Tesina: La Follia Riflessione sull idea di identità e di realtà, facendo riferimento a ciò che è fuori dalla norma Copyright ABCtribe.



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Transcript:

Tesina: La Follia Riflessione sull idea di identità e di realtà, facendo riferimento a ciò che è fuori dalla norma 1. INTRODUZIONE 2. ITALIANO 2.1. Luigi Pirandello 2.1.1. Vita 2.1.2. Umorismo pirandelliano 2.1.3. Enrico IV 2.1.3.1. Da "Enrico IV"

2.2. Giacomo Leopardi 2.2.1. Vita 2.2.2. Teoria delle illusioni 2.2.3. Zibaldone 2.2.3.1. Da "Zibaldone": Genio e malattia 3. LATINO 3.1. Nerone 3.2. Seneca 3.2.1. La poetica 3.2.2. Fedra 3.2.2.1. Da "Fedra": La follia di Fedra 4. STORIA 4.1. Adolf Hitler 4.2. Nazismo 5. FILOSOFIA 5.1. Sigmund Freud 5.1.1. Pensiero 5.1.2. L interpretazione dei sogni 5.1.2.1. Da "L interpretazione dei sogni" 5.2. Karl Jaspers 5.2.1. Pensiero 5.2.2. Genio e follia 5.2.2.1. Da "Genio e follia" 6. FRANCESE 6.1. Gérard de Nerval: Aurélia 7. INGLESE 7.1. Edgar AllanPoe 7.1.1. Berenice 7.1.2. The fall of the house of Usher 7.1.2.1. Da "The fall of the house of Usher" 8. MATEMATICA 8.1. Georg Cantor 8.1.1. Gerarchia di infiniti 9. FISICA 9.1. Onde elettromagnetiche 10. GEOGRAFIA ASTRONOMICA 10.1. Le stelle 11. STORIA DELL'ARTE 11.1. Vincent Van Gogh 11.1.1. Corridoio dell asilo Saint-Paul 1. INTRODUZIONE Il tema di questa tesina non riguarda la follia nella sua più chiara manifestazione, ma vuole piuttosto essere una riflessione sull idea di identità, su come percepiamo le cose, su che cos'è la realtà, perché la follia non è solo disagio o malattia, ma essa permette di cambiare la prospettiva, permette di interrogarci sulla "normale" visione del mondo. Tutte le scienze che si sono occupate di follia da sempre ne hanno identificato un duplice valore, infatti da una parte, essa rappresenta quel mondo profondamente diverso da quello dei "sani"; dall'altra, ma dall altro lato in realtà rivela proprio qualcosa che è in tutti gli uomini. Quindi comunemente la follia viene vista come qualcosa fuori dalla norma, e partendo dal presupposto che diventa difficile capire cosa è la norma, diventa ancora più difficile dare una definizione di follia, perché nei differenti contesti

storici cambiano i parametri che dividono ciò che è normale da quello che è deviante. Fino all'ottocento la letteratura e l'arte facevano riferimento all idea di follia associata a ciò che sfugge al controllo della ragione, soprattutto alla passione amorosa, tanto che per esempio nel testo latino proposto, tratto da una tragedia di Seneca, Phaedra, è proprio la passione di un amore, quello di una matrigna per il figliastro, che si scontra coi principi etici, a venir associato alla follia, con uno schema ricorrente nella letteratura successiva; un tema quello dell amore impossibile che può portare all allontanamento dalla ragione, che è ricorrente in ambito letterario. Quindi già gli antichi individuarono nell'amore una delle cause della follia, dando vita ad un legame di lunga durata. Ma questo tema dell amore che porta alla follia viene usato anche ai giorni nostri ed un esempio è il libro Asylum di Patrick McGrath, che racconta di una passionale e folle avventura amorosa entro i confini di un manicomio londinese. Il significato del termine follia cambia con l avvento del romanticismo, periodo durante il quale la follia rappresenta un eccesso e un'esaltazione che rivela la natura più profonda dell'individuo, ed infatti la figura dominante di questa nuova definizione di follia è il genio, che permette all'individuo di trascendersi e uscire di sé; le pulsioni profonde dell'anima, sepolte al di sotto della coscienza, in cui la natura umana rivela quanto ha di perturbante, il genio, che vede al di là della ragione e della logica comune. È proprio durante il periodo romantico che nasce il mito dell'artista romantico folle, che si appoggia per di più a biografie reali, come il riferimento nello Zibaldone di Leopardi della figura di Torquato Tasso, grande poeta italiano vittima di un delirio di persecuzione e di crisi allucinatorie; ed infatti in una parte dell opera ritroviamo il Dialogo di Torquato Tasso con il suo genio. Tasso è per Leopardi un uomo "vinto dalla sua miseria, soccombente, atterrato, che ha ceduto all'avversità, che soffre continuamente e patisce oltremodo". La follia è dunque il genio che non sa dominare se stesso e che, alla fine, si cancella. Per Leopardi sembra esistere, tra genio e follia, un rapporto strettissimo: almeno il rapporto che c'è tra una cosa e il suo eccesso. In questa fase romantica la follia quindi rivela il lato oscuro dell uomo, in cui fantastico e soprannaturale svelano la reale natura dell uomo, ed è proprio su questa strada che si pone un grande maestro del genere, l'americano Edgar Allan Poe, infatti Roderick, il protagonista di uno dei sui racconti più famosi, Il crollo della casa Usher, è affetto da una strana forma di terrore, una forma che ha le sue origini in una predisposizione ereditaria aggravata dall attesa della morte della sorella Madeline, consumata da una malattia incurabile, essa rappresenta una follia che rivela un'angoscia esistenziale che popola un mondo di fantasmi sinistramente

famigliari, ed infatti il terrore di Roderick Usher si collega alla morte della sorella, con cui egli sembra intrattenere un rapporto morboso, e all'estinzione della casata. Con l avvento del positivismo, ecco che anche l immagine della follia cambia, diventando essenzialmente espressione di malattia, di una malattia che difficilmente può essere curata, da questo segue che il pazzo, che quindi non può essere curato deve essere isolato dalla società, che se ne deve difendere. Questa nuova definizione di follia però non viene usata dalla letteratura del periodo, difendendo i diritti dei folli, ed inoltre in questo periodo essa appare seducente proprio perché è una malattia, ed infatti la svolta decisiva a tutto questo è data dalla nascita della psicoanalisi, che riconduce tutti i meccanismi del disturbo psichico a quelli che regolano l'inconscio di ogni uomo. L avvento della psicoanalisi permette di rivendicare il potere di conoscenza, mettendo in crisi le categorie tradizionali di io e di realtà, in questo modo la pazzia è dimensione alternativa a quella della vita normale, è rifugio rispetto alla sofferenza dell'esistere; e a questo proposito può essere ricordato la famosa opera di Pirandello "Enrico IV" che, come altri personaggi pirandelliani, sceglie la pazzia per non contaminarsi con la vita impura. La follia di Enrico IV è dunque legata alla volontà di sfuggire alla vita, e in questo senso la follia svolge un ruolo analogo a quello che la morte svolge in altri autori, richiudendo l'individuo in una forma storica già definita e vissuta. L'alienazione mentale dà quindi tranquillità e fissità che si oppone alla lacerante molteplicità della realtà. 2. ITALIANO 2.1. Luigi Pirandello 2.1.1. Vita Pirandello nacque ad Agrigento, da una famiglia borghese, che produceva e commerciava lo zolfo, dalle tradizioni risorgimentali, infatti lo stesso padre era stato un garibaldino. L istruzione di Pirandello inizialmente è impartita da maestri privati, ma dopo l istruzione elementare andò a studiare in un istituto tecnico e poi al ginnasio, dove si appassionò subito della letteratura, tanto che a soli undici anni scrisse la sua prima opera Barbaro, che però è andata persa. Dopo il ginnasio entrò nell azienda del padre, periodo che gli permise di fare esperienza diretta con il mondo degli operai nelle miniere e sulle banchine del porto mercantile. Ma la sua passione era comunque la scuola e così nel 1886 si iscrisse all università di Palermo, ma dopo si trasferì a Roma, dove continuò i suoi studi di filologia romanza che poi dovette completare a Bonn su consiglio del suo maestro Ernesto Monaci e a causa di un insanabile conflitto con il rettore dell'ateneo capitolino, dove riuscì a conoscere grandi maestri. E finalmente nel 1891 si laureò con una tesi sulla parlata agrigentina "Voci e sviluppi di suoni nel dialetto di Girgenti", uno studio che comunque gli permise di l utilizzo nelle sue opere successive di un italiano perfetto. Nel frattempo si sposa con Maria Antonietta Portularo, una ragazza con problemi mentali, che si aggravarono poco dopo il matrimonio, poiché nel 1903, poco dopo le nozze, un allagamento in una miniera di zolfo, in cui

Pirandello e la sua famiglia avevano investito il loro capitale, li ridusse sul lastrico. Fu comunque proprio la malattia della moglie che fece sempre più interessare Pirandello ad approfondire lo studio dei meccanismi della mente e della reazione sociale dinnanzi alla menomazione intellettuale, portandolo ad avvicinarsi alle nuove teorie sulla psicanalisi di Sigmund Freud. Per un periodo dovette insegnare come professore di stilistica all Istituto superiore di Magistero, perché dopo la grande crisi economica della famiglia, le sue prime opere letterarie non gli permettevano di vivere. Il suo primo grande successo fu merito del romanzo Il fu Mattia Pascal, pubblicato nel 1904 e subito tradotto in diverse lingue. Pirandello aderì al fascismo ma fu criticato più volte dalla stampa del regime per non aver scritto opere conformi allo spirito e agli ideali fascisti, pessimiste e prive di amor di Patria. Un altra importante caratteristica di Pirandello era il cinema ed infatti seguì le riprese del film tratto dal suo Il fu Mattia Pascal, durante questo periodo si ammalò di polmonite, alla quale non riuscì a sopravvivere, lasciando incompiuto anche un nuovo lavoro teatrale, I giganti della montagna. Il suo corpo fu avvolto in un lenzuolo bianco e portato sul carro dei poveri, e poi bruciato, e le sue ceneri furono sparse nella sua tenuta, così come aveva scritto nel suo testamento. 2.1.2. Umorismo pirandelliano Pirandello scrive in modo paradossale, paradossi che in realtà esprimono profondi e amari drammi creando personaggi di una toccante umanità, ed infatti nelle sue opere gli uomini e la vita appaiono spesso comici, ma di una comicità che nasconde dolorose tragedie, e dove tutto appare logico e naturale ecco che dopo emerge l assurdo, aspetto che però poi in realtà per Pirandello è ben più vivo e reale, come lo sono il dolore e la sofferenza che la nostra ragione rifiuta perché disumani e assurdi. E proprio questo tipo di atteggiamento rappresenta l'umorismo pirandelliano, pensieroso e amaro, che esprime le contraddizioni e i profondi turbamenti del mondo contemporaneo, attraverso il sentimento del contrario si scopre la tragica realtà che è celata dietro l'apparenza talvolta ridicola delle cose e se ne esprime la desolante angoscia, tormentosa e senza uscita. Pirandello crede che l'universo sia in ininterrotto fluire, di cui l uomo fa parte, e che soprattutto vuole comprendere, e per questo infatti cerca di mettersi di fronte a tale flusso per analizzarlo, ma per fare questo deve inoltre possedere mezzi idonei e non deve essere molto limitato nello spazio e nel tempo. Ma la sua investigazione riesce a cogliere solo aspetti superficiali, parziali, cioè le forme, che anche se sono vere, cioè se sono pertinenti all'essere, nel momento in cui sono colte o prodotte, sono destinate a divenire ben presto false ABCtribe.com

perché in realtà questo flusso vitale non può essere ne fermato né cambiato, perché questo renderebbe falso tutto il mondo reale. Questo processo permette all uomo di canalizzare il flusso entro forme finite e inadeguate, e più si sforza di produrre forme sempre nuove e diverse, più spreca energia e si aliena, poiché le forme che produce, accumulandosi e ammassandosi, si ritorcono contro l'uomo isolandolo dalla realtà. Questo fluire crea continui cambiamenti nell uomo, cambiamenti ad ogni giorno, a ogni attimo diverso, che però non trovano corrispondenza nella società, nella cultura, che ci vuole sempre identici, ed è proprio da questa proprietà che nasce la dicotomia volto/maschera che rappresenta un aspetto particolare della precedente e concerne impossibilità di rapporto autentico tra gli uomini. Quindi l uomo produce, volenti o no, una serie di maschere o modelli coi quali ci esprimiamo in società, e nella vita di ogni giorno non ci mostriamo mai per quelli che siamo, ma ad ogni circostanza indossiamo una maschera diversa, diversa anche in relazione alla persona alla quale ci rapportiamo. In poche parole ogni uomo sente di essere uno, ma, di fatto, si manifesta per cento, mille persone diverse, ciascuna di queste è poi ulteriormente moltiplicata dalle svariate ottiche e personalità degli altri e diventano centomila; cosicché quell'uno potenziale non manifestandosi mai nel corso della vita, di fatto è come se non esistesse, se fosse nessuno. E questa manifestazione di uomo come mille persone diverse rende il tempo, che è una delle tante forme create dall'uomo, per sue esigenze teoriche e pratiche, insussistente e falsa al pari delle altre, mentre diventa vera la nozione di durata o tempo soggettivo, che viene ritmato dalla coscienza di ognuno di noi, infatti la durata non solo non conosce la distinzione presente, passato e futuro, ma non procede neppure linearmente e a senso unico, infatti nella durata vi sono salti, balzi in avanti e indietro, accelerazioni e decelerazioni variabili indefinitamente, ed è proprio questo aspetto che ogni individuo è una galassia a sé stante, che può sfiorare o scontrarsi con le altre, ma che invece al contrario non può mai comunicare, poiché manca qualsiasi termine comune di riferimento, e un mezzo che veicoli messaggi senza manipolazioni e interferenze.

Il pensiero pirandelliano è quindi caratterizzato dalla dicotomia tra comicità e umorismo,ne' "L'umorismo", Pirandello distingue il comico dall'umoristico. Il primo, definito come "avvertimento del contrario", nasce dal contrasto tra l'apparenza e la realtà, mentre ''L'umorismo'', il "sentimento del contrario", invece nasce da una considerazione meno superficiale della situazione. Quindi, mentre il comico genera quasi immediatamente la risata perché mostra subito la situazione evidentemente contraria a quella che dovrebbe normalmente essere, l'umorismo nasce da una più ponderata riflessione che genera una sorta di compassione da cui si origina un sorriso di comprensione. Nell'umorismo c'è il senso di un comune sentimento della fragilità umana da cui nasce un compatimento per le debolezze altrui che sono anche le proprie, (Luigi G.) che permette al nostro Autore di aggredire tutte le false certezze, smascherare i luoghi comuni, gli atteggiamenti fossilizzati dall'abitudine, ma anche di comprendere il mondo con benevolenza. 2. 1. 3. Enrico IV Enrico IV è una delle più importanti opere teatrali di Pirandello, che esprime in modo chiaro la sua tesi filosofica, essa è divisa in tre atti e racconta la storia di un giovane, che impersona l'imperatore Enrico IV durante una festa in maschera, viene fatto cadere da cavallo, batte la testa e impazzisce, credendo per ben dodici anni di essere l'imperatore, una illusione che viene assecondata dai familiari, tanto che vivono tutti in un castello, circondato da personaggi che mimano la vita dell'undicesimo secolo. Dopo dodici anni il giovane guarisce e scopre che la donna che egli amava e che impersonava, nella finzione, Matilde di Canossa, è diventata amante di Tito Belcredi, in rivale che ha provocato la sua caduta da cavallo, così continua a fingersi pazzo per non affrontare la tormentosa realtà, finzione che però dura solo per altri otto anni quando Belcredi, Matilde e la figlia Frida vengono a trovarlo al castello con uno psicanalista, nel tentativo di ricondurlo alla ragione, in quel momento la sua maschera si spezza e si svela la finzione. Inoltre poiché però, per il giovane protagonista dell opera, il tempo si è fermato, ama la giovane Frida come se fosse la Matilde di un tempo, e quindi abbraccia la ragazza, ma nello stesso momento Belcredi lo aggredisce ed egli, spinto anche dal desiderio di vendetta, lo uccide trapassandolo con la spada, omicidio che però lo fa continuare a fingere la sua pazzia per sfuggire alla conseguenze del proprio delitto e vivere per sempre nel castello con la sua finta corte. L'ambientazione e il taglio tragico dunque sono inseriti in una doppia cornice di pazzia, inizialmente vera e inconsapevole, e successivamente finta e consapevole, che li nega nel momento stesso in cui li pone in essere. Quindi la tragedia esiste sia nella trama, dal finale lucidamente e disperatamente negativo, sia nella tipologia del personaggio, nell'ambientazione scenografica, nel rispetto rigoroso delle tre unità aristoteliche, ed infine anche nel linguaggio, caratterizzato da ampi tratti di solennità e oratoria. La pazzia è il tema centrale dell'enrico IV, sviluppata nelle sue implicazioni più profonde, infatti da un lato essa è vista con gli occhi della società e della storia "ufficiali"; mentre dall'altro è vista con gli occhi del presunto pazzo e cosi diventa il consapevole e volontario esercizio di ribellione e rifiuto di chi non vuole riconoscersi in quella autentica follia che sono le regole, le gabbie, le forme della società e della storia. La prima tesi riguarda il rapporto fra la cosiddetta follia e la sanità mentale, perché secondo Pirandello, nei