PASSI DI VANGELO (Mc 11, 1-11) QUARTA DOMENICA DI AVVENTO B 1 Quando furono vicini a Gerusalemme, verso Bètfage e Betània, presso il monte degli Ulivi, mandò due dei suoi discepoli 2 e disse loro: «Andate nel villaggio di fronte a voi e subito, entrando in esso, troverete un puledro legato, sul quale nessuno è ancora salito. Slegatelo e portatelo qui. 3 E se qualcuno vi dirà: Perché fate questo?, rispondete: Il Signore ne ha bisogno, ma lo rimanderà qui subito». 4 Andarono e trovarono un puledro legato vicino a una porta, fuori sulla strada, e lo slegarono. 5 Alcuni dei presenti dissero loro: Perché slegate questo puledro?. 6 Ed essi risposero loro come aveva detto Gesù. E li lasciarono fare. 7 Portarono il puledro da Gesù, vi gettarono sopra i loro mantelli ed egli vi salì sopra. 8 Molti stendevano i propri mantelli sulla strada, altri invece delle fronde, tagliate nei campi. 9 Quelli che precedevano e quelli che seguivano, gridavano: Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! 10 Benedetto il Regno che viene, del nostro padre Davide! Osanna nel più alto dei cieli!. 11 Ed entrò a Gerusalemme, nel tempio. E dopo aver guardato ogni cosa attorno, essendo ormai l ora tarda, uscì con i Dodici verso Betània. 1. Lecito La pagina dell ingresso di Gesù a Gerusalemme che ascoltiamo in questa quarta domenica di Avvento ci mostra l incedere di un insolito quanto improbabile re mite, che sceglie con cura la sua cavalcatura e non guarda con sufficienza e fastidio alle manifestazioni semplici della gente del popolo che stende mantelli e sventola rami di ulivo e di palme. Il suo stile è mite anche nel prendere ciò di cui ha bisogno: lo rimanderà qui subito, è scritto! Nessun possesso, nessun dominio, nessun potere violentemente imposto! Chi mangia alla mensa di questo re mite ne assimila lo stile. Proviamo a vederne i tratti caratteristici. 1) Anzitutto l uso dei verbi legare/slegare (vv. 2-5): è detto dell asino che è legato e che nessuno ha mai cavalcato, e che i discepoli slegano per ordine di Gesù. Legare (δέω) in coppia con slegare (λύω) ricorre altre volte nei Vangeli: in Gv 11,44 attribuito a Lazzaro (Il morto uscì, i piedi e le mani legati con bende, e il viso avvolto da un sudario. Gesù disse loro: Liberatelo e lasciatelo andare ), in Lc 13,16 attribuito alla donna curva ( E questa figlia di Abramo, che Satana ha tenuto prigioniera per ben diciotto anni, non doveva essere liberata da questo legame nel giorno di sabato? ), in Mt 16,19 attribuito a Pietro ( A te darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli ) e in Mt 18,18 attribuito a tutti i discepoli ( In verità io vi dico: tutto quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo, e tutto quello che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo ) da leggere sempre insieme perché dice appunto lo stile della missione della Chiesa che consiste nello sciogliere ciò che è legato, per condurlo da Gesù. 1
Noi viviamo di legami. Ma ce ne sono di quelli che schiavizzano, che mortificano, che immobilizzano. E ce ne sono invece di quelli che liberano, che allietano, che incoraggiano. 2) Il nostro passo di Vangelo, poi, insiste sull importanza della preparazione: Gesù prepara accuratamente questo gesto profetico così come tra poco preparerà il luogo dove mangiare la Pasqua con i suoi discepoli (Mc 14, 12-16: 12 Il primo giorno degli Azzimi, quando si immolava la Pasqua, i suoi discepoli gli dissero: Dove vuoi che andiamo a preparare, perché tu possa mangiare la Pasqua?. 13 Allora mandò due dei suoi discepoli, dicendo loro: Andate in città e vi verrà incontro un uomo con una brocca d acqua; seguitelo. 14 Là dove entrerà, dite al padrone di casa: Il Maestro dice: Dov è la mia stanza, in cui io possa mangiare la Pasqua con i miei discepoli?. 15 Egli vi mostrerà al piano superiore una grande sala, arredata e già pronta; lì preparate la cena per noi. 16 I discepoli andarono e, entrati in città, trovarono come aveva detto loro e prepararono la Pasqua). La scelta di Gesù cade su un asino, anzi su un πῶλος (ovvero un puledro, un cucciolo d asina!) invece che su un cavallo di razza. Gesù dice che ne ha bisogno, ma senza alcuna volontà di impadronirsene, di dominare (v. 3: Il Signore ne ha bisogno, ma lo rimanderà qui subito). Il termine viene ripetuto nel brano ben quattro volte, segno di una scelta ben precisa. Poi tra i testi profetici messianici a disposizione, sceglie quello relativo all avvento di un re mite e pacifico: Zc 9,9 (Esulta grandemente, figlia di Sion, giubila, figlia di Gerusalemme! Ecco, a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino, un puledro figlio d asina). Ecco, Gesù prepara accuratamente la sua entrata in Gerusalemme, così come preparerà accuratamente la Cena pasquale, chiedendo in prestito l asinello e la sala. «Questi due dettagli, quanto mai evangelici, dicono la radicale povertà di questo re: non ha nulla. Non ha un luogo su cui posare il capo, nel quale condividere la festa, non ha un luogo ove finire i suoi giorni. Nulla. È il re senza nulla che ha dovuto prendere a prestito (e restituire) il bene altrui per fare la sua parte fino alla fine. Quando la morte arriverà, non avrà più nulla da portarsi via, perché egli aveva scelto di vivere senza averi e solamente grazie all aiuto provvisorio di beni presi a prestito» (ÉLIAN CUVILLIER, Evangelo secondo Marco, Quqajon, Bose, 2011, p. 327). Gesù si mostra qui quale divino mendicante : noi immaginiamo sempre un Dio che viene per arricchirci con i suoi doni, che viene a portare i regali (non è così che educhiamo i nostri bimbi?), e invece Dio, in Gesù, viene come mendicante che ha bisogno del nostro dono! Cfr. 2Cor 8,9: Conoscete infatti la grazia del Signore nostro Gesù Cristo: da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà. 3) La folla (vv. 9-10) acclama usando le parole dei Salmi: Sal 118,25-26 ( 25 Ti preghiamo, Signore: dona la salvezza! Ti preghiamo, Signore: dona la vittoria! 26 Benedetto colui che viene nel nome del Signore. Vi benediciamo dalla casa del Signore) e Sal 148,1 (Lodate il Signore dai cieli, lodatelo nell alto dei cieli). Ma a questa acclamazione piena di entusiasmo, che richiama l intronizzazione del re Ieu ad opera del profeta Eliseo, al posto dell inetto re Acaz e della perfida Regina Gezabele, in 2Re 9,13 (Allora si affrettarono e presero ciascuno il proprio mantello e lo stesero sui gradini sotto di lui, suonarono il corno e gridarono: Ieu è re ), Gesù risponde ironicamente con la scelta di uscire e andare a Betania dove avverrà l unzione regale che gli piace davvero (Mc 14, 1-9)! «All attesa messianica espressa dalle folle, Marco contrappone la costatazione del calar della sera; alla motivazione che spinge le folle, per la quale Gesù dovrebbe prendere possesso del santuario, l evangelista sembra opporre una ragione di second ordine per giustificare la sua uscita di scena: è tempo di andare a coricarsi! Come se nulla di essenziale potesse ormai accadere, per la salvezza e la 2
speranza della folla, a Gerusalemme e al tempio. Questo sembra trovare conferma se si prende atto della destinazione di Gesù e dei dodici: Betania. Il seguito del racconto lo mostrerà: non è a Gerusalemme, ma a Betania che il Messia sarà unto con un unzione per lo meno paradossale. Gesù tiene conto che in questa acclamazione vi è una speranza di liberazione, per quanto ambigua. Perché egli è vicino a quanti patiscono una schiavitù, di qualunque tipo, è vicino a coloro che sperano e che cercano, è vicino a coloro che sono tormentati da un vuoto. Gesù capisce le aspettative della folla, non le sconfessa. Sa che sono espressione di una sofferenza. Eppure non le esaudisce. All ingresso trionfale, all aspirazione delle folle Gesù risponde guardandosi attorno e uscendo, come se il sopraggiungere della sera fosse sufficiente per porre fine a quella speranza illusoria di un domani felice. Non si lascia strumentalizzare neanche per una giusta causa. E questo non è certo un piccolo scandalo da quelli suscitati da quest uomo libero, che non si schiera a favore del popolo oppresso, del popolo che ha subito l invasione. Questo episodio contiene una parola di speranza accompagnata da una provocazione fondamentale: la presenza di Cristo non è legata all ortodossia delle dottrine o alla coerenza dell impegno; essa è risposta al desiderio di un incontro, all attesa di una fede, alla speranza di una liberazione. Ma questa presenza non significa che Gesù avalli, anche solo in minima parte, le scelte o le opinioni di coloro ai quali va incontro. La sua presenza invita a mettersi in cammino e a passare dalla Gerusalemme delle nostre aspirazioni di liberazione messianica alla Betania dell unzione di un corpo che sta andando alla morte» (ÉLIAN CUVILLIER, Evangelo secondo Marco, Quqajon, Bose, 2011, pp. 328-330). 2. Meditatio «La mitezza nei pensieri, nelle parole e nelle azioni niente di amaro, niente di violento, niente di duro essere come miele, come aria leggera e balsamica, come velluto, essere qualcosa di tenero, di rinfrescante, di consolante, di soave per tutti gli uomini: è uno dei doveri imposti dalla carità verso gli uomini» (CHARLES DE FOUCAULD, Opere spirituali, Paoline, Milano, 1983, p. 206). Per diventare persone non violente, miti, il passo evangelico in esame ci suggerisce questo itinerario. 1) Anzitutto bisogna lasciarsi sciogliere. Essere rigidi, maniaci del legalismo, imbrigliati non aiuta certamente ad essere dolci, leggeri, vellutati, teneri, soavi. Bisogna lasciarsi prendere da Gesù, il quale scioglie la nostra umanità, la addolcisce, la ammorbidisce, la rende dinamica e leggera. Uno dei segni che noi siamo stati afferrati da Cristo è la scioltezza con cui viviamo tutto della nostra vita. Essere invece pesanti e appesantire sugli altri è segno che non ci siamo lasciati afferrare pienamente da Cristo, che qualcosa ancora in noi resiste alla sua venuta. Bisogna deporre ogni rigidità, ogni durezza, ogni asprezza cfr. Ef 4,31: «Scompaiano da voi ogni asprezza, sdegno, ira, grida e maldicenze con ogni sorta di malignità». 2) Poi non bisogna vergognarsi di avere bisogno, alla scuola del divino mendicante che è Gesù. Ci ricorda PAPA BENEDETTO XVI, Omelia, Natale 2006: «Il segno di Dio è che Egli si fa piccolo per noi. È questo il suo modo di regnare. Egli non viene con potenza e grandiosità esterne. Egli viene come bambino inerme e bisognoso del nostro aiuto. Non vuole sopraffarci con la forza. Ci toglie la paura della sua grandezza. Egli chiede il nostro amore: perciò si fa bambino. Nient altro vuole da noi se non il nostro amore, mediante il quale impariamo spontaneamente ad entrare nei suoi sentimenti, nel suo pensiero e nella sua volontà impariamo a vivere con Lui e a praticare con Lui anche l umiltà della rinuncia che fa parte dell essenza dell amore. Dio si è fatto piccolo affinché noi potessimo comprenderlo, accoglierlo, amarlo». 3
Vedete, come dice il Salmo, il Signore «non fa conto del vigore del cavallo, non apprezza l agile corsa dell uomo» (Sal 147,10). Appunto, non devi essere un cavallo di razza perché il Signore ti noti, perché si accorga che ci sei. Non devi aspettare di essere pronto (per quanto sia importantissima la preparazione!), o di essere grande per deciderti di donarti, di fare dono di te. Al Signore basta un cucciolo d asina! Santa TERESA DI GESÙ BAMBINO E DEL VOLTO SANTO, scrisse per la ricreazione del Natale 1895 nel Carmelo di Lisieux, un simpatico testo teatrale dal titolo: Il piccolo mendicante di Natale, mettendo sulle labbra di un Angelo del Signore queste parole: «Nel nome di Colui che adoro, sorelle mie, vengo a tender la mano e a cantare per il divin Bambino, perché non può ancora parlare! Per Gesù, l esiliato dal cielo, non ho trovato al mondo che una profonda indifferenza; per questo vengo al Carmelo. Sempre, mai sempre, le vostre carezze, e lodi, e tenerezze, siano per il Bambinello! Bruciate d amore, anime accese; ché un Dio s è fatto mortale per voi. Stupendo mistero: chi vien mendicando è l eterno Verbo! Sorelle mie, non temete, avvicinatevi, ed una ad una offrite a Gesù il vostro amore; saprete la sua santa volontà. V insegnerò ciò che più brama il Bambinello in fasce, a voi che, pure come gli Angeli, avete in più che potete soffrire. Sempre, mai sempre, il vostro patire, e le gioie, siano per il Bambinello! Ardete d amore, anime accese; ché un Dio s è fatto mortale per voi. Stupendo mistero; chi vien mendicando è il Verbo eterno! ( ) Gesù Bambino vi ringrazia, allietato dai vostri doni. Così, nel suo libro della vita, li iscrive con i vostri nomi. Gesù ha trovato delle delizie in questo Carmelo; e per ricompensarvi dei sacrifici ha il suo bel cielo! Se sarete sempre fedeli nel contentare il dolce Tesoro, l amore vi darà le ali per un volo dallo slancio sublime. E un giorno, nella santa Patria, dopo l esilio, vedrete Gesù e Maria. Così sia». La persona mite, non violenta, sa chiedere e sa donare; non sgomita per farsi notare, non scavalca gli altri per arrivare prima. Il suo modo di stare al mondo è estremamente leggero, ha ali per slanci sublimi, non si ingarbuglia nei meandri contorti delle rivendicazioni, delle ripicche, delle insoddisfazioni. Non misura se dona di più, e non pretende di essere ricambiata. Si prepara a dovere, senza nessuna pretesa di perfezione. Chiede l aiuto degli altri, che apprezza; corregge senza mortificare; è lieta di ricevere una osservazione, e la sa valorizzare anche se viene formulata in maniera aggressiva, senza rispondere per le rime. È piccola, non spaventa con la sua grandezza, e non intimorisce con la sua forza. Soprattutto è contenta di portare sulle sue spalle il Signore dell Universo! 3) Infine, la persona mite non cavalca l onda del successo, dell acclamazione. Sa che è necessario dirottare altrove lo sguardo e le attese della gente. Soprattutto è persuaso che non è lì che trova l alimento per la propria crescita. Non si entusiasma per fuochi di paglia, ma va alla ricerca di terreni sostanziosi dove affondare le radici. All audience, alla ribalta, al successo, alla fama preferisce il nascondimento della casa di poveri amici (Betania), il profumo discreto dell amicizia sincera, la fragranza della bontà del pane appena sfornato dal fuoco dell amore semplice (Betlemme). Cose tutte che hanno a che fare più con il nascondimento e la monotonia della ferialità della vita che dell eccezionalità del momento. 3. Contemplatio: Gioie venute dal monte (estratto di un testo pubblicato nel 1947, oggi in MADELEINE DELBRÊL, La gioia di credere, Gribaudi, Torino, 1988, pp. 46-47) Beati i miti perché possederanno la terra. 4 Essere miti: è accettare di accogliere in noi la tua visita senza apriorismi, senza illusioni.
È offrirti un cuore così spoglio di preferenze e di abitudini, così docile al tuo buon volere che i tuoi gesti vi si facciano senza incontrare resistenza. Perché per compiere la tua opera sulla terra tu non hai bisogno delle nostre azioni sensazionali, ma d un certo volume di sottomissione d un certo grado di arrendevolezza d un certo peso di cieco abbandono situato non importa dove tra la folla degli uomini. E se in un sol cuore si trovassero congiunti tutto questo peso di abbandono questa sottomissione e questa arrendevolezza, l aspetto del mondo cambierebbe, certamente. Perché questo solo cuore ti aprirebbe la strada, diverrebbe la breccia per la tua invasione, il punto debole dove cederebbe la rivolta universale. Un cuore mite è lungo da fare. Si fa secondo per secondo, minuto per minuto, giorno per giorno. Come fa il filo di lana morbido e soffice, punto dopo punto, la maglia sui ferri che lo guidano, così le fibre del nostro cuore mosse dal tuo volere diventano agili e miti. In questa conversazione ove il nostro silenzio accoglie la parola d un altro e il nostro pensiero s inchina dinanzi ad altri pensieri; in queste cose inerti che sembrano volerci urtare: la penna che scrive male, il caldo che ci affatica o il freddo che c inghiotte; in questi giudizi su di noi, nei quali mal riconosciamo il nostro volto; in questi piccoli o grandi dolori che ci rodono dentro, lungo i nervi, nel profondo, lasciamo scorrere la nostra vita. Lasciamo succedersi i minuti, uno dopo l altro, maglia dopo maglia nel filo provvidenziale con cui tu avvolgi tutto quanto è tuo, Agnello, dominatore della terra. 5