Informazioni di Lavoro e Previdenza

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Informazioni di Lavoro e Previdenza 13 aprile 2015 Pubblico impiego: nulla la sanzione se il codice disciplinare non è stato reso pubblico. Mansioni alternative invece delle pause per i videoterminalisti. Indennità di accompagnamento: necessario il riconoscimento della inabilità totale. Pubblico impiego: nulla la sanzione se il codice disciplinare non è stato reso pubblico. Tribunale di Santa Maria C.V., sentenza 1371 del 2015. Un dipendente del Comune di Caserta, inquadrato nella categoria D con profilo di specialista di vigilanza, si affidava all'avvocato Domenico Carozza per impugnare la sanzione disciplinare della sospensione dal lavoro e dalla retribuzione per dieci giorni. Il Comune gli aveva contestato di non indossare l uniforme di ordinanza durante il servizio e di aver risposto con atteggiamento insolente ed irriguardoso al superiore che gliene chiedeva conto. Un dipendente del Comune di Caserta, inquadrato nella categoria D con profilo di specialista di vigilanza, si affidava all'avvocato Domenico Carozza per impugnare la sanzione disciplinare della sospensione dal lavoro e dalla retribuzione per dieci giorni. Il Comune gli aveva contestato di non indossare l uniforme di ordinanza durante il servizio e di aver risposto con atteggiamento insolente ed irriguardoso al superiore che gliene chiedeva conto. Il procuratore del lavoratore eccepiva la violazione da parte del Comune degli oneri formali imposti dall'articolo 7 della legge 300/1970 per il procedimento disciplinare e contestava la fondatezza dei comportamenti contestati al proprio assistito. Il Giudice ha accolto la tesi della difesa del dipendente ed ha ritenuto che era necessaria l affissione del codice disciplinare che consente al lavoratore di rendersi conto dei comportamenti vietati e delle relative sanzioni. Il Comune, invece, non ha provato di aver assolto l obbligo impostogli di portare a conoscenza dei lavoratori le norme disciplinare mediante affissione in un luogo accessibile a tutti.

Il Comune aveva dedotto solo di aver proceduto alla diffusione del codice disciplinare mediante la rete intranet. Il Giudice ha osservato che, però, il d.lgs. 165/2001 consente solo all amministrazione la pubblicazione del codice sul sito internet istituzionale che, in quanto sito accessibile a tutti, è diverso dalla rete intranet. Il Comune non aveva neanche provato di aver messo il dipendente nelle condizioni di accedere alla rete internet interna dotandolo dei necessari strumenti tecnici. Il Giudice ha anche ritenuto che il Comune non aveva fornito prova adeguata della sussistenza degli addebiti contestati, non essendo sufficienti le generiche dichiarazioni rese nel corso del procedimento disciplinare da altri dipendenti. Il Comune non aveva, quindi, fornito alcuna dimostrazione della verificazione della condotta censurata. Il Tribunale ha, dunque, disposto l'annullamento della sanzione disciplinare con conseguente obbligo della amministrazione di restituire al dipendente la somma a tale titolo trattenuta. Mansioni alternative invece delle pause per i videoterminalisti. Corte di Cassazione, sentenza 2679 del 2015. Un lavoratore di Telecom Italia chiedeva il risarcimento danni per la mancata fruizione delle pause al videoterminale. Il Tribunale di Benevento inizialmente accoglieva il ricorso giudiziario. La Corte d'appello di Napoli, invece, riformava la sentenza e rigettava la domanda. La Corte rilevava che, in base alle risultanze della prova testimoniale, era emerso che, nel periodo in esame, il lavoratore svolgeva anche altre autonome mansioni che non comportavano l'uso continuativo dei videoterminali, con conseguente cambiamento di attività. La Corte di Cassazione, investita della controversia, ha precisato che va applicato nel caso affrontato il d.lgs. 626/1994, anteriore al d.lgs. 81/2008. Le disposizioni normative garantivano in caso di attività per almeno quattro ore consecutive il diritto ad una interruzione mediante pausa o cambiamento di attività, secondo le modalità stabilite dalla contrattazione collettiva anche aziendale, in mancanza della quale era comunque stabilito il diritto ad una pausa di quindici minuti ogni centoventi minuti di applicazione continuativa al videoterminale. Anche il d.lgs. 81/08 in vigore, in realtà, dispone che il lavoratore impegnato in attività che comportano l'uso di attrezzature munite di videoterminali ha diritto a una interruzione della sua attività: mediante pause o cambiamento di attività. La Corte di Cassazione ha ritenuto sulla scorta delle dichiarazioni dei testimoni, era stato

correttamente accertato che nel caso affrontato non sussisteva la continuità della applicazione al videoterminale e che, peraltro, lo svolgimento, seppur in misura minore, dell'attività amministrativa nella stessa giornata comportava un cambiamento di attività, idoneo ad integrare la prevista interruzione. Tale accertamento è stato ritenuto dalla Corte di Cassazione conforme al diritto, non essendo del resto rilevante il carattere prevalente nella giornata della adibizione al videoterminale, bensì soltanto la continuità della stessa. La Corte di Cassazione ha, quindi, rigettato il ricorso del lavoratore condannandolo al pagamento di oltre 3000 euro di spese legali. Indennità di accompagnamento: necessario il riconoscimento della inabilità totale. Corte di Cassazione, sentenza 5555 del 2015. La Corte d'appello di Reggio Calabria rigettata la domanda di un cittadino tendente ad ottenere il riconoscimento del diritto all'indennità di accompagnamento. Gli eredi dell'interessato proponeva ricorso per cassazione. La Corte di Cassazione riteneva il ricorso proposto infondato alla stregua della giurisprudenza formatasi in merito alla legge 18/1980 che ha previsto che ai mutilati ed invalidi civili totalmente inabili, che si trovino nell'impossibilità di deambulare senza l'aiuto permanente di un accompagnatore o che, non essendo in grado di compiere gli atti quotidiani della vita, abbisognino di una assistenza continua, è concessa una indennità di accompagnamento non reversibile. In base alla norma occorre che sussistano due requisiti concorrenti: a) l'invalidità totale; b) l'impossibilità di camminare senza un accompagnatore ovvero la necessità di assistenza continua per non essere il soggetto in grado di compiere gli atti quotidiani della vita. Sotto il primo profilo è necessaria, pertanto, la sussistenza di una situazione di invalidità totale, rilevante per la pensione di inabilita civile ai sensi della legge 118/1971. Sotto il secondo profilo è altresì necessario che il soggetto si trovi alternativamente, nell'impossibilità di deambulare senza l'aiuto permanente di un accompagnatore oppure nell'incapacità di compiere gli atti quotidiani della vita con la conseguente necessità di assistenza continua: requisiti, quindi, diversi rispetto alla semplice difficoltà di deambulazione o di compimento di atti della vita quotidiana con difficoltà (ma senza impossibilità). La Corte di Cassazione ha ritenuto corretto negare il diritto alla indennità di accompagnamento al richiedente perché non era stata raggiunta la prova della sussistenza di una situazione di invalidità

totale che, dunque, costituisce un dei due requisiti inderogabili per accedere alla prestazione. STUDIO LEGALE CAROZZA Napoli, Centro Direzionale ISOLA F10 Caserta, Via Battisti n. 103 www.studiolegalecarozza.it

Informazioni di Lavoro e Previdenza 13 aprile 2015 Pubblico impiego: nulla la sanzione se il codice disciplinare non è stato reso pubblico. Mansioni alternative invece delle pause per i videoterminalisti. Indennità di accompagnamento: necessario il riconoscimento della inabilità totale. Pubblico impiego: nulla la sanzione se il codice disciplinare non è stato reso pubblico. Tribunale di Santa Maria C.V., sentenza 1371 del 2015. Un dipendente del Comune di Caserta, inquadrato nella categoria D con profilo di specialista di vigilanza, si affidava all'avvocato Domenico Carozza per impugnare la sanzione disciplinare della sospensione dal lavoro e dalla retribuzione per dieci giorni. Il Comune gli aveva contestato di non indossare l uniforme di ordinanza durante il servizio e di aver risposto con atteggiamento insolente ed irriguardoso al superiore che gliene chiedeva conto. Un dipendente del Comune di Caserta, inquadrato nella categoria D con profilo di specialista di vigilanza, si affidava all'avvocato Domenico Carozza per impugnare la sanzione disciplinare della sospensione dal lavoro e dalla retribuzione per dieci giorni. Il Comune gli aveva contestato di non indossare l uniforme di ordinanza durante il servizio e di aver risposto con atteggiamento insolente ed irriguardoso al superiore che gliene chiedeva conto. Il procuratore del lavoratore eccepiva la violazione da parte del Comune degli oneri formali imposti dall'articolo 7 della legge 300/1970 per il procedimento disciplinare e contestava la fondatezza dei comportamenti contestati al proprio assistito. Il Giudice ha accolto la tesi della difesa del dipendente ed ha ritenuto che era necessaria l affissione del codice disciplinare che consente al lavoratore di rendersi conto dei comportamenti vietati e delle relative sanzioni. Il Comune, invece, non ha provato di aver assolto l obbligo impostogli di portare a conoscenza dei lavoratori le norme disciplinare mediante affissione in un luogo accessibile a tutti.

Il Comune aveva dedotto solo di aver proceduto alla diffusione del codice disciplinare mediante la rete intranet. Il Giudice ha osservato che, però, il d.lgs. 165/2001 consente solo all amministrazione la pubblicazione del codice sul sito internet istituzionale che, in quanto sito accessibile a tutti, è diverso dalla rete intranet. Il Comune non aveva neanche provato di aver messo il dipendente nelle condizioni di accedere alla rete internet interna dotandolo dei necessari strumenti tecnici. Il Giudice ha anche ritenuto che il Comune non aveva fornito prova adeguata della sussistenza degli addebiti contestati, non essendo sufficienti le generiche dichiarazioni rese nel corso del procedimento disciplinare da altri dipendenti. Il Comune non aveva, quindi, fornito alcuna dimostrazione della verificazione della condotta censurata. Il Tribunale ha, dunque, disposto l'annullamento della sanzione disciplinare con conseguente obbligo della amministrazione di restituire al dipendente la somma a tale titolo trattenuta. Mansioni alternative invece delle pause per i videoterminalisti. Corte di Cassazione, sentenza 2679 del 2015. Un lavoratore di Telecom Italia chiedeva il risarcimento danni per la mancata fruizione delle pause al videoterminale. Il Tribunale di Benevento inizialmente accoglieva il ricorso giudiziario. La Corte d'appello di Napoli, invece, riformava la sentenza e rigettava la domanda. La Corte rilevava che, in base alle risultanze della prova testimoniale, era emerso che, nel periodo in esame, il lavoratore svolgeva anche altre autonome mansioni che non comportavano l'uso continuativo dei videoterminali, con conseguente cambiamento di attività. La Corte di Cassazione, investita della controversia, ha precisato che va applicato nel caso affrontato il d.lgs. 626/1994, anteriore al d.lgs. 81/2008. Le disposizioni normative garantivano in caso di attività per almeno quattro ore consecutive il diritto ad una interruzione mediante pausa o cambiamento di attività, secondo le modalità stabilite dalla contrattazione collettiva anche aziendale, in mancanza della quale era comunque stabilito il diritto ad una pausa di quindici minuti ogni centoventi minuti di applicazione continuativa al videoterminale. Anche il d.lgs. 81/08 in vigore, in realtà, dispone che il lavoratore impegnato in attività che comportano l'uso di attrezzature munite di videoterminali ha diritto a una interruzione della sua attività: mediante pause o cambiamento di attività. La Corte di Cassazione ha ritenuto sulla scorta delle dichiarazioni dei testimoni, era stato

correttamente accertato che nel caso affrontato non sussisteva la continuità della applicazione al videoterminale e che, peraltro, lo svolgimento, seppur in misura minore, dell'attività amministrativa nella stessa giornata comportava un cambiamento di attività, idoneo ad integrare la prevista interruzione. Tale accertamento è stato ritenuto dalla Corte di Cassazione conforme al diritto, non essendo del resto rilevante il carattere prevalente nella giornata della adibizione al videoterminale, bensì soltanto la continuità della stessa. La Corte di Cassazione ha, quindi, rigettato il ricorso del lavoratore condannandolo al pagamento di oltre 3000 euro di spese legali. Indennità di accompagnamento: necessario il riconoscimento della inabilità totale. Corte di Cassazione, sentenza 5555 del 2015. La Corte d'appello di Reggio Calabria rigettata la domanda di un cittadino tendente ad ottenere il riconoscimento del diritto all'indennità di accompagnamento. Gli eredi dell'interessato proponeva ricorso per cassazione. La Corte di Cassazione riteneva il ricorso proposto infondato alla stregua della giurisprudenza formatasi in merito alla legge 18/1980 che ha previsto che ai mutilati ed invalidi civili totalmente inabili, che si trovino nell'impossibilità di deambulare senza l'aiuto permanente di un accompagnatore o che, non essendo in grado di compiere gli atti quotidiani della vita, abbisognino di una assistenza continua, è concessa una indennità di accompagnamento non reversibile. In base alla norma occorre che sussistano due requisiti concorrenti: a) l'invalidità totale; b) l'impossibilità di camminare senza un accompagnatore ovvero la necessità di assistenza continua per non essere il soggetto in grado di compiere gli atti quotidiani della vita. Sotto il primo profilo è necessaria, pertanto, la sussistenza di una situazione di invalidità totale, rilevante per la pensione di inabilita civile ai sensi della legge 118/1971. Sotto il secondo profilo è altresì necessario che il soggetto si trovi alternativamente, nell'impossibilità di deambulare senza l'aiuto permanente di un accompagnatore oppure nell'incapacità di compiere gli atti quotidiani della vita con la conseguente necessità di assistenza continua: requisiti, quindi, diversi rispetto alla semplice difficoltà di deambulazione o di compimento di atti della vita quotidiana con difficoltà (ma senza impossibilità). La Corte di Cassazione ha ritenuto corretto negare il diritto alla indennità di accompagnamento al richiedente perché non era stata raggiunta la prova della sussistenza di una situazione di invalidità

totale che, dunque, costituisce un dei due requisiti inderogabili per accedere alla prestazione. STUDIO LEGALE CAROZZA Napoli, Centro Direzionale ISOLA F10 Caserta, Via Battisti n. 103 www.studiolegalecarozza.it