E-COMMERCE E CONTRATTI INTERNET



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E-COMMERCE E CONTRATTI INTERNET Martedì 11 aprile 2001 si è svolto, nell'aula Magna del Tribunale di Milano, il convegno dal titolo «E-Commerce e contratti via Internet: aspetti legali e fiscali del commercio elettronico». L'evento, organizzato da AGAM - Associazione Giovani Avvocati di Milano, in una con la Commissione Giovani dell'associazione Dottori Commercialisti, i quali hanno curato l'aspetto fiscale mediante interventi mirati, ha riscosso un notevole successo, confermato da un'aula Magna gremita (con pubblico anche in piedi!) che è sicuramente motivo d'orgoglio per l'agam, oltreché premio per l'ampia attività svolta nel corso di questi anni. D'altro canto, l'argomento trattato si presentava di notevole attualità: l'avvento di Internet nel campo commerciale si configura come una novità foriera di innumerevoli conseguenze anche, per quello che più ci riguarda, sotto il profilo legale. Tale aspetto è stato affrontato, in particolare, da tre relatori, due dei quali soci AGAM, che hanno condotto gli interventi ciascuno sotto un differente (ed estremamente interessante) profilo, a cominciare dall'avv. Mario Bonafè il quale, con «Le tipologie dei contratti E-Commerce: modalità di conclusione - Tutela del consumatore», ha affrontato un po' tutti gli aspetti di questa nuova tipologia contrattualistica, sottolineando preliminarmente come le imprese che si affacciano al mondo dell'e-commerce vedono dischiudersi importanti opportunità di sviluppo commerciale mediante uno strumento tecnologicamente avanzato; le reali possibilità che il web offre giustificano, in effetti, grandi entusiasmi definiti da alcuni una nuova «corsa all'oro». Sicuramente detto nuovo sistema rappresenta una vera e propria rivoluzione culturale in cui, alla consegna manuale ed alla sottoscrizione di un documento cartaceo si sostituisce la trasmissione elettronica di dati da un computer all'altro, il che legittima la definizione di «paperless society». Il fenomeno non è comunque nuovo, giacché in taluni settori era già stato sviluppato un sistema di scambio elettronico di dati tra imprese (si pensi alle reti interbancarie alle quali erano collegate aziende nazionali ed internazionali). La particolarità attuale consiste nel fatto che mentre le prime reti erano strutturate in un sistema chiuso, accessibile solo a determinati soggetti, la rete Internet è, per sua definizione, una rete strutturata in modo aperto, e pertanto accessibile a chiunque disponga dei necessari mezzi tecnici. Tale ultimo aspetto ha determinato la necessità di una disciplina volta alla risoluzione organica di problematiche di natura amministrativa, contrattuale ed internazionale. Disciplina che comunque, a seconda delle tipologie di contratto (business to business, business to consumer, business o consumer to administration, consumer to consumer, «M-commerce» effettuato attraverso i telefonini di c.d. «terza generazione») appare differenziata. Nel commercio elettronico, in particolare, si distinguono prevalentemente le tipologie di business to business (B 2 B) e business to consumer (B 2 C), la cui disciplina giuridica tutela interessi diversi.

1) Nel commercio B 2 B, caratterizzato da rapporti contrattuali tra imprese o comunque tra operatori professionali, l'obiettivo non è la tutela del contraente più debole, bensì la necessità di identificare il mezzo di prova dell'intervenuto accordo tra gli operatori, normalmente individuato nella presenza di uno strumento comune quale la firma digitale o un accordo quadro tradizionale (EDI, «Electronic Data Interchange») sottoscritto in data anteriore alle transazioni telematiche, con ll quale le parti definiscono i parametri e gli elementi di prova, e al quale attribuiscono un determinato valore giuridico. Il contratto B to B non necessiterà della disciplina specifica relativa alle clausole abusive di cui agli artt. 1469-bis, viceversa gli sarà applicabile la normativa relativa alle clausole vessatorie di cui agli artt. 1341 e 1342 c.c., per la cui duplice sottoscrizione sono state previste due ipotesi: - nel caso di contratti con accettazione «off line» mediante fax o comunque su supporto cartaceo; - in quello in cui l'operazione avvenga interamente on line, l'approvazione si verificherà unicamente mediante firma digitale (in conformità a d.p.c.m. 8 febbraio 1999 e successivi regolamenti). 2) Nel contratto B to C, comprendente i processi di vendita al dettaglio, nel quale i soggetti coinvolti sono l'impresa e il consumatore, l'attenzione del legislatore pare essersi concentrata maggiormente sulla tutela del contraente più debole, e cioè il consumatore. A questo riguardo, per la formulazione delle offerte debbono essere osservate alcune importanti prescrizioni, contenute nel d.lgs. 31 marzo 1998, n. 114 (c.d. decreto Bersani) e le relative disposizioni di chiarimento del Ministero dell'industria dl cui alla circolare n. 3487/c dell'1 giugno 2000. In particolare tale circolare, nell'ottica della tutela del consumatore, richiama il d.lgs. n. 185/1999 che contiene i principi cardine della vendita a distanza, precisamente: - il divieto di invio di prodotti al consumatore se non a fronte di una specifica sua richiesta; - la possibilità di inviare al consumatore campioni di prodotti od omaggi solo se non vi siano spese o vincoli a carico di quest'ultimo. Inoltre vengono previsti quali elementi essenziali del contratto telematico: - gli obblighi informativi da parte del fornitore (mediante schermate a video su identità del fornitore, sul bene, sulle modalità di pagamento, sulle garanzie, etc.); - la necessaria concessione del diritto di recesso; - l'introduzione di clausole attinenti il rispetto della riservatezza del consumatore coinvolto; - la forma scritta per alcuni elementi fondamentali. Particolare interesse merita l'aspetto riguardante il diritto di recesso, disciplinato dall'art. 5 del d.lgs. di attuazione della direttiva comunitaria sulle vendite a distanza (n. 185/1999), più recente rispetto al decr. n. 50/1992. Il dettato normativo prevede che al recesso vada esercitato entro 10 giorni lavorativi, mediante invio di racc. r.r. che può anticiparsi per fax, telegramma, e-mail, dal ricevimento dei beni o, in caso di prestazioni di servizi, dalla conclusione del contratto. Il recesso comporterà, altresì, la restituzione della merce.

L'art. 5 prevede, infine, alcuni casi e settori nei quali il diritto di recesso non può esercitarsi, in particolare contratti di fornitura di servizi in cui l'esecuzione sia già iniziata, forniture di beni confezionati su misura o chiaramente personalizzati, forniture di giornali, periodici, o di servizi turistici etc. Per quanto riguarda la conclusione del contratto B 2 C, generalmente si fa ricorso alla procedura standardizzata «point and click», ovvero moduli elettronici presenti sulle pagine web che vengono visualizzati sul PC del visitatore, il quale potrà manifestare il suo consenso «clickando» col mouse su icone di accettazione. Quando, dunque, si considera perfezionato il contratto, e dove, trattandosi di soggetti lontani? In relazione ai contratti conclusi mediante «point and click» il perfezionamento avviene quando gli impulsi elettrocinici che trasmettono l'accettazione giungono al sistema informatico dell'offerente; riguardo ai contratti conclusi con scambio di e-mail si ritiene applicabile l'art. 1335 c.c. Il luogo di conclusione del contratto, alla luce dell'orientamento giurisprudenziale in materia di contratti conclusi via fax (luogo in cui è situato il fax che materialmente riceve la accettazione - Cass., Sez. un., 25 gennaio 1995, n. 892), si ritiene che luogo di perfezionamento del contratto telematico è quello in cui si trova il server contenente la casella di posta elettronica del soggetto che riceve la dichiarazione contrattuale di accettazione. Una problematica tipica dei contratti telematici, sia per la distanza tra le parti che per lo specifico mezzo utilizzato, è quella relativa all'identità degli autori: l'imputazione delle dichiarazioni negoziali è necessaria per evitare facili disguidi, tuttavia procedure di identificazione quali la richiesta di dati personali o relativi alla carta di credito, non presenta un margine assoluto di certezza. Pertanto, la c.d. «Legge Bassanini», n. 59 del 15 marzo 1997, pone il fondamentale principio dell'equivalenza tra la sottoscrizione tradizionale su carta e la sottoscrizione con firma digitale, frutto, quest'ultima, di una complessa procedura informatica (validazione) che consente altresì di procedere all'autenticazione e alla c.d. «non reputation» da parte di chi ha inviato il documento. Da ultimo, val la pena menzionare la Direttiva n. 31/2000, approvata dal Parlamento Europeo il 5 maggio 2000, che intende fornire una regolamentazione uniforme dei contratti on-line, garantendo altresì una maggior tutela per le piccole e medie imprese che intendono operare su internet, con il fine di disciplinare la libera circolazione all'interno del mercato comunitario. Entro 18 mesi dall'entrata in vigore della direttiva, ciascuno stato membro dovrà emanare la sua legge nazionale in accoglimento della stessa. L'avv. Giovanni Bonomo ha affrontato il tema «Il nome di dominio e la relative tutela - Tipologia delle pratiche confusorie», partendo, per l'analisi dell'argomento, da un'interessante casistica giurisprudenziale. Per «Domain name», o «nome di dominio», si intende, come è noto, un indirizzo elettronico che, attraverso un particolare sistema, basato su codici alfanumerici, identifica i computers interconnessi alla Rete, memorizzando l'indirizzo telematico corrispondente al sito web.

Non è più un mero indirizzo telematico quando viene utilizzato da operatori economici, in quanto contraddistingue l'impresa ed i suoi servizi. Anche il nome di dominio viene iscritto in appositi registri presso le competenti Autorità di Registrazione, come il marchio, rispetto al quale, tuttavia, presenta la differenza di essere riferibile a tutti i prodotti o servizi di un'impresa e di avere un'efficacia transnazionale, dovuta all'estensione planetaria di Internet. Il problema di più difficile soluzione è quindi legato alla circostanza che la tutela del marchio è contenuta nei confini territoriali nazionali, o europei, o comunque degli Stati indicati in sede di registrazione internazionale. Per l'assegnazione del nome di dominio vige il criterio della priorità cronologica della richiesta, limitandosi, l'autorità di Registrazione, a verificare solamente che il nome di dominio non sia già stato registrato. Si prescinde, cioè, dal rapporto tra il nome di dominio e la disciplina sulla tutela dei marchi e degli altri segni distintivi, prevedendosi soltanto la sottoscrizione di una lettera di assunzione di responsabilità da parte del richiedente. In ogni caso, pertanto, il nome di dominio quale segno distintivo dell'impresa è idoneo a determinare situazioni di concorrenza sleale e di contraffazione del marchio; proprio di tali aspetti si sono occupati i primi provvedimenti giurisprudenziali in materia, a partire dal caso pilota «Amadeus» nel quale il Tribunale di Milano accolse il ricorso presentato dalle società Amadeus Marketing S.A. - Amadeus Marketing Italia s.r.l., titolari del marchio «Amadeus», inibendo l'uso della denominazione «amadeus.it» con la quale la società Logica s.r.l. contrassegnava il proprio sito web per offrire servizi molto simili a quelli offerti dalle ricorrenti, consistenti nella prenotazione di viaggi e soggiorni turistici. In particolare il nome di dominio «amadeus.it» costituiva contraffazione di marchio, oltreché concorrenza sleale confusoria, a nulla rilevando l'esistenza della particella «it», priva di attitudine distintiva in quanto relativa alla mera localizzazione geografica dell'operatore a cui appartiene il sito. Il Giudice pervenne a tale decisione assimilando il nome di dominio alla figura dell'insegna: il sito indicato dal nome di dominio configurerebbe «il luogo virtuale ove l'imprenditore contatta il cliente al fine di concludere con esso il contratto». La decisione del Tribunale di Milano riconosce per prima al nome di dominio la funzione di individuare, oltre un sito web, anche un'offerta commerciale contenuta nel sito, che si distingue dalle altre offerte; la distinzione è insita nell'adozione di quel marchio che nel mondo reale contraddistingue i prodotti o i servizi offerti. Un altro caso che ha interessato il Tribunale di Milano è quello «Bancalavoro», laddove la Bancalavoro s.r.l. chiedeva in via d'urgenza la tutela del marchio «bancalavoro», prima ancora che del nome di dominio «bancalavoro.com», avverso la concorrente iniziativa di una società che faceva uso di questo segno distintivo per contraddistinguere il proprio sito web, avente ad oggetto gli stessi servizi di ricerca e selezione del personale, proponendosi all'utenza di Internet come il principale portale per le inserzioni relative a domande e offerte di lavoro. L'unica variazione che la società concorrente adottava, del resto necessaria sul piano tecnico, non potendo coesistere su Internet due siti perfettamente omonimi, era la variazione in «bancalavoro.net» del nome di dominio originario «bancalavoro.com».

Secondo l'istante si trattava di un caso evidente di contraffazione di marchio rilevante anche sotto il profilo della concorrenza sleale per appropriazione di pregi ex art. 2598, n. 2, c.c., a causa dello sfruttamento parassitario di un marchio che era, se non notorio, di sicura rinomanza storicamete documentabile. Inoltre, si profilava anche la violazione del diritto al nome e all'identità personale della ricorrente società, non avendo la concorrente società (Jobber s.r.l.) alcun termine o elemento nella propria denominazione sociale che presentasse attinenza con il termine «bancalavoro». Il Giudice inibiva l'uso del termine «bancalavoro» come marchio, nome di dominio, denominazione o insegna per la commercializzazione, pubblicazione e diffusione dei propri servizi, ritenendo in concreto che il termine «bancalavoro», pur presentandosi come marchio debole, era comunque tutelabile per la sufficiente originalità data dall'unione di due parole di uso comune. La particolarità del caso non finiva qui: la resistente, difatti, non si uniformava al provvedimento, in quanto si limitava ad adottare a livello grafico il nome sostitutivo «bancaprofessioni.it», continuando ad usare sul piano telematico il nome «bancalavoro» - presente ancora nei meta-tag del suo sito, nonché il dominio di riserva «bancalavoro.org» - come strumento di collegamento al sito di nuova denominazione, dimodoché l'utente che avesse digitato il nome «bancalavoro.net» o «bancalavoro.org», avrebbe visto il termine trasformarsi in «bancaprofessioni.it», trovandosi così collegato a rimbalzo con la «home page» recante la nuova denominazione. Il Giudice, riconoscendo che la denominazione «bancalavoro» non poteva essere usata, in Internet o altrove, nemmeno come aggancio strumentale al fine di accedere al nuovo sito della resistente, disponeva che non fosse adoperata la denominazione «bancalavoro» come link per accedere al sito della resistente con il nuovo nome di «bancaprofessioni», e che solamente detta nuova denominazione fosse digitata per accedere al nuovo sito. Tale secondo provvedimento ha così riconosciuto il necessario collegamento tra il nome di dominio e il sito indicato dallo stesso ossia tra il nome digitato e il contenuto della pagina web che il nome identifica. Si è manifestato, peraltro, un orientamento giurisprudenziale di segno opposto, caratterizzato dal caso «Tesco», esaminato dal Tribunale di Bari (ord. 24 luglio 1996, in Foro it., 1997, I, 2316 S.) il quale negò qualsiasi funzione distintiva al nome di dominio, avendolo considerato soltanto nella sua funzione tecnica di codice di accesso ad un sito, con esclusione, quindi, del rischio di confusione con la denominazione sociale altrui»; ed inoltre, dal caso «Sabena», trattato dal Tribunale di Firenze (ord. 29 giugno 2000, in Dir. inf., 2000, 762) laddove il Giudice ebbe a considerare che la corrispondenza marchiodominio non è un bene assoluto, non è un valore assoluto e, soprattutto, non è un principio positivamente sancito nel nostro ordinamento», e che, pertanto, «la funzione del Domain Name System è di consentire a chiunque di raggiungere una pagina web e, in quanto mezzo operativo e tecnico-logico, non può porsi per esso un problema di violazione del marchio di impresa della sua denominazione o dei suoi segni distintivi». I casi giurisprudenziali sopra riportati portano a galla la fattispecie confusoria c.d. del «domain name grabbing», e cioè della registrazione di un nome di dominio,

corrispondente ad un marchio, da parte di un soggetto diverso dal titolare del marchio, a fini di concorrenza sleale o meramente speculativi. Tale fenomeno è reso possibile dal fatto che, come già sottolineato, la registrazione di un dominio prescinde dagli elementi personali del soggetto registrante, e avviene sulla base del criterio della sola priorità della richiesta. La motivazione che muove un imprenditore concorrente ad appropriarsi di un marchio celebre altrui è il fine speculativo dell'agganciamento all'altrui fama. Ma quando si tratti di soggetto non imprenditore l'operazione si connota di un maggior disvalore, essendoci un fine speculativo puro, quello di farsi pagare dall'imprenditore, titolare del segno distintivo, il «prezzo del riscatto». Inoltre, la registrazione in mala fede rileverebbe, per concretizzare il fenomeno contraffattorio del domain name grabbing, anche al di fuori delle ipotesi di marchio celebre o che gode di rinomanza, quando avviene al solo scopo di rivendere il dominio registrato al titolare del marchio corrispondente. Si ritiene infatti applicabile, in via analogica, il principio espresso all'art. 22, comma 2, 1.M., per il quale ogni registrazione è nulla se chi ha fatto la domanda era in malafede. La conseguenza è che la registrazione dimostratasi come meramente speculativa, pur riguardando prodotti o servizi non affini rispetto a quelli contraddistinti dal precedente marchio o segno distintivo, può essere inibita e sanzionata come nulla. Il «domain name grabbing» è la fattispecie confusoria più frequente: accanto ad essa, se ne possono rinvenire altre, che si realizzano, a differenza della precedente, solamente tramite Internet, e che di per sé non costituiscono figure di illecito, ma potrebbero diventarlo in dipendenza di un loro utilizzo non autorizzato o distorsivo. Sommariamente, si tratta di: «Hyperlinking» (collegamento o agganciamento di una pagina con un'altra di un sito, o di un sito con un altro sito, «cliccando» su parole sottolineate o sotto forma iconografica; - «Framing» (sottospecie di «hyperlink» in cui il sito agganciante resta visibile e diventa una cornice che inquadra pagine altrui); - «Browsing» (scorrimento e consultazione di pagine con possibilità di «riproduzione effimera»); - «Caching» (memorizzazione, delle pagine scorse, anche sull'hard disk); - utilizzo parassitario dei «metatags» (ovvero i codici alfanumerici) in modo da far reperire un sito prima di altri, sfruttando, ad esempio, un marchio noto. Quanto precede porta, comunque, alla conclusione che il nome di dominio soffre la limitazione di carattere territoriale e merceologica della tutela del marchio, che pure si manifesta idonea a superare situazioni inquadrabili sicuramente nella contraffazione del marchio oltreché nella concorrenza sleale. È auspicabile in ogni caso una regolamentazione a livello sovranazionale ed unitaria; la World Intellectivae Property Organisation (WIPO) ha formulato delle linee guida per definire e disciplinare i rapporti tra i nomi di dominio e marchi, pubblicando nell'aprile del 1999 il «Report on the first WIPO Internet Domain Name Process». Nel nostro ordinamento rinveniamo invece il DDL n. 4594, approvato dal Consiglio dei Ministri il 12 marzo 2000, e dalla Commissione Giustizia del Senato il 31 gennaio 2001, avente ad oggetto la «Disciplina dell'utilizzazione di nomi per l'identificazione di domini

Internet e servizi in rete»: detto DDL composto da sette articoli, contiene altresì la previsione dell'istituzione di una Commissione Nazionale per l'accesso a Internet e alle altre reti telematiche», presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, proprio con il compito di emanare le regole di registrazione dei nomi di dominio. * * * «I contratti in Internet: la legge applicabile, la giurisdizione: casi particolari» è il titolo dell'ultimo intervento a sfondo giuridico, affrontato dal prof. Girolamo de Rada, il quale ha puntualizzato, e sostanzialmente chiarito le problematiche relative al luogo di conclusione del contratto, e conseguentemente della giurisdizione e della legge applicabile, questioni nascenti, come già anticipato dall'avv. Bonafè, dalla caratteristica peculiare di Internet, e cioè l'extraterritorialità. Due schieramenti si sono formati in relazione al locus contracti: - il primo sostiene che la conclusione del contratto sia da considerarsi avvenuta nel luogo il cui il proponente ha scaricato l'e-mail contenente l'accettazione del contratto. In questo caso, però, i computer portatili si rivelano una fonte incredibile di confusione: se per esempio, avendo sede a Roma, si inviasse una proposta contrattuale via e-mail a un cliente in Germania e si scaricasse la risposta con l'accettazione durante le ferie ad Amman, allora il contratto dove sarebbe stato concluso? In base a questa interpretazione sarebbe concluso a Amman, ma appare evidente a tutti che la soluzione pratica non sembra essere soddisfacente; - il secondo schieramento, invece, sostiene, a mio avviso più fondatamente, che il luogo di conclusione del contratto coincida con quello in cui è collocato il server del provider con cui è stato stipulato il contratto di accesso a Internet. La l. n. 218 del 31 maggio 1995 per la riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato, nell'esaminare la giurisdizione applicabile ai contratti di compravendita stipulato da cittadini italiani con cittadini stranieri, sancisce la sussistenza della giurisdizione italiana nel caso in cui il convenuto sia domiciliato o residente in Italia o ivi abbia un rappresentante che sia autorizzato a stare in giudizio a norma dell'art. 77 c.p.c.; ritiene altreì applicabile la giurisdizione italiana in base ai criteri stabiliti dalle sezioni 2, 3 e 4 del Titolo II della Convenzione di Bruxelles. L'art. 5, n. 1 della precitata stabilisce la fondamentale regola che il convenuto domiciliato nel territorio di uno stato contraente, può essere citato in un altro Stato contraente, in materia contrattuale, davanti al giudice del luogo in cui l'obbligazione dedotta in giudizio è stata o deve essere eseguita. Numerose sentenze della Suprema Corte si sono espresse in tal senso, sancendo la presenza in Italia del domicilio dell'attore è di per sé sufficiente a determinare la giurisdizione del giudice italiano, atteso che l'art. 59 della Convenzione dell'aja del 1964 sulle vendite mobiliari, fissa direttamente in detto domicilio il locus destinatae solutionis, anche al fine dell'applicazione del criterio di collegamento per la competenza giurisdizionale contemplata dall'art. 5, n. 1 della Convenzione di Bruxelles (Cass., Sez. un., 24 ottobre 1988, n. 5739). Per quanto concerne l'individuazione della legge applicabile ai contratti telematici, occorre sempre fare riferimento alla legge di riforma al sistema italiano di diritto internazionale privato.

In particolare, l'art. 57 stabilisce che «le obbligazioni contrattuali sono in ogni caso regolate dalla Convenzione di Roma del 19 giugno 1980». La richiamata Convenzione di Roma si ispira a due principi fondamentali. Il primo è il criterio della volontà delle parti, previsto dall'art. 3, secondo cui «il contratto è regolato dalla legge scelta dalle parti. La scelta deve essere espressa o risultare in modo ragionevolmente certo dalle disposizioni del contratto e dalle circostanze». Il secondo è il criterio del collegamento più stretto, previsto dall'art. 4, secondo cui «il contratto è regolato dalla legge del paese col quale presenta il collegamento più stretto». La stessa legge si preoccupa di chiarire che cosa si debba intendere per «collegamento più stretto», affermando che «... si presume che il contratto presenti il collegamento più stretto col paese in cui la parte che deve fornire la prestazione caratteristica ha, al momento della conclusione del contratto, la propria residenza abituale o, se si tratta di una società,...o persona giuridica, la propria amministrazione centrale». A livello pratico, sarà comunque opportuno prevedere espressamente, nei contratti proposti on line, il foro competente e la legge applicabile, oltreché limitare l'accesso al sito mediante l'utilizzo di passwords attribuite agli utenti solo in seguito alla verifica della cittadinanza; ciò per potersi anche tutelare in caso di controversie. Del resto, proprio per ovviare a equivoci spiacevoli o problemi più gravi ancora, molti imprenditori hanno scelto di non pubblicare sul web offerte contrattuali vere e proprie, ma semplici inviti a contrattare, inviti che poi possono essere perfezionati con i mezzi tradizionali (come fax e lettere): in questo modo si può valutare la provenienza delle richieste e si possono far debitamente sottoscrivere le clausole di deroga al foro competente o relative alla legge applicabile. MANUELA REALE avvocato in Milano presidente AGAM