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DAL CONCUBINATO ALLA FAMIGLIA DI FATTO: EVOLUZIONE DEL FENOMENO di Annunziata & Iannone dottorandi di ricerca presso il dipartimento di Diritto privato Elaborato a cura di Barbetta e D Amato 16/03/2010

La rilevanza giuridica della famiglia di fatto Nel periodo precedente alla riforma del diritto di famiglia (1975) si osserva un atteggiamento di totale ostilità e chiusura verso il riconoscimento di tutele alla famiglia di fatto. Infatti i principi che caratterizzavano l ordine familiare delineato dal codice civile del 1942 erano: Indissolubilità del matrimonio Disuguaglianza tra coniugi Discriminazione della filiazione fuori del matrimonio. La figura centrale di questo modello giuridico di famiglia ancorato a principi rigorosamente gerarchici, era quella della potestà del capo famiglia cui erano soggetti moglie e figli.

La profonda trasformazione sociale, culturale e giuridica della struttura familiare, ha portato all emersione del fenomeno della famiglia di fatto e ad un mutato atteggiamento verso le convivenze more uxorio. Gradatamente si è sottolineata la netta distinzione tra funzione e istituzione familiare. In tale prospettiva, si è attribuita anche alla famiglia non fondata sul matrimonio la funzione di adempimento dei doveri di mantenimento, educazione e istruzione della prole, nonché di sviluppo e arricchimento della personalità all interno del nucleo familiare (ex art. 30 Cost.). La riforma del diritto di famiglia del 75 ha favorito la nascita di una nuova realtà familiare basata sulla pari dignità dei coniugi e sulla sostanziale equiparazione dei figli naturali e legittimi.

LA GIURISPRUDENZA INNOVATIVA DELLA CORTE COSTITUZIONALE SENTENZA n. 237/1986 Afferma la rilevanza giuridica della famiglia di fatto se posta in relazione all art. 2 Cost., dunque quale formazione sociale nella quale si realizza e si sviluppa la personalità dell individuo. Dunque se l art.29 Cost. riconosce tutela esclusivamente alla famiglia legittima, ciò non significa, in virtù dell art. 2 Cost., che si debba negare rilevanza ai rapporti di fatto che si formano al di fuori del modello della famiglia legittima.

LA GIURISPRUDENZA INNOVATIVA DELLA CORTE COSTITUZIONALE SENTENZA n. 404/1988 Affermando l illegittimità costituzionale dell art. 6 L. 392/ 78, estende al convivente more uxorio il diritto di successione nel contratto di locazione, nell ipotesi di morte del conduttore. Si ritiene infatti irragionevole e viziata da contraddittorietà logica la previsione di legge che, pur tutelando l abituale convivenza, non include tra i successibili del contratto di locazione, chi era già legato more uxorio al titolare originario del contratto; risultando al tempo stesso leso il diritto fondamentale dell abitazione.

LA GIURISPRUDENZA INNOVATIVA DELLA CORTE COSTITUZIONALE SENTENZA n. 310/1989 SENTENZA n. 310/1989 Partendo dal presupposto che l art 29 Cost. riconosce alla famiglia legittima una dignità superiore rispetto ad altre forme naturali del rapporto di coppia, la Corte Costituzionale dichiara infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 565 e 582 c.c. nella parte in cui non equiparano - ai fini della successione legittima- il convivente more uxorio al coniuge, in riferimento agli artt. 2 e 3 Cost. Inoltre la questione di legittimità costituzionale dell art. 540 c.c. in riferimento al diritto di abitazione della casa del defunto adibita a residenza familiare non concesso al convivente more uxorio - è inammissibile, perché solo il legislatore potrebbe estendere il diritto di abitazione al convivente more uxorio (inserendolo tra i legittimari), non rientrando tale diritto tra quelli inviolabili dell uomo che sono i soli tutelati dall art. 2 Cost. Infatti, la riferibilità dell art. 2 Cost anche alle convivenze more uxorio, non implica la garanzia ai conviventi del diritto reciproco di successione mortis causa.

LA GIURISPRUDENZA INNOVATIVA DELLA CORTE COSTITUZIONALE SENTENZA n. 281/1994 SENTENZA n. 281/1994 Ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale dell art. 6 L.184/ 83 (sollevata con riferimento all art. 2 Cost.), nella parte in cui dispone che gli adottanti debbano essere uniti in matrimonio da almeno tre anni, senza prevedere la possibilità di sostituire a detto triennio un uguale o superiore periodo di convivenza pre-matrimoniale more uxorio.

L EVOLUZIONE TERMINOLOGICA DEL FENOMENO La formula terminologica famiglia di fatto è il risultato di una complessa storia sociale che può dividersi in tra fasi: 1. Concubinato : fenomeno considerato immorale e penalmente rilevante. 2. Convivenza more uxorio : attribuzione di un seppur minimo riconoscimento giuridico ai diritti dei conviventi sul finire degli anni sessanta. 3. Famiglia di fatto : espressione introdotta dalla Riforma del diritto di famiglia 75, segno di un profondo mutamento sociale e dottrinario. Difatti parte della dottrina ha sottolineato la valenza ideologica insita nell espressione espressione famiglia di fatto che non indica più il solo convivere come coniugi, ma anche e sopratutto famiglia portatrice di valori di solidarietà,, arricchimento e sviluppo della personalità di ogni suo componente, di educazione e istruzione della prole, finora considerati esclusivi della sola famiglia fondata sul matrimonio.

SETTORIALITA DELLA DISCIPLINA NORMATIVA L. 356/1958: assistenza a favore dei figli naturali non riconosciuti dal padre caduto in guerra, quando il padre e la madre abbiano convissuto more uxorio nel periodo del concepimento. L. 405/1975: considera destinataria dei servizi di assistenza offerti dai consultori familiari la coppia, riferendosi pertanto anche ai partner conviventi. L. 354/1975: sancisce a favore di internati e condannati dei permessi nei casi vi sia un imminente pericolo di vita di un loro familiare o convivente. L. 194/1978: diritto di partecipazione al procedimento di interruzione volontaria di gravidanza della persona indicata come padre del concepito, a prescindere che sia o meno unito in matrimonio con la donna. L. 184/1983 sostituita dalla L.149/2001: L. 184/1983 sostituita dalla L.149/2001: ammissibilità dell adozione di minori da parte della coppia non coniugata, qualora non sia praticabile l affidamento preadottivo. Inoltre per determinare l idoneità della coppia all adozione, si tiene conto anche della convivenza stabile e continuativa che ha preceduto il matrimonio.

SETTORIALITA DELLA DISCIPLINA NORMATIVA L. 302/1990: estende al convivente more uxorio il diritto di richiedere le provvidenze, come accordato in favore delle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata. L. 82/1991: prevede che siano usate le stesse misure di protezione previste per i collaboratori di giustizia anche verso il coniuge e il convivente. Art. 572 c.p. il reato di maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli è configurabile anche nei confronti del convivente more uxorio, non considerandosi quindi solo la famiglia legittima. Art. 317 bis c.c. attribuisce ai genitori naturali conviventi l esercizio congiunto della potestà parentale sui figli. L. 40/2004: L. 40/2004: attribuisce la possibilità di accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita alle coppie di sesso diverso coniugate o conviventi, in età parzialmente fertile.

LA VALIDITA DEGLI ACCORDI DI CONVIVENZA ex art. 1322 c.c. Una famiglia di fatto è qualificata come tale ed è quindi degna di tutela giuridica, solo se caratterizzata da comportamenti analoghi a quelli previsti dall art. 143 c.c. per i coniugi (Diritti e doveri reciproci dei coniugi. Con il matrimonio il marito e la moglie acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri. Dal matrimonio deriva l obbligo reciproco alla fedeltà, all assistenza morale e materiale, alla collaborazione nell interesse della famiglia e alla coabitazione. Entrambi i coniugi sono tenuti, ciascuno in relazione alle proprie sostanze e alle proprie capacità di lavoro professionale o casalingo, a contribuire ai bisogni della famiglia). Tuttavia non è ammessa l applicabilità in via analogica delle disposizioni che governano i rapporti tra i coniugi. Per i conviventi infatti l orientamento giurisprudenziale più diffuso ritiene che non siano concepibili controversie concernenti rapporti personali: quelli che per i coniugi sono obblighi legali, nella famiglia di fatto sono solo espressione dell autonomia dei conviventi, per cui può ravvisarsi solo una doverosità morale e sociale di tali comportamenti, ma non giuridica. Di conseguenza, ogni questione attinente a rapporti personali tra conviventi determina, se non risolta spontaneamente, una pura e semplice cessazione della convivenza e l insorgenza solo di QUESTIONI PATRIMONIALI.

Infatti la relazione affettiva tra i conviventi determina anche l intrecciarsi dei loro patrimoni, necessario per soddisfare le esigenze derivanti dal vivere insieme come coniugi. Tuttavia, in mancanza di una disciplina assimilabile a quella dettata per i coniugi, il settore dei rapporti patrimoniali palesa emergenze bisognose di tutela, che si manifestano in tutta la loro evidenza nella fase di cessazione della convivenza. In assenza di una legge specifica nell ordinamento italiano è possibile riconoscere validità agli accordi di convivenza? La giurisprudenza ha dato responso positivo. Infatti ha riconosciuto la validità di tutti gli accordi stipulati ex art. 1322 c.c.; si ammette la possibilità di stipulare contratti atipici, purché diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela. Si precisa che i contratti (atipici) di convivenza more uxorio non vanno intesi come accordi con cui due persone si impegnano a vivere come coppia: ogni patto di carattere personale è infatti estraneo alla regolamentazione contrattuale. I conviventi possono stipulare solo patti patrimoniali finalizzati a regolare i rispettivi rapporti economici, cercando di pervenire eventuali problemi di conduzione del ménage familiare.

Gli accordi tra conviventi sono finalizzati solo alla regolamentazione dell assetto economico da applicare alla vita in comune. Inoltre la Corte di Cassazione (sent. 8 giugno 1993 n. 6381) ha stabilito che la convivenza tra uomo e donna non costituisce causa di illiceità e quindi di nullità di un contratto attributivo di diritti patrimoniali dell uno a favore dell altro, in quanto tale convivenza, ancorché non disciplinata dalla legge, non è illecita non potendosi considerare contraria né a norme imperative, né all ordine pubblico, né al buon costume. Si è ritenuto infatti che nessun principio di ordine pubblico (ex art. 1343 c.c.) si oppone all eventuale stipula di un contratto di convivenza more uxorio. Una violazione di ordine pubblico si ravvisa se in tali negozi sono inseriti aspetti a carattere personale, come doveri di assistenza morale e di fedeltà, di collaborazione e di coabitazione, i quali difettano del requisito della patrimonialità. Rispetto agli interessi che in concreto generalmente formano oggetto di regolamentazione pattizia tra i conviventi si ritrovano: - i rapporti patrimoniali (es. diritto di usufrutto su di un immobile concesso al convivente durante la relazione, poi cessata) - le decisioni riguardanti i figli nati durante l unione.

LE REGOLE APPLICABILI ALLE ATTRIBUZIONI PATRIMONIALI In tutti i casi in cui i conviventi non abbiano preventivamente deciso come gestire in via contrattuale i loro comuni affari familiari, si pone un problema di qualificazione giuridica delle reciproche attribuzioni. Si è affermato in un primo momento che tali attribuzioni siano riconducibili nell ambito delle donazioni remuneratorie (art. 770 c.c.). Successivamente si è passati a ricondurre tali attribuzioni nell ambito dell obbligazione naturale. Dovere morale o sociale in forza del quale un soggetto è tenuto ad eseguire un attribuzione patrimoniale a favore di un altro soggetto. Il debitore non è quindi giuridicamente obbligato ad adempiere ma solo in forza di doveri morali e sociali. ELEMENTI ESSENZIALI DELL OBBLIGAZIONE NATURALE SPONTANEITA E VOLONTARIETA DELL ATTO IRRIPETIBILITA DI QUANTO PRESTATO (SOLUTI RETENTIO) CAPACITA DI AGIRE DEL DEBITORE

Si è passati così da una concezione di tipo indennitaria in favore del coniuge più debole, ad una di stampo solidaristico che è espressione dell attuale accettazione sociale e morale della convivenza e del mutato ruolo della donna nella società. Tuttavia la qualificazione delle attribuzioni patrimoniali tra conviventi non è questione di poco rilievo giacché, a seconda della disciplina applicabile, l attribuzione può essere soggetta o meno alle regole in tema di forma della donazione (art. 782 c.c. ), della collazione (art. 737 c.c.), dell azione di riduzione (art. 553 e ss.) e revocatoria (art. 2901 c.c. e ss.).

Ormai da tempo la giurisprudenza fa riferimento allo schema dell obbligazione naturale ogniqualvolta si tratta di decidere in ordine alla richiesta di restituzione di somme corrisposte da un convivente a favore dell altro durante la convivenza. Infatti si ritiene esistente un vero e proprio obbligo di natura sociale e morale di assistenza e di contribuzione in capo a ciascuno dei conviventi; OBBLIGAZIONI NATURALI). Tuttavia lo schema dell obbligazione naturale è configurabile solo quando la prestazione costituisce adempimento di doveri morali scaturenti dalla convivenza e suscettibili di essere adempiuti mediante prestazione di carattere patrimoniale. Conseguentemente l attribuzione patrimoniale a favore del convivente non costituisce sempre e comunque l adempimento di un dovere morale, potendo anche essere espressione della volontà di conformarsi agli usi o sottendere lo spirito di liberalità. Affinché sia in concreto configurabile un obbligazione naturale occorre che la prestazione sia proporzionata al dovere morale di cui costituisce esecuzione.

LIBERALITA D USO È complesso qualificare le attribuzioni eseguite nell ambito della convivenza come liberalità d uso (caratterizzata dal fatto che chi la compie intende osservare un uso o adeguarsi ad un costume che determina anche la misura dell elargizione in funzione della diversa posizione sociale delle parti, nel senso che l elargizione non deve comportare depauperamento del patrimonio chi la compie). Si tratta di stabilire se l autore possa pretendere la restituzione, una volta cessata la convivenza. La Corte di Cassazione (Cass. 11894/1998) ha stabilito che ogni qualvolta manchi l atto solenne, la donazione deve considerarsi nulla per difetto di forma. Tale conclusione è però oggetto di vivaci critiche, poiché non considera il contesto in cui tali doni avvengono (convivenza stabile e duratura) e perché fondata su un eccessivo formalismo, infatti non tutela il convivente debole che, terminata la convivenza, è costretto a restituire le elargizioni ricevute solo perché la donazione non rispetta il requisito della forma solenne.

PRESTAZIONI LAVORATIVE NELL AMBITO DELLA FAMIGLIA DI FATTO Ulteriore modalità con la quale i conviventi gestiscono le reciproche entità patrimoniali va individuata nelle prestazioni lavorative che talora compiono a vantaggio reciproco, rappresentata, per esempio, dalla partecipazione nello studio professionale o nell impresa del partner. Lo strumento contrattuale appare come l unica tutela preventiva per chi ha convissuto per anni ma non ha preferito regolare pattiziamente il loro legame.

L evoluzione della giurisprudenza si snoda in due momenti: prima dell entrata in vigore dell art. 230 bis c.c. e successivamente. Prima dell entrata entrata in vigore dell art. 230 bis c.c. la giurisprudenza si era assestata sulla presunzione relativa di gratuità nei rapporti di lavoro tra i coniugi, la quale trovava applicazione anche per i conviventi more uxorio. Successivamente con l introduzione del concetto di impresa familiare, l art. 230 bis c.c. pone il principio della normale remunerabilità del lavoro familiare e tutela il lavoro del familiare nella famiglia o nell impresa. Quindi si è passati dalla presunzione di gratuità del lavoro in comune a quella di onerosità in un rapporto non di subordinazione, ma para-societario. Con la riforma del 1975 Art. 230 bis- IMPRESA FAMILIARE :Il familiare che presta in modo continuativo la sua attività nella famiglia o nell impresa familiare ha diritto al mantenimento secondo la condizione patrimoniale della famiglia e partecipa agli utili dell impresa familiare e ai beni acquisiti con essi, nonché agli incrementi dell azienda in proporzione alla qualità e alla quantità del lavoro prestato [ ]. Ai fini delle disposizioni di cui al primo comma si intende come familiare il coniuge, i parenti entro il terzo grado, gli affini entro il secondo grado; per impresa familiare quella cui collaborano coniuge, parenti entro il terzo grado, affini entro il secondo.

Cosa succede nell ambito delle convivenze more uxorio? Sono applicabili anche al convivente lavoratore le disposizioni di garanzia contenute nell art. 230 bis c.c.? I giudici hanno ribadito l inestendibilità della disciplina legislativa al convivente, perché l elemento saliente dell impresa familiare non è l apporto lavorativo, né i legami affettivi, ma la famiglia in senso chiaro e legittimo nei più stretti congiunti. Cass. n. 3585/ 76: l art. 230 bis c.c. che disciplina l impresa familiare, costituisce norma eccezionale, in quanto si pone quale eccezione rispetto alle norme generali in tema di prestazioni lavorative ed è pertanto di insuscettibile di interpretazione analogica Infine va sottolineato che non qualunque convivenza soggiace alla presunzione di gratuità delle prestazioni lavorative, ma solo quella che si fonda su di una affectio coniugalis (ovvero comunanza spirituale ed affettiva). Va dato atto tuttavia dell esistenza di una giurisprudenza più sensibile all estensione dell art. 230 bis c.c. anche alle prestazioni lavorative rese nell ambito della famiglia di fatto.

RAPPORTI PATRIMONIALI E TRUST L ingresso del trust nel nostro ordinamento è avvenuto con la ratifica della Convenzione dell Aia del 1985, con il quale è stata risolta ogni questione circa l ammissibilità del trust, sia internazionale che interno. TRUST: particolare tipo di istituto giuridico nel quale la proprietà di un bene è trasferita ad un soggetto fiduciario (il trustee) il quale tuttavia non ne ha la piena disponibilità, in quanto è vincolato da un rapporto di natura fiduciaria che gli impone di esercitare il suo diritto reale a beneficio di un altro soggetto (detto beneficiary) al quale saranno trasferiti in piena proprietà i beni alla fine del trust. Il soggetto che costituisce il trust è detto settlor (disponente). Se non previsto nell'atto istitutivo, i beni trasferiti al trustee in forza del trust non possono essere venduti, nè possono essere oggetto di pignoramento. Il trasferimento di questi beni è vincolato da un legame che intercorre tra il settlor e il trustee, che è il cosiddetto patto di fiducia: il settlor trasferisce la proprietà di quei beni non perché il trustee li amministri come mero proprietario, e ne percepisca i frutti, ma perché da questi beni trasferisca i frutti al beneficiario, l'amministrazione dei beni deve essere quindi una amministrazione diligente e volta a favorire il beneficiary. La causa del negozio istitutivo del trust è il programma di segregazione di una o più posizioni soggettive (beni del trust) delle quali il disponente si spogli per la tutela di interessi che l ordinamento ritiene meritevoli di tutela (scopo del trust). Dall effetto segregativo del patrimonio del trustee consegue l impossibilità per i creditori di quest ultimo di attaccare i beni trasferiti, fino a che sia vigente il vincolo del trust

Il nostro ordinamento contempla un altra importante fattispecie di segregazione patrimoniale: il FONDO PATRIMONIALE (ex art. 167 c.c.) che consente ai coniugi o ad un terzo di destinare determinati cespiti al fine specifico dei bisogni della famiglia. L art. 170 c.c. esclude la possibilità di aggredire il fondo patrimoniale, a meno che il terzo creditore non agisca per il pagamento dei debiti contratti per il bisogno familiare. Analoga sembra quindi essere la situazione costituita dal trust che prevede che la sussistenza di una porzione patrimoniale separata e destinata al raggiungimento di uno scopo specifico o alla soddisfazione dell interesse del beneficiario. Poiché ai conviventi more uxorio non vengono riconosciuti diritti connaturati all esistenza di un rapporto duraturo e stabile, ma la tutela della prole e degli assetti patrimoniali nell interesse degli stessi costituiscono elementi degni di tutela, si ritiene che l assenza di un vincolo parentale e di una situazione di certezza di rapporti giuridici, non impediscono di ritenere meritevole lo strumento del trust al fine di concedere una tutela, altrimenti inesistente, ai genitori e ai figli.