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Transcript:

POLITECNICO DI MILANO Facoltà di Ingegneria Corso di Laurea Magistrale in Ingegneria Meccanica Elaborato del corso Storia della Meccanica Prof. Edoardo Rovida L EVOLUZIONE DELLA MICROCAR: da semplice motocicletta con il tetto a solutrice dei problemi del traffico urbano e dell ecologiaecologia Autori: Agosti Diego Matr. 725703 Inglardi Stefano Matr. 720639 Vercesi Emanuele Matr. 725690 Anno Accademico 2008-2009

Indice Introduzione................................................................. pag. 1 1945 VOLUGRAFO Bimbo 46...................................... pag. 5 1947 ALCA Volpe.....................................................» 10 1947 MI-VAL Mivalino 175.........................................» 14 1953 ISO Isetta.........................................................» 20 1958 ACMA Vespa 400..............................................» 30 1968 LAWIL Varzina.................................................» 35 1969 CASALINI Sulky...............................................» 41 Qualche curiosità........................................................... pag. 45 Uno sguardo all Europa....................................................» 50 Microcars: tra passato e futuro............................................» 54 Car-Sharing: una proposta di mobilità sostenibile.....................» 69 Bibliografia e siti internet visitati Bibliografia................................................................ pag. 73 I

Poca ingegneria tanta fantasia Parola d ordine: semplicità. Per costare poco, pesare poco, consumare poco. I progettisti, spesso provenienti dall industria aeronautica, possono sbizzarrirsi, eliminando tutto il possibile: ruote, differenziali, ammortizzatori, retromarcia, porte. A volte persino il tetto. La scuola tedesca è la più prolifica per varietà di modelli, l italiana la più originale mentre l inglese è la più sconcertante. Le micro vetture esistono da sempre, dagli albori della motorizzazione; esemplari unici assemblati da costruttori dilettanti, modelli a volte geniali prodotti in piccole serie da modesti artigiani, ma anche raffinati progetti di importanti aziende costrette, nel dopoguerra, a riconvertire la produzione per cogliere le opportunità offerte dal mercato. In passato le microvetture costituivano spesso l unica soluzione per soddisfare a poco prezzo il desiderio di automobile. Niente a che vedere con le moderne city-car, seconde macchine concepite per districarsi nel traffico caotico delle città e spesso molto costose. Le microvetture hanno avuto sostanzialmente due periodi di forte espansione: negli anni 30, in seguito alla Grande Depressione e, soprattutto, nel dopoguerra, quando costituivano una sorta di seconda generazione nello sviluppo della motorizzazione individuale, toccando la loro massima popolarità, dopo il 1955, nei Paesi del Nord e Centro Europa. Mentre in Italia, e 1

in generale nei paesi con il clima più clemente, la prima generazione è costituita dagli scooter e continua a prosperare fino alla diffusione su larga scala delle automobili vere, nei Paese freddi la necessità di avere un abitacolo ben protetto è prioritaria fin dall inizio. Emblematico l esempio della Germania, la cui produzione di microvetture negli anni 50 si articola su una gamma vastissima di marche e modelli, forse la più completa d Europa. Dopo il 45, delle grandi fabbriche belliche rimane poco o nulla, ma le menti creative sono in gran parte sopravvissute e la manodopera non manca. Mancano invece il denaro e le materie prime: un motivo in più per aguzzare l ingegno. Già a partire dal 1950 infatti, diverse aziende sviluppano prototipi, acquisiscono brevetti e licenze e realizzano piccole serie di veicoli, che oggi possono destare tenerezza, ma che spesso sono un lavoro di compromesso tra genio creativo e modestia di mezzi. La tecnologia è raramente di tipo automobilistico: più spesso si rifà alle soluzioni motociclistiche o aeronautiche, oppure è il risultato di un bricolage evoluto e molto creativo. La parola d ordine, per tutti, è leggerezza, poiché i motori, quasi sempre di origine motociclistica con raffreddamento ad aria, hanno cilindrata e potenza assai modeste, perché devono costare poco e consumare pochissimo. Si tratta per lo più di motori tedeschi, in genere monocilindrici a 2 tempi, semplici e leggeri, con cilindrate da 125 a 300 cm 3, ma non mancano raffinati bicilindrici, sempre a due tempi, con cilindrate da 250 fino a oltre 450 cm 3. Alcuni costruttori poi, per tradizione aziendale (vedi BMW con l Isetta), preferiscono fin da subito i 4 tempi. La semplicità concettuale e la ricerca della leggerezza impongono la 2

rinuncia a qualsiasi complicazione tecnica: gli schemi prescelti sono quindi o tutto dietro o tutto avanti, con trasmissione tipo scooter a catena o ad ingranaggi, e solo in rari casi si ricorre a corti alberi di rinvio. La soluzione tutto dietro è decisamente la più diffusa: viene adottata su tutte le 3 ruote e sulle 4 ruote con carreggiata posteriore molto stretta, che consente di fare a meno del differenziale offrendo al tempo stesso un comportamento più stabile in curva. Il tutto dietro lo ritroviamo anche su molte 4 ruote di concezione più automobilistica, le quali si uniformano così alla configurazione più diffusa delle utilitarie anni 50. Anche i cambi sono si origine motociclistica: si va dalle soluzioni più semplici che non prevedono la retromarcia a quelle più complesse che fanno ricorso a campi ad innesti elettromagnetici. I telai sono costituiti da tubi d acciaio, saldati spesso senza neanche essere piegati. Lo schema più in voga prevede un tubo centrale e due trasversali, anche se non mancano esempi di telai a piattaforma: pur ridotti all osso, essi garantiscono quel minimo di stabilità e resistenza necessarie a mezzi con prestazioni e capacità di carico più elevate. Le sospensioni, montate su piccole incastellature ausiliarie, sono un esempio di razionalità e leggerezza, quanto di meglio si può concepire negli anni 50. Le sospensioni posteriore delle 3 ruote o delle 4 ruote a carreggiata molto stretta sono quasi sempre costituite da mezze balestre longitudinali a sbalzo (cantilever) accoppiate, nei casi più evoluti, ad ammortizzatori telescopici; mentre sulle 4 ruote più convenzionali si trovano in genere semiassi oscillanti con molle elicoidali e ammortizzatori telescopici coassiali. All anteriore troviamo invece braccetti longitudinali con barre di torsione oppure quadrilateri articolati con molle elicoidali o barre di torsione. Ma il massimo della creatività viene espresso nelle carrozzerie. All inizio si tratta di trovare un alternativa 3

alla lamiera d acciaio stampata, che non sarebbe giustificata dai modesti volumi produttivi. Si opta allora per intelaiature in legno, sulle quali vengono fissati pannelli di lamierino, soluzione che fa assomigliare la vettura alla fusoliera di un vecchio aeroplano. Per migliorare l estetica e ridurre le spaventose vibrazioni di una simile struttura, si pensa allora ad un rivestimento in finta pelle che permette di ottenere forme più arrotondate ed aggraziate. Evidentemente non ci si poneva affatto il problema della resistenza agli urti o anche soltanto alle sollecitazioni durante la guida, eppure vengono costruite e vendute migliaia di vetture realizzate con questa tecnica. Con il passare degli anni la reperibilità di materie prime migliora e si cominciano a realizzare stampi per carrozzerie in alluminio che, al di là di scelte estetiche a volte discutibili, sono leggere e resistenti. Dalla metà degli anni 50 si diffondono infine le carrozzerie in acciaio, autoportanti o saldate su telai a piattaforma, mentre per le piccole serie compaiono le prime carrozzerie in plastica. Ma intento è cominciata l era delle moderne utilitarie, che costano come le microcar e offrono i vantaggi delle vere automobili. 4

VOLUGRAFO Bimbo 46-1945 Sembra uscita dalle giostre, invece è una macchina vera, uno dei tanti tentativi di offrire, nel dopoguerra, quattro ruote al prezzo di due. La Bimbo nasce nel 1945 per opera dalle Officine Meccaniche Volugrafo, azienda di Torino specializzata nella produzione di rimorchi, cisterne e pompe per i distributori di carburante. Progettata dall ingegner Belmondo, la microcar sembrava più una automobilina giocattolo che una vera e propria vettura. E infatti difficile definirla automobile: sebbene sia immatricolata come tale, ricorda le vetture delle giostre o le macchine a motore elettrico per i ragazzini. Era molto bassa, di dimensioni estremamente contenute (passo di appena 1,5 m), senza porte (per entrare infatti, si scavalcava la fiancata), con carrozzeria d alluminio di linea tondeggiante e carenata. Poteva trasportare due sole persone a condizione che fossero di piccola taglia. I due tappi sopra il muso sono per il serbatoio della benzina (dieci litri) e per quello dell'olio (tre litri). La lubrificazione è a carter secco. 5

Il parabrezza è simbolico in quanto adatto appena a riparare il tronco del guidatore ma non la testa, che sporge quasi completamente. Le ruote, di taglia minima, montano pneumatici di misura 3.50x8, ossia quelle utilizzate normalmente per le carriole dei muratori. Il disegno evidenza l estrema semplicità della Bimbo priva di porte, cofani e paraurti come le automobiline delle giostre. Sia i freni che lo sterzo sono comandati da cavi metallici. 6

Il telaio era in tubi d acciaio con sospensione anteriore ad assale rigido e mezze balestre longitudinali; per quanto riguarda il retrotreno, la sospensione posteriore è a ruote indipendenti. A differenza delle altre micro vetture dell epoca, che generalmente adottavano un motore bicilindrico a due tempi, la bimbo era spinta da un motore monocilindrico a quattro tempi di 125 cm 3 con valvole in testa, raffreddato ad aria, sistemato dietro, che agiva mediante una catena sulla sola ruota sinistra. La strumentazione non si può guastare perché manca del tutto. Il commutatore nero sulla sinistra serve per contatto e luci, quello bianco, aggiunto dopo, per le frecce. Il lungo pedale che sporge dietro la leva del cambio è quello dell'avviamento. Il motore era di origine motociclistica con carter cilindro e testa in alluminio. Con una corsa di 58 mm e un alesaggio di 52 mm, sviluppava una potenza di 4,5 cavalli a 4500 giri/min. Il rapporto di compressione è di 6:1 e montava una carburatore Weber da 18mm. Il cambio era a tre marce, senza retro, con comando a leva laterale e i pneumatici erano da 3.50x8. Il serbatoio di carburante era capace di 10 litri mentre quello di lubrificante ne conteneva 3. 7

L omologazione è per due persone, ma come si può notare, bisogna essere snelli per poterci entrare. Da osservare inoltre l assenza degli specchietti di serie, che possono però essere aggiunti, così come le frecce direzionali. La Bimbo aveva delle dimensioni piuttosto caratterizzanti, un passo di 1610 mm, una carreggiata anteriore di 820mm, una carreggiata posteriore di 830 mm, una lunghezza di 2000mm e un peso a vuoto di soli 125 Kg. La vetturetta si avviava tirando una leva a mano (come sui motofurgoni), aveva un cambio a tre marce in blocco con il motore e freni sulle tutte e quattro le ruote. I cinque cavalli di potenza le permettevano di raggiungere i 60 all ora e di consumare circa 2,5 litri per percorrere 100 km. Per migliorare ed incrementare le prestazioni, la Volugrafo studiò anche la possibilità di montare un secondo motore che spingesse anche sulla ruota di destra: sarebbe stato compito del guidatore scegliere se utilizzare contemporaneamente oppure no i due propulsori. Della originale vetturetta, venduta a circa trecentomila lire, furono costruiti solo pochissimi modelli sino al 1948, che però scomparvero quasi subito dalla circolazione. 8

Motore Monocilindrico di origine motociclistica - Carter, cilindro e testata in alluminio - Cilindrata 125 cm³ - Alessaggio 52 mm - Corsa 58 mm - Potenza 4,5 CV a 4500 giri/min - Rapporto di compressione 6:1 - Distribuzione a valvole in testa e albero nel basamento - Lubrificazione a carter secco con pompa - Un carburatore Weber 18 MF. Trasmissione Corpo vettura Motore centrale sul lato sinistro - Trazione a catena sulla sola ruota posteriore sinistra - Cambio a tre marce senza RM - Comando a leva laterale - Pneumatici 3.50x8. Spider due posti, senza porte - Telaio in tubi d'acciaio - Sospensione anteriore ad assale rigido, mezze balestre longitudinali - Sospensione posteriore a ruote indipendenti, mezze balestre longitudinali - Freni a tamburo sulle quattro ruote - Sterzo a rocchetto e cavo metallico - Capacità serbatoio carburante 10 litri, serbatoio lubrificante 3 litri - Impianto elettrico a 6 V. Dimensioni e peso Passo 1610 mm - Carreggiata anteriore 820 mm - Carreggiata posteriore 830 mm - Lunghezza 2000 mm - Peso a vuoto 125 kg. Prestazioni Velocità; 60 km/h - Consumo medio 2,5 litri/100 km. Libretto di Circolazione di una Volugrafo Bimbo del 1946 9

ALCA Volpe - 1947 L'immediato dopoguerra italiano era pervaso, almeno dal punto di vista dei trasporti, da un genuino, ingenuo ottimismo nei confronti di tutto ciò che poteva rappresentare o almeno sembrare un innovazione e una comodità in più per spostarsi. Con l'entusiasmo di una nazione che usciva da una guerra disastrosa, l'italia dell'automobile tentava di rialzare la testa, sostenuta inizialmente dalle più economiche due ruote: il Garelli Mosquito motorizzava le biciclette, mentre Piaggio presentava nel 1946 la mitica Vespa. Alla motorizzazione di massa, ancora da creare, la nostra industria proponeva quindi mezzi semplici, economici, robusti e utili, copiando un po' ciò che già era stato ideato prima della guerra (in Italia ma anche in America, Inghilterra e Germania) e un po' proponendo progetti originali. In questo clima nasce la curiosa ALCA Volpe, una microvettura pensata appunto per i desideri di milioni di italiani, per la prima volta alle prese con l'acquisto di un'auto. Presentata nel 1947 dalla neonata società Anonima Lombarda Cabotaggio Aereo (ALCA), la Volpe ha in realtà ben poco di una automobile come la concepiamo oggi. Durante una spettacolare presentazione fatta in un teatro romano il 30 marzo 1947, con la partecipazione dell'allora famosa compagnia del comico Erminio Macario, la Volpe viene pubblicizzata come la scelta ideale per la mobilità del dopoguerra italiano. Si tratta di una vetturetta aperta, a due posti, lunga 2,5 e larga 1,02 metri, equipaggiata da un motore bicilindrico, sistemato posteriormente, di 124 centimetri cubici di cilindrata che sviluppava una potenza di 6 cavalli a 5ooo giri/min ed in grado di spingere teoricamente la Volpe a 75 km/h di velocità massima. 10

Il cambio è a quattro rapporti più retromarcia, con leva al volante e preselettore. Le marce si innestano premendo direttamente il pedale della frizione. Il motore si avvia a strappo (come nei motori fuoribordo) o premendo un pedale. L alimentazione e la lubrificazione sono a miscela, l accensione a volano ed il raffreddamento ad aria forzata. Data la leggerezza (in ordine di marcia la Volpe pesava appena 135 Kg) e la ridotta carreggiata posteriore, fu possibile eliminare il differenziale. Come già sottolineato, il motore è sistemato posteriormente e ha il basamento incernierato alla carrozzeria: con questa soluzione il gruppo motore-cambio oscillava assieme all assale rigido posteriore. Gli elementi elastici delle sospensioni sono costituiti da balestre, sistemate, davanti in posizione trasversale, dietro, longitudinale. Per la Volpe i tecnici dell Alca optarono per una scocca autoportante e per tre freni: due sulle ruote anteriori e uno sull assale posteriore: su quest ultimo agisce anche il freno a mano. Particolarità molto semplice era il comando meccanico dei tamburifreno. Altri aspetti curiosi e per certi versi risibili del progetto Volpe sono anche le minuscole ruote 4.00 J x 8 pollici e la fragile capote apribile con 11

archetti snodati. Altri dati dichiarati parlano di una pendenza massima superabile del 25 % e di uno spazio d'arresto da 60 Km/h in meno di 7 metri. L Alca, l azienda produttrice della Volpe, sognava la grandezza e si auspicava, molto ottimisticamente, di avviare con questo modello una motorizzazione di massa. Al di là della roboante presentazione, avvenuta nella primavera del 1947 sul palco del Teatro Lirico di Milano, tra le belle ragazze della compagnia di rivista ed il comico Erminio Macario, l accoglienza che il pubblico riservò alla Volpe fu favorevole, tanto è vero che si manifestò in un buon numero di prenotazioni. A ciò bisogna aggiungere una pressante campagna pubblicitaria che prevedeva l inizio delle consegne nel luglio dello stesso anno. Invece i contratti non furono rispettati, le consegne sempre più rimandate, con assicurazioni da parte dei responsabili della casa sempre meno convincenti. Così, per carenze organizzative il progetto Volpe si arenò il 26 aprile 1948 e 12

dopo soli 6 esemplari prodotti la Volpe sparì, come la stessa ditta produttrice che nel 1948 fu indagata per bancarotta fraudolenta dopo aver intascato gli acconti dei clienti che avevano ordinato la microvettura (circa 300 milioni di lire in totale). Nella stessa strategia commerciale di lancio si pose anche l'iscrizione di cinque Alca Volpe alla prima Mille Miglia del dopoguerra, quella del '47, tre delle quali allestite in una fantomatica versione turbocompressa, priva di capote e dotate di coda aerodinamica arrotondata con poggiatesta integrato. Le cinque vetture non si presentarono mai alla partenza. Nella grossa truffa della "Volpe mai nata" è rimasta coinvolta anche la spagnola Gemicar Internacional Auto S.L. di Madrid, che nel '47 decide di costruire su licenza la Hispano Volpe, versione della microcar italiana per il mercato iberico, Portogallo, Marocco, America latina e colonie spagnole. Come è facile intuire, nessuno stabilimento madrileno ha mai sfornato alcuna Hispano Volpe. I pochi esemplari sopravvissuti di Alca Volpe si trovano oggi in musei o collezioni private, muta testimonianza di un sogno che ha illuso e deluso molti italiani, uno dei primi pasticci nell'italia del dopoguerra. La cosa che lascia l'amaro in bocca è che la Volpe abbia per certi versi anticipato e prefigurato alcune delle soluzioni super-economiche che sarebbero poi state adottate su microcar di un certo successo commercializzate quasi dieci anni dopo: in primis la Kleinschnittger F125, poi la Iso Isetta, la Messerchmitt Kabinenroller (Mi-Val in Italia), la Brütsch Mopetta e la Glas Goggomobil. 13

MI-VAL Mivalino 175-1953 Sono gli anni della rinascita, al termine del secondo conflitto mondiale. Tutti vogliono dimenticare gli orrori della guerra e creare dalle rovine un nuovo paese. Tanta voglia di fare ma le risorse sono scarse, c è bisogno di fabbriche dove lavorare e di mezzi economici per muoversi. Si sviluppa così la produzione motociclistica, con nuove aziende e prodotti utilitari. E successo negli anni Venti e il fenomeno si ripete immutato anche negli anni Cinquanta quando, tra queste nuove aziende compare la MI-VAL, frutto della convergenza di alcuni industriali bolognesi (tra cui Ettore Minganti) e della necessità di riconversione della fabbrica d armi di Pietro Beretta di Gardone Valtrompia (BS). Sull eco della presentazione dell Isetta (dicembre 1952), nel 1953 la MI-VAL annuncia l entrata in produzione, su licenza della famosa industria aeronautica tedesca Messerschmitt, di una microvettura a due posti. E il Mivalino, uno scooter cabinato a tre ruote con il muso da ranocchio e l abitacolo a carlinga, la cui pubblicità recitava: Non è un automobile, né lo vuole essere: si tratta di una motocicletta con tutte le comodità, protetta contro tutte le intemperie e il vento. 14

E evidente come la linea del Mivalino si rifaccia a quella dei famosi caccia Messerschmitt G 109 della Seconda Guerra Mondiale. Per accedere all abitacolo occorre infatti sollevare di 90, verso il lato destro, la calotta in plexiglas incernierata alla carrozzeria. Il motore invece (sia quello impiegato per la versione tedesca (Sachs) sia il MI-VAL 175 della Casa bresciana) è di natura prettamente motociclistica così come il telaio in tubi d acciaio saldati e la carrozzeria in acciaio stampato. Davanti ha due ruote sterzanti, con carreggiata di soli 92 cm, e sospensioni indipendenti a tre elementi di gomma in compressione, mentre al posteriore c è una singola ruota motrice con la catena della trasmissione finale e la sospensione a forcellone oscillante con molla di gomma. Anche la guida è di tipo motociclistico, con uno sterzo a manubrio e il comando dell acceleratore a manopola (stranamente posto sulla sinistra). 15

Si poteva guidare senza patente perché ai fini burocratici-fiscali era equiparato ad una moto e la pubblicità della Casa sottolineava il fatto che con il nuovo veicolo veniva risolto economicamente il problema della motorizzazione del ceto medio perché non soddisfa soltanto il sogno della gioventù sportiva di avere un veicolo chiuso, ma offre anche per i viaggi d affari e le gite di piacere, al costo e con le spese di manutenzione di una motocicletta, la comodità, la resistenza e la sicurezza di un autovettura. 16

Erano stati previsti due tipi di equipaggiamenti: il primo, di serie, comprendeva tachimetro, tergicristalli, specchietto retrovisore e ferri di bordo; il secondo aveva, in aggiunta, ruota di scorta, copriruota cromati, orologio, borse laterali di stoffa, porta bagagli esterno e addirittura l alloggiamento per l autoradio. Nelle intenzioni del costruttore lo scooter a tre ruote, oltre ad essere più stabile e quindi più sicuro di quello a due, permetteva di arrivare, a fine viaggio, meno stanchi e con gli abiti asciutti oltre che puliti. Tutto questo senza le spese di acquisto e di manutenzione di un automobile (il Mivalino costava 319.000 Lire) né con il conseguente obbligo di patente per guidarla. In sintonia con i comunicati pubblicitari, la stampa scriveva del Mivalino in termini ugualmente entusiastici: per esempio, in occasione della presentazione a Gardone Valtrompia, la Gazzetta dello Sport si spinse addirittura a parlare di linea elegantissima. Purtroppo però, alla prova dei fatti, il tre ruote bresciano si rivelò scomodo da utilizzare, scarso nelle prestazioni e anche pericoloso nella guida. Ciò, nonostante la Casa assicurasse che il baricentro molto basso e le ruote anteriori indipendenti erano garanzia di buona tenuta di strada e stabilità in curva anche su terreni accidentati. 17

La stabilità del Mivalino è stata ottenuta applicando i migliori accorgimenti tecnici al riguardo, operando nel seguente modo: 1. è stato abbassato il più possibile il baricentro della massa componente il Mivalino; 2. i carichi sono stati distribuiti su tre appoggi, dimensionandoli tra loro in modo tale che la risultante R (dal baricentro G) della forza viva Fe e della forza centrifuga Fc cada entro il semiasse anteriore; 3. la disposizione in tandem dei passeggeri è tecnicamente razionale poiché anche nel caso in cui i due componenti dell equipaggio abbiano peso differente, questo agisce solamente sull asse longitudinale, per cui rimane ugualmente equilibrato durante la marcia. Nei posti affiancati invece ne rimarrebbe compromessa la stabilità, soprattutto nel caso in cui il pilota viaggi da solo. Quindi, nonostante le premesse, il Mivalino non ebbe né vita lunga (la produzione, iniziata nel 1954 cessò dopo soli due anni) né successo commerciale: oltre ai motivi già esposti, contribuirono certamente al flop delle vendite la sua forma un po troppo pittoresca nonché la nota avversione del mercato italiano ai veicoli troppo dichiaratamente utilitari. Maggiore (anche se non troppa) fortuna ebbe invece il gemello tedesco, motivata in origine sia dal loro clima più sfavorevole sia dalle maggiori possibilità economiche del mercato. Con quel muso a ranocchio e l abitacolo a carlinga, il Messerschmitt era frutto di un progetto dell ingegner Fritz Fend (specialista in vetture per disabili), con la supervisione dello stesso professor Willi Messerschmitt. In Germania, il tre ruote KR 175 (la sigla deriva da Kabinenroller, cioè scooter con cabina ) fece la sua comparsa nel 1952 ed ebbe un discreto successo cesso anche in Belgio, Francia, Olanda, Inghilterra e persino in 18

Giappone. Nel 1954 fu poi seguito dal modello KR 200, sempre con motore Sachs a 2 tempi ma con cilindrata aumentata da 175 a 200 cc. Assieme ad un aumento delle prestazioni, la nuova versione dell autoscooter (questa è la definizione che utilizzò la stampa francese per descriverlo) presentava altri miglioramenti; tra i più curiosi: il sedile posteriore sdoppiato, per ospitare una mamma con un bambino (il mezzo diventava così a tutti gli effetti un 3 posti) ed il manubrio a forma di semicerchio schiacciato simile a quella dei moderni volanti automobilistici da competizione. Anche nello sport, lo scooter cabinato lascia il segno; alla nona Milano-Taranto (20 giugno 1954), tre dei cinque Mivalino iscritti alla competizione tagliano infatti il traguardo dopo una logorante tirata di 1.400 chilometri. Il vincitore (C. Manfredini) ottiene la media di 64,787 km/h, risultato assolutamente non disprezzabile dato il primo della categoria sidecar (Borri su Moto Guzzi 500) raggiunge la città dei due mari a 83,736 km/h. Ad Hockenheim, siamo ai primi di Settembre del 1955, un Messerschmitt KR 200 batte una serie di primati mondiali sulle lunghe e medie distanze nella classe tre ruote 250. Dotato del motore Sachs a 2 tempi opportunamente preparato, anche se con regolare marmitta silenziatrice, raggiunge una velocità massima di 114 km/h che riesce a mantenere pressoché costante anche nelle prove a lunga distanza (1000 miglia a 106 km/h di media e 24 ore a oltre 103 km/h), a testimonianza dell ottima regolarità di funzionamento della macchina. 19

ISO Isetta - 1953 Due posti coma la Smart. Motore posteriore come la Smart. Linea monovolume come la Smart. Il parallelo finisce qui, perché l Isetta, la microvettura della Iso non ha il motore turbo, l aria condizionata, il catalizzatore, le cinture di sicurezza, l abitacolo con la cellula di protezione. Però, per la sua epoca, quando ancora non era esploso il problema del traffico, l Isetta era davvero all avanguardia. Il commendator Renzo Rivolta, titolare della Iso, e l ingegner Ermenegildo Preti, progettista aeronautico, avevano visto giusto quando si misero al lavoro per avviare la produzione di un veicolo soprattutto economico, destinato a chi voleva fare il salto di qualità dalla motocicletta all automobile, ma non poteva ancora permettersi di acquistare la Topolino. Per capire le origini della più popolare tra le microvetture del dopoguerra, occorre fare un salto indietro nel tempo, esattamente fino al 1939, anno in cui Renzo Rivolta fondò la Iso, una ditta con sede a Bolzaneto (GE), specializzata in impianti di refrigerazione ad uso industriale o privato. Nel 1943, la Iso si trasferì a Bresso, in provincia di Milano, dove alla precedente attività si aggiunse anche quella di produzione di elettrodomestici. Terminata la Seconda guerra mondiale, però, Renzo Rivolta si accorse che una delle maggiori esigenze e priorità della popolazione italiana era quella di potersi spostare tramite un mezzo di locomozione che fosse economico, molto più di un'automobile a buon mercato come lo era la Topolino di quegli 20

anni. Decise quindi di convertire la produzione di elettrodomestici a quella di motociclette. Fu così che nacquero modelli di un certo successo. Ma dopo questi piccoli successi, Renzo Rivolta decise che era arrivato il momento di passare alla produzione automobilistica. La ragione sociale della ditta fu perciò mutata in Iso Autoveicoli SpA. Ciò che aveva in mente era un automezzo che stesse a metà tra una motocicletta ed una "Topolino". Doveva, cioè, essere semplice come una moto, ma con carrozzeria chiusa come un'auto. La filosofia costruttiva di Renzo Rivolta nel settore delle automobili era quella di privilegiare prima di tutto la comodità ed il comfort dei passeggeri, nonché un'oculata sistemazione della meccanica all'interno del corpo vettura: la carrozzeria sarebbe stata modellata solo a quel punto, sulla base delle specifiche precedenti. Per realizzare la nuova vetturetta, Renzo Rivolta si affidò a due vulcanici personaggi, giovani ma con un significativo passato alle spalle in campo aeronautico: Ermenegildo Preti e Pierluigi Raggi. Il primo prototipo fu realizzato nell'estate del 1952 e già prefigurava molte delle soluzioni tecnico-stilistiche presenti sulla vettura definitiva, come il corpo vettura "ad uovo", la meccanica di derivazione motociclistica e la presenza di un 21

unico portellone frontale, che andava a costituire praticamente l'intero muso della vetturetta. Pressoché definitiva era anche l'architettura della vettura, con scocca in lamiera d'acciaio dotata di un'ampia vetratura fissata a un telaio di tubi d'acciaio. Tale prototipo era inoltre provvisto di tre sole ruote: due davanti ed una dietro, soluzione presto abbandonata quando ci si accorse della sua inaffidabilità in caso di foratura durante alcune prove su strada. Si scelse perciò una soluzione intermedia, ossia quattro ruote, delle quali le due posteriori erano molto ravvicinate tra loro per risparmiare sul differenziale. Quanto al motore, esso era inizialmente un monocilindrico a due tempi ripreso pari pari dal motociclo Iso 200, della cilindrata di 198cc ed in grado di erogare circa 8 CV. In seguito fu realizzato un nuovo prototipo che montava le due ruote posteriori ravvicinate, ma che ancora era provvisto di accensione a strappo come il prototipo precedente. Ma oramai erano pochi gli aggiornamenti che separavano tale prototipo dal modello finale. Il 9 aprile 1953 infatti, oltre duemila invitati la videro e la provarono lungo i viali di villa Patellani. Ma non si levò nemmeno un "Ohhh" di stupore, semmai si udirono velati risolini di scherno e qualche commento imbarazzato. Renzo Rivolta aveva visto giusto, ma con troppo anticipo. Le sue idee cozzavano con 22