FROGZINE LA REPUBBLICA DELLE RANE. J. M. Keynes. numero zero. LA REPUBBLICA DELLE RANE Frogmarketing.it Dicembre 2012. All Rights Reserved



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1 LA REPUBBLICA DELLE RANE numero zero FROGZINE Due anni fa ricorreva il venticinquesimo anniversario della morte di Italo Calvino. Qualcuno lo ricordava con una mostra, qualcuno con un progetto sulle Città Invisibili, qualcuno si chiedeva, e si chiede, cosa ci ha lasciato. Doveva andare in America, Calvino nel 1985, ad Harvard per le sue lezioni americane. Non ci andò, morì prima. Chissà cosa avrebbe potuto dire alle Norton Lectures, lui, il primo italiano mai invitato a parteciparvi. In parte possiamo leggerlo nel testo uscito postumo nel 1988, in parte, possiamo solo immaginarcelo. E questo è ciò che fantastichiamo noi, figurandocelo mentre parla con la sua balbuzie, il suo discorso poco fluido, teso a pescare parole che non sempre facilmente si manifestano. Calvino aveva concettualizzato i valori, con disincantata e ironica lucidità propri di un'innocenza ancora adolescenziale, che potevano traghettare verso il nuovo millennio, dei principi/bandiera che illuminassero la via. Pensiamo sempre all'america come la patria della modernità, Calvino l'aveva ritrovata nella soffitta di casa e ce l'ha raccontata. Ora tocca a noi, quel viaggio verso Harvard, verso il nuovo millennio che è già qui, ma non ci va giù, chiede continuamente un rinnovamento, persino attraverso una antica profezia. A noi un compito più difficile, nella nostra condizione a metà, considerati sempre mezzi e mai fini, in una dimensione utilitaristica senza essere liberante, il compito di trovare il come, e anche se non basta una vita per realizzare i concetti, possiamo diluirli in micro attuazioni possibili. Con la consapevolezza che essendo una specie aperta, abbiamo possibilità indeterminate, oggi prendiamo coscienza di voler cogliere aspetti più adeguati, il senso è tutto qui, fornire sempre più chiarezza intorno a ciò che chiamiamo reale. Potrei citare infiniti luoghi comuni sulla circolazione delle idee, sulla progettualità e la comunicazione, ma credo che si debba uscire dallo stato finzionale delle nostre credenze, il verbo si deve fare carne! J. M. Keynes La difficoltà non sta nel credere alle nuove idee, ma nel fuggire dalle vecchie. La teorizzazione e il senso comune devono avere uno scambio vicendevole. Mettiamo nero su bianco le nostre opinioni, le nostre riflessioni, sapendo bene che alcuni fatti hanno bisogno di essere scoperti e non definiti da noi, per questo La Repubblica delle Rane avrà un modo di parlare, un linguaggio e uno schema

2 sempre rivolto a una profonda interpretazione ed a una comune comprensione. Non so se sarà un mondo nuovo, a noi il compito di saperlo capire. By Flavia Fiocchi on 21 dicembre 2012 November rain Partiamo da una canzone, un po triste si ma adatta alla stagione. Una stagione di addii. Questo novembre è stato segnato dalla frase non lo farò più ben tre volte. La prima viene dall America e da Philip Roth, che, dopo più di trenta libri, dice basta, non scrivo più. Ora vive davvero. Ha detto: scrivere è una frustrazione, possiamo capirlo certo, il successo in fondo logora. Secondo addio: Francesco Guccini. Basta musica, solo libri. Quindi l ispirazione non lo ha lasciato, però finisce un epoca. Un epoca che Guccini ha raccontato con forza, a tratti con disperazione ma anche con allegria. Leggeremo i suoi libri, o anche no. Terzo: Quentin Tarantino, dichiara in un intervista, arrivo a 10 film e poi smetto!. Aiuto, siamo a corto di miti. E nessuno che ci venga in soccorso. Proviamo ad arrangiarci da soli, e per citare un grande caso letterario, io speriamo che me la cavo! Mentre Obama vinceva le elezioni e pronunciava un discorso epocale solo per citare alcune parole, la nostra economia sta guarendo. Una decade di guerra sta finendo. Una lunga campagna si è appena conclusa. E che io abbia meritato o meno il vostro voto, vi ho ascoltato, ho imparato da voi, e mi avete reso un presidente migliore. E con le vostre storie e le vostre fatiche, torno alla Casa Bianca più determinato e ispirato che mai, con in mente il lavoro che deve essere fatto e che il futuro è di fronte a noi parlavamo di esportare strategie e di glocalizzazione. Parole difficili che ci portano a vedere mondi diversi, realtà lontane. Già perché mentre leggevamo questo post, riprendevano le ostilità a Gaza, in una guerra che ha avuto un inizio ma sembra non avere mai fine, come un fuoco sotto le ceneri. Sappiamo tutto di questo conflitto, le ragioni politiche ed economiche, conosciamo palestinesi e israeliani, abbiamo letto sui libri di storia e sui giornali la posizione dell Occidente e le idee americane, ma ancora non riusciamo a capire per quale dannato motivo debbano morire tanti bambini. Le loro ragioni nessuno le ha ancora raccolte. L informazione c è ma è stressante. Abbiamo dato un addio anche su 4marketing questo mese, ai social network. No, non c è da aver paura, si potrà continuare a cazzeggiare su Facebook, ma ciò che ci siamo ripromessi di comunicare è la necessità di affrontare professionalmente i social media, se e quando diventano strumenti aziendali. E di tornare alle persone, alle relazioni. Il nostro addio è stato simbolico, è stata una provocazione, un modo unconventional per raccontare come la pensiamo, come agiamo e come vogliamo porci nei confronti del business. Il nostro manifesto è 7-eleven, un modo di comunicare aperto e speriamo efficace. Un modo di informare e formare. Un modo per cercarci. A novembre piove, ma noi mettiamo gli occhiali. Gli occhiali da sole. When I look into your eyes By Flavia Fiocchi on 4 dicembre 2012 È stato un novembre tecnico, come suggerisce anche il nostro governo, e noi l abbiamo preso in parola. Parlavamo di Instagram e del potere delle immagini, di twitter e del suo rinnovato amore per le immagini, del resto la loro importanza come veicolo di conoscenza è ormai indiscutibile; raccontano, descrivono e ammaliano. Ci aiutano a raccontare e a ricordare. Già ricordare Ricordare che uno dei problemi più gravi del nostro paese è il lavoro, ne parlavamo con il primo post del mese, e ne ha parlato Draghi recentemente, urgono le riforme! Sono stati diffusi i nuovi dati sulla disoccupazione e in particolare su quella giovanile, tutti choosy? Cosa ne dice ministro?

3 Frogintervista: che lusso di brand management! 3) Ma con il dilagare di oggetti firmati ma accessibili, come è possibile sostenere l esclusività del brand a livello strategico? Io qui citerei un caso emblematico: la maison Vuitton, che, se da un lato, negli ultimi anni, ha spinto fortissimamente sulla vendita di linee di prodotto base, dall altro ha lavorato sul brand mantenendo sempre elevata la percezione di esclusività, di lusso e di prodotto per pochi con azioni mirate, come ad esempio le linee esclusive disponibili in poche boutiques nel mondo o le collaborazioni artistiche. Vorrei anche citare il collegamento sempre più di moda con l arte, iniziato già molti anni fa da Prada e di cui è un esempio oggi la mostra promossa da Dior, Lady Dior as seen by alla Triennale di Milano. 4) Mi sembra di poter quindi dire che le tecniche di marketing applicate a beni di largo consumo possano essere utilmente adattate a beni di lusso, ma non è vero il contrario? Risponde Federico Lovaria, Group marketing training manager di Luxottica 1) I beni di lusso vivono per definizione sulla forza e l identità del brand, quale quindi oggi il suo ruolo rispetto ad altri strumenti del marketing? Il caso di Luxottica è in realtà un po particolare, dal momento che si tratta di una azienda di accessori di lusso ma accessibili; il prodotto che noi facciamo, al di là delle licenze di grandi marchi che abbiamo, è in realtà più vicino ai prodotti di consumo generalizzato, pensiamo al caso di Ray-Ban con venticinque milioni di occhiali venduti all anno o Prada con tre milioni di pezzi venduti: la strategia dell azienda dunque è stata quella di unire un forte posizionamento di marca a tecniche di marketing operativo a supporto delle vendite, molto simili, queste ultime, a quanto avviene per i beni di largo consumo. 2) Puoi spiegare meglio le differenze tra la vendita dei beni di lusso e quelli di largo consumo? La forza del marketing consiste nel generare appeal per prodotti che intrinsecamente non lo posseggono o lo posseggono in maniera molto limitata, e nel creare differenze di posizionamento rispetto a prodotti concorrenti, quando le differenze stesse sono modeste; al contrario, i beni di lusso possiedono di per se un forte appeal e le differenze rispetto ai concorrenti sono date dalle cifre stilistiche delle varie case, qui dunque sarà importante il brand management per sostenere e giustificare il prezzo, creando desiderio per oggetti che non sono di prima necessità e in secondo luogo per trasferire i valori di marca anche a oggetti differenti dal core business iniziale. Si effettivamente è così, non è un caso che il nuovo CEO di Vuitton venga da Danone, mentre non ricordo casi di manager del lusso passati al largo consumo, questo perché le competenze che si sviluppano gestendo prodotti di largo consumo sono esportabili anche alle linee base del lusso, mentre l effettiva creazione e gestione dei brand dei beni di lusso ha delle dinamiche e richiede competenze specifiche, e non prevede, per esempio, l orientamento all innovazione continua, alle nuove tecnologie, alla gestione forte della leva dello sconto, direi che si tratta di una componente di conservazione che solo questo settore ha. 5) Per esempio? Un esempio importante è la case history di Bottega Veneta che ha fatto del non apparire l elemento di successo della propria comunicazione o ancora Chanel che da diversi anni aumenta costantemente il prezzo al pubblico dei proprio prodotti proprio per sostenere il concetto di prodotto aspirazionale. 6) Tornando a Luxottica, in questi ultimi anni è cambiato l approccio di marketing? Di sicuro negli ultimi anni c è stata un importante evoluzione anche se l azienda rimane a forte impronta commerciale, la tattica è stata quella di sostenere il posizionamento primario dei brand ribaltando sull occhiale che insieme al profumo è nella quasi totalità dei casi la porta di accesso attraverso la quale il consumatore approccia il brand stesso il portato valoriale della maison, non mancando di sottolineare l attenzione alla qualità propria dell azienda. Si tratta comunque di un marketing operativo ad esclusivo servizio delle vendite, in particolare il progetto di LuxAccademy, che ho

4 seguito personalmente, è un esempio di marketing orientato ai nostri clienti, i rivenditori, e non solo al cliente finale. LuxAccademy è un programma di formazione dei rivenditori che si propone di dare loro conoscenze di pratiche di marketing che li aiutino a vendere al meglio i nostri prodotti. 7) Un ultima domanda su un vostro house brand, ci parli del caso Ray-Ban? Ray-Ban è senza dubbio un caso di scuola, un marchio che ha raggiunto livelli di fatturato elevatissimi in tutto il mondo, è la marca per eccellenza e quella che internamente all azienda ha la struttura più complessa e articolata anche perché, essendo un house brand, possiamo agire direttamente tutte le leve di marketing, quindi si va dal prodotto alla comunicazione ala distribuzione al brand management. Per quanto riguarda il prodotto è stato fatto un lavoro capillare di recupero dei modelli storici, quasi un azione precorritrice della tendenza vintage, reinterpretati con le tecnologie attuali, unito ad una meditata strategia di pricing, ad una corretta comunicazione che ha valorizzato sia il portato storico del marchio attraverso la testimonianza di tutti i big che negli anni hanno indossato Ray-Ban sia l attualità del prodotto attraverso campagne di comunicazione la cui cifra è appunto l attualità. Non è mancata naturalmente la ricerca di nuovi materiali, quali le montature al titanio, che ha sottolineato la volontà di upgrading e updating continuo del brand. In questo modo è stato possibile individuare diversi target di consumatori e differenziare le attività di marketing in modo da rendere più efficace il messaggio in relazione al target e alla tipologia di prodotto. E tutto ciò all insegna di Never Hide. http://www.youtube.com/watch?v=ksptg4yutju By Flavia Fiocchi on 13 novembre 2012 Giovani e lavoro: il ruolo del web 2.0 per la reputation e il personal brand Internet è sempre più grande, e sempre più coinvolgente. Siamo ormai ben lontani da quando era fatto solo di pagine statiche, difficilmente rintracciabili e del tutto prive di design e bella grafica. In fondo, oggi siamo nel web 2.0 e ci siamo praticamente tutti dentro, volontariamente o meno. Per le aziende è facile riuscire a scoprire informazioni sui candidati rendendo il classico curriculum cartaceo quasi superfluo. I giovani per entrare nel mondo del lavoro, devono essere capaci non solo di dare una buona impressione al momento del colloquio ma anche di gestire la loro immagine e reputazione online. Per ricercare nuovo personale, le aziende e le società di selezione si affidano sempre più a internet, monitorando l attività dei potenziali candidati su Blog personali, Linkedin, YouTube e Twitter e perchè no, anche su Facebook. Quale è la ragione che spinge le aziende a studiare la nostra attività online? Curiosità o utilità? La nostra presenza sui social media e in genere su internet permette di scoprire qualcosa di più su chi siamo, e sui nostri interessi personali. Inoltre, grazie a Internet è possibile riuscire a verificare delle informazioni sul candidato e capire la veridicità di ciò che il curriculum racconta. Vista secondo questa prospettiva, il modo in cui ci muoviamo e costruiamo la nostra identità online è fondamentale, perché questo contribuisce a definire il nostro profilo, cui potranno accedere eventuali aziende o cacciatori di teste (headhunter).

5 Questa riflessione è nata da una esperienza personale. Sono rimasta alquanto perplessa quando ho ricevuto un messaggio privato su Linkedin di una responsabile marketing di un azienda inglese specializzata nella vendita di caffè, la quale mi chiedeva se sarei stata interessata a diventare responsabile di uno dei futuri coffee bar che avrebbero a breve realizzato in Cina. Il motivo per cui mi ha voluta contattare è dovuto al fatto che tra le informazioni lasciate sul mio profilo Linkedin, figura che sono barista presso un associazione culturale. Non si tratta logicamente di un lavoro vero e proprio, sono una semplice volontaria dell associazione che vende pop-corn (trattandosi di un cinema). Il punto è che da una semplice e innocua informazione lasciata quasi per caso, avrei, senza aver fatto praticamente nulla, trovato lavoro. Tenendo poi conto che più del 60% delle aziende tende a cercare su Linkedin informazioni interessanti su nuovi possibili lavoratori, è alquanto strabiliante. Se, da un lato tutto risulta molto più semplice e automatico in questo modo, dall altro richiama ognuno di noi verso una maggiore attenzione alle informazioni che mettiamo in rete. I social network sono strumenti eccezionali, e non finirò mai di ripeterlo. Le community, i forum, i gruppi sono luoghi virtuali che mettono insieme persone con gli stessi interessi in modo estremamente semplice, e per chiunque risulta così facile riuscire a ricevere e fornire in tempo reale risposte a qualsiasi tipo di domanda, aumentando la propria conoscenza e/o visibilità. Certo, le offerte di lavoro a volte sono esagerate, si chiede ai candidati di essere perfetti, ottimi conoscitori dell inglese e con alle spalle già una buona esperienza lavorativa. Ma come può un ragazzo appena uscito da scuola pensare di poter entrare nel mondo del lavoro se neanche glielo permettono e non gli insegnano come lavorare? La cosa più giusta sarebbe scoprire i lati nascosti e migliori del soggetto stesso, puntando sulla sua capacità di apprendere, di essere flessibile, di dare un contributo vero all azienda. Se è giusto chiedere ai giovani di andare un po più in là, di spingersi oltre il semplice devo fare questo e nient altro, è vero anche che i datori di lavoro devono a loro volta essere flessibili, adattarsi alle novità e alle idee anche pazze che gli si presentano, se sono idee fattibili e originali. I social possono in questo senso essere un valido aiuto per scoprire lati forse nascosti dei possibili candidati e poterli selezionare non semplicemente in base alla loro formazione o alla loro eventuale piccola esperienza lavorativa. E tu cosa stai facendo per la tua reputation? Come stai gestendo il tuo personal brand? By Martina De Nardi on 2 novembre 2012 Instagram introduce i profili web, Twitter (forse) testa i filtri per le foto: smile! Avevamo parlato delle immagini al potere, grazie al grande potere delle immagini. In questi giorni di elezioni presidenziali negli Stati Uniti, quanto valgono le immagini? E proprio in questo inizio di novembre sono uscite due notizie importanti che ancora una volta riguardano immagini foto, in particolare e social network. Instagram ha appena annunciato i profili web e in questi giorni li sta rendendo disponibili gradualmente per tutti gli utenti. Alcuni esempi di aziende molto note: Sephora, Illy, Nike. Per vedere se il vostro è attivo digitate nel brower instagram.com/[username]. Non più solo app mobile, quindi: le foto saranno visibili anche da browser web, organizzate in una pagina con una testata che presenta una selezione delle foto più recenti, l immagine del profilo e la breve bio, informazioni principali sull account e poi sotto tutto lo stream delle foto che abbiamo scattato e pubblicato nel tempo. L interfaccia è molto simile alla Timeline di Facebook, i tratti somatici parlano dell acquisizione e di un altro tassello sulla via dell integrazione delle due piattaforme.

6 Cosa cambia per le aziende che utilizzano Instagram? Per ora non molto, al lato pratico. Certo, il profilo web aumenta le possibilità di diffusione e fruizione delle immagini: un numero maggiore di visualizzazioni, nuovi utenti, più commenti e like. E, auspicabilmente, una maggiore attenzione alla qualità delle foto: le dimensioni di un monitor rispetto a quelle di uno smartphone esaltano le foto belle e mettono in evidenza i difetti di quelle scadenti. A tendere, il profilo web va nella direzione di avere un contenitore più adatto a inserire advertising. Eh sì, monetizzare è imperativo. La seconda notizia per ora è un gossip, non è ufficiale ma arriva dal New York Times: Twittter sta testando i filtri per le foto. Insomma, non dovremo per forza utilizzare Instagram e poi convididere le foto su Twitter. Scattiamo la foto con il nostro smartphone, la carichiamo su Twitter e prima di pubblicarla applichiamo il filtro più adatto. I servizi e le funzionalità stanno convergendo, questo brodo primordiale di piattaforme social sta generando pochi organismi, di dimensioni considerevoli, specializzati ma con tratti simili e in continuo movimento tra sovrapposizione e allontanamento. L evoluzione è in corso, smile! By Miriam Bertoli on 7 novembre 2012 Chiedi, osserva, mira, colpisci questo è DEM! Si è aperta la caccia ma prima di colpire il bersaglio bisogna mirarlo. Prima ancora bisogna preparare l arma e caricarla. Non è la caccia al nemico ma è la caccia al cliente ideale. Ma siamo sicuri che il cliente ideale vada veramente cacciato? E se fosse lui a venire da noi? L email marketing è proprio uno dei modi per far si che il cliente venga da noi attraverso: le newsletter e le campagne dem (direct email marketing). Le prime sono mail periodiche che, per esempio, un azienda può inviare ad utenti interessati alla propria realtà contenenti notizie sull azienda stessa, sui nuovi prodotti, sugli eventi ed iniziative. Le seconde sono email preparate con contenuti ad impatto grafico e inviate in modo massivo con lo scopo di promuovere un dato prodotto o servizio. Entrambi gli strumenti arrivano a destinatari i quali hanno acconsentito a questo tipo di contatto. Avete capito perché molti siti per essere visitati chiedono la registrazione? Liberi di decidere e consapevoli di farlo questo il motto. L email marketing rappresenta una delle tecniche migliori per ottimizzare gli obiettivi del commercio b2b e b2c. L imprenditore da sempre ha due esigenze: SPENDERE POCO e OTTENERE MOLTO. Anzi, molto spesso,non vuole spendere proprio e contestualmente ottenere molto nel breve, brevissimo periodo: un campagna dem è capace di produrre un feedback nelle prime 24/48 ore dal lancio della comunicazione. Il modello dell email marketing è costituito dalla consapevolezza degli utenti di voler far parte del business di una precisa azienda che dispone e archivia i dati di coloro che lo acconsentono in modo dinamico; ed è proprio su questi dati che si costruiscono le strategie di contatto. Personalmente ogni giorno mi arrivano almeno venti mail tra newsletter e DEM. L ho deciso io. E quando voglio posso decidere di non riceverle più: queste mail sono mirate e dedicate a tutto ciò che è di mio interesse. Quindi l obiettivo principale è mantenere elevato l interesse del destinatario. La pressione pubblicitaria via mail è aumentata perciò la profilazione è fondamentale per riuscire ad attirare l attenzione degli utenti e ottenere performance di successo lavorando su due tipi di informazioni: 1. i dati ottenuti attraverso domande che permettono di dichiarare (al momento dell iscrizione) informazioni riguardanti sesso, età, zona geografica 2. il comportamento dell utente al ricevimento della campagna ricavato dall azione che l utente stesso compie ad ogni apertura del messaggio in cui viene assegnato un interesse specifico ad un determinato prodotto-servizio. L utente in questo scenario è disposto a condividere i propri dati personali se quest azione comporta migliori contenuti e servizi personalizzati. Questo il successo

7 dell email marketing non dimenticando di rispettare la privacy dell utente e dargli informazioni più mirate. Il tutto racchiuso in un azione: fornire informazioni di valore, tempestive e soprattutto rilevanti in cambio di qualche minuto di attenzione. Colpire il giusto target attraverso l invio di milioni di mail può non avere il successo desiderato: non è il numero che fa la differenza ma il modo in cui viene gestito l invio. Un metodo per l invio è l utilizzo del principio di risonanza il quale afferma che nessuno oggetto è mai realmente fermo. Un concetto di fisica che spiega come un oggetto se sollecitato con una frequenza uguale o maggiore della propria, può iniziare a oscillare con un ampiezza sempre maggiore accumulando energia. Ebbene si, la stessa cosa può accadere con l utilizzo del direct mail: se sollecitato in modo costante e periodico (con la giusta frequenza adatta ad ogni singolo utente), il destinatario accumulerà energia tradotta in fiducia e credibilità. Ecco come la vecchia e cara email continua a rappresentare uno dei canali privilegiati della comunicazione privata e professionale. E se a riguardo ci fosse qualche dubbio, l integrazione con l ambito social si può ragionare così: l email marketing può essere utilizzato proprio per raggiungere e aggiungere quel target là dove il social network non arriva. Il social network è un ambiente di scambio di conoscenza che agisce nel medio-lungo periodo per consolidare un rapporto di comunicazione mentre l email marketing resta una forma di comunicazione unidirezionale, seppur con qualche grado di interazione, dedicata e mirata. Liberi di decidere. Consapevoli di farlo. By Camilla Bortoluzzi on 9 novembre 2012 Si può esportare la strategia? Quando si viaggia, la distanza culturale tra il punto di partenza e quello di arrivo spesso è direttamente proporzionale ai chilometri percorsi. Torno a scrivere qui, dopo un periodo sabbatico, di ritorno da un viaggio interra africana che mi ha permesso di co noscere una cultura, o meglio alcune sue sfumature, alla base dei ragionamenti di questo pezzo. Ero partito dall Italia con negli occhi e nelle orecchie numerosi politicanti, opinionisti e consulenti che riempivano le mie seconde serate con frasi del tipo per uscire dalla crisi bisogna esportare il modello Veneto oppure ancora il modello economico Tedesco è la strada maestra per risolvere le questioni economiche mondiali e altre frasi fatte del genere. Ma cos è il famigerato modello Veneto (o Tedesco fa uguale)? È difficile dare una definizione precisa ma, in linea generale, si può definire come una strategia economica di business che prende forza e crea ricchezza partendo dalle caratteristiche basilari della comunità di riferimento. Questa è una descrizione piuttosto grossolana ma che fa comprendere il campo d azione di quella che vuole essereuna polemica da avanspettacolo, sterile e senza pretese per definizione, ma che voglio usare come provocazione. L obiettivo non è quello di mettere in discussione i diversi modelli locali di successo ma cercare di porre la questione sulla possibilità, secondo me non di successo, di esportare un particolare sistema al di fuori della comunità di appartenenza. La glocalizzazione, perché a pensarci bene questa è la base di molti di questi modelli economici, e la sua definizione accademica risultano piuttosto esaustivi da questo punto di vista. In sintesi, il glocalismo non è altro che l adeguamento della teoria sulla globalizzazione rispetto alla particolare realtà locale di applicazione. Esso, comprende l ambito materiale del prodotto, pensato per un mercato globale ma studiat o in base alle specifiche leggi e culture locali, l ambito di comunicazione, che consente con l utilizzo di tecnologie innovative la conoscenza e l espansione di beni locali su scala internazionale, e l ambito organizzativo con l implementazione di strutture che si realizzano su culture e bisogni locali con l intento di diventare globali. Partire da ipotesi esatte nella loro forma non è sinonimo di applicazione corretta e quindi di un risultato sostanziale esatto. A mio personale avviso non è sbagliato il modello Glocal nei suoi principi ma è errato volere esportare un modello di successo in culture e comunità diverse da quelle i n cui il modello è nato. Il modello Veneto, o Tedesco o Anglosassone e via dicendo, sono di successo in Veneto, in Germania e nei Paesi Anglosassoni perché studiati e implementati secondo caratteristiche territoriali, culturali e delle comunità presenti sul territorio. Esportare un modello specifico in un territorio diverso, che sia questo adiacente a quello di origine o in un emisfero diverso, porta risultati insoddisfacenti da un punto di vista economico e, cosa

8 ancora peggiore, spesso devastanti da un punto di vista sociale e culturale. QR Code: la nuova frontiera della comunicazione Storicamente l imposizione di modelli economici considerati di successo in comunità non pronte ad accoglierli ha portato a problematiche ben superiori ai vantaggi fino a quando i territori di destinazione non li hanno modificati adattandoli alle specificità socio-culturali. Esemplificando, il tentativo di esportazione di un fantomatico modello economico occidentale (anche se questa definizione risulta effimera visto i molteplici modelli di successo locali presenti in quello che definiamo l occidente del Mondo) in aree del globo considerate a basso sviluppo economico e con una organizzazione sociale spesso agli antipodi rispetto la nostro ha introdotto, in maniera forzata, modelli culturali estranei alla storia del Paese ed ha incrementato gli squilibri interni, per esempio, tra popolazione ricca e povera con disagi sociali difficilmente calcolabili e gestibili o reso consuetudini comportamenti che non rispettano l ambiente e il territorio di destinazione alimentando poi problematiche e discussioni a livello globale. Con un esempio piuttosto rozzo ma d impatto, l introduzione di modelli economici occidentali in Paesi in via di sviluppo ha portato ad un accelerazione insostenibile per quel che riguarda lo sfruttamento delle risorse ambientali portando ad un esponenziale innalzamento del livello di inquinamento, non solo locale, ma anche mondiale. Non è quindi il modello in sé ad essere sbagliato ma piuttosto la ricerca continua di esportare queste strategie in luoghi geografici che non possono sostenerli da un punto di vista delle consuetudini, della cultura o delle pratiche economiche generali. By Nicolò Pregnolato on 12 novembre 2012 La prima volta che ne ho sentito parlare è stato a lezione quando il mio professore abbozzò un sostituisce il codice a barre, poi più nulla fino a quando la mia professoressa di trade marketing mi illuminò sull utilità di quel quadrato contenente tanti altri piccoli quadratini che sembrano messi a caso e che a fissarlo ti si incrociano gli occhi. Sto parlando del QR Code, ovvero: codice a barre bidimensionale (o codice 2D), ossia a matrice, composto da moduli neri disposti all interno di uno schema di forma quadrata. Viene impiegato per memorizzare informazioni generalmente destinate a essere lette tramite un telefono cellulare o uno smartphone. In un solo crittogramma sono contenuti 7.089 caratteri numerici o 4.296 alfanumerici. (Wikipedia). Questo simpatico quadratino, però, è molto di più di un codice a barre, è un link cartaceo, ovvero attraverso una foto con uno smartphone indirizza direttamente a una pagina web cui è destinato. Il marketing ha fatto di questo strumento, nato nel 1994, un mezzo di comunicazione che ha preso piede in tutti i settori e nei modi più svariati. La fantasia non è mancata innanzitutto ai sud coreani quando, a metà del 2011, hanno inventato il supermercato virtuale niente popò di meno che IN METROPOLITANA. Ciò che ha fatto Tesco che voleva aumentare le vendite senza aprire nuovi punti di vendita non è stato altro che attaccare dei cartelloni pubblicitari in metropolitana rappresentanti gli scaffali del supermercato (addirittura con la luce nel pannello in modo da riprodurre l immagine reale dello scaffale) e con un QR Code posizionato sotto ad ogni prodotto. Ora i lavoratori o gli smemorati possono acquistare prodotti e fare la spesa facendosela recapitare direttamente a casa, facendo semplicemente una foto con il loro smartphone (molto diffuso ai giorni nostri) al QR Code del prodotto desiderato. Tutto questo è possibile grazie alla tecnologia che integrata all organizzazione aziendale rende possibile passare gli ordini direttamente al magazzino. http://www.youtube.com/watch?v=fgavfrzttp4 In Italia, aimè, non siamo ancora arrivati a una tale organizzazione delle vendite. Quello che per ora è stato

9 fatto (se qualcuno ha news più aggiornate mi faccia sapere) è solo un affissione di Klikkapromo nelle principali stazioni metropolitane di Milano che confronta i prezzi di diversi prodotti nei supermercati aderenti per scoprire il punto di vendita in cui è possibile risparmiare di più sul singolo prodotto. Le speranze sono quelle di poter replicare l iniziativa di Tesco (fatta poi anche da Carrefour in Francia e Sorli Discau in Spagna) trovando un accordo e una partnership con il trade. finalità è quella di informare, in modo da fidelizzare il consumatore, mettendo in atto una strategia di brand image. Tutto molto affascinante, ma all azienda cosa viene in tasca? Nel caso dell uso per la vendita diretta la risposta vien da sé; nel caso, invece, dell uso a fine commerciale, piuttosto che di servizio il QR Code, a seconda del programma utilizzato, permette di avere diverse statistiche molto simili a quelle che fornisce Analytics per i siti web. Un esempio è QrcodeVini che permette di geolocalizzare il cliente, di capire quanto tempo è rimasto sulla landing page, il tasso di rimbalzo, le pagine visualizzate ecc. Si può quindi dire che il nostro amico QR Code sia un affascinante mezzo di comunicazione, un abile storyteller, un rappresentate di vendita a 360, un punto di vendita virtuale e un report importante che ci presenta il ROI pubblicitario. La nuova frontiera della comunicazione ci permette quindi di coccolare il cliente, ma anche di aumentare le nostre vendite. Tesco, oltre alla comunicazione, ha ottenuto un significativo ritorno sull investimento incrementando significativamente le vendite a costi molto marginali e guadagnando quote di mercato. Tuttavia il QR Code può essere usato per creare un servizio aggiuntivo per il cliente. Come? Attraverso informazioni sul prodotto, sulle sue origini, raccontandogli una storia. In Italia siamo molto bravi in tre cose: la cucina, il buon vino e raccontare storie. A unire tutto questo sul nostro mercato qualcuno ci ha già anticipato: il vino con il QR Code sulle etichette che rimanda alla casa vinicola e che racconta la storia del luogo in cui è nato il vino, dell abbinamento ideale culinario, della produzione. Un esempio calzante è Bocale (viticoltori di Montefalco) che alle sue etichette ha deciso di incorporare il QR Code che permette di conoscere: caratteristiche del vino tutti i contenuti della retro etichetta descrizione dell azienda la videointervista al produttore il link al sito aziendale Hanno invece uno scopo prettamente commerciale i QR Code sulle pubblicità presenti nelle riviste che rimandano al prodotto sponsorizzato sulla pagina con la possibilità di scegliere vari colori, vedere un video di presentazione, conoscere le eventuali tagli, gli abbinamenti con altri prodotti della stessa marca e così via. Si potrebbe definire un servizio, ma lo scopo finale è quello commerciale; mentre nel caso del vino la E il consumatore? Il consumatore inizialmente si diverte (quando partecipa al processo si sente coinvolto e lo considera come un gioco; o comunque agisce per curiosità), successivamente considera la reale utilità del servizio. Ciò che più appare coinvolgente, quindi, è da ricercare nelle prime due tipologie considerate, ovvero la vendita diretta (strada intrapresa dai supermercati) e quella di servizio (come nell esempio dei vini). L ultima, invece, essendo a scopo commerciale/pubblicitario potrebbe essere ignorata nel momento in cui è terminata la curiosità iniziale. Ciò che le imprese possono fare è quindi ascoltare l attuale e futura richiesta del consumatore e assecondarlo (oltre che vendere e sviluppare il brand); ciò che può fare il consumatore invece Take an App and enjoy it! By Stefania D'Ippolito on 16 novembre 2012 Questa grossa grassa stressante informazione Nel 1755, Diderot scriveva Fino a quando i secoli continueranno ad evolversi, il numero di libri crescerà continuamente, e si può prevedere che verrà un tempo in cui imparare qualcosa dai libri sarà difficile come studiare tutto l universo. La conoscenza a cui faceva

10 riferimento Diderot non risiede più nei libri ma nella mole di documenti e risorse che le nuove tecnologie mettono a disposizione: non solo le informazioni archiviate nei siti web, ma anche le esperienze ed il sapere che ci si scambia giorno dopo giorno via posta elettronica, sui social network ed attraverso le mille altre possibilità fornite dai moderni mezzi di comunicazione. Le informazioni sono ovunque perché create, condivise e disponibili in ogni spazio di interazione virtuale e in ogni momento grazie all ampia disponibilità di device tecnologici. Siamo giunti al paradosso dell obesità informativa: un lavoratore della conoscenza ha a sua disposizione così tante informazioni che la maggior parte di esse risulta superflua e rischia di essere, se non nociva, quantomeno difficile da gestire. Per chi lavora nel mondo della comunicazione l accesso alle informazioni è di vitale importanza, ma alla stregua della sovra-alimentazione tipica dei paesi sviluppati, ci si ritrova costantemente bombardati da stimoli e dati provenienti dalle fonti più disparate. Nei casi peggiori si arriva ad una vera e propria deriva con conseguenze anche gravi: è l overload informativo, quando la presenza di troppe informazioni rende difficile la comprensione di un problema e impedisce di prendere le giuste decisioni. Gli psicologi hanno circoscritto delle sindromi ben precise causate dallo stress di dover gestire una quantità eccessiva di dati: l Information Fatigue Sindrome (IFS) e l Information Anxiety, patologie che possono avere conseguenze anche gravi e che affliggono chi gestisce un importante flusso informativo. Lo stress da gestione dell obesità informativa sembra essere una aspetto sempre più sentito negli ambienti di lavoro. Un anno fa ha destato scalpore la scelta di Thierry Breton, CEO della Atos, che ha proibito l uso di e-mail interne a favore dell utilizzo di una chat aziendale. A far riflettere l azienda sono stati i dati sulla percentuale di tempo impiegato dai dipendenti per cancellare le e-mail inutili, pari al 15% del totale delle e-mail ricevute. In questo caso, si è pensato di dirottare l interazione verso altre modalità comunicative più veloci e dialogiche, ma forse non del tutto adatte a eliminare o a ridurre l information overload. Lo sforzo di attenzione, selezione e comprensione a cui si è obbligati causa stress inutile, impensabile anche solo un decennio fa. Ma quindi non esiste una cura per l obesità informativa? A detta degli esperti, la soluzione esiste, e non è molto diversa da quella in grado di curare l obesità alimentare. Si comincia infatti a parlare di dieta informativa e si profila la necessità di avere a disposizione solo le informazioni che servono eliminando quelle inutili, come si eliminano grassi e junk food per avere una sana alimentazione. Tra feed RSS, aggiornamenti e condivisioni sui Social network, quanti contenuti sgomitano per ottenere la nostra attenzione? È impensabile riuscire a leggere ogni singolo link condiviso e ogni contenuto a nostra disposizione, ogni newsletter e ogni aggiornamento. Come fare allora per selezionare nel modo migliore gli ingredienti della nostra dieta informativa? Il tutto si può riassumere in poche e semplici regole dettate dal buonsenso: stabilire un tempo ben preciso e limitato da dedicare alla lettura delle e-mail, dei social network e dei feed informativi a cui siamo abbonati; limitare al massimo le interruzioni ad opera di chat, skype e messaggistica varia; selezionare il più possibile le fonti informative, eliminando quelle che trattano argomenti già sviscerati da altri e dando la precedenza a quelle più autorevoli e che già operano una funzione di filtro. Spesso però, nella quotidianità di chi è sempre connesso, è facile cadere in tentazione e cercare su Facebook o Twitter nuovi argomenti di discussione e nuovi aspetti da esplorare, è difficile resistere alla tentazione di iscriversi all ennesima newsletter o di seguire la twitterstar del momento, in preda all ansia di essere tagliati fuori dalle discussioni che contano. Io, l ammetto, nonostante i buoni propositi non sempre ci riesco. E voi, come gestite l inevitabile overload informativo senza diventare obesi di informazioni? Quali criteri adottate per selezionare le fonti d aggiornamento davvero rilevanti? Di cosa è composta la vostra dieta informativa? By Irene Zanatta on 14 novembre 2012 Windows 8. Pregi, non solo difetti! Qualche settimana fa Microsoft ha presentato al mondo la sua nuova creatura: Windows 8. La prima cosa che balza all occhio è la rivoluzione dell interfaccia utente chiamata Modern UI: all avvio ci si trova spiazzati con

11 una nuova schermata formata da quadrati e rettangoli, Tiles, che fanno partire, esclusivamente a tutto schermo, le relative applicazioni; il pulsante Start non esiste più ed è stato sostituito da questa nuova schermata. E come per ogni rivoluzione c è subito chi è pronto a farne una crociata, criticando ogni aspetto delle novità presentate, definendole un sistema per tablet, inutilizzabile con un PC, un interfaccia orrenda E utile capire il motivo di tale stravolgimento, che leggendo alcune opinioni nel web, sembra solo un nuovo modo per confondere gli utenti del nuovo sistema operativo. del precedente Windows in parallelo alla nuova Modern UI. Utilizzandolo ci si accorge che la curva di apprendimento (il tempo che impieghiamo per imparare ad usare il nuovo sistema) per chi proviene da una precedente versione di Windows, è decisamente bassa. Anche per un Google-Addicted come me sono bastati pochi minuti per avere tutte le nuove applicazioni Mail, Calendario e Contatti di Windows 8 funzionanti e sincronizzate con il mio accont Gmail. Per esperienza posso dire che è stato molto più complesso per esempio il passaggio a Mac, un sistema famoso per la sua facilità e immediatezza. L impegno per Microsoft è sempre stato quello di garantire il più possibile la retrocompatibilità con i programmi pensati per le versioni precedenti: con Windows 8, mantiene le promesse permettendo di usare la stragrande maggioranza di applicazioni e driver pensati per Windows 7 cercando di rendere meno indolore il passaggio alla nuova grafica a piastrelle e la mancanza del familiare pulsante Start Alla base c è l ambiziosa sfida di Microsoft che punta a creare un ecosistema con la stessa grafica, lo stesso modo di interagire facilmente utilizzabile su tutti i dispositivi che usiamo nella quotidianità: computer, tablet, smartphone e consolle. L utente alle prime armi troverà nelle applicazioni presenti nelle Tiles tutto ciò che serve per un utilizzo medio del computer, e un interfaccia che col tempo diventerà familiare (si spera, per Microsoft) su molti tipi diversi di device. Inoltre assisteremo alla diffusione (già iniziata) di sistemi ibridi: portatili con schermo touchscreen, tablet che diventano pc con una tastiera, e altri nuovi dispositivi dove Windows 8 mostra tutti i suoi muscoli e il suo approccio al futuro. Non è tutto oro quel che luccica, i difetti di gioventù ci sono, e servirà un po di tempo per limare tutti i piccoli problemi che affliggono questa nuova release. Ma nel frattempo godiamoci un incremento generale delle prestazioni, un sistema che si avvia in molto meno tempo, e che si spegne quasi istantaneamente. Nonostante le transizioni si ha la sensazione di un sistema più reattivo e più veloce sullo stesso computer rispetto a Windows 7. Le critiche, in seguito ad un cambiamento radicale come questo, vengono facili, ma bisogna anche riconoscere i cambiamenti positivi. Quanti odiano ancora la #Timeline di Facebook o il nuovo look di Google+ con il #WhiteSpace aspramente criticati in passato? Questa è la mia opinione. E voi avete già provato il nuovo Windows? Che ne pensate? By Alberto Buora on 21 novembre Certo, ad un primo impatto, può spiazzare trovarsi davanti ad una nuova schermata tutta quadrati e piastrelle, ma basta passare poco tempo con il nuovo sistema per rendersi conto che possiamo ritrovare tutto ciò a cui eravamo abituati nel vecchio e caro look&feel Il cielo sopra Berlino e il Galaxy Note II: un concetto moderno dal sapore antico. Celebrity sells: la celebrità vende. Usare il volto e la fama di un personaggio dello spettacolo o dello sport eccetera per fare pubblicità ad un prodotto,

12 una marca, un evento, il più delle volte funziona. Ci sono stati grandi del passato, riesumati grazie alla tecnologia moderna, ci sono stati i campioni sportivi, le starlette, le cantanti che hanno prestato la loro inconfondibile voce ad uno spot, ci sono stati attori premi Oscar: tutti loro hanno reso il messaggio pubblicitario più accattivante con la loro presenza, e il prodotto venduto più desiderabile. metropolitane, nelle case, c è il cielo e sopra un angelo che guarda, osserva. E Bruno Ganz in una immagine recuperata dal film. Il bianco e nero che nel film la faceva da padrone, ha lasciato il campo ai colori accesi e vivi che lo schermo del moderno phablet Galaxy Note II sa invece restutuire. E i pensieri non si ascoltano, si leggono su quel magico schermo. http://www.youtube.com/watch?v=iixovhqmdjy Wim Wenders si aggira per le strade e osserva la gente e la città e noi che guardiamo, ascoltiamo i suoi pensieri. Il regista sta pensando a quando il film è stato girato, al tempo che è passato e alle cose che sono cambiate, al muro che è stato abbattuto, e soprattutto a quanto sarebbe stato utile avere uno strumento come quello pubblicizzato per girare il film. Perchè? Perchè il phablet avrebbe permesso a Wenders di fare più facilmente quello che ha fatto quando ha diretto questo film: andare a braccio, cogliere momenti della gente e della città, creare estemporaneamente. scrivere, disegnare, e farlo ovunque. I personaggi famosi scelti per pubblicizzare un prodotto non sempre impersonano loro stessi, ci sono casi in cui recitano nelle sembianze di personaggi che hanno gà interpretato, ed altre volte in cui vengono ideati personaggi nuovi, nati ad hoc per rappresentare al meglio quel determinato prodotto in quella determinata pubblicità. In tutti questi casi, si sfrutta la popolarità del vip in questione per rendere più appealing il prodotto. C è poi un ulteriore modo di impiegare la fama di un personaggio per fare pubblicità, un escamotage che trovo personalmente molto affascinante, ed è quello di relazionare quel determinato personaggio ad un contesto noto a lui e a noi (utenti): come ad esempio un film che ha girato, una canzone che ha cantato, un evento in cui ha dato il suo contributo. In questo modo non soltanto il personaggio viene coinvolto nello spot e nel processo marketing di quel determinato prodotto, ma viene anche coinvolto ciò che primariamente associamo a quel personaggio, come appunto la sua canzone più famosa, o uno dei film per cui ha vinto dei premi. È un modo di fare pubblicità sfruttando i due canali più significativi di un personaggio noto: la sua popolarità e il motivo della stessa. Un esempio recente e molto affascinante di pubblicità in questo senso che personalmente mi ha colpita e trovo molto affscinante è la pubblicità del Galaxy Note II, che ha visto il bravissimo regista Wim Wenders fare da protagonista. Oltre alla presenza di Wenders e al suo utilizzo nello spot, quello che risalta è la scena, l ambientazione e i flashback che rimandano tutti direttamente a uno tra i suoi più famosi film: Il cielo sopra Berlino. Analizziamo insieme la pubblicità: c è Wim Wenders e ci sono le persone nelle strade, nelle C è anche una piccola assonanza con il film che si nota e non si nota in questo spot, e che personalmente trovo geniale: le persone che usano il Galaxy e scrivono i loro appunti, creano cose e ne sfruttano tutte le potenzialità, sono come quelle persone che Bruno Ganz in quanto angelo ascoltava e confortava. Sono persone immerse nelle cose che fanno, e in quelle che pensano. Le persone che camminano nelle strade sono le stesse; i pensieri sono cambiati diventando immagini, annotazioni e piccole perle grafiche. Il claim di questo dispositivo cita Tutte le cose che potete fare in un batter d occhio, con un dispositivo così piccolo e leggero. Chiunque può farlo. E allora cosa ci vuole dire questo spot. Io voglio credere che con la stessa genialità (in misura ridotta, ovviamente) con cui Il cielo sopra Berlino fu ideato, questo spot nasconde più di una interpretazione. Associare uno strumento così moderno ad un film di 25 anni fa non voleva solo avere lo scopo di regalarci qualche immagine di quel prezioso capolavoro che fu il film di Wenders. C è qualcosa nascosto tra le righe e io sono certa che vada cercato tra le persone, le stesse che fanno da protagonista al film e quelle che lo fanno nello spot. La gente e i loro pensieri, la loro comunicazione. Qualcuno una volta mi ha detto non ci sono pensieri senza parole : sarà da qui che sono partiti Wenders e i pubblicitari del Galaxy per mettere in scena questo spot? Personalmente trovo geniale come nella durata di meno di un minuto questo spot sia riuscito a rendere una idea tanto attuale (disegnare, scrivere, condividere in un tutt uno) alla stregua di un concetto dal sapore antico. È rendere la modernità e il suo progresso comprensibili, semplici. Guardare questo spot è un po come realizzare che gli strumenti dell era digitale siano strumenti di cui

13 abbiamo sempre avuto bisogno. Solo che non lo sapevamo. By Roberta Martucci Schiavi on 27 novembre 2012 Dal giornalista al consulente: quando pagarlo in reputazione e quando in denaro? Primo Tempo Qualche giorno fa, fa un paio (1 e 2) di tweet di Matteo Fini mi saltano agli occhi: si parla di giovani e di lavoro gratis. Seguendo quei tweet mi trovo a leggere un post di Cristina Maccarrone e mi metto a pensare. Anche io ho un blog con vari autori, ottimi post, tanti visitatori e non pago chi scrive. Perché? Il blog non fa utili, gli autori hanno dallo scrivere dei ritorni in termini di immagine e comunque offre una grande opportunità di mettersi in gioco con ogni post. Fino a qui tutto vero. Però le parole di Cristina mi rimbombavano: Perché le corse al ribasso ci rovinano tutti. Perché dire, tanto gira il mio nome e collaborare gratis per chiunque poi ti chieda un lavoro quindi scadenze, precisione, tempo ecc ci svilisce (scusate ma mi sembra il verbo più adatto) tutti. Perché, al giorno d oggi, con l ottava meraviglia che è il Web, sinceramente se vuoi fare qualcosa gratis la fai per te. Ti apri un blog e se sei bravo, la tua firma gira. Io che dico largo ai giovani mi sentivo un senso di colpa, magari non giustificato né compreso visto le parole e le teorie di Anderson sull economia della reputazione. Secondo Tempo Un paio di settimane fa, Vicenza ha rischiato la seconda alluvione in due anni. Bel record! Le informazioni non le ho certo prese da Repubblica come un tweet mi faceva notare; le ho apprese da Facebook e Twitter. In particolare, ho apprezzato gli aggiornamenti su Facebook del sindaco e dell assessore e poi le foto di amici che mostravano l evolversi della situazione. Esattamente come l anno scorso i giornalisti sono stati i cittadini. Niente di nuovo lo raccontavo io stesso nel 2009 in un mio contributo su un libro. A questo punto, però mi è tornato alla mente il post di cui sopra. Dovrei pagare i cittadini comuni che con le loro foto hanno fatto informazione? No. Dovrei pagare i blogger per i loro post? No. È giusto lavorare gratis? No. Credo sia necessario capire alcune cose: internet è una piattaforma direputazione che offre ad ognuno di noi la possibilità di emergere e ampliare il proprio dominio di conoscenze. Internet si fonda sulla condivisione. Non sempre e non per forza gratuita ma senza quella imploderebbe. Blog e social media rappresentano per centinaia di blogger una possibilità unica di uscire dall anonimato. Detto questo credo che ognuno di noi debba poi decidere a chi e come offrire il proprio Lavoro. Se è impensabile che una TV o una Radio o un Giornale non paghino (visto il fine commerciale) trovo la questione differente per i blog o altri spazi che non hanno nessun scopo commerciale. Anzi essi offrono ai giovani una palestra non pagata è vero ma pur sempre utile e importante. il giornalismo deve ritornare ad essere quello mitico raccontato da Insider Dietro la verità o quello romantico di Redford in Qualcosa di personale. Solo così facendo inchiesta il giornalista e i giornali possono emergere da un confuso e tumultuoso flusso di notizie. In poche parole, sporcandosi le mani con le notizie e non solamente commentandole. Conclusioni Su 4Marketing non parliamo tuttavia né di meteo né di giornalismo ma di imprese, comunicazione e marketing: cerchiamo quindi di apprendere una lezione da tutto questo, applicabile al mondo delle imprese e dei consulenti. Le domande che in parallelo mi sono sorte sono queste: quando un azienda ha necessità di investire dei soldi in un consulente e quando invece le informazioni che può dare un consulente sono assimilabili a quelle disponibili su un blog qualsiasi? Oppure quando un consulente porta del valore aggiunto e quando invece diventa un mero costo? Credo che il giornalista così come il consulente abbiano in questo mondo sempre meno lineare vita difficile. L aumento dei mezzi di comunicazione costringono il giornalista e il consulente a ritornare sul campo di guerra e a rimettersi in gioco per dare quel

14 valore in più all azienda. Le notizie standard o da tavolo così come le soluzioni standard sono facilmente accessibili. Bisogna scendere dal piedistallo. Abbiamo bisogno di consulenti che sappiano usare le teorie non viverci dentro. Consulenti pronti a sperimentare. Non c entra la passione o l emozione serve permeabilità, ascolto, empatia e voglia di: sporcarsi le mani, innovare con le aziende, vivere e promuovere una cultura dell errore. Se siete un azienda e dovete scegliere e lavorare con un consulente: 1. diffidate delle soluzioni pre-confezionate; 2. chiedete numeri, analisi, statistiche ma anche applicazioni; 3. guardate con sospetto alla media. Tanto più siete una PMI tanto più soluzioni medie non possono che portare alla mediocrità silenziosa e inutile; 4. fidatevi del consulente. Fate sì che entri in azienda. Che la viva, la mangi, la tocchi, la provi, la faccia sua e si faccia fare suo dalla vostra creatura. 5. esigete che peschi dalla coda lunga delle idee e delle soluzioni. Quella che si può ottenere solo respirando e cercando il problema, vivendolo, facendolo proprio e non applicando belle teorie. Servono, quindi, consulenti e giornalisti con uno spirito più da esploratore che da osservatore, più da pirata che da controllore, più da artigiano che da contabile: sono quelli che portano valore e meritano di essere pagati. Concludo con una riflessione sulla reputazione: la reputazione è una cosa stupenda ed utile se poi esiste un mondo dove spenderla. Io più che del lavoro gratis di blogger o stagista mi preoccuperei di capire se esiste il mondo dove spendere la mia reputazione. E in Italia ho idea che sia tutto da creare. By Gianluca Fiscato on 19 novembre Si può sostituire l ufficio stampa con i social network? Si può sostituire l ufficio stampa con i social network? La risposta per me è no. Il mio non è un giudizio di parte perché mi occupo sia di ufficio stampa sia di social network. Non si può e basta. Sono due strumenti, attività, stili di comunicazione completamente diversi e assolutamente complementari. Sempre più spesso le aziende, o le piccole attività che cercano di risparmiare un po su tutto, finiscono col convincersi (o farsi convincere) che per comunicare sia sufficiente avere una pagina Facebook o un profilo Twitter. Niente di più sbagliato. Chi sottovaluta la professionalità rischia Anche un bambino (ahimè, letteralmente) oggi è capace di crearsi una pagina Facebook, questo non significa che sappia comunicare efficacemente, poiché, anche per gestire una semplice pagina Facebook, se si vogliono ottenere dei risultati in termini di comunicazione aziendale, bisogna farlo con professionalità, identificando con attenzione il target di riferimento, il linguaggio, la tempistica, il tutto supportato dalla conoscenza della tecnologia che vi è nascosta dietro. Tutte cose che si possono imparare, certo. Ma quando si tratta di comunicare, un azienda non ci si può permettere di andare a tastoni: costruire un immagine e consolidarla richiede competenze specifiche (sia a livello di marketing che di tecniche di comunicazione ) e una strategia a medio termine. Ci si mette un secondo a perdere la faccia per colpa di un piccolo errore, soprattutto sul web (ricordate il pasticcio web di Ikea e lo scivolone Facebook di Patrizia Pepe?). Se la tentazione delle imprese di affidare al figlio del cugino dello zio la gestione dei social network aziendali è sempre più dilagante, sono sempre di più le realtà che si convincono di poter risparmiare la voce di costo ufficio stampa, sostituendolo con i social network. A cosa serve l ufficio stampa? Dotarsi di un ufficio stampa, per un azienda, significa essere affiancati da un consulente con adeguata conoscenza del mondo del giornalismo per l individuazione e divulgazione delle notizie che riguardano l attività aziendale. Chi ha trascorso qualche anno della propria vita dentro una redazione o comunque in stretto contatto con dei giornalisti acquisisce la capacità di pensare con un ottica giornalistica e quindi di costruire una strategia di comunicazione stampa efficace. L ufficio stampa è, quindi, uno strumento che si affianca a completamento dell ufficio marketing e che può contribuire al raggiungimento degli obiettivi di marketing attraverso la costruzione di un corretto posizionamento strategico, quindi di un immagine positiva dell azienda presso i media e di conseguenza per i propri clienti o il consumatore finale (quando questi leggono i giornali, guardano i tg o ascoltano la radio).

15 E l ufficio stampa 2.0? L attività di comunicazione social in un certo senso scavalca questo passaggio, facendo sì che l azienda si rivolga direttamente al cliente/consumatore finale (cioè a quello che frequenta i social). Il fatto è che non sempre la stessa persona che legge i giornali frequenta anche i social o viceversa. Ecco perché le due strade sono assolutamente complementari! Quali competenze ha un buon addetto stampa? In più c è una cosa da chiarire: per gestire un ufficio stampa è attualmente necessario essere giornalisti iscritti all Ordine, il che comporta aver svolto attività giornalistica retribuita e documentabile per almeno due anni di seguito. Indipendentemente dalle argomentazioni sull utilità dell esistenza dell Ordine dei Giornalisti, l esperienza di collaborazione con qualche testata, l esperienza sul campo e soprattutto il rapporto e confronto con le direttive dei caporedattori sono elemento fondamentale e non sottovalutabile ai fini dell acquisizione delle competenze sufficienti per essere addetto stampa. Curare l ufficio stampa di un azienda richiede questa specifica professionalità senza la quale è difficile identificare le vere notizie da comunicare e senza la quale è ancor più difficile raggiungere dei risultati. Il bravo addetto stampa è quello che conosce i retroscena del giornalismo, che comprende i tempi, la logica del giornalista che seleziona le notizie da pubblicare, il concetto di gerarchia di una pagina, come e quando i giornalisti preferiscono ricevere i comunicati stampa e soprattutto come identificare il concetto di notizia. Si tratta insomma di una serie di competenze che si possono avere solo se si ha una conoscenza diretta di ciò che accade dentro la redazione di un giornale e dentro la testa di un giornalista. Competenze che l esperto di social media marketing non è tenuto a possedere. Ecco perché ribadisco che l ufficio stampa non può essere sostituito dai social, per quanto questi possano essere gestiti con estrema professionalità. Le competenze specifiche dell ufficio stampa sono fondamentali quando si tratta di gestire i rapporti tra un azienda e i media, poiché il successo o meno di un attività di ufficio stampa è data proprio da un accurata strategia e da un adeguata tecnica di scrittura. Strategie e tecniche che possono estendersi anche al mondo dei social network dove i giornalisti sono presenti a fiotte e dove ci passano bellamente intere giornate, alla ricerca di notizie e curiosità e spesso e volentieri abboccando alle numerose bufale e ai vari fake Esperienza e PR, il patrimonio dell addetto stampa. Le public relation sono l essenza di un ufficio stampa e forse l unico vero patrimonio di un addetto stampa. L esperienza in questa direzione è tutto e si consolida nel tempo, con fatica e con sguardo attento ai cambiamenti in atto. Il mondo della comunicazione può cambiare, possono cambiare gli strumenti e le tecnologie ma l esperienza e le conoscenze restano e sono la base su cui costruire qualsiasi strategia. In un prossimo futuro è quindi probabile che chi ha le competenze di un addetto stampa finirà con utilizzare anche i social network per sviluppare PR con i giornalisti, con gli opinion leader o con il consumatore finale per comunicare un azienda. Ufficio stampa e attività di social media marketing si affiancheranno e compenetreranno sempre più ma, a mio avviso, senza mai eliminarsi a vicenda. Per ora siamo ancora in una terra di mezzo. Per lo meno qui in Italia. La carta stampata, come la tv e la radio, sta perdendo lettori (e introiti pubblicitari) ma continua ad essere strumento autorevole di comunicazione (quale azienda non vorrebbe vedere un bell articolo che parla di lei su una bella testata nazionale?) soprattutto per quelle persone che non accedono comunemente ai social network (pensiamo ad esempio agli anziani, che in Italia non sono proprio numericamente ininfluenti ) Ma sappiamo che il futuro, anche dell ufficio stampa, sarà sempre più sul web (esistono già diversi strumenti in questa direzione, per citarne uno ipress). I professionisti della comunicazione hanno il compito di accompagnare le aziende e le istituzioni che comunicano sui media (aggiungerei anche gradualmente) in questa transizione che è fatta di innovazione, tecnologia e capacità di guardare oltre gli strumenti tradizionali, ma anche di saggia moderazione, rispetto dei tempi di evoluzione di ciascuno. E soprattutto di professionalità. By Francesca Bellemo on 30 novembre 2012 E il terzo giorno Facebook resuscitò! Maccheroni m avete provocato e mo me te magno! Inizia così il mio post di oggi, ispirato dalla sottile provocazione di lunedì in 7-eleven, che non ho potuto far a meno di cogliere. Come per content is the king ci tengo ad approfondire anche la questione Facebook è morto, con lo scopo di contestualizzare l affermazione nella realtà del nostro territorio, ricco come sappiamo di piccole medie imprese.

16 Quando mi approccio a una PMI generalmente mi appassiono alla sua storia, al suo prodotto (nei limiti di quanto io possa capirlo e percepirlo chiaramente) e alle persone che vi lavorano; non per particolari motivi umanitari, bensì perché ritengo sia l unico modo efficace per studiare una strategia ad hoc, e sottolineo strategia. È un po come se diventasse la mia azienda; e io alla mia azienda, qualsiasi essa sia, in questo momento, sconsiglierei di affacciarsi al social network di Zuckerberg, salvo rarissimi casi. Perciò, quando sento purtroppo mi capita spesso di agenzie e colleghi che si spacciano per guru del Social Media Marketing e propinano i social, soprattutto Facebook, come panacea di tutti i mali, permettete che io mi irriti non poco. Come già ho scritto in precedenza, i miti sono tanto falsi quanto dannosi, ed è necessario pertanto che anche le piccole medie aziende acquisiscano consapevolezza a questo riguardo. Quindi? Strategia! Analisi, obiettivi, target, influencer e poi canali e strumenti. Perché non dobbiamo mai dimenticare che Facebook è un mero strumento, e in quanto tale la sua efficacia dipende dalla strategia con cui lo utilizziamo. E quando leggo che È necessario collegare i social media a processi aziendali e organizzativi strutturati e fare in modo che non divengano l obiettivo, ma lo strumento, non il fine ma il mezzo oppure Perchè Facebook non è una Social Media Strategy mi viene l orticaria perché chiunque abbia pensato che Facebook fosse qualcosa di diverso da uno strumento o è pazzo o è un visionario o è un consulente, magari con tanta esperienza troppa? e una gran storia ma poca visione sul futuro! Facebook non è morto: come ogni strumento ha il suo ciclo di vita ed ha raggiunto e forse superato la maturità. Ciò non significa che abbia perso efficacia, vuol dire che ora emergeranno le realtà che hanno approcciato strategicamente e proattivamente lo strumento, a discapito di quelle che invece l hanno utilizzato come uno tra i tanti canali di comunicazione push; senza considerare forse il rischio che corre un brand quando sta sul social e spinge tantissimo in ottica push pura: perché a volte è sufficiente un commento negativo per fare il giro della rete e mettere in seria difficoltà il brand stesso, piccolo o grande che sia. Infatti non dobbiamo mai dimenticare che il contenuto considerato di maggiore qualità dagli utenti non è quello dei brand (10%), ma quello creato dai propri pari online (50%). Come approcciare quindi lo strumento in modo strategico? Per esempio, in una logica di vera comunicazione integrata, la buona riuscita di una strategia di marketing che utilizzi i social media affianca le attività online a quelle offline: ovvero i contenuti digitali veicolati nei social aziendali contengono dei richiami ai punti vendita, alla fruizione di prodotti e servizi fisici. Per esempio, un coupon sconto scaricabile da una fan page in cambio del like; e, viceversa, offline, la segnalazione e l incentivo per i clienti a utilizzare i canali social del brand in cambio di un eventuale promozione, sconto o vantaggio di qualche genere. È evidente che, soprattutto per i grandi brand, si tenda sempre più verso il Cross Media Marketing, ovvero l integrazione tra canali online e offline: un esempio lampante è la segnalazione nelle pubblicità in televisione dei collegamenti ai principali social network, che è diventata ormai la norma. È vero che le PMI hanno poche risorse da allocare per il marketing e la comunicazione, ma è proprio per questo che non si può rischiare di sprecarle in una paginetta Facebook, illudendo che quello strumento porti risultati consistenti e misurabili. Ma in sintesi, il social funziona? Sì, nel momento in cui viene innanzitutto considerato per quello che è, uno strumento, e nella misura in cui è integrato nei processi aziendali. È indispensabile però che l azienda, anche la PMI, cambi approccio e si sposti verso un vero orientamento al cliente, dove le persone siano messe al centro di tutti i processi, interni ed esterni. Nello specifico, quindi, Facebook è morto? No. È cambiato? Forse un po, a causa principalmente di due fattori, ma aggiungo anche forse non ancora abbastanza. Sicuramente ha influito notevolmente l aumento esponenziale del numero degli utenti, che con curiosità mi chiedo se sia stato previsto e quindi se siano davvero in grado a Palo Alto di gestirlo. Inoltre, è evidente che siamo davanti a un overflow di informazioni che ci tediano in continuazione, caratterizzate da una scarsa differenziazione e spesso anche poca utilità: il risultato sono persone sempre meno attive e più televisive, immuni a buona parte dei messaggi veicolati. Il like è diventato un pollice che cade stanco sullo smartphone, i commenti sono oggi uno sforzo notevole per gli utenti, e quindi per un brand, qualcosa di prezioso ma difficile da ottenere. L interazione, cioè la vera forza del Social, viene meno, a causa delle suddette variabili: troppa informazione a basso valore e troppi utenti. Quindi, chi e cosa riesce a farci interagire oggi?

17 Come se non bastasse, è necessario sottolineare un dato a dir poco allarmante: meno del 16% dei fan della nostra page vede effettivamente visualizzati nella propria homepage i post che condividiamo sulla pagina. Quanti saranno di questo 16% a venire davvero coinvolti dal contenuto condiviso? La percentuale è davvero irrisoria. E se speriamo nella democrazia del web stiamo facendo i conti senza l oste: infatti Facebook, specialmente con le nuove forme di ads chiamate sponsored stories, grazie alle quali i contenuti sono consigliati dagli amici (con un valore chiaramente superiore rispetto alle normali ads), consente a chi ha più risorse finanziare una maggiore viralità e diffusione. Una sorta di ricatto in pratica: nonostante i nostri fan abbiano messo mi piace sulla nostra pagina, dichiarando quindi di voler visualizzare i contenuti della stessa, il social network consente loro di vederne solo alcuni. Per essere certo di raggiungere tutti i tuoi fan, oltre il 16% quindi, dovresti pagare cifre altissime. È sufficiente anche solo quest ultima riflessione credo per farci rendere conto di quanto Facebook sia solo uno strumento e perciò quanto importante sia la pianificazione al fine di raggiungere dei risultati validi e non sprecare preziosissimo tempo e ancor più preziose risorse. Il Social Media Marketing non è morto, semplicemente va approcciato in modo più strategico e integrato, con contenuti sì impattanti ma anche reali, che interessino il nostro pubblico di riferimento. Perciò reinventarsi, analizzare il nostro target, stilare una strategia cross mediale ad hoc e utilizzare eventualmente anche Facebook, quale veicolo e non obiettivo. Il punto di arrivo sono e restano le persone. By Isabella Polo on 28 novembre 2012 7-eleven: il numero primo dell informazione straordinaria quinto numero primo. State ancora seguendo? E questi numeri primi non soffrono affatto di solitudine, sono sempre pieni di clienti. Il mondo ha bisogno di qualsiasi cosa a qualsiasi ora. Anche di spunti di riflessione. Anche di informazione. Non di sovra informazione ma di approfondimenti, edizioni straordinarie. 7-eleven è un vestito che 4marketing sceglie di indossare quando l occasione lo richiede, quando in tv danno la maratona della serie preferita e proprio non ce la fai a staccare gli occhi da quello schermo, sei catturato, ammaliato. Miscredenti e ortodossi. Tutti coinvolti. Tutti per un giorno intero, sette post in undici ore. Le penne, le menti, prepariamoci a ragionare e a raccogliere spunti, commenti e provocazioni su un tema che ci riguarda tutti. Uno speciale da collezione, essenzialmente non ripetibile, perché vive del proprio tempo. Ingredienti? un tema caldo di cui parlare, persone che abbiano diverse cose da dire in proposito, discussioni e nuove prospettive. Un film d azione, un inizio: un cappello; e una fine: un saggio. Il tempo è irreversibile e segue il processo, perché a volte un tema non si esaurisce in 2000 battute, ha bisogno di aria, ha bisogno di tempo. 4marketing apre per un giorno, orario continuato, l argomento è top secret, ma la data è in chiaro, lunedì 26 novembre. 26-eleven. #segnatevelo By Flavia Fiocchi on 23 novembre 2012 Avete mai provato ad aver voglia di pan di stelle a mezzanotte? A girare Milano e non trovare nulla di aperto? Sono certe notti in cui si sogna l America, perché là in America troveresti aperto un 7-eleven dove fare la scorta di biscotti, latte e gelati. L America è lontana ma anche noi abbiamo le nostre virtù e i nostri numeri. C è una magia nel 7-eleven che trascende gli orari di apertura, sette è il quarto numero primo e sette più quattro fa undici che per altro è il

18 [7-eleven] edizione straordinaria By Cristiano Nordio on 26 novembre 2012 Se #internethavinto, Facebook è morto e i social media stanno male Il mondo pulsa. È vivo, si trasforma, accellera e difficilmente rallenta. Tutto è in movimento, ma se guardate con attenzione c è sempre qualcuno fermo: osserva e riflette. Per esempio, lì, su quella panchina. Due persone, quello con il cappotto chiede: Ma come le è venuta un idea simile? L altro comincia a parlare L idea di questo articolo nasce più di un mese fa. Da allora ho scambiato idee e pensieri con molti amici e colleghi che hanno contribuito a migliorarlo e a darmi nuove e interessanti visioni. Prima di iniziare voglio ringraziarli tutti! Quest area ha dimostrato, ancor prima di pubblicare, di essere molto più di un blog. Questo articolo sarà a puntate e strizzerà l occhio alle diverse angolazioni emerse con la nuova formula del 7-eleven. Sarà volutamente provocatorio, in tutto, dalle immagini usate anche come test empirico, ai contenuti. Lo richiede il cambiamento in atto. A cambiare sono i consumatori, il mercato, le aziende, lo scenario, la comunicazione ecc.. Quattro o cinque anni fa le soluzioni di cui parliamo avrebbero rappresentato il futuro; oggi servono nuovi approcci, nuove idee, per identificare nuove soluzioni. È tempo di cambiare anche il nostro punto di vista, facendo evolvere quello che già conosciamo. A voi la scelta: pillola rossa o pillola blu? E da questo blog voglio partire, da un luogo, un area che in fondo ha sì delle affinità con l oggetto di questo post, ma anche una profonde differenze. 4Marketing ha un target è mirato, non generalista, e un contenuto di interesse professionale, un comune obiettivo di approfondimento di tematiche utili alla propria attività. I social sono la torre di Babele Facebook è ormai il nostro alter ego, il nostro braccio destro, l ologramma di noi stessi o della nostra azienda. Facebook è Belfagor, attira le anime degli uomini e li seduce promettendo invenzioni che li renderanno ricchi, è allettante, facile, è lì a disposizione. Riempie i vuoti diurni e notturni della nostra esistenza. Procura inattese amicizie e idilli sentimentali. Racconta tutto di noi perché sa di noi, ma siamo proprio noi? Facebook è Gulliver, pensare a quando non c era crea quel senso di vertigine, di lontananza, di incredulità; il ponte è lanciato, non si spezza più, il viaggio ha avuto inizio, e i popoli che si incontrano sono strani, ma parecchio strani. Facebook è Gulliver, perché sa essere ironico, sa informare e capire. Facebook è James Bond, con quello sguardo un po così, ti spia, e ti fa spiare, ad ogni nuovo capitolo si dota delle più moderne tecnologie, stupisce con effetti speciali, è imprevedibile e ti tiene sulla corda. Si perché, ammettiamolo, ogni volta che pubblichiamo uno status, una news, una foto, siamo lì con gli occhi puntati sullo schermo ad aspettare il primo like. È James Bond, che puoi tradire, ma non puoi dimenticare. E come James Bond, ha avuto un inizio travolgente, scaturito non dalle pagine di Ian Flaming, ma dalla mente di un ragazzo americano di belle speranze che voleva facilitare i contatti fra studenti ed ex studenti di Harvard. Come James Bond, anche Facebook ha lasciato ben presto i confini patrii per lanciarsi in tutto il mondo. Come James Bond, Facebook ha un nemico potente, diabolico, difficile da individuare. Purtroppo Facebook, al contrario di Bond, non sempre vince. Il suo nemico è il suo portato generalista. Niente smoking, né Vesper Martini, solo un diluvio di notizie che nemmeno un agente segreto saprebbe decodificare. Facebook era il nostro giardino d infanzia, era l isola che non c è, ma poi un giorno è diventato anche uno strumento di comunicazione d impresa. Cosa è

19 successo? Dopotutto, mio caro Facebook, come dice la Duchessa ad Alice, in Alice nel paese delle meraviglie: non credere mai di essere altro che ciò che potrebbe sembrare ad altri che ciò che eri o avresti potuto essere non fosse altro che ciò che sei stato che sarebbe sembrato loro essere altro. [7-eleven] Nella prossima puntata: Ogni prodotto, servizio o brand ha il suo ciclo di vita. Anche i social media sembrano non essere immuni dal ticchettio del tempo e si iniziano a vedere i primi sintomi della fase di maturità. ma come? @11:00 a.m. Da #internethavinto al declino di Facebook [7-eleven] Nella puntata precedente: A cambiare sono i consumatori, il mercato, le aziende, lo scenario, la comunicazione ecc.. Quattro o cinque anni fa queste soluzioni hanno rappresentato il futuro. Servono nuovi approcci, nuove idee, per identificare nuove soluzioni. @10:00 a.m. Se #internethavinto Facebook è morto e i social media stanno male Quello con il cappotto si muove un poco sulla panchina, forse a disagio: Facebook non sa chi è non ci avevo pensato. Questa deve spiegarmela meglio!. Certo rispose l altro stringendo la valigetta come se fosse talmente ricca d idee da avere vita propria. Vede ogni Episodio 1: Ogni prodotto, servizio o brand ha il suo ciclo di vita Ogni prodotto, servizio o brand ha il suo ciclo di vita. Introduzione, sviluppo, maturità e declino scandiscono il tempo delle nostre idee e del nostro portfolio. Anche i social media sembrano non essere immuni dal ticchettio del tempo e si iniziano a vedere i primi sintomi della fase di maturità. Qualcuno di voi potrebbe dire, ma come? Ma se sono appena arrivati al grande pubblico (soprattutto in Italia). Non è tanto il prodotto in se a denotare tali caratteristiche quanto il prodotto informazione. Si, perché quello che sta accadendo è che i social network come Facebook e Twitter (Linkedin meriterebbe una discussione a parte), che, proprio in relazione alla loro esponenziale crescita in termini di base utenti, hanno moltiplicato la quantità di informazione disponibile a tal punto che: 1. Molto spesso gli utenti fanno una selezione delle informazioni a disposizione scegliendo dalle proprie liste quali utenti seguire maggiormente e quali invece no, per esempio attraverso la funzione Aggiornamenti di FB. 2. Anche senza selezionare gli aggiornamenti, spesso nella lunga timeline quotidiana, gli utenti selezionano in automatico quali notizie reputano degne di attenzione e quali no, abbassando (per difesa) il grado di attenzione nei confronti dell iperinformazione a cui sono sottoposti. Come dice Paolo Ratto nel suo post: Gli utenti fanno fatica a seguire tutti gli aggiornamenti, e, come dimostrano i dati condivisi negli ultimi giorni da Social Bakers, i contenuti pubblicati dai brand vengono captati in percentuali inferiori rispetto al passato. L algoritmo specifico che decide quali contenuti far vedere a quali utenti (si chiama EdgeRank) ha difficoltà oggettive sempre maggiori ed il fatto che Facebook lo stia modificando ultimamente ne dimostra l evoluzione. 3. Inoltre, come segnala Gianluca Diegoli: se nessuno vi si fila, su Facebook, anche lui non vi si filerà (ci tiene a tenere vivo l interesse dei SUOI utenti, in modo che non facciano altro che scorrere il feed tutto il giorno) e quindi farà vedere i vostri update al massimo al 10% dei vostri fan, cioè a pochissimi, in pratica (via wearesocial). E in generale, Facebook ritiene in media che le persone preferiscano leggere gli update dagli amici piuttosto che dalle Page a cui si iscrivono. Insomma, ci comportiamo né più né meno di come facciamo con quello che nel gergo del direct e dell email marketing si chiama spamming. Forse meno infastiditi dall invasività anche se a mio modo di vedere solo percepita ma sicuramente meno attenti e meno coinvolti per sovra-esposizione.

20 L inquinamento e il rumore di fondo è sempre stato uno dei problemi principali nel web, ed ora si è propagato anche ai Social. In questa confusione riuscire a comunicare ai propri follower/friends/list/cerchie diventa difficile e costoso in quanto legato alla loro capacità e volontà di attenzione. Ma non è che si vada profilando un quadro che abbiamo già sentito e già visto? A questo si aggiunge, come riportato da Emanuele Quintarelli, che agli utenti di Facebook interessano molto le conversazioni tra altri utenti come loro e poco quello che dicono i brand di se stessi in rete e su Facebook [7-eleven] Nella prossima puntata: Il web poggia le sue origini e forse gran parte dei suoi successi sulla coda lunga. Sulle infinite nicchie di mercato. Emergere dalla coda oggi significa farsi trovare e saper coltivare bene la propria nicchia. @12:00 a.m. #internethavinto, la coda lunga e la morte Social delle relazioni deboli [7-eleven] Nella puntata precedente: Ogni prodotto, servizio o brand ha il suo ciclo di vita. Anche i social media sembrano non essere immuni dal ticchettio del tempo e si iniziano a vedere i primi sintomi della fase di maturità. ma come? @11:00 a.m. Da #internethavinto al declino di Facebook Certo che vista così è disarmante L uomo con il cappotto guarda in basso; erba bruciata e terra. L uomo con la valigia invece guarda il traffico davanti a loro. No, non è disarmante, ma forse è necessario riflettere sul cambiamento e questo implica una serie Episodio 2: Il web, la coda lunga e la forza delle relazioni deboli Questo implica una serie di cose che sono d importanza cruciale per lo sviluppo del social media marketing, e che in qualche modo rimettono in discussione le previsioni di Massimo Marchiori nella sua intervista del 2010: Il web non sarà solo una grande biblioteca, ma una piazza di incontri: i social network lo stanno già dimostrando. Sempre come sostiene Gianluca Diegoli: Facebook non è cattivo: è come Google per ogni argomento c è solo uno che arriva in prima fila nella ricerca il miglior contenuto. E se voi, per il vostro utente, non siete in prima fila nei suoi sentimenti, Facebook gli farà vedere al posto vostro un altro update delle decine di pagine a cui è iscritto. Quale? Quello che ha più like, e quello con più interazione passata con l utente. Sono questi i link SEO di Facebook, molto semplice. Insomma, Facebook, detta in parole povere, sceglie per noi cosa è rilevante e cosa non lo è - scusate l estrema semplificazione. Il web poggia le sue origini e forse gran parte dei suoi successi sulla coda lunga; sulle infinite nicchie di mercato. C è chi ritiene questo assunto errato. Che il web sia certamente uno strumento (più) democratico che permette a tutti, in potenza, di dare un contributo al mondo della conoscenza è una questione assodata, ma, con il passare del tempo ci siamo resi conto che era una speranza, un idea, un augurio che aveva forse ragione di esistere 4-5 anni fa, quando il web aveva un audience diversa. Il principio meritocratico emerge sempre, ma, purtroppo, serve uno sforzo maggiore rispetto a prima perché l audience è cambiato e si è fatto più generico, se vogliamo anche meno raffinato. Si tratta di un audience di travaso dai mass media tradizionali ad internet e che presumibilmente non ha alcun interesse per la coda lunga neanche sul web. Oggi gli utenti di internet corrispondo per il 75-80% (dipende dai Paesi e dal grado di istruzione) a quelli della TV o di altri mass media. Non c è da stupirsi se le logiche son diventate le stesse. I media son fatti per parlare alle audience, se