La responsabilità del personale docente Fa parte degli obblighi di servizio imposti agli insegnanti quello di vigilare sugli allievi. A tal proposito, dispone l'art. 29, ultimo comma, CCNL Scuola 13.3.2013 che, per assicurare l'accoglienza e la vigilanza sugli alunni, gli insegnanti sono tenuti a trovarsi in classe cinque minuti prima dell'inizio delle lezioni e ad assistere all'uscita degli alunni medesimi. La responsabilità per l'inosservanza del predetto obbligo è disciplinata dagli artt. 2047 e 2048 c.c. Ai sensi dell'art. 2047 c.c. "in caso di danno cagionato da persona incapace di intendere e di volere, il risarcimento è dovuto da chi è tenuto alla sorveglianza dell'incapace, salvo che provi di non aver potuto impedire il fatto". Dispone l'art. 2048 c.c. che "i precettori e coloro che insegnano un mestiere o un'arte sono responsabili del danno cagionato dal fatto illecito dei loro allievi e apprendisti nel tempo in cui sono sotto la loro vigilanza. ( ) Le persone indicate dai commi precedenti sono liberate dalla responsabilità soltanto se provano di non aver potuto impedire il fatto". La differenza tra le due norme risiede nel fatto che l'autore dell'illecito sia un soggetto privo di capacità di intendere e di volere oppure sia capace. Entrambe le disposizioni pongono a carico degli insegnanti una presunzione relativa o iuris tantum di responsabilità (è, cioè, ammessa la prova liberatoria). La responsabilità extracontrattuale sussiste solo nel caso di atti dannosi compiuti dagli alunni nei confronti di terzi. Nella diversa ipotesi di danni che gli alunni procurino a loro stessi con la propria condotta, secondo una recente pronuncia della Cassazione a Sezioni Unite, la responsabilità dell'istituto scolastico e degli insegnanti è contrattuale, con conseguente applicazione del regime probatorio di cui all'art. 1218 c.c. e cioè La responsabilità contrattuale prevista dall'art. 1218 c.c. è conseguenza dell'inadempimento, cioè della mancata o inesatta esecuzione della prestazione dovuta da parte del debitore; quest'ultimo deve risarcire il danno subito dal creditore a causa del suo inadempimento. La prova liberatoria - cenni In caso di inadempimento, il debitore si libera dalla responsabilità (e, conseguentemente, dal dovere di risarcire il danno) se prova che "l'inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile" (art. 1218 c.c.). Il soggetto tenuto all'adempimento deve quindi fornire una duplice prova: 1. innanzitutto, deve provare che la prestazione è divenuta impossibile; deve trattarsi di impossibilità della prestazione in sé, oggettivamente considerata, "diventata ineseguibile da parte di qualsiasi debitore; non impossibilità di eseguirla per quel dato debitore" (GALGANO 1991, 51). La prestazione di dare una certa somma di denaro, per esempio, non può mai diventare oggettivamente impossibile, ma solo soggettivamente. 2. In secondo luogo, il debitore deve provare che tale impossibilità della prestazione è stata determinata da "causa a lui non imputabile", cioè da un evento non prevedibile né evitabile da parte del debitore. Si tratta del caso fortuito, quello che comunemente è considerato una "fatalità" (un terremoto, una valanga, una frana ecc.) o della forza maggiore, una forza a cui non si può opporre resistenza, sia essa una forza della natura (il vento ecc.) o una forza umana (il c.d. "fatto del terzo" oppure il factum principis, cioè
l'ordine della pubblica autorità per esempio, il diniego delle necessarie autorizzazioni amministrative Nelle ipotesi di responsabilità aquiliana (cioè extracontrattuale) ex artt. 2047 e 2048 c.c., l'insegnante si libera se prova di non aver potuto impedire il fatto, dimostrando, quindi, di aver esercitato la vigilanza nella misura dovuta, e che, nonostante l'adempimento di tale dovere, il fatto dannoso per la sua repentinità ed imprevedibilità gli abbia impedito un tempestivo efficace intervento; E richiesta, perciò, la dimostrazione di aver adottato in via preventiva le misure organizzative idonee ad evitare il danno (Cass. civ., sez. III, 3-2-1999, n. 916 ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto sussistente la responsabilità dell'insegnante avuto riguardo alla circostanza dell'allontanamento ingiustificato della stessa dall'aula). Al fine di valutare se il fatto è prevedibile e di conseguenza prevenibile, si ha riguardo anche alla sua ripetitività o regolarità statistica, non astrattamente intesa, ma correlata al particolare ambiente di cui si tratta, sulla base della ragionevole prospettazione secondo cui determinati eventi, già verificatisi in certe condizioni, possono ripetersi al riprodursi di queste. È stata, per esempio, ritenuta sussistere la responsabilità del Ministero della Pubblica Istruzione, per le lesioni subite dall'alunno di una scuola causate dal lancio da parte di un suo compagno di una pallina di carta che lo aveva poi colpito all'occhio. Il giudice, nell'affermare la prevedibilità dell'evento, ha tenuto conto del fatto che precedentemente si erano già verificati episodi analoghi in quella scuola e della situazione di indisciplina della classe (Cass., sez. I, 2-12-1996, n. 10723). L'obbligo di vigilanza, poi, va inteso in senso relativo e non assoluto; il suo contenuto e i suoi limiti devono cioè essere correlati all'età e al grado di maturazione degli alunni, di modo che con l'avvicinarsi di costoro all'età del pieno discernimento, il suo esercizio non richiede la continua presenza degli insegnanti, purché siano adottate le più elementari misure organizzativa dirette a mantenere la disciplina tra gli allievi (Trib. Roma, 17-2-2003; Trib. Milano, 28-6-1999; Cass., sez. III, 23-6-1993, n. 6937). Le misure organizzative da adottare sono dunque variabili in dipendenza delle circostanze di tempo, di luogo e dell'attività da svolgere (un conto è la vigilanza in aula durante l'attività didattica, che normalmente si svolge con gli la presenza dell'insegnante e gli alunni ai propri banchi, altro è la vigilanza quando gli alunni sono "in movimento", perché ad es. accedono ai bagni o al cortile durante l'intervallo; altro ancora allorché il "movimento" sia esterno alla scuola, come avviene nelle gite scolastiche e nelle uscite didattiche) nonché dell'età e della maturazione degli alunni. Si è ritenuto, inoltre, che l'obbligo di vigilanza abbia rilievo primario rispetto agli altri obblighi di servizio e che, conseguentemente, in ipotesi di concorrenza di più obblighi derivanti dal rapporto di servizio e di una situazione di incompatibilità per l'osservanza degli stessi, non consentendo circostanze oggettive di tempo e di luogo il loro contemporaneo adempimento, il docente deve scegliere di adempiere il dovere di vigilanza (Corte Conti, sez. I, 24-9-1984, n. 172). A proposito della durata dell'obbligo di vigilanza, si ritiene che esso sussista in capo alle autorità scolastiche per tutto il tempo in cui gli allievi vengono a trovarsi legittimamente all'interno della scuola fino al loro effettivo licenziamento; ricorre pertanto la responsabilità per le lesioni subite dagli alunni nell'ambito dell'edificio scolastico, anche nel caso in cui il fatto si sia verificato al di fuori dell'orario delle lezioni, ove ne sia consentito l'anticipato ingresso nella scuola o la successiva sosta (Cass., sez. III, 19-2-1994, n. 1623). In applicazione di tale principio, l'affidamento di un minore da parte dei genitori ad un istituto scolastico implica, per questo e per chi agisce su suo incarico, l'obbligo di vigilare il minore,
controllando, con la dovuta diligenza e l'attenzione richiesta dall'età e dal grado di maturazione fisico-psichica, che questi non venga a trovarsi in situazioni di pericolo con conseguente possibilità di pregiudizio per la sua incolumità; tale sorveglianza deve essere esercitata dal momento iniziale dell'affidamento fino al subentro, almeno potenziale, dei genitori o di persone da questi incaricate (Cass., sez. I, 30-3-1999, n. 3074, la quale ha confermato la sentenza di merito che aveva condannato un istituto tecnico statale al risarcimento dei danni subiti da un minore che, uscito anticipatamente dalla scuola per l'assenza dell'insegnante che avrebbe dovuto tenere lezione nell'ultima ora, era stato accoltellato da alcuni giovani rimasti sconosciuti); non possono costituire esimenti dalla responsabilità della scuola le eventuali disposizioni date dai genitori (come ad esempio, quella di lasciare il minore senza vigilanza in un certo luogo) potenzialmente pericolose per il minore, derivandone, ove attuate, una situazione di possibile pregiudizio per l'incolumità dello stesso (Cass., 5-9-1986, n. 5424). Dai principi ora esposti deriva l'inopportunità di adottare disposizioni interne all'istituto scolastico finalizzate a richiedere ai genitori degli allievi la "autorizzazione" al ritorno a casa di questi ultimi non accompagnati da persona maggiorenne. Tali autorizzazioni, infatti, non costituiscono causa esimente la responsabilità dell'istituto scolastico per le lesioni eventualmente riportate dall'allievo dopo l'uscita da scuola, ma sono prova della consapevolezza da parte dell'amministrazione e dei suoi organi di detta modalità di uscita da scuola degli alunni, risolvendosi così in un'implicita ammissione dell'omissione di sorveglianza sugli stessi. Al fine di rispettare il dovere di vigilanza sugli allievi, l'istituto scolastico può adottare i seguenti comportamenti: a) la formale dichiarazione (ad, esempio, attraverso circolari alle famiglie) di non accettare autorizzazioni all'uscita degli alunni non accompagnati; b) il coinvolgimento della Amministrazione locale diretto alla più idonea organizzazione del servizio di trasporto scolastico; c) la previsione e gestione di attività didattiche o ricreative complementari o integrative, ovvero di servizi di semplice post-accoglienza degli alunni. Sul piano giuridico, tale atteggiamento degli organi dell'istituto scolastico si può considerare congruo e, pertanto, difendibile eventualmente anche sul terreno giudiziario. Analogamente, la necessità di garantire la vigilanza sugli alunni negli altri momenti della vita a scuola (certamente più caratterizzanti di quanto non sia il momento dell'uscita da scuola) deve diventare uno degli elementi da valutare nella pianificazione generale dell'organizzazione, pur senza che tale aspetto diventi "psicologicamente" prevalente. La responsabilità del dirigente scolastico Il capo d'istituto è titolare di funzioni di carattere amministrativo: fra i suoi obblighi di servizio non è compreso il dovere di vigilanza sugli allievi. Si è sempre ritenuto, infatti, che in tema di responsabilità del precettore per le lesioni subite dall'allievo nel tempo in cui è a lui affidato, il capo d'istituto per la sua attività meramente organizzativa e di controllo sugli operatori scolastici non possa essere considerato come un precettore, bensì come un organo interno all'amministrazione scolastica. (Cass., sez. III, 10-6- 1994, n. 5663; Cass., sez. III, 26-4-1996, n. 3888; Corte Conti, sez. I, 15-9-1990, n. 174). Il dirigente scolastico, avendo compiti di organizzazione e controllo, può essere responsabile a diverso titolo: egli è, infatti, obbligato a garantire la sicurezza della scuola, al fine di evitare possibili fonti di rischio, provvedendo al riguardo in modo appropriato (si tratta di un obbligo di mezzi e non di risultato, nel senso che il capo d'istituto è tenuto ad adottare i provvedimenti di propria competenza o, se del caso, a richiedere l'intervento di altri organi competenti).
La responsabilità del dirigente scolastico può rientrare alternativamente nella previsione dell'art. 2043 c.c. (per esempio, in caso di danni dovuti a deficienze organizzative imputabili allo stesso) oppure dell'art. 2051 c.c. (in caso di danni causati da cose in custodia). La prima ipotesi ricorre, ad esempio, qualora il capo d'istituto non predisponga soluzioni idonee ad impedire il verificarsi di eventi dannosi durante i cambi di turno tra i professori, affinché sia assicurata la continuità della vigilanza nelle classi (Tribunale Catania, 15-11-1990). Per quanto riguarda la seconda ipotesi di responsabilità, il capo d'istituto è considerato come custode delle attrezzature scolastiche ai sensi e per gli effetti dell'art. 2051 c.c., mancando una norma che attribuisca ad un diverso soggetto lo specifico potere di custodia delle stesse; al dirigente scolastico è attribuita, inoltre, a causa degli ampi poteri gestionali e operativi di cui è titolare e del potere giuridico di disporre dell'edificio scolastico, la disponibilità di fatto e giuridica delle attrezzature scolastiche, mentre gli insegnanti hanno un potere di fatto limitato e controllato sulle stesse. Sul fondamento di questi principi, il dirigente scolastico è tenuto ad adottare tutte le misure idonee ad evitare eventi dannosi; qualora la situazione di pericolo derivi dalla presenza di una attrezzatura (sono frequentemente causati danni dall'utilizzazione di scivoli o altri giochi da giardino non adeguatamente installati od oggettivamente pericolosi), non può essere considerata cautela sufficiente ad escludere la responsabilità per il danno derivante dall'uso di tale attrezzatura il divieto impartito agli insegnanti di permetterne l'utilizzazione agli allievi, se non è accompagnato dai provvedimenti necessari per sottrarre al personale docente l'attrezzatura ed impedirne così l'uso agli allievi (Cass., sez. III, 28-8-1995, n. 9047; Cass. 6-6-1989). La responsabilità del personale amministrativo In senso tecnico, il personale ausiliario della scuola non ricopre la qualifica di "precettore". Si deve osservare, tuttavia, che nel profilo professionale dei collaboratori scolastici rientrano anche compiti di vigilanza degli alunni. La contrattazione collettiva (tabella A profili di area del personale ATA del CCNL 13.3.2013) attribuisce al personale ATA AREA A/B il compito di sorvegliare gli allievi limitatamente al caso di momentanea assenza degli insegnanti. Per riconoscere l'esistenza di tale responsabilità, si ha riguardo al concreto affidamento dei compiti di sorveglianza, prescindendo dall'individuazione delle mansioni legittimamente inerenti al profilo professionale. L'identificazione dei soggetti (responsabile e danneggiato) Si riprendono sul versante per così dire processuale alcuni concetti affrontati discutendo in generale il tema della responsabilità. La responsabilità di maestri e precettori è disciplinata in via generale dall'art. 2048, comma 2 del codice civile, ai sensi del quale "i precettori e coloro che insegnano un mestiere o un'arte sono responsabili del danno cagionato dal fatto illecito dei loro allievi e apprendisti nel tempo in cui sono stati sotto la loro vigilanza". Tale disposizione va coordinata con il disposto del comma 1 dell'art. 2047 c.c., che, disciplinando la responsabilità per i fatti commessi da incapaci (minori, interdetti, inabilitati) statuisce: "in caso di danno cagionato da persona incapace di intendere o di volere, il risarcimento è dovuto da chi è tenuto alla sorveglianza dell'incapace, salvo che provi di non aver potuto impedire il fatto."
La responsabilità per gli atti illeciti posti in essere dal personale docente è direttamente riferibile allo Stato e non ai singoli istituti scolastici dove si è verificato l'evento causativo del danno. L'amministrazione, infatti, si surroga al personale nelle cause intentate per l'accertamento della responsabilità civile del personale docente connesso all'omesso esercizio del dovere di vigilanza sugli alunni, salva la possibilità di esercitare l'azione di rivalsa nei confronti del dipendente nei casi di dolo o colpa grave nell'esercizio del potere di vigilanza. La responsabilità diretta del personale direttivo, docente, educativo e non docente della scuola materna, secondaria e artistica dello Stato e delle istituzioni educative statali è disciplinata dall'art. 61 della legge 11 luglio 1980 n. 312, ai sensi del quale la responsabilità del dipendente, quando riguardi danni arrecati direttamente all'amministrazione in connessione a comportamenti degli alunni, è limitata ai soli casi di dolo o colpa grave nell'esercizio della vigilanza sugli alunni stessi. Tale limitazione si applica alla responsabilità del personale verso l'amministrazione che deve risarcire il terzo per i danni subiti a causa del comportamento degli alunni sottoposti a vigilanza, nel senso che solo in caso di dolo o colpa grave l'amministrazione può esercitare l'azione di rivalsa nei confronti del dipendente per ottenere il ristoro delle somme corrisposte a titolo di risarcimento del danno in seguito all'infortunio scolastico. Il danneggiato (il minore che viene rappresentato dai genitori o da chi esercita la potestà) pertanto ha sempre azione nei confronti dello Stato per i fatti che coinvolgano la responsabilità dell'insegnante, mentre l'azione di rivalsa dello Stato nei confronti dell'insegnante azione da esercitarsi dopo il risarcimento del danno, sia che questo sia stato liquidato in via transattiva dalla compagnia assicuratrice sia che sia stato determinato dal giudice all'esito della causa - è subordinata alla sussistenza in capo a quest'ultimo di dolo o colpa grave nell'esercizio del potere di vigilanza sull'alunno. Sulla base dei principi ora ricordati il soggetto legittimato passivo in ordine alle controversie in questione è il MIUR e non l'istituzione scolastica presso la quale si è verificato il fatto né il dipendente la cui condotta è dedotta come causa del danno. Si ricorda in proposito l'orientamento giurisprudenziale consolidatosi in relazione ad infortuni coinvolgenti istituzioni scolastiche già dotate di personalità giuridica prima della riforma del 1999: "il personale docente degli istituti statali di istruzione che costituiscono organi dello Stato muniti di personalità giuridica ed inseriti nell'organizzazione statale si trova in rapporto organico con l'amministrazione della pubblica istruzione e non con i singoli istituti, dotati di mera autonomia amministrativa"; "ne consegue che in caso di danni subiti da un allievo ed ascrivibili al personale docente, legittimato passivo nel giudizio di risarcimento è il Ministero della pubblica Istruzione e non l'istituto" (fra le tante, Cassazione civile, III, 7 ottobre 1997, n. 9742; Cassazione civile, III, 7 novembre 2000, n. 14484; Cassazione civile, III, 21 settembre 2000, n. 12501; Cassazione civile, III, 4 dicembre 2002, n. 17195). Sul punto, si ricorda la circolare MIUR 19 maggio 2003 che comunica l'orientamento espresso con parere del Comitato Consultivo dall'avvocatura generale dello Stato: l'avvocatura dello Stato ha infatti ritenuto che, non avendo la riforma dell'organizzazione scolastica modificato il presupposto rilevante al fine di identificare il soggetto legittimato alle pretese in questione e cioè la dipendenza organica dallo Stato del personale che opera nelle scuole, debba tuttora ritenersi che il giusto contraddittore nelle predette cause sia il MIUR. Pacifico inoltre il difetto di legittimazione passiva del personale (in genere l'insegnante): "L'insegnante della scuola pubblica è privo di legittimazione passiva nel giudizio avete ad oggetto il risarcimento dei danni subiti da un allievo imputabili a culpa in vigilando dell'insegnate stesso, unico legittimato essendo il Ministero della Pubblica Istruzione ai sensi dell'art. 61 L. 11 luglio 1980, n. 312" (Cassazione civile, III, 16 luglio 1997, n 7517Cass.azione SS.UU., 27 giugno 2002, n. 9346).
La prova di non aver potuto impedire il fatto Il presupposto per l'accertamento della responsabilità per omessa vigilanza è costituito dall'accertamento della responsabilità di colui che è preposto alla vigilanza e che non ha impedito il verificarsi dell'evento dannoso, pur dovendolo e potendolo fare. È questo il senso dell'art. 2048, comma 3 c.c. (identica è la disciplina in base all'art. 2047 c.c.), laddove stabilisce che: "Le persone indicate dai commi precedenti sono liberate dalla responsabilità soltanto se provano di non aver potuto impedire il fatto". Due le conseguenze che derivano dalla norma richiamata: 1) la prova di "non avere potuto impedire il fatto" non spetta al danneggiato, ma al convenuto (e dunque all'amministrazione scolastica); 2) ove tale prova non venga assolta, la responsabilità ne risulta accertata. Quanto al contenuto effettivo di tale prova, essa può essere fornita dimostrando che l'incidente è di per sé tale per natura, circostanze, tempo, luogo e modo in cui si è verificato, che non avrebbe potuto essere evitato in maniera alcuna, neppure adottando le più scrupolose precauzioni. E' evidente che poter fornire la prova negativa di non aver potuto impedire il fatto dipende non solo dalla corretta organizzazione dei tempi, dei luoghi e dei modi con cui svolgere le attività didattiche, ma anche dell'accurata ricostruzione di quanto avvenuto. Ancora più stringente è la disciplina nei casi in cui il danneggiato invochi la responsabilità contrattuale di cui all'art. 1218 c.c. dell'amministrazione per non avere evitato che durante il tempo in cui il minore è sotto la vigilanza dell'amministrazione scolastica questi si procurasse danno (spesso i due titoli di responsabilità vengono evocati congiuntamente). La prova liberatoria che il debitore deve fornire per "liberarsi" della responsabilità contrattuale consiste nel provare che l'inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile (si veda supra, La responsabilità contrattuale -L'inadempimento- La prova liberatoria).