Espropriabili solo i beni disponibili della p.a. - Impignorabili i crediti tributari Corte di Cassazione Sezione III civile Sentenza 3 febbraio-5maggio 2009 n. 10284; presidente Preden; relatore Chiarini; Pm parzialmente difforme Scardaccione La regola generale dell assoggettabilità ad esecuzione di tutti i beni del debitore (artt. 2740 e 2910 c.c.) subisce, per quanto attiene agli enti pubblici, una limitazione in dipendenza della natura dei beni appartenenti agli enti stessi, essendo espropriabili solo i beni disponibili e non quelli di origine pubblicistica e destinati per legge ad uno specifico scopo pubblico. Perciò per la realizzazione di crediti di terzi verso l amministrazione pubblica, non possono essere pignorati, presso le banche delegate alla riscossione dei tributi, i corrispondenti crediti dell ente pubblico, anche se, per effetto del versamento, sia esaurito il rapporto tributario fra l ente e il contribuente. 1 / 5
* * * La società X ed altre pignoravano i crediti che la banca Y doveva riversare all Ufficio Provinciale dell IVA per la soddisfazione coattiva del rimborso della c.d. tassa sulle società, cui la PA era stata condannata. Il Ministero delle Finanze proponeva opposizione al pignoramento, deducendo l impignorabilità delle somme in quanto derivanti dall esercizio del potere di imposizione tributaria, con obbligo dell istituto bancario, delegato dal contribuente ad effettuare il pagamento per suo conto all ufficio IVA, di trasferimento all ente impositore. In primo e secondo grado le eccezioni sollevate dalla Pa erano rigettate, sulla base della considerazione che le somme riscosse dalle banche per conto dello Stato non le rende impignorabili, non avendo già ricevuto, per legge o provvedimento amministrativo, destinazione concreta ad un pubblico servizio (solo in quest ultimo caso sarebbero indisponibili ex art. 828 c.c.). la Corte Costituzionale, con sentenza 138/1981, ha inoltre sottolineato che gli artt. 828 ultimo comma c.c. e 514 c.p.c. non comportano il principio dell inespropriabilità del denaro e dei crediti dello Stato o degli enti pubblici economici, poiché la posizione della P.A. è analoga a quella di ogni altro debitore e l iscrizione in bilancio in sé, non essendo idonea a costituire un vincolo in senso tecnico, è inidonea a paralizzare l azione esecutiva del cittadino. Il Ministero propone ricorso per Cassazione, deducendo violazione e falsa applicazione dell art. 828 e 1264 c.c., 543 c.p.c. e 38 D.P.R. 633/1972 in relazione all art. 360 n. 3 c.p.c., nonché nullità del pignoramento, perché la banca non è terzo debitore, ma semplice delegato al pagamento di somme, che non sono entrate nella disponibilità dell ente impositore, perchè la stessa delegazione di pagamento non è stata ancora eseguita. Preliminarmente la Corte nota che il credito di cui trattasi è un credito d imposta, tant è che il versamento è effettuato per conto del contribuente. Ammetterne la pignorabilità è come ammettere la pignorabilità dei crediti tributari presso i contribuenti. Detti debiti hanno ad 2 / 5
oggetto entrate dell amministrazione finanziaria, realizzate nell esercizio del potere di imposizione tributaria e riscosse dall istituto delegato: sono, quindi, impignorabili ex art. 1246, n. 4 c.c.., perché, per principio, detti crediti sono destinati alla realizzazione dei fini istituzionali dell ente pubblico. A seguito di una sentenza di condanna al pagamento di una somma di denaro, pronunciata dal giudice ordinario, amministrativo o tributario, la PA si pone alla stregua di qualsiasi altro debitore. In caso di sua inerzia, il creditore può quindi ben tutelare il proprio diritto soggettivo innazi al g.o. con l esecuzione forzata, secondo le norme del codice di rito, ovvero instaurando il giudizio di ottemperanza a norma dell art. 70 D.lgs. 546/1992, se il diritto al rimborso del tributo è stato riconosciuto con sentenza passata in giudicato (Cass. n. 358/2004). Così è avvenuto, infatti, per il Ministero, che è stato, a suo tempo, condannato al rimborso nei confronti delle controricorrenti della c.d. tassa sulla società. Ciò non significa però che la società X e le altre possano aggredire indiscriminatamente i beni della Pa, per soddisfare il proprio credito. A questo proposito, è utile sottolineare come, se in un primo momento, la riflessione dottrinaria e giurisprudenziale incluse il denaro pubblico tra i beni patrimoniali disponibili della p.a., con conseguente sua aggredibilità mediante le azioni esecutive, successivamente lo fece rientrare in quelli indisponibili, sulla base della considerazione che, con la redazione e approvazione del bilancio, il denaro restasse vincolato a determinati scopi della p.a.: da ciò la sua impignorabilità. Il creditore avrebbe potuto chiedere all organo di controllo la nomina di un commissario ad acta che iscrivesse il credito nel bilancio dell ente nell esercizio finanziario successivo. Parte della dottrina riteneva preferibile instaurare invece un giudizio di ottemperanza innanzi al g.a., finalizzato alla nomina di un commissario ad acta. Poiché tale soluzione poteva ingenerare abusi, la giurisprudenza giunse a operare una distinzione tra il denaro proveniente da esercizio di potestà pubblicistiche (ad esempio entrate tributarie), come tale indisponibile, e quello proveniente da rapporti di diritto privato (ad es. locazione), che era disponibile. Di fatto il denaro era quasi sempre indisponibile. Per cui si elaborò una nuova teoria, in base alla quale il vincolo di destinazione non poteva rendere, per ciò solo, indisponibile un bene di per sé fungibile: il vincolo di destinazione non sottraeva, infatti, alla p.a. il potere di rinvenire altrove le somme soggette al procedimento esecutivo. Il nuovo principio invalso è dunque quello per cui il denaro è sempre un bene disponibile, salvo che la legge o un provvedimento amministrativo specifico non lo vincolino a un determinato fine pubblico (per la ricostruzione di questa evoluzione nella considerazione del denaro da bene disponibile tout court a bene disponibile, salvo intervenuto vincolo, cfr. La destinazione del denaro a finalità specifiche blocca l azione esecutiva intrapresa dal terzo, commento di Nicola Corea, in Guida al diritto, anno XVI, numero 22, 30 maggio 2009, pp. 3 / 5
46-47). Nel caso che qui ci occupa, la Cassazione ha avuto modo di precisare che la normativa in materia di pagamento IVA vincola le somme percette dalle aziende di credito al riversamento allo Stato, tant è che per ogni giorno di ritardo è prevista una penale con funzione sanzionatoria, proprio perché lo Stato ha interesse a percepire quelle somme, per il perseguimento di finalità pubbliche, cui fin dall inizio quei tributi sono destinati (art. 53 della Costituzione, S.U. 2863/1971,1464/1979). Più in particolare, l art. 12 della legge 751/7976 dispone che i pagamenti di imposta sul valore aggiunto devono effettuarsi mediante delega del contribuente ad una delle aziende di credito dell art. 54 del regolamento per l amministrazione del patrimonio e per la contabilità generale dello Stato, approvato con R.D. n. 827/1924. L azienda delegata si impegna ad effettuare il pagamento all ufficio IVA, per conto del contribuente, entro il quinto giorno successivo a quello in cui ha ricevuto l ordine di pagamento e il relativo importo, pena il pagamento di una penale per ogni giorno di ritardo. Il legislatore, nel disciplinare il versamento diretto dell IVA tramite azienda di credito, alternativo al sistema di riscossione affidato al concessionario del relativo servizio, ha mantenuto la qualifica di imposta all obbligazione della banca di riversare le somme ricevute all ufficio finanziario, disciplinando accuratamente, con normativa primaria e secondaria, ogni fase del riversamento (legge 751/1976; l. 657/1986, DD. MM. 22/04/89, 22/11/91, 25/09/95, 16/10/96), prevedendo, in caso di ritardo, come già detto, il versamento di una penale giornaliera. Questa accuratezza nel disciplinare il riversamento dell imposta, pone la p.a. in una posizione di supremazia nei confronti dell azienda a tutela del potere pubblico impositivo, nell interesse dell Erario alla pronta e sicura esazione delle entrate tributarie (appartenenti, in definitiva, all intera collettività nazionale: Corte Cost. 209/1988). Ribadita la natura pubblica dell obbligazione dell istituto di credito nei confronti della P.A. (S.U. 5303/1995, Cass. 7443/1996, 6311/1998, 15110/2006), la Cassazione riafferma l impignorabilità dei crediti che lo Stato vanta nei confronti delle banche delegate dai contribuenti al pagamento delle imposte gravanti su di essi (S.U. 4071/1979, 493/2003), per la persistenza dell indisponibilità originaria del credito derivante dalla circostanza che l erario lo riscuote tramite servizio bancario. 4 / 5
Così argomentando, il giudice di legittimità esprime il seguente principio di diritto, secondo cui : la regola generale dell assoggettabilità ad esecuzione di tutti i beni del debitore (artt. 2740 e 2910 c.c.) subisce, per quanto attiene agli enti pubblici, una limitazione in dipendenza della natura dei beni appartenenti agli enti stessi, essendo espropriabili solo i beni disponibili e non quelli di origine pubblicistica e destinati per legge ad uno specifico scopo pubblico. Perciò per la realizzazione di crediti di terzi verso l amministrazione pubblica, non possono essere pignorati, presso le banche delegate alla riscossione dei tributi, i corrispondenti crediti dell ente pubblico, anche se, per effetto del versamento, sia esaurito il rapporto tributario fra l ente e il contribuente. Paola Marino 5 / 5