un non so che di diabolico è assolutamente tangibile; poi tutto scompare, anche la bambina, nella corsa, tra la polvere. In Africa, alcuni paesaggi che di notte paiono la perfetta imitazione di luoghi fantastici o città illuminate allegramente come New York, il giorno dopo sono solo un accozzaglia di tende d accampamento. Accade anche il contrario. Moravia racconta di arrivare in un albergo di Bukavo, pulito, ma vecchio e triste, e di trovare una sorpresa nell aprire la finestra della stanza: 5 Ivi, p. 19. 6 Ivi, p. 20. 7 Ivi, p. 64. 4
Sono stanchissimo, coperto di polvere rossa e schizzi di fango; vado direttamente alla finestra, la spalanco e vedo il lago di Como. Stesse alte colline che cadono a piombo sul lago; stesse acque sognanti, ombrose, immobili, nelle quali tremano e si confondono le nuvole bianche del cielo, le colline dalla cupa verdura, le case arrampicate sui pendii 8. Moravia scrive senza tregua dei suoi compagni di viaggio; fra essi, in un panorama in cui sembra assolutamente stonare, un antologia di Leopardi. Qualcuno dirà: perché proprio Leopardi? E io rispondo: per contrasto. Oltre ad esso, i dipinti di Van Gogh, i personaggi di Cocteau, i paesaggi di Stevenson e Melville, le note di Mozart, la pioggia di D Annunzio 9. In Passeggiate africane s indugia più a lungo, rispetto agli altri due scritti al riguardo, sulle figure dei personaggi incontrati da Moravia lungo percorsi più o meno spericolati. Restano impressi alcuni di loro, come il ragazzo dai piedi malati o l indiano sul traghetto in mezzo al lago Kariba. Le caratteristiche del popolo africano si conoscono lentamente, come ad aspettare la fine della costruzione di un puzzle, mentre Moravia registra pian piano riflessioni su di essi. Scopriamo, così, che in Africa le indicazioni sono sempre sbagliate, che gli africani trovano gli europei prepotenti, che alcuni di loro pensano che le fotografie, una volta scattate, portino via anche l anima e che, quando piove, molti si bagnano senza tentare di ripararsi, quasi fino a riempirsi d acqua come bottiglie. Sembra, infine, di leggere Fiesta mobile di Hemingway, quando Moravia non dimentica di descrivere neppure i sapori delle cose; ed è così bravo, che si ha davvero l impressione di assaggiare la carne dell istrice, intanto che, con i commensali, si parla dell Africa stessa. 3. La mia Africa. Può un giornalista alle prime armi elevarsi al rango di un reporter del calibro di Moravia? No, non può. Almeno, ad avviso del sottoscritto, le cose stanno così. Proviamo, allora, a vedere la questione da una diversa prospettiva: può un giornalista alle prime armi trovare un grande punto di contatto con i reportage di Moravia? Può, certo che può. Questo è quanto mi è capitato durante un recente viaggio in Libia. Leggi le Passeggiate ed è come se fossi nella Cirenaica, o nella Medina di Tripoli, piuttosto che nell Africa Nera descritta dal premio Nobel. Nell Africa Bianca non ci 8 Ivi, p. 41. 9 Ivi, pp. 41-42. 5
sono gli animali selvatici, elefanti, zebre o leoni. L Africa Bianca è la Sicilia, regione natale del sottoscritto. La costa della Cirenaica ha la forma di quella meridionale dell antica Trinacria; ma ne ha anche il clima, gli odori e perché no?- la gente. Moravia si affaccia dalla finestra dell albergo e vede il Lago di Como. Arrivi all inizio di Via 1 Settembre da Piazza Verde, a Tripoli, e vedi Messina, la Messina degli anni 50, una città che si lecca le ferite dopo la guerra. Eccolo il punto di contatto, determinante e fondamentale, con l autore romano, il quale spesso si ritrova a dire: Stendhal viaggiava in Italia come noi possiamo viaggiare in Africa. Delle Promenades dans Rome soprattutto lo affascina lo sguardo dello scrittore, quello di chi si affaccia in un mondo nuovo senza dimenticare quello da cui egli stesso proviene. Lo sguardo che filtra l ignoto attraverso il noto, non dimenticando, alla partenza per un viaggio esotico, il bagaglio della propria cultura e della propria identità. Al centro dell idea di esotismo, per Moravia, sta proprio questo legame fortissimo tra il noto e l ignoto, il proprio paese ed il paese straniero, meta del viaggio che stiamo per intraprendere. È l idea che il luogo dove viaggiamo non solo è molto diverso dal luogo in cui di solito viviamo ma che ci sono delle cose che desidereremmo trovare nel luogo dove viviamo e poiché non ci sono andiamo a cercarle altrove 10. Vero, verissimo. Nell Africa Nera le indicazioni sono sempre sbagliate. A Tripoli, se chiedi un informazione te la danno sempre, anche se in realtà non sapendo dove si trova il luogo di cui hai chiesto ti mandano da tutta altra parte. Nell Africa Nera gli europei sono visti come prepotenti, in Libia come infedeli; ma ti trattano con riverenza e se parli a loro in arabo la riverenza si fa adulazione al massimo grado. Ma anche qui, la vera religione è la paura: si vive così di apparenze e lo stato delle cose resta in piedi in un equilibrio che pare impossibile e invece è solidissimo. È l equilibrio dato dall importanza degli atteggiamenti esterni per cui le donne, obbligate dagli uomini, per paura indossano il velo; per cui ci si mostra mussulmani devoti salvo ubriacarsi di nascosto; per cui gli italiani sono ancora odiati ma riveriti. Tipo di credo religioso a parte, sembra proprio di essere in Sicilia, dove il gusto per le apparenze è un motore sociale: si vive nella paura di ciò che gli altri potrebbero pensare. Moravia associa la paura alle maschere. Con una di queste maschere, Pirandello si sarebbe davvero dilettato. Non a caso, un siciliano. Non a caso, un Nobel come Moravia. 10 A. ANDERMANN, A. MORAVIA, Perché viaggiamo, in Corriere della Sera, 11 marzo 1984. 6
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE Bibliografia delle opere di Moravia A. MORAVIA, Lettere dal Sahara, Milano, Bompiani 1981. A. MORAVIA, Passeggiate africane, Milano, Bompiani 1987. A MORAVIA, Breve autobiografia letteraria, in A. Moravia, Opere 1927/1947 a cura di G. Pampaloni, Milano, Bompiani 1986. Bibliografia critica P DI SACCO, M BAGLIO, F. CAMISASCA, M. MASTROLILLO, D. PERILLO, M SERÌO, Scritture, Vol. III, Milano, Bruno Mondatori 1998. T. TORNITORE, Postfazione a A. Moravia, Viaggi. Articoli 1930/1990, a cura e con introduzione di E. Siciliano, Milano, Bompiani 1994. 7