AIFI. Associazione Italiana del Private Equity e Venture Capital



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Milano, 26 luglio 2013 Spett.le Direzione IV del Dipartimento del Tesoro Ministero dell Economia e delle Finanze Via XX Settembre, 97 00187 Roma Oggetto: risposta alla consultazione pubblica avviata dal Dipartimento del Tesoro sulle norme per l attuazione della direttiva 2011/61/UE, sui gestori di fondi di investimento alternativi (AIFMD), e per l applicazione del regolamento (UE) n. 345/2013 relativo ai fondi europei per il venture capital (EuVECA) e del regolamento (UE) n. 346/2013 relativo ai fondi europei per l imprenditoria sociale (EuSEF) PREMESSA AIFI, ringraziando per l opportunità di confronto concessa nell ambito della consultazione in oggetto, desidera proporre alcune considerazioni di carattere generale, nonché alcune richieste di chiarimento specifiche relative agli operatori specializzati nell attività di private equity e venture capital. Si apprezza la possibilità di anticipare il dibattito sulle modifiche al TUF rispetto alla conclusione del processo di approvazione parlamentare della legge di delegazione europea, tuttora in corso. D altra parte, si sottolinea, al contempo, la difficoltà di esprimere commenti in mancanza di un quadro normativo di riferimento completo, in particolare prima che siano disponibili le modifiche che impatteranno sulla regolamentazione secondaria di Banca d Italia e Consob e sui decreti ministeriali attuativi del TUF. Dal punto di vista generale, preme osservare come la scelta connessa alla riserva di attività, che uniforma sostanzialmente il quadro normativo per le Sgr di fondi mobiliari chiusi e per i veicoli societari in forma chiusa (le nuove Sicaf), esponga al rischio di una scarsa proporzionalità negli adempimenti e negli obblighi regolamentari. Si richiama, a questo riguardo, quanto previsto dalla Direttiva, al considerando 17 e all art. 3, in merito al regime agevolato, per i gestori sotto soglia, basato sulla registrazione nello Stato Membro di origine e caratterizzato da obblighi ridotti rispetto a quelli legati all autorizzazione integrale. Si condivide la scelta (prevista dalle Disposizioni finali e transitorie ) di considerare autorizzate, ai sensi della Direttiva 2011/61/UE, le Sgr che alla data di entrata in vigore del decreto gestiscono

FIA italiani, fatta salva la riserva di conoscere il dettaglio (attraverso la pubblicazione dei provvedimenti normativi di rango secondario) di tutte le misure necessarie per rispettare le disposizioni di recepimento della direttiva 2011/61/UE che le stesse Sgr saranno tenute ad adottare entro il 22 luglio 2014. D altra parte, si sottolinea l importanza di prevedere a regime, per tutte le tipologie di gestori, l opzione della registrazione. Tale opportunità è particolarmente rilevante per i veicoli societari che, attualmente, rappresentano oltre la metà degli operatori di private equity e venture capital e che gestiscono, di norma, capitali ben al di sotto della soglia di riferimento pari a 500 milioni di Euro (non prevedendo il ricorso alla leva finanziaria, né diritti di riscatto per cinque anni). Lo scenario che si prospetta, qualora si opti per un assimilazione della vigilanza verso gli obblighi autorizzativi più stringenti, è l artificiosa delocalizzazione dei gestori in Paesi europei caratterizzati da contesti normativi più attraenti. La conseguenza sarebbe un sostanziale disallineamento tra la nazionalità della veste giuridica della struttura di gestione utilizzata e il reale riferimento territoriale che tipicamente caratterizza questa industria. Oltretutto, i gestori italiani si troverebbero in una posizione di svantaggio e di discriminazione oggettiva rispetto ai gestori esteri che vedono, invece, gli ordinamenti dei Paesi di origine dotati di un regime di vigilanza che non pone, sotto soglia, requisiti più severi di quelli previsti dalla Direttiva 2011/61/UE. Questi gestori potrebbero commercializzare in Italia i propri fondi, qualora ottemperino alle previsioni del Regolamento EuVECA, senza essere autorizzati nel proprio ordinamento di origine e, quindi, a condizioni più favorevoli rispetto a quelle che si applicherebbero ai gestori italiani. Ciò faciliterebbe, tra l altro, il trasferimento di capitali italiani verso il finanziamento di operazioni di venture capital e di PMI di altri Paesi UE. Si richiede, dunque, che venga effettuata una valutazione e un analisi di impatto sull adozione dell impostazione più restrittiva, che introdurrebbe dei vincoli per il mercato nazionale, attualmente già caratterizzato da un ridotto numero di operatori a confronto con altri Paesi europei comparabili. Non è chiaro, inoltre, quanto il meccanismo delle deroghe, richiamate all art. 35-decies, possa effettivamente mitigare questi effetti negativi poiché, da un lato, le deroghe non eliminerebbero la necessità del procedimento autorizzatorio che per i nuovi gestori costituisce un primo scoglio non trascurabile e, dall altro, la portata delle deroghe non è attualmente nota, in quanto rimessa a provvedimenti normativi di rango secondario. D altra parte, per i motivi di seguito indicati, le deroghe limitate alle disposizioni attuative dell art. 6, commi 1, e 2-bis del TUF sarebbero comunque inidonee a superare, per i veicoli societari, le serie difficoltà collegate alle caratteristiche strutturali delle Sicaf, come disegnate nel documento posto in consultazione, dalle nuove norme primarie. Rif. DEFINIZIONI Relativamente alle definizioni proposte all art. 1, comma 1 del TUF, in generale, si concorda con le modifiche. Si formulano, al tempo stesso, alcune osservazioni puntuali:

- lettera j), definizione di fondo comune di investimento ed eliminazione delle definizioni di fondo aperto e fondo chiuso La definizione proposta alla nuova lettera j) contiene la nota distinzione fra fondo aperto e fondo chiuso che, tuttavia, non trovano più la loro relativa definizione alle lettere k) e l) di cui è proposta l eliminazione nel documento di consultazione. Sebbene tale distinzione non appaia più fondamentale alla luce della disciplina degli Oicr di cui si propone l introduzione con il documento di consultazione, si ritiene comunque che le definizioni oggi contenute all art. 1, comma 1, lettere k) e l) del TUF dovrebbero rimanere a fini sistematici e di chiarezza, non essendo venuta meno ontologicamente tale differenziazione. Inoltre, il venire meno di tali definizioni potrebbe essere causa di difficoltà interpretative considerando, ad esempio, che la nozione di fondo chiuso ricorre ancora in quelle disposizioni del TUF che non sono oggetto di modifica in questa sede quali, a titolo esemplificativo, l art. 113-ter, commi 2, 6, 9 lettera a) e l art. 154-ter, comma 6, lettera d). Si segnala anche che tale nozione compare ancora all art. 39, comma 2-bis, del documento di consultazione di cui è ancora incerta l abrogazione. - definizione di fondo di investimento alternativo, FIA Si suggerisce di chiarire la definizione di fondo di investimento alternativo all art. 1, comma 1, lettera m-ter, il cui acronimo (FIA) viene richiamato frequentemente nel testo di modifica proposto. Tale definizione potrebbe ricalcare quella contenuta all art. 4, lettera a), della Direttiva 2011/61/UE, così da inserire, anche nel testo del TUF, il concetto di fondo alternativo come organismo non soggetto ad autorizzazione ai sensi dell art. 5 della Direttiva 2009/65/CE. Rif. DEFINIZIONE INVESTITORE PROFESSIONALE Ai sensi della Direttiva AIFM, viene riconosciuta la possibilità di commercializzare le quote di fondi alternativi solo presso investitori professionali, come definiti dalla Direttiva MiFID ( l investitore che sia considerato un cliente professionale o possa, su richiesta, essere trattato come cliente professionale ai sensi dell allegato II della direttiva 2004/39/CE ). La lettera m-novies dell art. 1, comma 1, introdotta nel TUF al fine di attuare la suddetta direttiva, definisce investitori professionali i clienti professionali ai sensi dell art. 6, commi 2- quinquies e 2-sexies, che incarica la Consob di individuare con regolamento i clienti professionali privati, nonché i criteri di identificazione dei soggetti privati che su richiesta possono essere trattati come clienti professionali e la relativa procedura di richiesta. Sembra opportuno affrontare, proprio in occasione del recepimento della AIFMD, l adeguamento e il coordinamento delle disposizioni normative richiamate, con specifico riferimento al tema della classificazione della clientela e alle problematiche che l applicazione della disciplina vigente ha comportato per il settore del private equity, sottolineate dall Associazione in altre occasioni a codesta Autorità.

In particolare, la definizione di investitore professionale di diritto non necessiterebbe di cambiamenti rispetto a quella già adottata a livello nazionale (allegato III del Regolamento Intermediari Consob n. 16190). Per quanto concerne la definizione di investitore professionale su richiesta, si dovrebbero esplicitare, invece, secondo criteri più aderenti alla realtà del private equity, i requisiti usati come riferimento dall intermediario, al fine di valutare la competenza del cliente. Attualmente, per considerare professionale un cliente che ne abbia fatto richiesta, l allegato III del Regolamento Intermediari prevede la presenza, in capo al cliente, di due dei tre requisiti ivi elencati: - il cliente ha effettuato operazioni di dimensioni significative sul mercato in questione con una frequenza media di 10 operazioni al trimestre nei quattro trimestri precedenti; - il valore del portafoglio di strumenti finanziari del cliente, inclusi i depositi in contante, deve superare 500.000 EUR; - il cliente lavora o ha lavorato nel settore finanziario per almeno un anno in una posizione professionale che presupponga la conoscenza delle operazioni o dei servizi previsti. Il primo requisito risulta impossibile da riscontrare in capo all investitore di un fondo di private equity che, per sua natura, non solo investe soltanto occasionalmente o comunque con una frequenza ben diversa da quella richiesta, ma soprattutto che, nell ambito del servizio di gestione collettiva, non effettua operazioni direttamente sul mercato. Dal punto di vista dell equità della norma, il gestore viene dunque a trovarsi in una posizione di svantaggio e di discriminazione oggettiva: essendo, infatti, condizione necessaria la ricorrenza di almeno due dei tre criteri previsti dalla normativa, la scelta viene meno e si traduce nell obbligo di rispettare i soli due criteri oggettivamente applicabili nel caso di specie. Pare, quindi, opportuno prevedere criteri più attinenti all attività dei fondi di private equity, che misurino l esperienza sulla base di una valutazione operata dalla Sgr in concreto o che, quanto meno, si concentrino su elementi quantitativi coerenti con la tipologia di investimenti di cui si discute. In tal senso, si ricorda che il Regolamento europeo per i fondi di venture capital n. 345/2013, all art. 6, paragrafo 1, annovera, tra gli investitori presso cui commercializzare le quote e le azioni dei veicoli, oltre agli investitori professionali di diritto o su richiesta ai sensi MiFID, anche altri investitori, qualora: (a) si impegnino a investire almeno 100.000 EUR; nonché (b) dichiarino per iscritto, in un documento separato dal contratto da stipulare per l impegno a investire, di essere consapevoli dei rischi connessi all impegno o all investimento previsto. Un simile approccio, con gli opportuni adattamenti dimensionali, ad esempio relativi all innalzamento della soglia di investimento minimo 1, dovrebbe essere mutuato anche per il 1 Si ricorda l approccio seguito nelle modifiche al DM 228/99 poste in consultazione da codesta Autorità ad aprile 2011, in cui si leggeva che le SGR possono istituire fondi alternativi aperti e chiusi la cui

private equity in generale. All interno del suddetto Regolamento, infatti, è esplicitata, attraverso numerosi richiami, l interazione e la complementarietà che deve collegare le disposizioni del Regolamento EuVECA e della Direttiva AIFM. Pertanto, si richiede, anche in vista della revisione del DM 228/99, che la definizione di investitore professionale sia coerente con quanto disposto dallo stesso Regolamento EuVECA, in modo da evitare disallineamenti. Si nota, al riguardo, che la definizione di investitore professionale connota anche la definizione di fondo riservato le cui quote sono appunto riservate esclusivamente ad investitori professionali e conseguentemente incide: - sulla possibilità o meno, per il fondo, di derogare alle norme prudenziali della Banca d Italia in materia di frazionamento e contenimento del rischio; - sulla necessità o meno di approvazione del regolamento di gestione del fondo da parte della Banca d Italia e di rispetto dei criteri generali di redazione e del contenuto minimo dei regolamenti stabiliti dalla Banca d Italia; - sulla disciplina delle fusioni e scissioni di fondi; nonché - sulle strutture master-feeder. Se l attuale proposta di definizione di investitore professionale dovesse essere confermata, i gestori nazionali sarebbero esposti ad un rischio competitivo nei confronti dei gestori esteri, in quanto: (i) i gestori nazionali potrebbero commercializzare i fondi di private equity e venture capital (che tipicamente sono strutturati in forma di fondo riservato) solo nei confronti degli investitori italiani professionali, mentre i gestori esteri potrebbero, in forza del Regolamento EuVECA, continuare a commercializzare i propri prodotti a certe condizioni anche nei confronti di investitori italiani al dettaglio; (ii) gli investitori italiani al dettaglio che oggi investono nel settore degli alternativi non avrebbero accesso ai fondi italiani riservati; per poter continuare a beneficiare delle flessibilità di cui allo stato attuale godono esclusivamente i fondi riservati (ad esempio la possibilità di versare i propri impegni finanziari in più soluzioni), tali investitori dovrebbero scegliere fondi esteri. Rif. DEFINIZIONE E DISCIPLINA SICAF Alla lettera i-bis) dell art. 1, comma 1, si definisce la Sicaf come la società per azioni a capitale fisso con sede legale e direzione generale in Italia avente per oggetto esclusivo l investimento collettivo del patrimonio raccolto mediante l offerta di proprie azioni. partecipazione è riservata a investitori professionali ovvero investitori non professionali, a condizione che la quota iniziale di partecipazione di questi ultimi sia di importo non inferiore a 250.000 euro.

Tale struttura sembra potersi ricondurre, tra le altre, alle cosiddette società di investimento di private equity e venture capital (veicoli societari in forma chiusa). Nel caso tale ipotesi risulti confermata, come precisato in premessa, si auspica che sia disposto, anche per il caso di questi specifici gestori, il regime di registrazione semplificato previsto dalla Direttiva per i soggetti sotto soglia. Occorre, in ogni caso, sottolineare come il modello di funzionamento delle Sicaf previsto dalle nuove norme sia molto distante dagli schemi operativi dei veicoli societari che nel tempo sono stati elaborati dagli operatori, valendosi degli strumenti di diritto comune. Tali schemi, frutto di analisi volte a individuare le modalità di funzionamento che coniughino adeguatamente obiettivi di tenuta giuridica e di flessibilità operativa, hanno ormai raggiunto un notevole livello di sviluppo, idoneo a soddisfare la generalità delle esigenze dei gestori e degli investitori collegate agli economics e alla governance dei fondi di private equity e di venture capital. A titolo puramente indicativo, si segnalano le seguenti caratteristiche ricorrenti degli schemi in questione, senza pretese di esaustività. Frequentemente, il veicolo societario prescelto per l attività di investimento è una società per azioni che il promotore dell iniziativa controlla riservandosi azioni con diritti di voto pieno e destinando agli investitori azioni a voto limitato. L organo amministrativo della società di investimento è così espressione del promotore e questi, generalmente costituito in forma societaria, presta sevizi di gestione alla società di investimento in base ad apposito contratto. L attribuzione del carried interest ai manager e gli strumenti di gestione dei default degli investitori possono tradursi nella creazione di ulteriori categorie di azioni, con diritti patrimoniali particolari. Di regola, gli impegni finanziari degli investitori sono versati alla società di investimento in forza di un contratto tra la società stessa e gli investitori che disciplina l intero schema (l equivalente, insieme allo statuto, del regolamento dei fondi gestiti da Sgr) sotto forma di apporti patrimoniali (versamenti in conto capitale) che non richiedono l emissione di nuove azioni. Ciò semplifica le formalità di versamento e distribuzione, consente di mantenere ferma nel tempo la struttura azionaria pianificata (che deve soddisfare requisiti di legge relativi al rapporto tra azioni a voto pieno e azioni a voto limitato) e aiuta ad evitare complicazioni nella gestione di quei versamenti che non possono avvenire pro quota (es. versamenti perequativi degli investitori che aderiscono allo schema di investimento dopo il primo closing) o che provengono da soggetti diversi dagli investitori (ad esempio gli obblighi di clawback dei soci che percepiscono il carried interest). Appare evidente come la maggior parte di questi meccanismi, e con essi le flessibilità operative che ne derivano, si ponga in contrasto con il modello rigido di funzionamento delle Sicaf previsto dalle nuove norme. Ad esempio, la disciplina della Sicaf prevede che il capitale sia sempre uguale al patrimonio netto (art. 35-quater, comma 1), con ciò apparentemente escludendo la possibilità di apporti patrimoniali diversi dal versamento di azioni. È inoltre previsto che non possano essere emesse azioni di categorie diverse oppure prive del diritto di voto o con voto limitato (art. 35-quater, comma 7), con ciò precludendo il ricorso a quegli strumenti di differenziazione delle posizioni dei soci su cui riposa la realizzazione delle esigenze tipiche degli economics e della governance dei fondi di private equity e di venture capital. È ancora previsto

che non possano essere posti limiti alla trasferibilità delle azioni (art. 35-quater, comma 7), laddove è prassi del settore che le partecipazioni al fondo non possano essere cedute senza il consenso del gestore (che deve effettuare una serie di verifiche nell interesse, tra l altro, della generalità degli investitori). Anche il divieto di acquisto di azioni proprie (art. 35-quater, comma 8) precluderebbe l utilizzo di uno strumento cui si è talvolta fatto ricorso per la gestione dei default degli investitori. Una disciplina delle Sicaf così congegnata produrrebbe inconvenienti non di poco conto. Da un lato, si costringerebbero gli operatori esistenti ad un opera di adeguamento, entro il 22 luglio 2014, che comporterebbe una gravosa rinegoziazione degli accordi in corso con gli investitori e l introduzione di regole sostanziali del tutto incoerenti con gli accordi stessi o di inutili artifizi, con pesanti diseconomie. Dall altro, si renderebbero sostanzialmente impraticabili, in futuro, gli schemi di investimento di natura societaria, con la conseguente perdita di tutti quegli elementi di flessibilità e dinamismo che il mercato ha saputo esprimere attraverso il ricorso alle strutture in questione, in particolare nelle fasce di raccolta basse e medio-basse che non hanno la capacità di sostenere l onere economico dell attuale regolamentazione. Ciò non è imposto dalla Direttiva e appare un sacrificio non proporzionato alle esigenze della vigilanza. Si chiede, quindi, di riconsiderare l impianto normativo delle Sicaf alla luce delle osservazioni che precedono e delle seguenti riflessioni ulteriori. Ove si recepisse la soluzione di prevedere a regime, per tutte le tipologie di gestori sotto soglia, l opzione della registrazione, non sarebbe probabilmente necessario definire le caratteristiche strutturali dei veicoli societari riferibili a gestori che non chiedono l autorizzazione, non essendo tali caratteristiche strumentali al regime di vigilanza cui sarebbero assoggettati i gestori registrati, in conformità alla Direttiva. Per i gestori che richiedono l autorizzazione, la disciplina delle Sicaf prevista dalle norme primarie dovrebbe essere resa maggiormente flessibile, tenuto conto delle caratteristiche strutturali degli schemi societari esistenti, se del caso attribuendo alla Banca d Italia il potere di autorizzare gestori che, pur non rispettando alcune delle caratteristiche strutturali previste dalle nuove norme, soddisfino comunque le esigenze della vigilanza in forme equivalenti a quanto previsto dalla disciplina delle Sgr e dei fondi comuni di investimento. Appare inoltre utile sottolineare alcuni profili della disciplina Sicaf su cui si richiedono chiarimenti o si suggeriscono adattamenti: ai sensi dell art. 33, comma 3-bis, le Sicav e le Sicaf prestano il servizio di gestione collettiva del risparmio e le attività previste al comma 1 esclusivamente in relazione al patrimonio raccolto mediante l offerta di azioni proprie; esse possono altresì svolgere le attività connesse e strumentali. Si richiede se sia perciò corretto dedurre che le Sicaf possano istituire e promuovere fondi alternativi. Peraltro, deporrebbero in tal senso, da un lato, la focalizzazione della riserva di attività delle Sgr sulla sola gestione (e non istituzione) di Oicr (e dei relativi rischi) (cfr. combinato disposto artt. 1, comma 1, lett. n) e 32-quater), comma 1) e, dall altro, l inquadramento delle Sicaf nella definizione di gestore di cui all art. 1, comma 1, lett. q-bis) congiuntamente alla previsione dell art. 1,

comma 1, lett. j) secondo cui il fondo comune di investimento può essere istituito e gestito da un gestore ; ai sensi dell art. 35-bis, comma 1 (ma anche dell art. 38 per le Sicaf che designano un gestore esterno), agli esponenti aziendali e ai soci delle Sicaf si applicano i requisiti di professionalità, onorabilità e indipendenza di cui agli artt. 13, 14 e 15 del TUF. Sembra opportuno rilevare che non risultano modificati né i Decreti Ministeriali sui requisiti, né gli articoli richiamati; sempre con riferimento all art. 35-bis, il comma 4 (e, analogamente, per le Sicaf che designano un gestore esterno, l art. 38, comma 2) richiede il versamento integrale del capitale delle Sicaf entro 30 giorni dal rilascio dell autorizzazione. Tale previsione non si ritiene realizzabile per le società d investimento, per le quali, di norma, il capitale sottoscritto è versato durante il periodo d investimento; all art. 38, comma 1, lettera f, punto 1) sembra opportuno eliminare il riferimento all offerta al pubblico, lasciando solo offerta delle proprie azioni, in linea con la definizione di Sicaf proposta dalla lettera i-bis) dell art. 1, comma 1; si chiedono chiarimenti in merito alle caratteristiche del gestore esterno qualora tale modello sia applicato alle Sicaf. Rif. DISPOSIZIONI COMUNI E DEROGHE Per quanto riguarda le regole di comportamento e i diritti di voto dei soggetti italiani autorizzati, si segnala come le disposizioni appaiono più rigide e restrittive rispetto a quanto previsto dall art. 37 del Regolamento delegato (UE) n. 231/2013 della Commissione, del 19 dicembre 2012. In particolare, alla lettera e) dell art. 35-novies, introdotta nel TUF, si fa riferimento all esercizio dei diritti di voto inerenti agli strumenti finanziari di pertinenza degli Oicr gestiti, ma non alle partecipazioni. Si sottolinea come queste ultime, richiamate espressamente dall art. 37 del sopra citato Regolamento, e che peraltro sono definite nell art. 1, comma 6-bis del TUF, rappresentino il vero oggetto d investimento dei fondi di private equity. Alla luce di ciò, viene richiesto un chiarimento, al fine di accertare l eventuale incompatibilità tra la previsione normativa nazionale e quella comunitaria e, conseguentemente, di predisporre coerenti policy sull esercizio dei diritti di voto da parte degli operatori. Ai sensi dell art. 35-decies, la Banca d Italia e la Consob, nell ambito delle rispettive competenze, possono esentare i gestori autorizzati che gestiscono FIA italiani riservati il cui valore totale dei beni gestiti non supera 100 milioni di euro, ovvero 500 milioni se gli Oicr gestiti non fanno ricorso alla leva finanziaria e non consentono agli investitori di esercitare il diritto di rimborso per 5 anni dopo l investimento iniziale, dall applicazione delle disposizioni attuative dell art. 6, commi 1, 2 e 2-bis. Al fine di comprendere la portata della deroga, si richiede:

di chiarire quale disciplina resterebbe applicabile nel caso in cui Consob e Banca d Italia dovessero esentare i gestori di FIA italiani riservati, il cui valore totale dei beni gestiti non superi le soglie; se sia corretto intendere tale previsione in termini di assimilazione del regime di registrazione a quello di autorizzazione; la conferma sull interpretazione del termine rimborso come sostituto equivalente del termine riscatto (redemption, così come citato all art. 3 della versione in lingua inglese della Direttiva AIFM). Si suggerisce di sostituire il suddetto termine con riscatto, in modo da evitare incertezze interpretative, in quanto nella prassi i regolamenti dei fondi mobiliari chiusi riservati possono prevedere rimborsi parziali anticipati entro i cinque anni. Si ritiene, peraltro, che i rimborsi parziali ai sottoscrittori in occasione del disinvestimento non debbano essere confusi con il diritto di riscatto, che è legalmente vincolante, ad esempio, per il gestore dei fondi aperti. Nel caso dei fondi di private equity, infatti, i rimborsi non sono oggetto di richiesta da parte del singolo investitore, ma sono previsti come facoltà nei regolamenti dei fondi. Rif. AUTORITÀ COMPETENTI AI SENSI DEL REGOLAMENTO (UE) N. 345/2013, RELATIVO AI FONDI EUROPEI PER IL VENTURE CAPITAL (EuVECA) Ai sensi dell art. 4-quinquies, la Banca d Italia e la Consob, secondo le rispettive attribuzioni e le finalità dell art. 5, sono le autorità nazionali competenti ai sensi del regolamento (UE) n. 345/2013. Si chiede, al fine di semplificare le procedure di trasmissione di informazioni e notifiche da parte degli operatori, di individuare una sola Autorità a cui attribuire le funzioni e le competenze contemplate dal suddetto articolo. In tale ambito risulta da salvaguardare, in particolare, l attuale impostazione nazionale secondo cui non è necessario, per la commercializzazione dei fondi mobiliari chiusi riservati, ottenere un autorizzazione apposita, essendo invece sufficiente la trasmissione alla Banca d Italia dei regolamenti di gestione approvati dalla Sgr e una comunicazione annuale del piano recante le tipologie di fondi che si intendono istituire nell anno successivo. Si richiede, pertanto, di modificare l art. 43. Rif. VIGILANZA REGOLAMENTARE LIMITI DI LEVA FINANZIARIA Ai sensi della lettera c) del primo comma dell art. 6, punto 2 la Banca d Italia può prevedere l applicazione ai FIA italiani riservati di limiti di leva finanziaria massima e di norme prudenziali per assicurare la stabilità e l integrità del mercato finanziario. A questo proposito, si suggerisce di esplicitare che tali limiti sono da riferirsi alla leva finanziaria relativa al fondo. Ciò è, infatti, in linea con quanto previsto dall art. 6, comma 3, del Regolamento delegato (UE) n. 231/2013, secondo cui i gestori la cui politica di investimento riguardi principalmente il controllo

di società o emittenti non quotati non devono includere l esposizione finanziaria a livello di veicolo d investimento e/o di società target nel calcolo della leva. L acquisizione di debito a livello di società in portafoglio, nell ambito di un operazione come quelle richiamate, non ha infatti lo scopo di creare, in alcun modo, una leva finanziaria a livello di fondo. Inoltre, assegnare limiti generali al rapporto debito/equity a livello di società partecipata risulta inappropriato rispetto ai rischi di tipo sistemico che la Direttiva intende affrontare. Rif. ASSEMBLEA DEI PARTECIPANTI Con l art. 39, il MEF viene incaricato di determinare con regolamento, sentite la Banca d Italia e la Consob, i criteri generali cui devono uniformarsi gli Oicr italiani. A questo proposito: l eliminazione della lettera b-bis) del secondo comma sembra essere conseguente al fatto che venga tolta al Ministero dell economia e delle finanze la competenza di disciplinare i casi in deroga. Si chiede conferma di tale interpretazione; nell introduzione del documento di consultazione si richiede di valutare l eventuale abrogazione del comma 2-bis dell art. 39 sull assemblea dei partecipanti dei fondi chiusi. Si sottolinea che, anche per i fondi mobiliari chiusi, l applicazione di tale disposizione ha comportato diverse problematiche operative. Oltretutto, dal momento che l istituzione dell assemblea dei partecipanti e i diritti dei partecipanti al fondo sono normalmente oggetto di negoziazione tra sottoscrittori e gestori, si chiede di eliminare l obbligo di legge e di lasciare alla libertà negoziale delle parti la definizione della clausola all interno del regolamento. Rif. FUSIONE E SCISSIONE DI ORGANISMI DI INVESTIMENTO DEL RISPARMIO In merito alla disciplina della fusione e scissione di Oicr italiani, l art. 40-bis, comma 4-bis stabilisce che Le norme del presente articolo non si applicano ai FIA italiani riservati. In proposito, fermo restando che tale previsione comporterebbe per i FIA italiani riservati che hanno struttura societaria l applicazione delle norme del Codice Civile, ove compatibili, si chiede di confermare che per i FIA italiani riservati che hanno la forma di fondi comuni d investimento la disciplina applicabile è lasciata alla libertà negoziale delle parti. Rif. COMMERCIALIZZAZIONE DI OICR Il documento di consultazione prevede l abrogazione dei commi 5-8 dell art. 42 del TUF, che disciplinavano la commercializzazione in Italia di quote di fondi di investimento comunitari non armonizzati ed extra-comunitari per il tramite di una procedura di autorizzazione. Tale procedura è ora superata in relazione ai fondi di private equity comunitari che rientrano nell ambito

applicativo della Direttiva AIFMD, per i quali è prevista ed implementata la commercializzazione mediante il cd. passaporto UE. Si richiedono invece chiarimenti in merito alla normativa applicabile a seguito dell implementazione della Direttiva AIFMD alla commercializzazione in Italia di quote di fondi di investimento comunitari di private equity che non raggiungano le soglie di cui all art. 3, paragrafo 2, della Direttiva. Inoltre, si richiede se per tali fondi di investimento, in attesa dell emanazione della nuova normativa secondaria, continuino a restare applicabili le previsioni di cui al Titolo VI, Capitolo V, del Regolamento sulla gestione collettiva del risparmio emanato da Banca d Italia in data 8 maggio 2012, come successivamente emendato, come lascerebbe presupporre il comma 1 del documento in consultazione sulle disposizioni transitorie. Esso prevede, infatti, che le disposizioni attuative emanate ai sensi delle disposizioni abrogate o sostituite del TUF continuano ad applicarsi, in quanto compatibili con la Direttiva (che esplicitamente differenzia il regime normativo dei fondi sotto soglia ), fino alla data di entrata in vigore dei provvedimenti di attuazione delle nuove norme nelle corrispondenti materie. Rif. OBBLIGHI INFORMATIVI E DI COMUNICAZIONE In merito all introduzione di obblighi informativi relativi all acquisizione di partecipazioni rilevanti o di controllo di società non quotate, previsti all art. 45, si sottolinea che, anche a livello di dibattito comunitario, è stata ampiamente criticata la discriminazione oggettiva che gli stessi obblighi impongono all acquirente finanziario rispetto all acquirente industriale. Nel considerando 54 della Direttiva, si sottolinea anche che nella maggior parte dei casi, il GEFIA non ha alcun controllo sul FIA ( ). Inoltre, conformemente ai principi generali del diritto societario, non sussiste alcun rapporto diretto tra gli azionisti e i rappresentanti dei lavoratori o, in mancanza di questi, i lavoratori stessi. Per tali ragioni, a un azionista o al suo gestore, vale a dire al FIA e al GEFIA, non possono essere imposti ai sensi della presente direttiva obblighi specifici di informazione ai rappresentanti dei lavoratori, o, in mancanza di questi, ai lavoratori stessi. Si chiede, quindi, di precisare come la trasmissione di informazioni e dati sensibili (quali, ad esempio, l identità degli azionisti partecipanti, la persona fisica autorizzata ad esercitare il voto per loro conto) sarà protetta, nonché la compatibilità di tali obblighi con la normativa sulla Privacy. Si chiede, inoltre, di evitare che tali obblighi valgano anche per i gestori sotto soglia, come sembrerebbe dalla circostanza che gli artt. 45 e 46 sono sottratti al potere derogatorio che l art. 35-decies, per il caso che qui interessa, attribuisce alla Consob. A disposizione per i chiarimenti e gli approfondimenti che si ritenessero opportuni, ringraziamo per l attenzione e porgiamo distinti saluti.