Majambiente Edizioni. dei Giardini Botanici. del Parco Nazionale della Majella



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Majambiente Edizioni Guida alle piante officinali E TINTORIE dei Giardini Botanici del Parco Nazionale della Majella

Progetto Editoriale Mirella Di Cecco Ente Parco Nazionale della Majella Stampa dicembre 2014 Per facilitare la lettura e la consultazione della guida, le specie all interno sono catalogate in ordine alfabetico italiano. Sulla scheda di ogni singola pianta, è inserito un riquadro colorato che ne indica la presenza nei due Giardini Botanici del Parco Nazionale della Majella. Testi Mirella Di Cecco Annalisa Cantelmi Giampiero Ciaschetti Foto Fabio Conti Mirella Di Cecco Luciano Di Martino Marco Di Santo Gianluca Tenisci Giardino Botanico D. Brescia Sant Eufemia a Maiella (PE) Strada Provinciale 487 ) + 39 085 92 00 13 Progetto grafico e stampa Marco Di Michele Majambiente Edizioni, Caramanico Terme www.majambiente.it CODICE ISBN 978-88-902900-5-3 Ente Parco Nazionale della Majella Sede Operativa Via Badia 28-67039 Sulmona (AQ) Tel. 0864 25 701 info@parcomajella.it www.parcomajella.it parcomajella Giardino Botanico M. TENORE Lama dei Peligni (CH) Via Colle Madonna ) + 39 0872 91 60 10 TOSSICHE VELENOSE

E questa la valle di S. Spirito ove venne fra Pietro da Morrone: e si scelse tal grotta in mezzo a sì folte foreste, che quasi aveva paura di penetrarvi il sole La Majella per secoli ha legato la sua fama alla ricchezza floristica ed in particolare alle virtù medicinali delle sue piante. Fino alla prima metà del XX secolo, gli speziali dei paesi localizzati ai piedi del massiccio facevano grande uso delle piante officinali; queste venivano anche raccolte in maniera sistematica per essere avviate ai mercati e, più tardi, alle industrie farmaceutiche e alle distillerie oltre i confini regionali. Spesso, a speziali e medici si affiancavano o sostituivano figure di erboristi, non di rado in odore di stregoneria, conosciuti localmente come mahare, eredi e depositari di una secolare cultura empirica che ha avuto tra i suoi adepti anche il poeta latino Publio Ovidio Nasone di Sulmona. Il legame della Majella con le piante è forte, importante ed antico. La conoscenza, nel territorio del Parco, del mondo vegetale e del suo utilizzo si perdono nella notte dei tempi. Testimonianze dell uso delle piante magellensi sono state rinvenute nei siti archeologici neolitici e paleolitici; altre sono riportate da autori classici e medievali tra i quali, primo fra tutti, il sulmonese Publio Ovidio Nasone. In Abruzzo è documentata la presenza di orti con piante medicinali nei grandi monasteri medievali come San Giovanni San Clemente a Casauria e Santo Spirito a Majella. In quest ultima abbazia, sita all interno del Parco nel territorio di Roccamorice, veniva prodotta l Acqua di S. Spirito, un preparato a base di erbe divenuto celebre anche a Parigi. La montagna tutta in fiore è anche ben impressa nell immaginario collettivo degli abruzzesi, come recita una nota canzone montanara di origine aquilana. Numerosi sono infatti i riti, le usanze e le tradizioni che, nel territorio del Parco e nei suoi dintorni, sono legate a particolari piante, per lo più spontanee. La celebrazione delle proprietà benefiche e, talora, trascendentali e mistiche, delle piante era consuetudine dei sabba, gli incontri che periodicamente le fattucchiere, verosimilmente soltanto delle esperte dell uso delle erbe, facevano al Colle delle Fate, sul versante occidentale del Morrone. L elevata ricchezza e la peculiarità della flora della Majella sono stato oggetto di numerose esplorazioni da parte dei botanici del Regno di Napoli nella prima metà dell ottocento, in particolare Tenore, Gussone e Cesati, i quali hanno qui descritto un numero elevato di specie. Tuttora, nel territorio del Parco, continuano ad essere descritte specie nuove per la scienza, veri e propri gioielli naturalistici che non di rado hanno la propria area di distribuzione limitata entro i confini dell area protetta. In questi ultimi anni, si assiste ad un risveglio dell interesse nei confronti delle piante selvatiche, delle loro proprietà e del loro uso tradizionale, nonché delle leggende che sono all origine dei loro nomi. Alla base di ciò, la sempre crescente richiesta di una larga parte della popolazione di prodotti alimentari 3

incontaminati, nonché di rimedi salutistici e prodotti cosmetici davvero naturali, scevri dall uso della chimica di sintesi. La crisi economica che attraversiamo in questi anni spinge poi numerose persone all autoproduzione di tali prodotti e, di conseguenza, ne muove un rinnovato bisogno di conoscenza, in realtà mai completamente sopito. Rispetto ai tempi passati, inoltre, le continue scoperte sulle biomolecole contenute nelle piante e sui meccanismi fisiologici che sono alla base delle loro proprietà offrono una solida base scientifica ad antiche conoscenze empiriche che vengono così liberate dagli aspetti magici derivati spesso da mere superstizioni. In questo contesto, i giardini botanici del Parco Nazionale della Majella svolgono un ruolo di primissimo piano nella coltivazione e nella promozione dell uso di dette piante. La riproduzione vivaistica messa in atto all interno delle loro strutture permette all Ente Parco di fornire individui di tali interessanti piante sia ai visitatori dell area protetta, sia ad Amministrazioni locali, scuole ed associazioni che si uniscono all Ente nella promozione dell uso delle piante autoctone anche per l arredo verde, riducendo così il pericolo legato all invasività di talune piante esotiche. Franco Iezzi Presidente del Parco Nazionale della Majella Parco Nazionale della Majella 74.095 ettari 2118 specie vegetali Oltre 140 componenti endemiche Veduta del Massiccio Majella Orientale

Le mitiche piante officinali della Majella nei giardini botanici del Parco La Majella per secoli ha legato la sua fama alla ricchezza floristica ed in particolare alle virtù medicinali delle sue piante. Fino alla prima metà del XX secolo, gli speziali dei paesi localizzati ai piedi del massiccio facevano grande uso delle piante officinali; queste venivano anche raccolte in maniera sistematica per essere avviate ai mercati e, più tardi, alle industrie farmaceutiche e alle distillerie oltre i confini regionali. Spesso, a speziali e medici si affiancavano o sostituivano figure di erboristi, non di rado in odore di stregoneria, conosciuti localmente come mahare, eredi e depositari di una secolare cultura empirica che ha avuto tra i suoi esponenti anche il poeta latino Publio Ovidio Nasone di Sulmona. Sulla scia di questa tradizione, nei due giardini botanici del Parco Nazionale della Majella, localizzati sui due versanti opposti del massiccio, un ruolo fondamentale è stato attribuito alle piante officinali. Il Giardino Botanico Michele Tenore è ubicato nel comune di Lama dei Peligni (CH) dove, unitamente all annesso museo naturalistico-archeologico e all area faunistica del Camoscio Appenninico, costituisce uno dei più importanti centri di visita del Parco. Ad esso è stato attribuito un ruolo come MSD (Majella Seed Bank), nodo del- la Rete Italiana delle Banche del Germoplasma per la conservazione ex situ della flora italiana (RIBES), la cui funzione è la conservazione a lungo termine dei semi delle piante spontanee e delle varietà agricole locali a maggior rischio di scomparsa. Il giardino botanico Daniela Brescia è localizzato nell alta valle dell Orta, tra la catena del Morrone e la Majella, nel comune di S. Eufemia a Maiella (PE), a circa 900 m s.l.m. Esso ospita, oltre al Centro di Educazione Ambientale del Parco, un laboratorio di estrazione, l erbario del Parco con oltre 2000 campioni provenienti principalmente dal territorio dell area protetta, un vivaio per la riproduzione delle piante autoctone da utilizzare, oltre che per le esigenze del giardino, negli interventi di rinaturalizzazione, in campo agricolo (piante officinali, vecchie cultivar locali e frutti minori) e nell arredo verde urbano. I due giardini operano, annualmente, le attività di raccolta semi e gestione della carpoteca finalizzate, attraverso la redazione di un Index seminum, allo scambio di semi con altre istituzioni scientifiche italiane e straniere. Le due strutture possono vantare anche il riconoscimento, da parte della Regione Abruzzo, di Giardini Botanici di Interesse Regionale (L.R. n. 35 del 1997). 5

Entrambe le strutture svolgono, infatti, la funzione strategica di conservazione del patrimonio vegetale autoctono regionale e allo stesso tempo di sensibilizzazione alle tematiche ambientali. Inoltre, essi hanno assunto un ruolo attivo di risorsa didattica a disposizione dei numerosi visitatori, delle scuole e di tutto il territorio. Ambedue i giardini cercano di ricostruire, in piccolo, gli ambienti naturali del Parco della Majella, dando la possibilità al visitatore di simulare un escursione attraverso le fasce vegetazionali dell Appennino centrale. Altri settori sono invece organizzati, secondo criteri didattici-dimostrativi, su specifici temi. Tra questi, ve ne è uno dedicato alle piante tintorie e officinali. Il termine officinale deriva dal fatto che un tempo queste piante erano lavorate e trasformate in laboratori chiamati officine. Oggigiorno, per piante officinali si intendono sia quelle medicinali, sia quelle aromatiche, cosmetiche etc. Molte delle specie officinali sono ricche di principi attivi tossici, ma sono comunque utilizzate dalla moderna medicina; un esempio è dato dalla digitale, una pianta velenosa da cui si estraggono principi attivi quali la digitalina e digitossina, ad azione cardiotonica. Molte informazioni sulle piante officinali della Majella, riportate da Gennaro Finamore (1889), provengono da Marcone, erborista di Lama dei Peligni che accompagnò, nella prima metà del IX secolo, il famoso botanico Michele Tenore nelle sue escursioni sul massiccio. Sembra che, seguendo il suo esempio, a Lama dei Peligni la tradizione erboristica si sia mantenuta viva a lungo: un altro semplicista che godeva di notevole fama in molti paesi del circondario, Giovanni Rinaldi, è infatti scomparso pochi anni or sono. Accanto alle piante officinali, nel settore sono coltivate anche le piante tintorie, cioè quelle che hanno la capacità di colorare i tessuti. La tintoria era una pratica molto utilizzata in passato, soprattutto lungo i fiumi dove erano localizzati tintorie e lanifici. Quelli della Majella erano famosi in tutto il Regno di Napoli per la qualità dei propri prodotti. Lane e altri tessuti venivano colorati grazie ai pigmenti naturali delle piante, tra cui ricordiamo la robbia (Rubia tinctorum), pianta lianosa i cui pigmenti rossi sono concentrati nella radice, e il guado (Isatis tinctoria), caratterizzato dalla presenza di pigmenti azzurri, soprattutto nelle foglie, con cui furono colorare di azzurro anche le giubbe dei giacobini francesi. Accanto alle piante tintorie, nel settore sono presenti anche le piante utilizzate un tempo per conciare i pellami; esse devono questa loro proprietà alla rilevante presenza di tannini, sostanze acide capaci di modellare le pelli. Esempi ne sono lo scotano (Cotinus coggygria) e il sommacco siciliano (Rhus coriaria). 6

INDICE DELLE SPECIE A ACHILLEA COMUNE 69 ACHILLEA DI TENORE 10 AGRIFOGLIO 11 ALKEKENGI 12 ALLORO 13 ALTEA 14 ASSENZIO 15 B BARDANA 16 BELLADONNA 17 BIANCOSPINO 18 C CALENDULA 19 CAMEDRIO 20 CAMOMILLA COMUNE 21 CAMOMILLA DEI TINTORI 22 CAMOMILLA ROMANA 23 CANAPA ACQUATICA 24 CARDO MARIANO 25 CARTAMO 26 CELIDONIA 27 CERRETTA 28 CICUTA 29 COLCHICO 30 CORNIOLO 31 D DIGITALE 32 DRANGONCELLO 33 E ECHINACEA 34 ELICRISO 35 ENULA CAMPANA 36 EQUISETO 37 ERBA CEDRINA 38 ERBA CIPOLLINA 39 ERBA DI S. MARIA 40 G GENZIANA MAGGIORE 41 GINEPRO 42 GIUSQUIAMO 43 GUADO 44 I IPERICO 45 ISSOPO 46 L LAMPONE 47 LAVANDA 48 LIQUIRIZIA 49 LUPPOLO 50 M MALVA 51 MARRUBIO 52 MELISSA 53 MENTA 54 MENTUCCIA 55 MUGHETTO 56 O ONOPORDO TOMENTOSO 57 ORTICA 58 P PARTENIO 59 PERVINCA 60 PINO MUGO 61 PRIMULA 62 PUNGITOPO 63 R RAFANO 64 RESEDA 65 RIBES NERO 66 ROBBIA 67 ROSA GALLICA OFFICINALE 68 ROSMARINO 69 RUTA 70 S SALVASTRELLA 71 SALVIA COMUNE 72 SCLAREA 73 SAMBUCO 74 SANTOLINA 75 SANTOREGGIA 76 SAPONARIA COMUNE 77 SCOTANO 78 SOMMACCO SICILIANO 79 STRAMONIO 80 T TASSO 81 TIGLIO 82 TIMO MAGGIORE 83 TOPINAMBUR 84 U URGINEA 85 V VALERIANA 86 VERBENA 87 VERONICA 88 VIOLA 89 Z ZAFFERANO 90 7

Nei fiori, semi e radici della peonia è presente un alcaloide peonina che ha proprietà di aumentare la peristalsi dell intestino e il tono dell utero. La droga viene usata come sedativo e un tempo aveva fama di essere utile negli attacchi di epilessia.

ACHILLEA COMUNE Achillea millefolium L. Asteraceae Pianta erbacea perenne, rizomatosa e lievemente suffruticosa ± ricoperta di peli o di lanugine, con odore aromatico, alta 30-60 cm. Fusto eretto, pubescente o lanoso e solcato longitudinalmente da strie, ramificato alla sommità. Foglie basali bipennatosette con numerosi segmenti lineari; lacinie molto fitte ± ricoperte, nella pagina inferiore, di peli semplici e molli di 1-3 mm. Infiorescenza a corimbo; fiori ligulati bianchi o raramente rosati. Sommità fiorite. Maggio-agosto. Olii essenziali, sesquiterpeni lattonici, alcaloidi. Antiemorragiche, stomachiche, antispasmodiche, ipotensive, antipiretiche, amaro-toniche. L achillea è utilizzata come amaro-aromatico per preparare liquori. In cosmetica, gli estratti usati nei bagni hanno effetti calmanti e lenitivi della pelle e delle mucose mentre l olio essenziale trova impiego nella preparazione di creme e shampoo. Il cataplasma è indicato nei casi di ferite, piaghe, ragadi. Per uso interno è indicata anche nelle amenoree e dismenorree. Chiamata anche stagna-sangue per le sue proprietà emostatiche. Tradizionalmente era usata per preparare il Centerbe. La leggenda narra che fu Achille il primo ad usarla per arrestare l emorragia alla spalla ferita di un compagno d arme e questo decise le sorti e gli impieghi della achillea per oltre 2500 anni. 9

ACHILLEA di tenore Achillea tenorii Grande Asteraceae Specie erbacea perenne alta 12-20 cm, intensamente aromatica, con fusto stolonifero e foglie con rachide intero e 2-6 segmenti per lato, più lasse rispetto ad A. millefolium. Capolini piccoli con squame scure o nerastre sul bordo. Fiori più o meno bianchi. Cresce nei pascoli montani da 900 m ai 2200 m di altitudine. Fiorisce da luglio a settembre. Nel territorio del Parco Nazionale della Majella, così come in quello regionale, è alquanto rara. pianta ha mostrato inoltre di possedere attività inibente le α-glucosidasi, un enzima coinvolto nel metabolismo dei carboidrati complessi come l amido. L inibizione delle α-glucosidasi porta ad una diminuzione dell assorbimento degli zuccheri che vengono ingeriti con la dieta evitando così l aumento eccessivo della glicemia. Tale attività fa di questa pianta una promessa per la lotta al diabete mellito. * L Achillea di Tenore, specie endemica dell Appennino centro-meridionale è stata recentemente oggetto di studio dal punto di vista fitochimico da parte del gruppo di ricerca guidato dal professor Armandodoriano Bianco del Dipartimento di Chimica dell Università di Roma. Da tali analisi è emerso che la composizione dell olio essenziale è molto simile a quella dell olio che si ottiene da Artemisia absinthium, specie che appartiene alla stessa famiglia (Asteraceae). Dall analisi dei componenti più polari A. tenorii risulta contenere un elevata quantità di composti polifenolici come flavonoidi e acidi caffeoilchinici e per questo risulta essere una potente risorsa di antiossidanti. L estratto totale ottenuto da questa *A cura di A. Venditti 10

AGRIFOGLIO Ilex aquifolium L. Aquifoliaceae Arbusto o piccolo albero sempreverde, dioico, con tronco diritto e corteccia da verde-bruna a grigia. Foglie alterne, glabre, coriacee, verdescuro e lucide superiormente, più chiare inferiormente, con margine provvisto di spine almeno negli individui giovani. Fiori femminili bianchi, i maschili sfumati di rosso riuniti in piccoli gruppi. Il frutto è una drupa, rossa a maturità, di 8-10 mm. Corteccia, drupe, foglie. Glucosidi amari (ilicina), ilixantina, tannini, pectine. Antireumatiche, toniche, febbrifughe, sedative, emetiche. L ilicina è efficace contro i disturbi epatici, l isterismo, la febbre. Le drupe possono provocare gravi intossicazioni con nausea, vomito e diarrea violenta, pertanto va utilizzato solo dietro prescrizione medica. Pianta tradizionalmente usata come simbolo augurale del periodo natalizio. Nel linguaggio simbolico, essa rappresenta la difesa: rami di agrifoglio ed edera vengono appesi sulle porte e sui camini per difendersi dagli scherzi dei folletti delle case. Il Mattioli scriveva che le fronde spinose dell agrifoglio proteggevano la carne salata dai topi e da altri roditori. La pania, sostanza vischiosa simile al vischio ricavata dalla corteccia, veniva usata dai bracconieri per catturare gli uccelli. Essa venne reclamizzata da J. Ruel (1479-1539) come cataplasma (associata a resina e cera in parti uguali) per risolvere ascessi, foruncoli, rigonfiamenti e tumori di diversa natura. 11

ALKEKENGI Physalis alkekengi L. Solanaceae Pianta erbacea perenne con fusto eretto angoloso. Foglie picciolate cordato-ovate, acute, con margine sinuoso. Fiori solitari con peduncolo lungo. Corolla bianco-gialla, campanulata con lembo pieghettato composta da 5 lobi. Frutto simile ad una ciliegia gialla-arancione completamente circondata dal calice accresciuto ad involucro vescicoloso. Tutta la pianta tranne le radici. Estate. Glucosidi, alcaloidi, mucillagini, principi amari, tannini, carotenoidi, flavonoidi, acido ascorbico. Diuretiche, depurative, antiuriche, antireumatiche, antinfiammatorie, lassative. Viene utilizzata nel trattamento della gotta, nella ritenzione idrica, come infuso, tintura vinosa e decotto per favorire l eliminazione di tossine e nell iperuricemia e per favorire la diuresi. Si sconsiglia di utilizzare le foglie che contengono alcaloidi. In passato la forma dell involucro che circonda il frutto, simile alla forma di una vescica, ha fatto ritenere che la pianta fosse efficace contro le malattie della vescica. In realtà queste proprietà sono dovute ad un glucoside amaro (fisalina) che favorisce l aumento della diuresi e l eliminazione degli urati. 12

ALLORO Laurus nobilis L. Lauraceae Arbusto o piccolo albero sempreverde, dioico, alto generalmente fino a 10 m, con corteccia liscia da giovane, poi rugosa e grigio-scuro. Foglie alterne, glabre, coriacee, ellittiche o lanceolate, a margine più o meno ondulato, verdescuro di sopra, più chiare di sotto. Fiori piccoli, giallognoli, riuniti in ombrelle ascellari. Frutto a drupa ovoide di 1 cm, nera a maturità. Specie ampiamente coltivata, è presente talora allo stato spontaneo in boschi umidi del piano collinare. Foglie e frutti. Marzo (foglie), i frutti vanno raccolti a completa maturazione (autunno- inverno). Olio essenziale, tannini, zuccheri, olio grasso. Aromatizzanti, eupeptiche-digestive, balsamiche, antireumatiche. Viene utilizzato nel trattamento della gotta. I preparati a base di alloro hanno un impiego quasi esclusivo nei disturbi dell apparato digerente. Dalle bacche nere si estrae un olio denso ed aromatico (olio laurino) prezioso oltre che in profumeria, per la sciatica, i reumatismi, dolore al capo e alle orecchie. Sempre con le bacche, si facevano, insieme ad altri ingredienti, le confectio prescritte come antidoti. Il decotto dei frutti è utile nel caso di sudorazione ai piedi. Pianta sacra ad Apollo, è stata in passato simbolo di gloria e trionfo. Ippocrate prescriveva l olio delle drupe contro le contrazioni tetaniche, mentre Plinio utilizzava l olio per i malati di sciatica e per i dolori di capo. Coltivata nei giardini imperiali, divenne emblema di Giulio Cesare il quale, giacchè aveva pochi capelli, amava ornarsi di corone di questa pianta. 13

ALTEA Althaea officinalis L. Malvaceae Pianta erbacea perenne, con fusto eretto, robusto e poco ramificato che può arrivare a 120 cm di altezza e una radice spessa, lunga e a fittone. Foglie di forma palmata con margini dentati, ruvide, ricoperte come il resto della pianta da una lanugine biancastra e disposte in modo alterno lungo i fusti. Fiori bianchi o rosa, con calice di 5 sepali ovali e corolla di 5 petali; stami violetti. Cresce nei luoghi umidi, freschi, lungo i corsi d acqua e nei prati, fino ad un altezza di 1200 metri. Fiori, foglie e radici. Fiori da maggio a ottobre. Le radici si raccolgono nel periodo ottobre-marzo. Le foglie si raccolgono fra luglio e agosto. Acido malico, mucillagine, amido, zucchero, asparagina, betaina, tannino, fitosterina, lecitina, pectina, ossalato di calcio, tracce di olio volatile, un olio grasso contenente gli acidi palmitico, oleico, butirrico. Antiflogistiche, astringenti, bechiche, emollienti, lassative, odontalgiche, rinfrescanti. Per uso interno, sottoforma di sciroppi e tisane, per combattere angina, bronchite catarrale, cistite, colite, congiuntivite; per via esterna nei casi di ascesso caldo, dermatosi pruriginosa, faringite, flogosi, foruncolosi. Probabilmente per via del suo sapore dolce, l altea fu inserita nella formula delle caramelle americane che si scaldano sul fuoco, conosciute come marshmallow. Forse sono stati gli egizi ad ispirare questo uso in quanto miscelavano le radici della pianta con il miele. Oggi non vi è più traccia di altea in questo dolciume. Un tempo venivano usati pezzetti di radici per la dentizione dei lattanti. 14

ASSENZIO Artemisia absinthium L. Asteraceae Pianta erbacea perenne, tomentosa, con rizoma ramificato e fusto eretto, ramoso, che può raggiungere un altezza di 120 cm. Foglie di colore grigio-verde o grigio chiaro, coperte di fini peli setosi che conferiscono un aspetto argenteo e vellutato; sono tripennatosette sui getti sterili, bipennatosette sui fusti fioriferi. Fiori tubulosi e gialli, riuniti in piccoli capolini (3-5 mm di diametro) solitari o in infiorescenze racemose. Foglie e sommità fiorite. Maggio-luglio. Olio essenziale ricco in tujone, camazulene, vitamine C e B. Toniche, stimolanti il sistema nervoso. Favorisce la digestione, stimola l appetito e allontana i vermi intestinali. Cura efficacemente l anoressia. L essenza è usata come componente aromatico in detergenti, creme, lozioni. Per il suo sapore amaro, l assenzio viene usato dai liquorifici e nella produzione di bibite. L elevata presenza di tujone ne fa una pianta stimolante e tonica utilizzata a fine ottocento da poeti e artisti tanto da dare l appellativo alla pianta di bevanda dei poeti maledetti. I vari nomi dialettali sono ascenze o ascienza. In Abruzzo i suoi rametti disposti a croce venivano messi dietro le porte delle stalle a protezione degli animali il giorno dell Ascensione. A Guardiagrele si lavavano le botti con il decotto della pianta. La polvere di assenzio è cimifuga, mentre il succo delle foglie è bevuto come antielmintico. 15

BARDANA Arctium lappa L. Asteraceae Pianta bienne erbacea di grandi dimensioni che nel primo anno sviluppa una robusta rosetta basale e nel secondo fiorisce. Radice grossa e a fittone, carnosa. Fusto robuto, eretto, alto 100-200 cm, striato e scanalato, ramificato, talvolta arrossato. Foglie alterne, molto grandi che possono raggiungere i 50 cm di lunghezza e i 40 cm di larghezza; le basali sono ovate o cuoriformi, portate da un picciolo solcato, pieno, interamente midollare e non tubuloso; le cauline sono sessili e cuoriformi; lamina glabra e di colore verde vivo nella parte superiore, biancastra e ragnatelosa in quella inferiore. I capolini portati da un peduncolo lungo almeno 2,5 cm, sono riuniti in corimbo. Fiori tubulosi ed ermafroditi, riuniti in capolini sferici di 3-4 cm di Ø, avvolti da fitte brattee uncinate, glabre interamente verdi. E specie di ambienti incolti, ruderali, sentieri, radure boschive. Radice, foglie. Dall autunno alla primavera. Inulina, olii essenziali, olio grasso, mucillagini, sali minerali. Depurative generale, ipoglicemizzanti, diuretiche, uricosuriche ed antibatteriche. In medicina per uso esterno è efficace in caso di dermatiti, eczema, psoriasi, foruncolosi, piaghe, acne. Efficace inoltre contro la caduta dei capelli. Per uso interno, grazie all inulina, è utile nei casi di iperglicemia, diabete, iperuricemia, gotta e litiasi urinaria. La bardana era conosciuta già nell antichità e ne parlò anche Virgilio descrivendone i frutti che si appigliavano al vello delle pecore e alle vesti, capacità copiata poi nell invenzione del velcro. Sembra che la bardana dia il meglio delle sue virtù per i problemi della pelle. Nel secolo scorso, quando aver la pelle clair de lune era il massimo dell avvenenza femminile, tra le donne circolava una ricetta a base di latte d asina, latte di capra, bardana, asparago e giglio bianco. Il composto si passava sul viso allo scopo di ottenere una pelle pallida e pura. 16

BELLADONNA Atropa belladonna L. Solanaceae Pianta perenne alta sino a 200 cm, erbacea, caratterizzata da un grosso rizoma cilindrico; fusti eretti, sottilmente scanalati, con rami allargati. Foglie picciolate, ovali, acuminate all apice, alterne nella parte inferiore del fusto, nella parte superiore inserite a 2 a 2 dallo stesso lato, una molto più piccola dell altra. Fiori all ascella delle foglie, solitari, penduli e portati da lunghi peduncoli. Calice formato da 5 sepali, corolla porporino-violaceo campanulata che si separa alla fauce in 5 lobi triangolari rivolti all infuori e arrotondati all apice. I frutti sono bacche sferiche dapprima verdi, a maturazione nere e lucide. Specie comune nelle radure e ai margini delle faggete. Radice, foglie. Contiene diversi alcaloidi come la iosciamina e scopolamina e dopo l essiccamento si forma atropina responsabile dell avvelenamento. Antispasmodiche, calmanti, antiasmatiche e inibitrici delle funzioni ghiandolari (del sudore, della saliva, del succo gastrico). Usata anche per curare il parkinsonismo. Il nome è derivato dall uso cosmetico che le donne anticamente ne facevano per provocare la dilatazione della pupilla per conferire occhi neri splendenti; quest uso, che può danneggiare la vista, viene mantenuto solo in oculistica. Le bacche, velenose, venivano usate anche per uso esterno nella cura dei dolori reumatici e dei denti. La maggior parte degli erbivori è insensibile ai veleni della belladonna, ma il loro latte e le loro carni diventano pericolose per l uomo. Insieme a giusquiamo, stramonio e mandragora, la belladonna veniva usata dalle streghe nella preparazione di unguenti da utilizzare nei sabba. Il nome Atropa è lo stesso di una delle tre parche, quella della morte. 17

BIANCOSPINO Crataegus monogyna L. Rosaceae Arbusto, raramente albero, alto sino a 5 m, con corteccia nella fase giovanile di colore grigio chiaro, in seguito bruno-rossastra; rami glabri e spinosi. Foglie profondamente incise, alterne, semplici, rombiche o ovali, con una o due incisioni profonde, a margine dentato. Fiori ermafroditi con 5 petali bianchi, raramente rosati, riuniti in corimbi terminali. Frutti ovali, di colore rosso vivo, contenenti un seme. Pianta comune nei boschi di latifoglie collinari e submontani e ai loro margini, negli arbusteti e nelle siepi, sino a 1.200 m s.l.m. Nel territorio del Parco è presente anche Crataegus oxyacantha che cresce per lo più nel piano montano. Parti aeree fiorite, frutti maturi e gemme. Primavera (fiori), autunno (frutti). Composti flavonoidici, acidi fenolici, triterpeni, piccola quantità di olio. Ipotensive, sedative, antisclerotiche. La tintura madre viene utilizzata principalmente come cardiotonico (profilassi). L infuso come sedativo nervoso, nelle aritmie e palpitazioni cardiache, come antispasmodico. I frutti vengono utilizzati in alcune specialità farmaceutiche ed in omeopatia. Tre sono le figure femminili mitologiche legate al biancospino. I romani avevano consacrato questo arbusto alla dea Maja, che regnava nel mese di maggio in cui si preparava la festa del solstizio d estate con ogni sorta di purificazione; si pulivano i templi da cima a fondo. La seconda figura prende la forma, più che di un simbolismo ascetico, del carattere erotico della dea Flora che regnava sulla primavera, a cui i romani avevano dedicato la pianta. Il terzo mito era quello della dea Carna che, sedotta da Giano, ebbe da lui come compenso per la sua perduta verginità il potere di tutelare i cardini e gli usci. Inoltre le donò: un ramo di spino -era Biancospino - con cui potesse cacciare i mali dalla soglia. Nelle leggende del ciclo bretone, si narra che nel biancospino dorme il Mago Merlino, trasformato in pietra da Viviana dopo che gli aveva rubato tutti i suoi segreti. 18

CALENDULA Calendula officinalis L. Asteraceae Pianta erbacea annuale o raramente biennale, rustica, pubescente e ghiandolosa, con radice a fittone e molte radichette laterali. Fusto ramificato eretto e robusto, carnoso, angoloso e vellutato. Foglie sessili con margine dentato, alterne, oblunghe, lanceolate, dentate, verde-grigiastre. Quelle inferiori sono di forma spatolata e oblunga, con base ristretta a cuneo, lunghe circa 2 cm; quelle superiori sono obovate e amplessicauli. Fiori riuniti in grossi capolini emisferici di 3-5 cm, circondati da brattee coperte da peli ghiandolari, terminali, solitari, costituiti da numerosi fiori femminili ligulati di colore variabile dal giallo all arancione disposti in una densa corona e da fiori tubulosi maschili al centro a costituire un disco piano. Pianta generalmente coltivata o spontaneizzata. Fiori. Dalla primavera all autunno. Carotenoidi, olii essenziali, flavonoidi, mucillagini, poliacetilene. Cicatrizzanti, antisettiche e antibatteriche, disinfettanti, antinfiammatorie. L infuso è utile per uso interno come antispasmodico mentre, sottoforma di decotto, in caso di ulcera gastrica; ha inoltre proprietà antinfiammatorie e calmanti dei dolori mestruali e presenta benefici al fine di regolare il flusso. Per uso esterno è indicata per le piaghe, ustioni, contusioni. Come spiegavano i grandi naturalisti del passato, pur chiamandola i greci caltha, aveva anche altri nomi: fiorrancio, fiore di ogni mese; calendula poiché fiorisce ogni calenda e così si chiama ancora oggi. Gira al girar del sole ed è per questo detta sposa del sole e orologio dei contadini. In realtà il rapporto con la fine del mese si deve intendere in senso figurato, che cioè durante la bella stagione essa fiorisce mensilmente, così come nel calendario romanico arcaico la luna rispuntava, simile ad una sottile falce lattea, alle calende di tutti i mesi che allora erano lunari. Questo rapporto calendariale è riflesso, d altronde, anche dai frutti, gli acheni, somiglianti per forma alla prima falce di luna. 19

CAMEDRIO Teucrium chamaedrys L. Lamiaceae Pianta perenne suffruticosa, con rizoma ramificato e numerosi fusti semplici, lignificati alla base ed erbacei nella parte aerea, alti fino a 30 cm, eretti o ascendenti, di colore verde-grigiastro o brunastro, pubescenti. Foglie di color verde scuro, coriacee, opposte, le inferiori con breve picciolo, le superiori sessili, di forma ovata o ovato-oblunga, generalmente cuneate alla base ma a volte tronche o cordiformi, con margini crenati o lobati e crenature mucronate. Infiorescenze in densi spicastri con fiori profumati ed ermafroditi, inseriti in gruppi di 2-6 all ascella delle foglie superiori trasformate in brattee sessili; calice tubuloso-campanulato con cinque denti lanceolati triangolari, pressoché uguali, più corti del tubo, ciliati e ghiandolosi di colore verde o rossiccio; corolla rosaporpora, unilabiata, con labbro inferiore diviso in 4 piccoli lobi. Sommità fiorite. Olio essenziale, tannini, resina amara, flavonoidi, diterpeni lattonici, acidi, fenoli. Aromatiche, diuretiche, amaro-toniche, digestive, antinfiammatorie, stimolanti, lassative, diaforetiche, astringenti. Solo uso esterno. In passato veniva utilizzata nell industria liquoristica per la preparazione di liquori e vermouth. Un tempo veniva utilizzato l infuso per regolare le funzioni intestinali e la digestione. Era anche usato nelle diete dimagranti ma il suo impiego e ora proibito perchè provoca danno epatico. Esternamente, sempre con l infuso, per trattare le infiammazioni gengivali. 20