Sara Fazzin Rebirth
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A chi c era, giorno dopo giorno. Ai nuovi sogni, A Fabio e Sofia Vittoria.
Cerchio tra le pieghe della vita tra i sussulti di un cuore che solo ora conosce la pace Amore che non ha fine che non conosce contraddizioni paure sacrifici desideri Un cerchio che ora fa parte di noi per nostra scelta per inguaribile volontà di crescere Silenziose anime che giocano fino alla fine dei giorni e molto più di questo Un unico sogno Un unico respiro Un unica mente per fare di me e te l essenza della vita F. MOSCHINI
Mai avrei pensato che il mondo esistesse in questo modo. L unione indissolubile di bene e male, amore e malvagità. Senza che l una possa prevaricare l altra. Ma cosa fare quando il male più assoluto vuole tutto ciò che hai? Lotti. Lotti fino alla morte. Se solo avessi sospettato! Se solo avessi osato sperare di poter comprendere, un giorno. Ora era chiaro. L amore mi aveva inghiottita. Come un enorme buco nero, tirava a sé il mio universo senza curarsi delle conseguenze del suo passaggio. Non potevo farci nulla. L avrei seguito anche se la sua forza non fosse stata così irresistibile. L avrei seguito, perché dovevo. Quel buco nero aveva un nome, e l anima più bella che avesse popolato la terra. Poco importava delle circostanze misteriose che ci avevano fatto incontrare o del pericolo che incombeva sulle nostre famiglie. A nulla valeva il pensiero della fine. Mi bastava essere lì, parte di lui. Al resto avrei pensato dopo. Dopo averlo salvato.
1. AUTO Non è un giorno qualsiasi questo, eppure tutto sembra uguale. Come al solito di ritorno da scuola, uno scoiattolo vicino alla finestra della cucina, il silenzio del bosco dietro casa. E una familiare inquietudine che attanaglia il mio cuore. Perché, mamma? Perché. Era tutto ciò che riuscivo a concedermi ogni volta che quel pensiero - il pensiero di lei - mi occupava la mente, tirandone fuori un dolore sordo ed antico. Un dolore che conoscevo bene e che avevo richiuso a forza in un cassetto del mio cuore, un giro di chiave a doppia mandata. Era di nuovo il suo compleanno, il 16 gennaio. E come ogni anno da quando sono in grado di ricordare, nevica. Non una bufera, solo dei fiocchi gentili che cadono lenti sulle case e sugli alberi. Una promessa di pace che poco si addice al mio umore. «Lily, ci sei?» «Sì, papà». Avrei fatto una pausa per riprendere fiato. Quanta fatica richiedeva mantenere un certo contegno. «Faccio una doccia e possiamo andare». Non sarei riuscita a dirgli di più prima che l angoscia mi assalisse definitivamente anche in quel rifugio. Mia madre non l ho mai conosciuta. Papà parla raramente di lei, e in quelle occasioni sembra così rapito da ricordi felici che mi pare un delitto uccidere la sua gioia, seppur momentanea, con delle domande. O dei mugugni. Di lei
so solo che si chiamava Liz, o meglio Elizabeth. In casa ero riuscita a trovare qualche foto consumata, di tanti anni prima, ed era stato proprio in quell occasione che le fantasie di bambina si sarebbero scontrate con la realtà. In quei frammenti di vita lei era finalmente vera, era più di qualche racconto, davanti al camino acceso, su quanto fosse straordinariamente bella, con i capelli castano dorati mossi sulle spalle e dei lineamenti eleganti. Quelle foto l avevano resa reale per me, benché papà avesse ragione nel ricordarla con un espressione angelica e dolce che pareva confortare chiunque posasse lo sguardo su di lei. Beato lui che l aveva avuta, questa fortuna. Potrebbe risultare un ovvietà, è che a me manca da impazzire. Avrei voluto sentire la sua voce almeno una volta ed essere capace di ricordarmene, respirare il suo profumo. Ridere con lei, svegliarla al mattino saltando improvvisamente sul suo letto e piangere tra le sue braccia. Insomma, fare tutte quelle cose che le bambine si concedono solo con la propria madre. Più di tutto mi mancano i ricordi. Non che a mia sorella sia andata tanto meglio, intendiamoci. In fondo aveva appena due anni quando la mamma ci lasciò, poco dopo la mia nascita. Era ugualmente piccola, ma a lei sembra non importare, almeno non quanto a me. Aveva presto imparato a colmare quel vuoto con shopping sfrenato e, quando questo non le era bastato più, attirando le attenzioni dei ragazzi più grandi, tanto per far diventare matto papà. Questo è quello che mi sono sempre ripetuta per spiegare l egoismo dietro i suoi gesti, una profonda ferita emotiva.
«Sei pronta tesoro? Abbiamo una prenotazione, non mi va di fare tardi» «Ci conoscono da una vita, se ne faranno una ragione». Non avevo fatto molto per nascondere il disappunto e francamente mi sentivo in diritto di comportarmi così. Ero restia - ero molto di più a dire il vero, ma va bene così - a celebrare l ennesimo compleanno di Elizabeth senza vederla, almeno una volta, unirsi alla festa. Neanche si trattasse di un ritardo cronico, come se la mia fosse una vita spesa ad inseguirla senza riuscire mai a raggiungerla. Non poteva, è vero, ma la sua assenza era e sarebbe sempre stato il mio tallone d Achille. Papà non voleva capire o forse davvero non capiva, ma si era impegnato così tanto per non farci sentire la sua mancanza che, alla fine, ogni tentativo di ricordarla risultava persino più doloroso. Non so dire se questi pensieri gli siano mai passati per la mente, ma mi sentivo ferita.»«dai, andiamo. Sta iniziando una nevicata con i fiocchi, voglio poter tornare a casa tranquillo» «Pronta» «Tutto questo tempo per infilare un paio di jeans scoloriti e una felpa? Dovresti farti aiutare da Becca, o resterai qui con me per sempre» «Come se ti dispiacesse!» «Ah ah ah!». Rideva di gusto papà. Rebecca, mia sorella, per gli amici Becca, ritornava a casa di tanto in tanto da quando frequentava l università, a pochi chilometri da dove siamo cresciute. È stata ammessa alla facoltà di lettere della Fairfield University e
la sua vita sembra essere una continua festa in cui divertirsi molto. Sarà la distanza tra lei e noi, la sua famiglia, a renderla così felice. Non abbiamo mai avuto un rapporto, noi due, ad eccezione di qualche scambio di opinioni su argomenti superficiali e per nulla personali. Non siamo cresciute insieme, non ci siamo scambiate i vestiti, non si è mai presa la briga di spiegarmi qualcosa. Non ricordo nemmeno di averla vista condividere una merendina, quando eravamo piccole. Io per lei non esisto, punto e basta, e non c entra nulla la differenza d età. Sarebbe potuto essere diverso? Mai. Noi siamo due mondi a parte. Bianco e nero. Luce e buio. Lei, la ragazza da copertina, popolare e con un intensa vita sociale, al liceo come - presumo - all università. Non ha mai raccontato niente della sua vita, perciò su di lei si possono fare solo congetture. Partiamo dai dati di fatto. Ogni volta che ci fa visita, sempre di sera, compare con un ragazzo diverso, proprio come alle superiori. Papà all inizio del semestre sembrava esplodere di rabbia, tanto che una volta ho temuto gli stesse venendo un infarto. Forse perché il tizio di turno - decisamente più vicino d età a mio padre che a lei - guidava una motocicletta ed era pieno di tatuaggi che sembravano avvizzirsi con lo scorrere dei minuti. Le settimane passavano e sembrava che lui si fosse in qualche modo rassegnato a quel chiassoso andirivieni, tanto da ignorare chiunque varcasse la soglia di casa. Indistintamente. Immaginavo fosse una nuova strategia, come se si fosse convinto che in realtà Becca cercasse solo
lo scontro con lui. E magari lasciandola fare, dandole la sua approvazione - ecco, forse solo una parvenza di assenso - se li sarebbe tolti di torno. Ma Becca non cedeva, e frequentare l università da sola, senza dover sottostare alle regole di papà, l aveva resa più spavalda anziché responsabile. Lei è bellissima, quel genere di bellezza che lascia chiunque folgorato, dall intellettuale al super modello, senza eccezioni. Alta, slanciata, lunghi capelli dorati ed enormi occhi verdi da cerbiatta. Era splendida, e non lo ignorava. Questo era un motivo sufficiente a farla decidere di andarsene in giro fasciata da gonne e camicette di seta, accompagnate da tacchi vertiginosi. Sapeva bene quello che voleva e non aveva paura di prenderselo, Becca. Forse per questo si stanca presto di tutto, passando in fretta al capriccio successivo. A differenza di me, che non avevo fatto altro per tutta la vita che nascondermi dietro un paio di occhiali e dei vestiti comodi. L invisibile, come mi chiama mia sorella. Una volta in macchina, papà mi bloccò mentre cercavo di accendere lo stereo. Non si lasciava guardare negli occhi, ma lo sentivo preoccupato ed ansioso. Come se dovesse darmi una notizia tremenda e non trovasse il coraggio per farlo. «Lily, oggi è un giorno importante» «Il compleanno di mamma» «Non ti ho mai chiesto come la sua assenza ti abbia fatta sentire, figlia mia» «Non è stata assente, non ha marinato il suo ruolo di madre e moglie. È morta, punto».
C era amarezza in quelle parole, un risentimento che lui di certo non meritava e che normalmente non avrebbe tollerato. Ora invece lo vidi stranamente abbassare lo sguardo, come se fosse colpevole. «Cosa sai di lei?» «Solo quello che mi hai detto tu». E si tratta di fatti irrilevanti, censurati. Poco se non addirittura niente, più che altro qualche aneddoto di loro momenti privati. «Perché ora te ne preoccupi? Sono cresciuta, papà. E tu sei stato bravo. Almeno con me». Avrei cercato di farlo sorridere, di regalargli una pace che sembrava averlo abbandonato, ma il mio goffo tentativo fallì miseramente. Riuscì a dire solo «Tu sei la mia bambina», neanche fosse un gemito. E mentre cercava di dirmi tra le righe qualcosa che non avrei potuto nemmeno sospettare, potevo giurare di avergli visto una lacrima sul viso. «E Becca? Anche lei è tua figlia. Farai questo melodramma anche a lei o è un regalo speciale per me, visto che qui ci sono solo io?». Le mie parole avevano preso vita più velenose di quanto in realtà avessi voluto. Il pensiero di affrontare un altra torta per la mia defunta madre, altre foto per il nostro album dei ricordi senza di lei, mi stava attanagliando in una morsa così forte che rischiavo di soffocare. «Adesso gustiamoci la cena. Per favore Lily. E poi mi ascolterai». Trovare parcheggio con quel tempaccio non era certo difficile, e per giunta davanti al ristorante che aveva prenotato papà. Ancora qualche passo tra il vento
pungente che sferzava tra le stradine della città, un architettura vagamente gotica. Abbastanza spazio per dimenticare, anche se solo per un istante, il dolore di quell uscita. Amo quei posti, la loro geometria, a dire il vero amo tutto il New England. Sono nata e cresciuta qui, nella stessa casa, senza sentire mai il bisogno di lasciarla, se non per brevi vacanze. Non si tratta solo di familiarità, di abitudine. Qui c è di più. La natura, per esempio. Sì, direte voi, qualche albero, uno scoiattolo, perfino un parco. E tutto intorno le solite auto, la gente che sporca e se ne frega. No, dico io. Qui è tutto diverso. La natura è parte di ciò che siamo. Io la respiro, la odoro, la vedo. E sopra ogni cosa, la sento. Abbastanza da dimenticare i miei guai e scomparire in un altra dimensione, dove sono già più grande e soprattutto felice. Senza ferite. Eravamo entrati imbarazzati e distanti nel nostro ristorante preferito, quello delle grandi occasioni. Il Mediterraneo è un piccolo locale italiano, nel cuore di New Haven, sofisticato pur rimanendo accogliente. Adoro la cucina italiana, come se in un esistenza precedente avessi vissuto lì ed ora ne sentissi il richiamo. La spiegavo ingenuamente così, la strana sensazione di appartenenza a quella cultura fatta di famiglia - anche se mia madre era morta, ciò non mi esimeva dall apprezzare il fascino di enormi tavolate di gente chiassosa e sorridente - e di appartenenza. Non tanto allo Stato quanto alle persone che lo popolano, almeno così mi era parso di capire. Avevo letto tantissimi libri di scrittori italiani e dalle loro pagine traspariva un innato senso di umanità. Lo volevo anch io.
Ecco, il Mediterraneo era sempre un bel ricordo per me. Tutto intorno riconoscevo i tovagliati color tortora e azzurro antico, e quelle deliziose porcellane fatte a mano con decori a forma di gigli. Da piccola pensavo che lo chef, un uomo adorabile, li avesse fatti apposta per me. Potevo lasciarmi andare ai pensieri, tanto sapevo già cosa avremmo ordinato. E lo sapeva anche il cameriere, che ci serviva gli stessi piatti ormai da anni. «Buonasera signorina, stasera è davvero un incanto. Acqua leggermente frizzante, immagino. E per lei, una bottiglia di Greco di Tufo?» «Certo, Lorenzo. La tua memoria è sempre infallibile» «Sarà che dopo vent anni si sarà stancato di chiedere», commentai io acida sottovoce. Volevo tornare a casa, infilarmi sotto le coperte e pregare che quel giorno finisse. Una volta per tutte. La cena proseguì veloce, tra piatti di spaghetti alle vongole e linguine al pesto. Alla fine, lo sapevo, come in un rito antico, mi aspettava il classico tiramisù che mio padre ordinava con tanto di candelina di buon compleanno. Deprimente. Eppure questa volta - non sarei riuscita a nascondere proprio del tutto la sorpresa, o meglio lo shock - arrivarono in tavola dei semplici dessert, una stranezza che mi permetteva di guardarlo pensierosa, a dir poco stralunata. Ma lui evitava accuratamente di incrociare il mio sguardo. «Papà, stai male? Che succede? Voglio sapere. Ora» «Perché pensi questo»
«Niente dolce di compleanno». Non avevo nemmeno respirato nel dirlo. «Allora?» «So che in questi anni è stata dura per te festeggiare la mamma. Ma questo compleanno è per te» «Papà, ma cosa dici? Io compio gli anni a luglio!» «Andiamo via di qui. Ti spiegherò tutto». Più preoccupata che curiosa - mio padre è una vera frana nel mentire - aspettavo che Lorenzo strisciasse la carta di credito per poter finalmente affrontare l ignoto, e stasera sembrava metterci un eternità. Finalmente, dopo aver preso la busta che conteneva qualche biscotto italiano, i miei preferiti - e mio padre lo sapeva bene - eravamo saliti in auto. Sapeva ancora di nuovo. In quel momento esatto, calò il silenzio. «Papà...». L auto, un modello recente di Chevy Suburban, procedeva lungo la strada interna che da New Haven porta a Woodbury, splendida cittadina del Connecticut, dove vivo da sempre. Un piccolo centro, un numero non così esorbitante di abitanti. Antichità, natura, qualche negozio artigianale. Un paese da sogno, insomma, di quelli che citano le guide turistiche o le pubblicità che immortalano famiglie felici. Una strada, quella che stavamo percorrendo, ben impressa nella mia mente, piena di alberi secolari di cui avrei riconosciuto l odore ad occhi chiusi. In questo periodo dell anno il Connecticut si veste di bianco. La neve scende copiosa e avvolge come una morbida trapunta tutte le bellezze di questo mio paradiso in terra. E anche quando il paesaggio non ricorda una palla di
neve, lo scenario che è in grado di prospettare è comunque da mozzare il fiato. Piccoli laghi dove la gente va a pescare, l oceano, le montagne, la vegetazione folta e rigogliosa. Un tripudio di verde, intervallato da case graziose ben integrate nell ambiente circostante, e uomini sorridenti. Cordiali. C è armonia quaggiù, tra una zuppa calda e dell autentica torta di mele. Woodbury è pace. «Papà... Mi stai spaventando». Lo vedevo guardare dall altra parte, fuori dal finestrino, e l unico pensiero che riusciva ad attraversare la mia mente era ecco la bomba. «Ti voglio un bene infinito, Lily. Sei la cosa più preziosa che io abbia mai avuto, e tutto ciò che ho fatto l ho fatto solo per proteggerti». Un leggero colpo di tosse per spezzare la drammaticità del momento e... «Spero la penserai sempre così» «Non capisco dove vuoi arrivare» «Sai, ho conosciuto Elizabeth questo stesso giorno, tanti anni fa. In un bosco non molto lontano dalla tua scuola, tesoro». I dettagli del loro primo incontro mi erano del tutto nuovi, estranei. Non era semplice vederlo in compagnia di quel fantasma che era per me mia madre, figurarsi poi in uno scenario tanto rustico, per usare un eufemismo. Me l ero immaginata in posti di classe, magari una sala da tè. Quel genere di situazione in cui una signora come lei avrebbe potuto sfoggiare senza tanta difficoltà la classe innata che la rendeva ancor più affascinante. Sapere invece che si erano conosciuti in un fitto bosco dove di solito si incontrerebbero solo cacciatori e ragazzi
alla ricerca di un po di privacy, beh... rompeva gli schemi. Tutto quello su cui avevo sempre fantasticato. Eppure, eppure non era difficile da credere. Forse era stata proprio quella sua semplicità a far capitolare mio padre, che in lei vedeva molto di più di un viso algido e perfetto, incastonato in abiti alla moda. Sì, nelle foto che avevo trovato indossava uno dei primi tailleur realizzati da Coco Chanel. L unico particolare che aveva notato mia sorella Becca. A me, invece, quelle immagini parlavano di amore, di pini selvatici, di una tazza di cioccolato caldo davanti al camino. Promesse di una vita felice insieme. «E che ci facevi da quelle parti? A parte il mio istituto, non è che ci sia altro». Pausa. «Ti eri perso?» «Stavo andando incontro al mio destino» «Che romantico». Ogni volta che parlava della mamma le parole trasudavano amore. Non vi era mai stato un filo di dolore per la sua prematura perdita, mai che io ricordassi. Nonostante la solitudine che avrebbe dovuto provare in tutti quegli anni senza di lei, o le difficoltà nel crescere da solo due figlie. «La notte prima del nostro incontro l avevo sognata, capisci? Mi aveva sussurrato dove trovarla. Era così, beh... incantevole, ecco, che me ne sono innamorato immediatamente. Avevo visto qualcosa di più in lei, di diverso. Quando mi sono svegliato, ho pensato solo a raggiungerla dove mi aveva detto». Sorrideva. «Aspetta un secondo, calma. Hai sognato una tizia sconosciuta e sei corso dove quella visione ti ha detto di
andare?! Spero che la pazzia non sia ereditaria, o sono fregata». Circostanze a dir poco bizzarre. Non si erano viste nemmeno in una delle assurde tragedie strappalacrime che danno al cinema. «Non era un sogno Lily. Era tutto vero. Anche se dormivo, sapevo distinguere la realtà dalla finzione». Sguardo che non ammette repliche. «E ci sono andato». Lo fissavo incredula, quasi divertita. Più che a mio padre, mi sembrava di stare seduta accanto ad un vecchio pazzo. «Ora capisco perché non me ne hai mai parlato. È una follia» «Ma lei era lì, dove mi aveva detto. Tra due alberi le cui chiome finivano per toccarsi sulla cima». Una lacrima l aveva colto impreparato e ora cercava di rimediare. «Stava aspettando me». Il dolore di tutti quegli anni di lutto l avevano convinto di simili assurdità, non poteva esserci un altra spiegazione. Anche se sembrava sincero, come poteva accettare così tanta... stranezza? Lui, il mio papà. Logico e razionale, sotto quegli abbondanti strati di bontà. «Ti è andata bene che non fosse una psicopatica assassina» «Ascoltami Lily, è importante». Avrebbe atteso che soffocassi ogni pensiero prima di ricominciare il racconto. «Tua madre, Lily, era la creatura più bella che avessi mai visto, e io ne ho incontrate! Un fare aggraziato, ammaliante, inusuale al punto che non poteva passare inosservata. Ero certo di non averla mai incrociata da
nessuna parte - non poteva essere di queste zone, pensai subito. Ed avevo ragione». Sei stato sedotto come capita agli sprovveduti, papà. Niente di così originale. «Ecco da chi ha ripreso Becca» «No, Liz non ha nulla in comune con tua sorella». La mia precisazione lo aveva indispettito non poco. «E ora lasciami andare avanti». Per tutto il tragitto aveva continuato a descrivere la grazia di quella misteriosa donna che gli era apparsa in sogno, la sua bellezza, ma più di ogni altra cosa la sua bontà. Ed erano state non le sue parole, ma le emozioni nascoste sotto di esse a tradirlo. Io non capivo, non l avevo mai capito. Lui l amava profondamente, l aveva sempre amata. Ecco perché non si era mai risposato né l avevo visto uscire con altre donne, non l avrebbe mai tradita così. Potevo azzardare a dire addirittura che ci fosse dell altro, come se per lui il tempo in cui l aveva dovuta lasciare non fosse mai trascorso. Come se si fossero salutati quella mattina stessa e lui si aspettasse di rivederla a casa, al nostro ritorno. Che strana sensazione permeava l abitacolo ed il mio cuore. Perché mai avrei dovuto pensare una cosa tanto assurda? Una volta imboccato il nostro vialetto, nessuno dei due ne aveva avuto abbastanza delle confessioni. Ci era venuto naturale rimanere in auto, lui avrebbe continuato a raccontare e io mi sarei persa in quella lunga lista di complimenti che le stava riservando. Almeno fino a quando non avrei trovato il coraggio di chiedergli l unica cosa che per me avesse senso sapere in quel momento.
«Perché me ne parli ora, papà» «Avrei voluto raccontarti di più, di lei, prima di arrivare a questo punto. Ma non sapevo come fare Lily. Guarda come stai reagendo ora, che sei grande e capace di comprendere... Ma la farò breve, promesso». Uno sguardo amorevole e si sarebbe di nuovo riappropriato di quell espressione sofferente e colpevole. «La settimana dopo il primo incontro la portai alla nostra radura, dove tutto ebbe inizio. Il nostro posto magico. Parlavamo tanto, piccola, e mi sentivo completo. Felice. Senza rendermene conto le ho chiesto di sposarmi. Non l avevo certo programmato, è stato tutto così spontaneo tra noi... Pensa che non le avevo comprato nemmeno un anello! Mi sono fatto coraggio e lei, senza nemmeno darmi il tempo di terminare la frase, aveva sorriso e detto di sì. Il momento più bello della mia vita, ad eccezione del giorno in cui Liz mi confidò che saresti nata tu» «Non raccontare a Becca questa storia, o penserà che sono la tua preferita». Le immagini di cui mi stava facendo dono erano troppo preziose per il mio cuore. Avevo bisogno di trovare un momento di stacco, tra quei sedili di pelle ghiacciata, illuminati solo da fioche luci di cortesia. «Io non ho preferite, ma ti sto dicendo finalmente la verità» «Quindi?». Arriva al dunque. «Quindi, figlia mia, eravamo così felici ed impazienti di conoscerti che il tempo sembrava volare. Tua madre ti comprò un regalo e mi fece giurare che il giorno del suo compleanno, prima che tu compissi sedici anni, te l avrei
dato. Come se sapesse che non avrebbe potuto dartelo lei stessa. Mi pregò di non dimenticare mai quella promessa, e di non guardare il contenuto del pacchetto, per nessun motivo al mondo. È quello che sto cercando di fare, ora». «Un regalo per me? Perché? Perché proprio adesso? Dimmi cosa succede». L abitacolo si stava facendo sempre più angusto, neanche ci fosse qualcosa là fuori che pressava l aria circostante. Con la coda dell occhio mi ritrovavo a controllare gli alberi che delimitavano il giardino, come se potessero davvero muoversi e schiacciarci da un momento all altro. Che idiozia. Stavo forse impazzendo? Forse. Il mio cuore batteva così velocemente che non riuscivo nemmeno più a sentirlo. Tutto intorno avvertivo la realtà, potevo aggrapparmi a delle certezze per non impazzire, eppure ero certa che mi stesse dicendo qualcosa, anche se non riuscivo a decifrare cosa. Il messaggio sarebbe stato chiaro solo con il passare dei giorni, eppure adesso mi sembrava di non avere scampo inchiodata ai sedili. «Io non so darti una risposta Lily. Ma posso dirti con assoluta certezza che tua madre mi viene a trovare ogni notte, e so che ti ama profondamente. Da sempre» «Dov è? Dov è il pacco?». Mi ritrovai stranamente impaziente di allontanarmi da lì, di iniziare a risolvere quel rebus. Non che mia madre non fosse per me una questione aperta, ormai era semplice ammettere con me stessa che tutti gli anni passati a minimizzare quella coltre di mistero irrisolto erano semplicemente un modo di proteggermi dalla delusione e dal dolore. Ora che il muro stava cedendo poco a poco
sotto il mio naso mi sentivo risucchiata da un vortice di disperazione. Avrei forse capito chi ero? Da dove venivo? Ma sopra ogni cosa, la mia vita - la nostra vita - sarebbe potuta cambiare in qualche modo? Temevo la risposta, anche se una parte di me - la più piccola ed irrazionale - già la conosceva. «È sul tavolo, in cucina. Ho pensato che una volta entrati, avresti voluto aprirlo nella solitudine della tua stanza. Ma prima devo dirti ancora una cosa. Ed è davvero dura». «Avanti papà». Volevo solo mettere le mani sul mio regalo e quell attesa sembrava durare all infinito. Meglio sapere in fretta, mi ero detta. «Ti ho raccontato che tua madre è morta in un incidente, quando tu avevi poco più di qualche mese». Lo vedevo farsi sempre più piccolo, appoggiato com era al finestrino dell auto. Rannicchiato su se stesso come in preda a crampi di dolore. Non lo vedevo quasi più, nel buio di quella sera invernale in cui anche le stelle avevano deciso di giocare a nascondino pur di non essere testimoni di quella confessione. Per quanto cercassi di non perderlo - non anche lui, vi prego, chiunque sia in ascolto - in quell oceano di emozioni e domande che mi stavano completamente affossando, era scomparso dalla mia visuale. Contavo su di lui per uscirne viva, lui che non mi avrebbe certo permesso di tenere la testa sotto l acqua nell attesa della prossima onda, incapace di respirare. Non mio padre. «Ma non è così, Lily»
«Cosa?! Mi hai... mentito?! Tu? Cos è successo a mia madre?!». L avevo letteralmente assalito. Non mi importava quanto fosse devastante per lui il peso di quella rivelazione. «Papà, dimmi tutto. Noi abbiamo un patto, ricordi? Se non te ne sei accorto sono grande, posso sopportare la verità. Basta mentirmi». Per quanto mi avesse profondamente ferita, cercavo un tono conciliante con l unico intento di saperne qualcosa in più, ed il più in fretta possibile. Era chiaro che non avevo fatto i conti con l ovvio. Mi sentivo esplodere dentro, chissà se c era ancora qualcosa di me che non bruciava tra le fiamme più nere che il mondo abbia mai sprigionato. «Tua madre...». Non ci riusciva. Le parole sembravano strozzarlo dall interno. «Quando è morta? Cosa è successo? Me lo devi papà!». «Non... non è morta». E quelle tre semplici parole bastarono a mandare in frantumi il mio intero mondo.