TERREMOTI: INNESCO DEI VULCANI?

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Transcript:

APPUNTI AMBIENTE 6 Gianni Bassi TERREMOTI: INNESCO DEI VULCANI? Coordinamento Studi e Ricerche Area Veneta 2013

APPUNTI AMBIENTE 6 Gianni Bassi TERREMOTI: INNESCO DEI VULCANI? Coordinamento Studi e Ricerche Area Veneta marzo 2013 In copertina: l'eruzione del Vesuvio del 1830 in una stampa dell'epoca

UNA CURIOSA TEORIA Il 27 febbraio 2013, una emittente televisiva (FOCUS ore 9-10) trasmise un documentario che trattava dell'attività del Vesuvio e della sua costante pericolosità: nel corso del documentario, si affermava che le quattro grandi eruzioni, verificatisi dal '600 in poi, furono precedute da terremoti avvenuti anche a molte decine di kilometri di distanza dal vulcano. Da tale constatazione, i Vulcanologi deducono che i terremoti funzionerebbero da "detonatori" delle eruzioni dei vulcani e del Vesuvio in particolare, e ciò li induce a temere un prossimo risveglio del Vesuvio in seguito ai recenti (per modo di dire) terremoti dell' Abruzzo e della vicina Irpinia. Secondo lo scienziato (statunitense?) che conduceva il documentario, la funzione di detonatore si esplicherebbe mediante la compressione della camera magmatica dovuta all'assestamento della crosta prodotto dalle scosse sismiche, compressione che farebbe aumentare la pressione sul magma costringendolo a risalire verso la superfice: per spiegare meglio il concetto, lo scienziato mostrava come lo schiacciamento di una bottiglietta in plastica spingesse l'acqua in essa contenuta verso la bocca del recipiente provocandone la fuoriuscita. Pur se rispettabilissima, però, tale teoria sembra non tener conto del lungo intervallo di tempo, che intercorre generalmente fra il terremoto e la successiva eruzione del Vesuvio da esso ipoteticamente innescata, intervallo che, con la sua durata di mesi e a volte di anni, sembra smentire la validità della dimostrazione, poiché la riduzione del volume della bottiglia di plastica dovuta allo schiacciamento provoca la fuoriuscita immediata del contenuto... E dunque?

La rovina incombe sulla città di Napoli: l'eruzione del Vesuvio nel 1944 fu una delle maggiori fra quelle ricordate dalla storia DISCUTIAMONE Il mare di abitazioni, che si estende ai piedi del Vesuvio e si arrampica lungo le sue pendici, fa pensare... e la mente corre alle impressionanti rovine di Pompei e di Ercolano. Se però la teoria, che vede nei terremoti l'innesco delle eruzioni del Vesuvio, potesse essere verificata e confermata, le prospettive del territorio napoletano potrebbero apparire meno fosche, poiché essa, consentendo di prevedere in qualche modo l'approssimarsi dell'eruzione, verrebbe a costituire un valido strumento di preven-

zione della strage di massa, che un repentino e inaspettato risveglio del vulcano potrebbe causare fra la popolazione. Dunque discutiamone!... Ebbene, pur non escludendo a priori, fra le possibili cause delle eruzioni vulcaniche, l'ipotesi dello schiacciamento della camera magmatica, cerchiamo di individuare eventuali altre cause dell'attività vulcanica, cause, però, che consentano di spiegare la lentezza con cui il Vesuvio reagirebbe alle sollecitazioni sismiche. FATTI E IPOTESI Come è chiaramente espresso dal suo nome, il terremoto consiste nello scuotimento più o meno violento di una determinata porzione della crosta terrestre, scuotimento, dunque, che va ad interessare anche la camera magmatica di un eventuale vulcano presente in zona. Ovviamente, insieme con la camera magmatica, il terremoto scuote anche il magma in essa contenuto e ciò, verosimilmente, potrebbe provocare assestamenti delle diverse componenti del magma stesso, assestamenti che produrrebbero una dislocazione selettiva dei fluidi magmatici a seconda del loro peso specifico: in basso tenderebbero a concentrarsi le componenti più pesanti (quelle che danno poi origine ai basalti) ed in alto si concentrerebbero quelle più leggere (che danno origine alle pomici e alle ceneri). Tali movimenti poi favorirebbero la mobilità dei gas, i quali, liberati dalla soffocante stretta del magma grazie agli scuotimenti, si raccoglierebbero al disopra delle altre componenti dove, accumulandosi nel tempo ed espandendosi, produrrebbero l'incontenibile aumento della pressione, che farebbe poi saltare il tappo del camino vulcanico. Per meglio comprendere il fenomeno, prendiamo anche noi una bottiglia, però non una di quelle in plastica che si possono schiacciare ma una robusta bottiglia in vetro piena di spumante: le togliamo la stagnola che ne copre la sommità, quindi togliamo la gabbietta in ferro che blocca il tappo e infine, contrariamente a quanto si fa di regola per lo spumante, la scuotiamo vigorosamente per simulare il terremoto, quindi osserviamo cosa succede:

Da limpido qual'era, lo spumante si intorbida rapidamente per la formazione di innumerevoli bollicine di gas, le quali salgono velocemente verso l'alto ingrossandosi per via mentre, per l'addensamento prodotto dalla perdita dei gas, il livello del vino cala lasciando in tal modo maggiore spazio all'espansione degli stessi gas all'interno del collo della bottiglia. Il processo può comportare un'attesa anche di parecchi minuti ma, alla fine, la pressione dei gas vince la resistenza del tappo e avviene l'esplosione: l'istantanea fuga dei gas raccolti in alto è immediatamente seguita da uno spettacolare fiotto di vino ancora impregnato di bollicine, la cui violenza si attenua però gradualmente fino a cessare quando lo spazio, formatosi all'interno della bottiglia, consente un degassamento più tranquillo del poco vino rimasto. Ecco, questo è praticamente quanto potrebbe avvenire nelle profondità di un vulcano, il cui serbatoio magmatico venisse scosso a lungo da un violento sciame sismico: a differenza di quanto avviene in una bottiglia di spumante, però, data l'altissima densità del magma e la sua enorme quantità all'interno del serbatoio magmatico, il processo di assestamento selettivo delle sue diverse componenti sarebbe assai lungo e questo darebbe finalmente ragione dell'altrimenti inspiegabile lunghezza dei tempi, che intercorrono fra il presunto innesco sismico e l'effettiva eruzione del vulcano. Occorre poi tener presente che, nella meccanica dei fenomeni effusivi, un ruolo determinante è sostenuto dalla temperatura dei magmi e dalla loro composizione: l'alta temperatura dei magmi di origine profonda, infatti, e la tipica composizione prevalentemente basaltica che li caratterizza, ne aumentano la fluidità e ciò potrebbe favorire la migrazione selettiva dei loro componenti innescata dalle scosse sismiche, consentendo in tal modo un più rapido trasferimento dei gas verso l'alto del condotto vulcanico. Tale processo dà luogo ad eruzioni più frequenti, caratterizzate da una breve fase esplosiva seguita dall'emissione di colate laviche di elevata fluidità, come nel caso delle eruzioni dell'etna in Sicilia, del Piton de la Fournaise nell'isola della Reunion (oceano Indiano), e ancor più nel caso delle fluidissime effusioni dei vulcani

africani (Erta Ale, Nyamlogira e Nyragongo) e di quelli hawaiani (Mauna Loa e Kilauea). Una spettacolare fontana di lava sgorga fluidissima dal Kilawea. Al contrario, la collocazione meno profonda della camera magmatica, situata perciò nello spessore della crosta terrestre, coinvolge nella produzione dei magmi cospicue porzioni della crosta stessa, le quali sono caratterizzate da una maggiore presenza di silice, e questo fatto, associato alla temperatura meno elevata dovuta alla minore profondità, provoca una maggiore viscosità del magma, la quale a sua volta ostacolerebbe la migrazione selettiva delle componenti magmatiche e impedirebbe in buona parte la fuga dei gas. In tal modo, l'accumulo di pressione all'interno del camino vulcanico avverrebbe in tempi assai più lunghi rispetto al caso precedente e comunque, quando, al di là delle ipotesi, detta pressione riesce a far saltare il tappo che chiude il condotto, il vischioso contenuto della camera magmatica presenta ancora una elevatissima e letale presenza di gas. Quando, infatti, l'improvvisa scomparsa del tappo produce l'immediato abbassamento della pressione all'interno del condotto vulcanico, i gas si espandono violentemente rimanendo tuttavia imprigionati dalla viscosità del magma, il volume del quale aumenta perciò in maniera esplosiva. Ed è appunto tale processo che provoca le spaventose eruzioni pliniane, eruzioni caratterizzate da immani e persistenti fontane di

ceneri infuocate, le quali si innalzano nel celo per molte migliaia di metri, per poi precipitare al suolo come nubi ardenti. Queste, formate da vapori e ceneri incandescenti, danno luogo a micidiali colate piroclastiche simili quelle, che nel 79 dopo Cristo sommersero le città di Pompei e di Ercolano. Al di là dell'innesco o meno da parte dei terremoti, questo, dunque, è il processo che rende pericolosi i vulcani caratterizzati da un serbatoio magmatico poco profondo, annidato nello spessore della crosta terrestre, il cui contenuto è saturo di gas imprigionati dalla sua consistenza resa fortemente vischiosa dall'elevata componente silicea: vulcani come l'italiano Vesuvio, ma anche come il colombiano Nevado del Ruiz, il Monte Pelee nella Martinica, il Pinatubo nelle Filippine, gli indonesiani Monte Colo e Merapi, il giapponese Sakurajima, lo statunitense Saint Helen, e tanti, tanti altri. 18 maggio 1980: Nella Catena delle Cascate, nel nord-ovest degli USA, esplode il vulcano Saint Helens, che lancia verso il celo una montagna di detriti rocciosi subito seguiti da un'immane nube ardente, che precipita a valle annientando col suo alito di fuoco milioni di ettari di foresta.

CONCLUSIONE Così come si presenta, la teoria che vedrebbe i terremoti quale innesco delle eruzioni del Vesuvio appare suggestiva perché, come già detto, se venisse confermata dai fatti, potrebbe forse aiutare a prevedere con una certa approssimazione anche le eruzioni di altri vulcani non meno pericolosi del distruttore di Pompei... Varrebbe dunque la pena verificarne la validità. Panorama di distruzione nell'isola della Martinica: la città di Saint Pierre annientata dalle nubi ardenti eruttate nel 1902 dal vulcano Pelée Tale verifica, poi, non dovrebbe essere troppo laboriosa: gli scienziati infatti, tanto i vulcanologi quanto i sismologi, dispongono ormai di archivi ricchissimi, che riportano le registrazioni degli eventi sismici e vulcanici in tutto il mondo da molti decenni, cosicché non dovrebbe essere difficile verificare se le più recenti manifestazioni vulcaniche, spece quelle di tipo pliniano, sono state precedute, in tempi ragionevolmente brevi, da forti scosse o da violenti sciami sismici (spece se di carattere sussultorio, che denoterebbero assestamenti all'interno della crosta con possibile schiacciamento delle camere magmatiche). Allora, a quanti volessero procedere alla verifica, buon lavoro!

Una recente teoria, frutto di attente osservazioni e di confronti storici, potrebbe forse consentire di prevedere, pur con larga approssimazione, l'innesco delle condizioni favorevoli allo sviluppo delle eruzioni vulcaniche