DIrIttI soggettivi ED IntErEssI legittimi sommario: posizioni soggettive E STATuS posizioni giuridiche soggettive at- tive passive posizioni

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Capitolo Terzo Diritti soggettivi ed interessi legittimi Sommario: 1. Posizioni soggettive e status. - 2. Il diritto soggettivo. - 3. Gli interessi legittimi. - 4. Altre situazioni soggettive: interessi semplici e interessi di fatto. - 5. Gli interessi collettivi. 1. Posizioni soggettive e status Con l espressione «posizioni giuridiche soggettive» si indicano, nella teoria generale del diritto, le situazioni di vantaggio o di svantaggio di cui i soggetti risultano titolari nei rapporti giuridici: diritti, pretese, poteri, aspettative, obblighi, doveri etc. Dalle posizioni giuridiche soggettive vanno distinti gli «status» laddove per essi si intende la situazione giuridica complessiva di un soggetto nell ambito della collettività generale o di un corpo sociale minore (es.: status di cittadino, straniero etc.). Le situazioni giuridiche soggettive, a loro volta, si dicono attive o passive, a seconda che abbiano un contenuto favorevole o sfavorevole per il titolare: le posizioni giuridiche soggettive attive sono quelle il cui contenuto amplia la sfera giuridica del loro titolare; le posizioni giuridiche soggettive passive sono, invece, quelle che restringono la sfera giuridica del loro titolare. Le posizioni (o situazioni) soggettive attive sono: il diritto soggettivo; il diritto potestativo; c) il potere e la potestà; l interesse legittimo; l interesse semplice. Le posizioni soggettive passive sono: l obbligo; il dovere; l onere; la soggezione. 2. Il diritto soggettivo Il diritto soggettivo è quella posizione giuridica soggettiva di vantaggio che l ordinamento giuridico conferisce ad un soggetto, riconoscendogli determinate utilità in ordine ad un bene, nonché la tutela degli interessi afferenti al bene stesso in modo pieno ed immediato. La figura del diritto soggettivo è oggetto di particolare attenzione, al fine di distinguerla da quella dell interesse legittimo in quanto la ripartizione della giurisdizione fra il giudice ordinario e il giudice amministrativo, nelle controversie coinvolgenti la Pubblica Amministrazione, è stabilita dalla legge (L. 2248/1865), in base alla natura della posizione giuridica soggettiva lesa. Infatti: se chi agisce è titolare di un diritto soggettivo nei confronti della P.A., è tenuto ad adire il giudice ordinario, salvi i casi in cui il diritto soggettivo si è costituito in una materia devoluta dalla legge alla competenza giurisdizionale esclusiva del G.A.; se chi agisce, invece, è titolare di un interesse legittimo nei confronti della P.A., può ricorrere soltanto innanzi al giudice amministrativo.

106 Libro II: Diritto Amministrativo - Parte I: Principi generali Tipica del diritto amministrativo è la distinzione tra: diritti soggettivi perfetti: sono quelli attribuiti in maniera diretta ed incondizionata al soggetto; il loro esercizio è libero, non condizionato ad alcun intervento autorizzatorio della P.A., la quale non può neppure incidere sfavorevolmente su di essi, comprimendoli o estinguendoli con un proprio provvedimento; diritti soggettivi condizionati: sono quelli il cui esercizio è subordinato ad un provvedimento amministrativo permissivo (o autorizzatorio) ovvero sui quali la P.A. può incidere sfavorevolmente comprimendoli o estinguendoli con un proprio provvedimento. In relazione a tali due ipotesi avremo dunque, rispettivamente, diritti in attesa di espansione e diritti suscettibili di affievolimento. 3. Gli interessi legittimi A) Profili generali Nel nostro ordinamento manca una definizione normativa di interesse legittimo, nonostante la rilevanza che un simile concetto riveste. Tale espressione si deve alla dottrina, la quale si è subito preoccupata di individuarne la portata, al fine di riconoscere agli interessi legittimi piena autonomia rispetto ai diritti soggettivi. In particolare, l interesse legittimo è il potere riconosciuto al privato di influire sull esercizio del potere amministrativo al fine di tutelare il bene sostanziale. L interesse legittimo è interesse differenziato e qualificato: differenziato, perché «proprio» del soggetto che ne è titolare, come un elemento del suo patrimonio. Non è tale l interesse condiviso con altri soggetti e/o con la generalità degli individui di tutta la collettività; qualificato, perché la norma giuridica lo riconosce come meritevole di tutela e ne impone la considerazione all amministrazione procedente. B) Distinzione tra diritti soggettivi ed interessi legittimi Dottrina e giurisprudenza hanno proposto vari criteri distintivi fra diritti soggettivi ed interessi legittimi. La differenza tra le due posizioni, secondo GUICCIARDI, va riferita alla natura della norma. L Autore, infatti, divide le norme in due categorie: a) norme giuridiche di relazione: regolano i rapporti tra la P.A. ed i cittadini, attribuendo diritti ed obblighi reciproci; esse tracciano la linea di demarcazione tra la sfera della P.A. e quella del cittadino e la loro violazione da parte della P.A. comporta la lesione di un diritto soggettivo del cittadino; b) norme di azione: regolano l esercizio dei poteri della P.A., imponendole un determinato comportamento. Se la P.A. viene meno a tale comportamento essa lede un interesse (legittimo o semplice) del cittadino. Un altro criterio di distinzione si fonda sulla natura vincolata o discrezionale dell attività esercitata: nei confronti di un atto vincolato il privato può vantare un diritto soggettivo perfetto; nei confronti di un atto discrezionale può vantare solo un interesse legittimo. Un terzo criterio, largamente utilizzato in giurisprudenza, si fonda sulla distinzione tra carenza assoluta e cattivo esercizio del potere. In particolare: nel caso di cattivo uso, da parte della P.A., del proprio potere discrezionale, sussistendo una norma di legge che attribuisce alla P.A. il potere di emanare l atto, si avrà solo la lesione di un interesse legittimo, rappresentato dall interesse del privato a che la P.A., nell emanare l atto, osservi i limiti, le forme ed il procedimento stabiliti dalla norma attributiva del potere (interesse che può essere tutelato solo in sede di giurisdizione amministrativa); nell ipotesi di carenza assoluta di potere, quando cioè manchi in radice il potere discrezionale della P.A. di interferire nella sfera giuridica del privato, ovvero non sussistano i presupposti di fatto che consentano l esercizio di tale potere, l atto amministrativo è considerato inidoneo ad incidere legittimamente sul diritto soggettivo del privato, che quindi sussiste nella sua integrità e può essere fatto valere davanti al giudice ordinario.

Capitolo III: Diritti soggettivi ed interessi legittimi 107 Pertanto, tutte le volte che si lamenta il cattivo uso del potere dell amministrazione, si fa valere un interesse legittimo e la giurisdizione è del G.A., mentre si ha questione di diritto soggettivo e la giurisdizione è del G.O. quando si contesta la stessa esistenza del potere. In tal modo si è posto il collegamento seguente: carenza di potere-diritto soggettivo, cattivo uso del potere-interesse legittimo. Tipologie di interessi Nell ambito della categoria degli interessi legittimi è possibile distinguere tra interessi legittimi pretensivi ed interessi legittimi oppositivi, in base al tipo di interesse materiale protetto (NIGRO). Gli interessi legittimi pretensivi si sostanziano in una pretesa del privato a che l amministrazione adotti un determinato provvedimento o ponga in essere un dato comportamento; gli interessi oppositivi, invece, legittimano il privato ad opporsi all adozione di atti e comportamenti da parte della pubblica amministrazione, che sarebbero pregiudizievoli per la propria sfera giuridica. Una diversa dottrina (GIANNINI), seguita dalla giurisprudenza, ha ulteriormente distinto gli interessi legittimi in interessi procedimentali e interessi sostanziali. La nozione di interesse sostanziale considera il momento in cui l interesse del privato, ad ottenere o a conservare un bene della vita, viene a confronto con il potere della P.A. di soddisfare l interesse o di sacrificarlo. L interesse procedimentale, invece, è l interesse del privato che emerge nel corso di un procedimento amministrativo. Tali interessi possono essere fatti valere in giudizio al fine di eliminare quegli atti e quei comportamenti preclusivi della prosecuzione del procedimento. Interesse procedimentale e sostanziale rappresentano due aspetti dell interesse legittimo, in quanto il primo è strumentale alla tutela degli interessi sostanziali, rappresentandone la proiezione in giudizio. Vanno, poi, menzionati gli interessi discrezionalmente protetti, ossia quegli interessi protetti non a livello di ordinamento generale, bensì al livello di ordinamento particolare dell amministrazione. Questi interessi non sono tutelabili davanti al giudice, ma esclusivamente davanti all amministrazione (ad esempio tramite i ricorsi amministrativi). Tra essi è possibile inserire quelli relativi al merito dell azione amministrativa, cioè al merito della scelta operata dall amministrazione. C) La risarcibilità degli interessi legittimi Controversa è stata anche la tematica della risarcibilità o meno degli interessi legittimi, ormai riconosciuta nel nostro ordinamento a seguito della sentenza della Corte di Cassazione n. 500 del 1999. In una prima fase, difatti, l orientamento prevalente nell ordinamento non reputava possibile accordare una tutela di tipo risarcitorio anche all interesse legittimo; tuttavia, tale orientamento è stato completamente ribaltato. La Cassazione, a Sezioni Unite, con la storica sentenza 22-7-1999, n. 500, infatti, ha riconsiderato la tradizionale interpretazione dell art. 2043 c.c., che identificava il danno ingiusto nella lesione di un diritto soggettivo e ha ammesso che la tutela risarcitoria deve essere assicurata in relazione alla ingiustizia del danno che può verificarsi sia nei confronti di un diritto soggettivo, sia di un interesse legittimo. Nella sentenza n. 500/1999 viene data anche una interessante definizione dell interesse legittimo: esso non rileva come situazione meramente processuale, quale mero titolo di legittimazione per la proposizione del ricorso al giudice amministrativo, ma ha anche natura sostanziale. Anche nei riguardi della situazione di interesse legittimo l ordinamento intende proteggere l interesse ad un bene della vita: ciò che caratterizza l interesse legittimo e lo distingue dal diritto soggettivo è soltanto il modo o la misura con cui l interesse sostanziale ottiene protezione. Con la riforma del processo amministrativo, operata con il D.Lgs. 2-7-2010, n. 104, recante il Codice del processo amministrativo, a sua volta integrato e corretto con D.Lgs. 195/2011 e D.Lgs. 160/2012 il legislatore è nuovamente intervenuto sul tema del risarcimento del danno da lesione di interessi legittimi, dettando, in merito, una disciplina organica della relativa azione. In particolare, mentre all art. 7 del Codice, ove è individuato il contenuto delle tre diverse tipologie in cui la giurisdizione del G.A. può articolarsi, è riconosciuta la cognizione del giudice amministrativo in relazione alle questioni risarcitorie, al successivo art. 30 il legislatore ha dettato un articolata disciplina dell azione di condanna esperibile innanzi al G.A. incentrata prevalentemente sulla disciplina del risarcimento del danno, che della prima costituisce la più importante manifestazione.

108 Libro II: Diritto Amministrativo - Parte I: Principi generali La tutela, si noti, è accordata non solo in sede giudiziale, ossia in vista di un annullamento di atti illegittimi o di risarcimento della posizione lesa. È infatti riconosciuta, a differenza di quanto avviene per il diritto soggettivo, anche in un momento antecedente, ossia in fase di svolgimento del procedimento stesso, al fine di orientare ed indirizzare l azione amministrativa anche nel senso della giusta considerazione dell interesse privato coinvolto (da valorizzare, da sacrificare etc.); in mancanza, il provvedimento finale è esposto al rischio di impugnazione. Nel senso descritto, è evidente come l interesse legittimo sia intimamente connesso alla tematica della partecipazione (e dell accesso) al procedimento amministrativo. 4. Altre situazioni soggettive: interessi semplici e interessi di fatto A) Interessi semplici Sono quegli interessi vantati dal cittadino nei confronti della P.A. a che questa, nell esercizio del suo potere discrezionale, si attenga a criteri di opportunità e convenienza (cd. merito amministrativo). B) Interessi di fatto Sono gli interessi, non qualificati né differenziati, ad un qualsivoglia bene della vita. La P.A. garantisce alla comunità non soggettivizzata il godimento di certi beni in virtù di un dovere cui non è correlata alcuna posizione giuridica di vantaggio tutelabile: si pensi, ad esempio, all obbligo di tenere in buono stato le strade, all obbligo di illuminarle etc. Gli interessi di fatto sono del tutto irrilevanti per il diritto. 5. Gli interessi collettivi Sono quegli interessi (es. interesse alla salute, alla tutela dell ambiente) che fanno capo ad una ben determinata collettività di individui quali associazioni culturali, partiti, comitati di cittadini etc. Si distingue tra interesse collettivo e interesse diffuso: a) interessi diffusi (o adespoti) sono quelli comuni a tutti gli individui di una formazione sociale non organizzata e non individuabile autonomamente; b) interessi collettivi (o di categoria) sono, invece, quelli che hanno come portatore un ente esponenziale di un gruppo non occasionale, della più varia natura giuridica (es. ordini professionali, associazioni private riconosciute, associazioni di fatto), ma autonomamente individuabile. A) Caratteristiche L interesse collettivo è: differenziato, in quanto fa capo ad un soggetto individuato e cioè ad una organizzazione di tipo associativo che si distingue tanto dalla collettività che dai singoli partecipanti; da ciò consegue che la lesione dell interesse collettivo legittima al ricorso solo l organizzazione e non i singoli che di essa fanno parte;

Capitolo III: Diritti soggettivi ed interessi legittimi 109 qualificato: nel senso che è previsto e considerato, sia pure indirettamente, dal diritto oggettivo. B) Tutela degli interessi collettivi Discusso è il problema della tutelabilità davanti al giudice degli interessi collettivi. Dottrina e giurisprudenza, pur se con periodici tentennamenti, sono pervenute al riconoscimento della tutelabilità giurisdizionale degli interessi diffusi, purché siano imputabili a gruppi sociali determinati. A quest ultima categoria soltanto diamo il nome di «interessi collettivi», da definire, pertanto, come quegli interessi che «hanno come portatore un ente rappresentativo di un gruppo non occasionale, (es.: ordini professionali, associazioni private, riconosciute o meno), autonomamente individuabile». Il più recente orientamento dottrinale e giurisprudenziale, in tema di tutela giurisdizionale degli interessi collettivi, ha elaborato il criterio procedimentale. Trattasi di un criterio in forza del quale la legittimazione processuale va ricollegata alla partecipazione procedimentale: quando, per legge, l organizzazione è ammessa a partecipare alla fase della formazione del provvedimento amministrativo, si deve ritenere configurabile in capo alla medesima un interesse differenziato e qualificato, con conseguente sua legittimazione ad impugnare il provvedimento, ove questo si riveli lesivo di un suo interesse. Il suddetto criterio assume un particolare rilievo pratico alla luce dell intervento della L. 241/1990, la quale, all art. 9, ha sancito la legittimazione procedimentale dei portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni e comitati. Si può, quindi, ritenere che tale norma costituisca una fonte normativa generale della legittimazione processuale dei portatori di interessi diffusi, con la conseguenza che la legittimazione processuale stessa va ascritta a tutte quelle organizzazioni che siano abilitate a partecipare al procedimento amministrativo successivamente sfociato nell atto da impugnare. C) Le azioni collettive di risarcimento (class action) La L. 244/2007 (legge finanziaria 2008), attraverso l inserimento dell art. 140bis nel D.Lgs. 205/2006, come successivamente sostituito dall art. 49 L. 99/2009, ha introdotto nel nostro ordinamento l azione di classe (cd. class action). Questa è un azione collettiva condotta da uno o più soggetti che richiedono il risarcimento del danno non solo a loro nome, ma per tutta la «classe», ossia per tutti coloro che hanno subito il medesimo illecito. L attuale disciplina, in vigore dal 1 gennaio 2010 (ex D.L. 78/2009, conv. in 102/2009), dispone che attraverso la class action sono tutelabili: a) i diritti contrattuali di una pluralità di consumatori e utenti che versano nei confronti di una stessa impresa in situazione identica, inclusi i diritti relativi a contratti stipulati ai sensi degli articoli 1341 e 1342 del codice civile; b) i diritti identici spettanti ai consumatori finali di un determinato prodotto nei confronti del relativo produttore, anche a prescindere da un diretto rapporto contrattuale; c) i diritti identici al ristoro del pregiudizio derivante agli stessi consumatori e utenti da pratiche commerciali scorrette o da comportamenti anticoncorrenziali. Nelle ipotesi sopra delineate, ciascun componente della classe, anche mediante associazioni cui dà mandato o comitati cui partecipa, può agire per l accertamento della responsabilità e per la condanna al risarcimento del danno e alle restituzioni. In materia occorre, infine, ricordare quanto previsto dal D.Lgs. 20 dicembre 2009, n. 198 in base al quale utenti e consumatori sono legittimati ad agire in giudizio, in caso di inefficienze (ad es., violazione di termini, mancata emanazione di atti etc.), nei confronti della P.A. e dei concessionari di pubblici servizi.

Parte Settima I servizi pubblici locali e le forme di gestione Capitolo Unico Le forme di gestione dei servizi pubblici locali Sommario: 1. Nozione di pubblico servizio locale. - 2. La qualità dei servizi pubblici locali: carta dei servizi e tutela degli utenti. - 3. La gestione dei servizi di interesse economico generale nell ordinamento europeo. - 4. Gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica. - 5. La gestione dei servizi pubblici locali privi di rilevanza economica. - 6. La gestione in economia. - 7. Aziende speciali e istituzioni. - 8. Le società per azioni con partecipazione pubblica minoritaria. - 9. Le società di trasformazione urbana. 1. Nozione di pubblico servizio locale Con l espressione «servizi pubblici locali» si intende generalmente il complesso delle prestazioni di interesse collettivo rimesse alla gestione degli enti locali e suscettibili di essere erogate tanto dagli enti pubblici stessi, quanto da operatori privati (cd. concessionari). L art. 112 del D.Lgs. 267/2000 con il quale si apre il Titolo V dello stesso, interamente dedicato ai servizi ed agli interventi pubblici locali afferma che gli enti locali, nell ambito delle proprie competenze, provvedono alla gestione dei servizi pubblici che abbiano ad oggetto produzione di beni ed attività rivolte alla realizzazione di fini sociali, nonché a promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunità locali. La nozione di «servizio pubblico» è una delle più complesse che la teoria del diritto pubblico e amministrativo abbia cercato di dare. Il legislatore non ha mai fornito una nozione espressa di servizio pubblico e, conseguentemente, la dottrina non ha avuto a disposizione precisi e univoci termini di riferimento su cui fondare le proprie ricostruzioni teoriche (TRETOLA). Secondo un primo filone di pensiero è giusto il riferimento a criteri di carattere soggettivo, pertanto deve intendersi come servizio pubblico qualunque attività svolta, direttamente o indirettamente, dalla P.A. Per altri (NIGRO-POTOTSCHNIG), invece, è più opportuno ancorare la qualificazione pubblica di un servizio ad un dato oggettivo, considerando tali quelle attività esercitate sotto il potere direttivo di un organo pubblico, indipendentemente dal fatto che a svolgerle in concreto sia un soggetto pubblico o privato. Infine, non manca chi (GIANNINI) pone l attenzione sul fatto che nell esercizio di un servizio pubblico si riscontra l esercizio di un potere di «autonormazione» diverso da quello dell ordinamento statale.

Capitolo Unico: Le forme di gestione dei servizi pubblici locali 371 I servizi a domanda individuale Nell ambito dei servizi pubblici formano una categoria a sé quelli a domanda individuale che, pur essendo volti a soddisfare esigenze di rilevanza generale, vengono erogati solo su richiesta dei singoli utenti e, dunque, non risultano come destinati all intera popolazione. Tali servizi, individuati dal D.M. 31-12-1983, sono: 1) alberghi, esclusi i dormitori pubblici; case di riposo e di ricovero; 2) alberghi diurni e bagni pubblici; 3) asili nido; 4) convitti, campeggi, case per vacanze, ostelli; 5) colonie e soggiorni stagionali, stabilimenti termali; 6) corsi extra scolastici di insegnamento di arti e sport e altre discipline, fatta eccezione per quelli espressamente previsti dalla legge; 7) giardini zoologici e botanici; 8) impianti sportivi: piscine, campi da tennis, di pattinaggio, impianti di risalita e simili; 9) mattatoi pubblici; 10) mense, comprese quelle ad uso scolastico; 11) mercati e fiere attrezzati; 12) parcheggi custoditi e parchimetri; 13) pesa pubblica; 14) servizi turistici diversi: stabilimenti balneari, approdi turistici e simili; 15) spurgo di pozzi neri; 16) teatri, musei, pinacoteche, gallerie, mostre e spettacoli; 17) trasporti di carni macellate; 18) trasporti funebri, pompe funebri e illuminazioni votive; 19) uso di locali adibiti stabilmente ed esclusivamente a riunioni non istituzionali: auditorium, palazzi dei congressi e simili. 2. La qualità dei servizi pubblici locali: carta dei servizi e tutela degli utenti L art. 112 del T.U.E.L., al comma 3, stabilisce che ai servizi pubblici locali si applica il capo III del D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 286, avente ad oggetto la qualità dei servizi pubblici e le carte dei servizi, costituito dal solo art. 11 (modif. da ultimo dal D.Lgs. 90/2014, conv. con modif. in L. 114/2014). Secondo tale articolo, i servizi pubblici nazionali e locali sono erogati con modalità volte a promuovere il miglioramento della qualità e assicurare la tutela dei cittadini e degli utenti e la loro partecipazione alle inerenti procedure di valutazione e definizione degli standard qualitativi. In linea con la necessità di tutela del cittadino-utente nell erogazione dei servizi pubblici è intervenuta la L. 24 dicembre 2007, n. 244 (Finanziaria 2008), tale provvedimento, all art. 2, comma 461, ha stabilito che gli enti locali, in sede di stipula dei contratti di servizio, al fine di tutelare i diritti dei consumatori e degli utenti dei servizi pubblici locali e di garantire la qualità, l universalità e l economicità delle relative prestazioni sono tenuti, tra l altro, a prevedere l obbligo per il soggetto gestore di emanare una «carta della qualità dei servizi» ovvero un documento che fissa le regole fondamentali in ordine alle prestazioni dei servizi erogati, definendo i diritti dei cittadini utenti e gli obblighi dei gestori stessi da redigere e pubblicizzare in conformità ad intese con le associazioni di tutela dei consumatori e con le

372 Libro IV: Ordinamento istituzionale del Comune - Parte VII: I servizi pubblici locali associazioni imprenditoriali interessate, che contenga in particolare gli standard di qualità e quantità relativi alle prestazioni erogate così come determinati nel contratto di servizio, nonché le modalità di accesso alle informazioni garantite, quelle per proporre reclamo e quelle per adire le vie conciliative e giudiziarie nonché le modalità di ristoro dell utenza. Ancora, la L. 18 giugno 2009, n. 69, recante Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile, all art. 30 ha previsto che le carte dei servizi adottate dai soggetti (pubblici o privati) che erogano servizi pubblici o di pubblica utilità devono contenere la previsione della possibilità, per gli utenti che lamentano la violazione di un diritto o di un interesse giuridico rilevante, di promuovere la risoluzione non giurisdizionale della controversia (che deve avvenire entro trenta giorni dalla richiesta). Esse devono prevedere, altresì, l eventuale ricorso a meccanismi di sostituzione dell amministrazione o del soggetto inadempiente. Sul contenuto delle carte di servizio è, altresì, intervenuto il D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, conv. con modif. in L. 24 marzo 2012, n. 27 (cd. decreto liberalizzazioni). Tale provvedimento, tra le disposizioni a tutela del consumatore prevede, all art. 8, che le carte di servizio, nel definire gli obblighi cui sono tenuti i gestori dei servizi pubblici, anche locali, o di un infrastruttura necessaria per l esercizio di attività di impresa o per l esercizio di un diritto della persona costituzionalmente garantito, indicano in modo specifico i diritti, anche di natura risarcitoria, che gli utenti possono esigere nei confronti dei gestori del servizio e dell infrastruttura. Da ultimo si segnala che la dimensione di «tutela del cittadino» è rafforzata dal D.Lgs. 33/2013, cd. T.U. sulla trasparenza, laddove l art. 10 stabilisce che la trasparenza rileva anche come dimensione principale ai fini della determinazione degli standard di qualità dei servizi pubblici da adottare nelle carte dei servizi ai sensi dell art. 11 del D.Lgs. 286/1999 come modificato dal D.Lgs. 150/2009. Sulle pubbliche amministrazioni, incombe, altresì l obbligo di pubblicare la carta dei servizi o il documento contenente gli standard di qualità dei servizi pubblici, nonché dei costi contabilizzati in dettaglio e dei tempi medi di erogazione dei servizi stessi con riferimento all esercizio finanziario precedente (art. 32 del D.Lgs. 33/2013). 3. La gestione dei servizi di interesse economico generale nell ordinamento europeo La normativa italiana in materia di servizi pubblici locali, in virtù dell appartenenza all Unione europea, si trova a dover fare i conti con quanto previsto in proposito dall ordinamento europeo. In particolare, nel Trattato sul funzionamento dell Unione europea (TFUE) si rinviene l esistenza di un generale principio di «libera concorrenza» e la previsione dell applicazione delle regole sottese a tale principio in materia di servizi di interesse economico generale, nei limiti in cui l applicazione di tali norme non osti all adempimento della specifica missione loro affidata (art. 106). Frutto dell elaborazione giurisprudenziale (v. sentenza Teckal, 18 novembre 1999, causa C-107/98) è, poi, l ipotesi di affidamento cd. in house, come unica forma di affidamento diretto compatibile con il menzionato principio della libera concorrenza.

Capitolo Unico: Le forme di gestione dei servizi pubblici locali 373 Se ne ricava che, alla stregua dell ordinamento europeo, vige la regola della liberalizzazione della gestione dei servizi pubblici che comporta l affidamento del servizio, da parte dell ente pubblico, previa gara ad evidenza pubblica, a soggetti terzi. La deroga al libero mercato, attraverso la gestione diretta del servizio pubblico locale, è ammessa se lo Stato membro dimostra che l applicazione delle norme sulla concorrenza rappresenti un ostacolo alla speciale missione del servizio pubblico; deve, cioè, realizzarsi un ipotesi di assoluta incompatibilità tra l applicazione delle norme sulla concorrenza e l attività che l impresa è chiamata a svolgere. In tal caso, secondo le sentenze della Corte di Giustizia europea succedutesi nel tempo, è consentito ad un ente pubblico di affidare un servizio pubblico in via diretta (senza gara) ad una società a capitale interamente pubblico, in presenza delle seguenti condizioni: che l ente pubblico eserciti su tale società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi; che la società realizzi la parte più importante della propria attività con l ente che la detiene. L affidamento potrà avvenire, infine, a società a capitale misto pubblico e privato, con individuazione del socio privato mediante gara a doppio oggetto (scelta del socio privato e contestuale affidamento del servizio). 4. Gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica A) Premessa È fondamentale, in primo luogo, rammentare che ai sensi dell art. 117 Cost., la gestione dei servizi pubblici rientra nella competenza esclusiva delle Regioni. Ciò detto, al fine di giustificare la disciplina dettata in materia di servizi pubblici locali di rilevanza economica dal legislatore statale (di cui al Titolo V del D.Lgs. 267/2000) si è affermato, all art. 113 T.U., che trattasi di disposizioni concernenti la «tutela della concorrenza» materia rimessa alla competenza esclusiva dello Stato in base allo stesso art. 117 Cost. lett. e) inderogabili ed integrative rispetto alle discipline di settore. Il concetto di rilevanza economica Tutto il sistema dei servizi pubblici locali previsto dal D.Lgs. 267/2000 è incentrato sul criterio distintivo di rilevanza economica, espressione mutuata dalla normativa comunitaria. È bene ricordare, in proposito, che l imporsi di questo concetto è soltanto l ultimo passo di un lungo percorso legislativo. La versione originaria degli artt. 113 e seguenti del T.U., infatti, faceva riferimento al principio dell imprenditorialità sostituito, ad opera dell art. 35 della L. 448/2001, con quello dell industrialità sulla scorta della considerazione che oramai tutti i servizi pubblici sono svolti in forma imprenditoriale. Il legislatore non si è mai preoccupato di definire con esattezza il significato da attribuire ai suddetti criteri. Invero, il citato art. 35, al comma 16, demandava ad un successivo decreto di attuazione il compito di individuare i servizi a rilevanza industriale. Con l intervento del D.L. 269/2003 conv. con modif. in L. 326/2003, quindi, si è registrato un nuovo cambiamento che ha visto la sostituzione del criterio della rilevanza industriale con quello della rilevanza eco-

374 Libro IV: Ordinamento istituzionale del Comune - Parte VII: I servizi pubblici locali nomica. Anche in questo caso la legge non ha specificato quale significato si debba correttamente assegnare a tale espressione e per di più ha abrogato il citato comma 16, art. 35, della L. 448/2001 con la conseguenza di far ricadere sulla giurisprudenza il non facile compito di distinguere nel concreto i servizi rientranti nell una o nell altra categoria, circoscrivendo così il criterio stesso di «economicità». Seguendo le impostazioni suggerite dalla dottrina notiamo che oltre a chi, genericamente, riconduce l attività economica all attività produttiva, dunque alla produzione o scambio di beni o servizi, alcuni esponenti (ALESIO) tengono a precisare che un attività produttiva può dirsi economica se comporta un guadagno, quindi se viene svolta con modalità che consentono, nel medio-lungo periodo, la completa copertura dei costi con i ricavi, in caso contrario si tratterebbe di un attività non produttiva, dunque non economica, ma di consumo. In linea con tale interpretazione dottrinaria si è posta la sent. 1729 del 2-8-2005 emessa dal TAR Sardegna nella quale si afferma che indici della sussistenza del carattere economico di un attività sono la competitività dello stesso sul mercato, anche se solo in potenziale, e la sua redditività. B) Evoluzione normativa fino al referendum di giugno 2011 La disciplina della gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, con particolare riferimento alle modalità di individuazione dei soggetti cui conferire la titolarità del servizio, inizialmente contenuta nell art. 113 del T.U.E.L., è stata oggetto di ripetute riforme nel corso degli ultimi anni. Invero, alla stregua del citato art. 113 T.U., la titolarità dei servizi di rilevanza economica nel rispetto della disciplina di settore, ma anche della normativa dell UE, poteva essere conferita (comma 5): a società di capitali individuate attraverso gare ad evidenza pubblica; a società miste i cui soci privati siano scelti sulla base di procedure ad evidenza pubblica; a società con capitale interamente pubblico, purché svolgano la parte più importante della loro attività proprio con l ente pubblico titolare del capitale e quest ultimo eserciti su di esse un controllo analogo alla gestione diretta (in house). Tuttavia le menzionate disposizioni dell art. 113 T.U. sono state superate dal D.L. 25-6- 2008, n. 112, conv. con modif. in L. 6-8-2008, n. 133 (cd. manovra finanziaria d estate), che all art. 23bis (a sua volta modificato dall art. 15 del D.L. 135/2009, conv. con modif. in L. 166/2009) aveva recato una nuova disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza economica sancendo l abrogazione dell art. 113 T.U. nelle parti con essa incompatibili. Il successivo regolamento di attuazione (D.P.R. 168/2010) aveva, quindi, individuato espressamente le disposizioni del D.Lgs. 267/2000 abrogate, trattasi dell art. 113, commi 5, 5bis, 6, 7, 8, 9 escluso il primo periodo, 14, 15bis, 15ter e 15quater. L art. 23bis, in questione, nell ottica di procedere alla liberalizzazione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, aveva stabilito che il conferimento della gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica dovesse avvenire, in via ordinaria, a favore di: imprenditori o di società in qualunque forma costituite, individuati mediante procedure competitive ad evidenza pubblica; società a partecipazione mista pubblica o privata, con selezione del socio mediante procedure competitive ad evidenza pubblica e a condizione che al socio fosse attribuita una partecipazione non inferiore al 40%. In deroga alle suddette modalità di affidamento ordinario, il comma 3 dello stesso art. 23bis in esame prevedeva, in riferimento a situazioni eccezionali che non permettessero un efficace e utile ricorso al mercato, che l affidamento potesse avvenire a favore di società a capitale interamente pubblico, partecipata dall ente locale, che avessero i requisiti richiesti dall ordinamento comunitario per la gestione cd. «in house».

Capitolo Unico: Le forme di gestione dei servizi pubblici locali 375 Su tale nuovo assetto normativo, tuttavia, è intervenuto il referendum abrogativo del 12 e 13 giugno 2011, a seguito del quale il popolo si è espresso in favore dell abrogazione dell art. 23bis del D.L. 112/2008 e quindi delle norme relative alla privatizzazione dei servizi pubblici di rilevanza economica ivi contenute. C) La normativa successiva all esito del referendum e l intervento della Corte costituzionale (sent. 199/2012) Per colmare il vuoto normativo venutosi a creare a seguito dell abrogazione referendaria dell art. 23bis del D.L. 112/2008, il governo è intervenuto nuovamente sulla materia con l art. 4 del D.L. 13 agosto 2011, n. 138, conv. con modif. in L. 14 settembre 2011, n. 148, modificato dapprima dall art. 9 della L. 183/2011, successivamente dall art. 25 del D.L. 1/2012, conv. con modif. in L. 27/2012 ed ancora dall art. 53 del D.L. 83/2012. In particolare, l art. 4 (nel testo come risulta dalle citate modifiche e prima della conversione del D.L. n. 83 avvenuta con L. 134/2012) ha assegnato agli enti locali (nel rispetto dei principi di concorrenza, di libertà di stabilimento e di libera prestazione dei servizi) il compito di verificare la realizzabilità di una gestione concorrenziale dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, liberalizzando tutte le attività economiche (compatibilmente con le caratteristiche di universalità e accessibilità del servizio) e limitando negli altri casi l attribuzione di diritti di esclusiva alle ipotesi in cui, in base ad una analisi di mercato, la libera iniziativa economica privata non risulti idonea a garantire un servizio rispondente ai bisogni della comunità (comma 1). Nell ipotesi di attribuzione di diritti di esclusiva il menzionato art. 4 ha previsto il conferimento della gestione dei servizi pubblici locali, in via ordinaria, tramite procedure competitive ad evidenza pubblica: in favore di imprenditori o di società in qualunque forma costituite, nel rispetto dei principi del Trattato sul funzionamento dell Unione europea e dei principi generali relativi ai contratti pubblici (comma 8); a società a capitale interamente pubblico, sempre che non vi siano specifici divieti previsti dalla legge (comma 9); a società miste pubblico private, con gara «a doppio oggetto», in cui il socio privato abbia una quota non inferiore al 40% (comma 12). Qualora il valore del servizio non superi i 200.000 euro annui, in deroga alle modalità di cui sopra, è ammesso l affidamento in via diretta a società che possiedono i requisiti per la gestione «in house», con divieto di frazionamento del medesimo servizio e del relativo affidamento (comma 13). Ciò detto, la disciplina contenuta nell art. 4 appena illustrata è stata dichiarata incostituzionale con la sent. Corte cost. n. 199 del 20 luglio 2012. La Suprema Corte, all esito del giudizio, ha rilevato che, nonostante fosse intitolata «Adeguamento della disciplina dei servizi pubblici locali al referendum popolare e alla normativa dell Unione europea», la disposizione censurata ha dettato una nuova disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, che non solo è contraddistinta dalla medesima ratio di quella abrogata, in quanto opera una drastica riduzione delle ipotesi di affidamenti in house, al di là di quanto prescritto dalla normativa comunitaria, ma è anche letteralmente riproduttiva, in buona parte, di svariate disposizioni dell abrogato art. 23bis del D.L. 112/2008 e di molte disposizioni del regolamento attuativo del medesimo art. 23bis contenuto nel D.P.R. 168/2010. Pertanto la disposizione impugnata viola il divieto di ripristino della normativa abrogata dalla volontà popolare, divieto desumibile dall art. 75 della Costituzione.

376 Libro IV: Ordinamento istituzionale del Comune - Parte VII: I servizi pubblici locali Si precisa che la dichiarazione di illegittimità costituzionale investe l articolo 4 del D.L. 138/2011 (convertito con modif. in L. 148/2011) sia nel testo originario che in quello risultante dalle successive modificazioni. Tuttavia, si fa presente che le ultime modifiche all art. 4 del D.L. 138/2011 (conv. con modif. in L. 148/2011), sono state apportate, come detto, dal D.L. 83/2012 (art. 53, comma 1, lett. b) la cui conversione in 134/2012 è successiva alla pubblicazione della menzionata sentenza della Corte costituzionale (n. 199 del 20 luglio 2012). Pertanto, si è resa necessaria l esplicita abrogazione del menzionato art. 53, comma 1, lett. b, del D.L. 83/2012 (conv. con modif. in L. 134/2012), avvenuta ad opera del D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, conv. con modif. nella L. 17 dicembre 2012, n. 221 cd. decreto sviluppo bis (art. 34, comma 24). D) Il panorama normativo successivo alla pronuncia di incostituzionalità dell art. 4, D.L. 138/2011 Dopo l intervento della Corte costituzionale (sent. 199/2012) che, come detto, ha dichiarato l illegittimità della normativa specificamente dettata dall art. 4 del D.L. 138/2011, il legislatore italiano è intervenuto in materia con il D.L. 18-10-2012, n. 179, conv. con modif. in L. 17-12-2012, n. 221 limitandosi ad assicurare il rispetto della disciplina europea (in proposito v. 3), la parità tra gli operatori, l economicità della gestione e di garantire adeguata informazione alla collettività di riferimento attraverso la previsione dell obbligo da parte dell ente affidante di indicare le ragioni e la sussistenza dei requisiti previsti dall ordinamento europeo circa la forma di affidamento prescelta, attraverso la pubblicazione sul proprio sito internet di una apposita relazione (art. 34, comma 20). Per gli affidamenti in essere alla data di entrata in vigore del decreto n. 179/2012 non conformi ai requisiti previsti dalla normativa europea è previsto l obbligo di adeguamento entro il 31 dicembre 2013 pubblicando, entro tale data, la suddetta relazione; mentre per gli affidamenti in cui non è prevista una data di scadenza gli enti competenti provvedono contestualmente ad inserirla nel contratto di servizio o negli altri atti che regolano il rapporto, pena la cessazione dell affidamento alla data del 31 dicembre 2013 (art. 34, comma 21). Dalla suddetta disciplina sono espressamente esclusi i servizi di distribuzione del gas naturale e di distribuzione dell energia elettrica, nonché quelli di gestione delle farmacie comunali, disciplinati da apposite norme di settore. E) La dimensione territoriale dell organizzazione del servizio: art. 3bis, D.L. 138/2011 Merita una trattazione a parte il disposto di cui all art. 3bis del D.L. 138/2011 (conv. con modif. in L. 148/2011), inserito dal D.L. 1/2012 conv. con modif. in L. 27/2012 e, quindi, novellato dal D.L. 179/2012, conv. con modif. in L. 221/2012. Tale articolo, in particolare, nella prospettiva di migliorare l efficienza del servizio, ha previsto un organizzazione dello stesso basata su «ambiti o bacini territoriali ottimali e omogenei». Più specificamente, la norma stabilisce, dal punto di vista soggettivo, che sono le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano a dover procedere ad una simile organizzazione entro il 30 giugno 2012, nonché all istituzione o designazione degli enti di governo degli stessi, mentre oggetto della detta organizzazione dimensionale sono esclusivamente i servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica, ossia quei servizi che per le loro caratteristiche necessitano di una gestione estesa ad un ampio territorio. L inutile decorso del termine indicato comporta, ai sensi dell art. 8 L. 131/2003, l esercizio del potere sostitutivo da parte del Consiglio dei Ministri, a tutela dell unità giuridica ed economica, ai fini dell organizzazione dello svolgimento dei servizi pubblici locali in ambiti o bacini territoriali ottimali e omogenei, comunque tali da consentire economie di scala e di differenziazione idonee a massimizzare l efficienza del servizio.

Capitolo Unico: Le forme di gestione dei servizi pubblici locali 377 Quanto alla dimensione territoriale dell ambito o bacino, questa non deve essere inferiore almeno a quella del territorio provinciale, ferma restando la possibilità, riconosciuta alle Regioni, di individuare specifici bacini territoriali di dimensione diversa, motivando la scelta in base a criteri di differenziazione territoriale e socio-economica e in base a principi di proporzionalità, adeguatezza ed efficienza rispetto alle caratteristiche del servizio. Il comma 1bis dell art. 3bis in esame (inserito ad opera del D.L. 179/2012, conv. con modif. in L. 221/2012), infine, demanda agli enti di governo degli ambiti o bacini territoriali ottimali ed omogenei l organizzazione, la forma di gestione, la determinazione delle tariffe all utenza, per la parte di competenza, l affidamento della gestione ed il controllo della stessa. In materia di servizi pubblici locali è intervenuto, ancora, il D.L. 30 dicembre 2013, n. 150 (cd. milleproroghe), conv. con modif. in L. 27 febbraio 2014, n. 15, a fissare taluni termini. In particolare, l art. 13, comma 1 del menzionato decreto stabilisce che, in deroga all art. 34, comma 21 del D.L. 179/2012, conv. con modif. in L. 221/2012 di cui si è detto (vedi lett. d) e al fine di garantire la continuità del servizio, laddove l ente responsabile dell affidamento ovvero, ove previsto, l ente di governo dell ambito o bacino territoriale ottimale e omogeneo abbia già avviato le procedure di affidamento pubblicando la relazione di cui al comma 20 del medesimo articolo, il servizio è espletato dal gestore o dai gestori già operanti fino al subentro del nuovo gestore e comunque non oltre il 31 dicembre 2014. Ancora il comma 2 dell art. 13 stabilisce che, in caso di mancata istituzione o designazione dell ente di governo dell ambito territoriale ottimale (ex art. 3bis, comma 1 del D.L. 138/2011, conv. con modif. in L. 148/2011), ovvero di mancata deliberazione dell affidamento entro il 30 giugno 2014, è previsto l esercizio dei poteri sostitutivi da parte del Prefetto competente per territorio, con spese a carico dell ente inadempiente, che provvede agli adempimenti necessari al completamento della procedura di affidamento entro il 31 dicembre 2014. Il mancato rispetto dei termini di cui sopra comporta la cessazione degli affidamenti non conformi ai requisiti previsti dalla normativa europea alla data del 31 dicembre 2014 (comma 3). 5. La gestione dei servizi pubblici locali privi di rilevanza economica A norma dell art. 113bis del T.U. gli enti locali possono gestire servizi pubblici privi di rilevanza economica affidandoli direttamente (quindi senza procedere a gare pubbliche): ad istituzioni; ad aziende speciali, anche consortili; a società a capitale interamente pubblico, a condizione che gli enti pubblici titolari del capitale sociale esercitino su di esse un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la società realizzi la parte più importante della propria attività con l ente o gli enti pubblici che la controllano. È consentita, inoltre, anche la gestione in economia quando, per le modeste dimensioni o per le caratteristiche del servizio non sia opportuno ricorrere ad una delle altre forme di gestione. Per quanto riguarda in particolare i servizi culturali e del tempo libero, gli enti locali possono gestirli anche affidandoli direttamente ad associazioni e fondazioni da loro costituite o partecipate. Si noti che l intero art. 113bis del D.Lgs. 267/2000 è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo da parte della sentenza della Corte costituzionale 27-7-2004, n. 272 se-

378 Libro IV: Ordinamento istituzionale del Comune - Parte VII: I servizi pubblici locali condo la quale la denominazione data ai servizi cui si rivolge tale articolo fa sì che gli stessi non possano essere sottoposti alla disciplina statale della tutela della concorrenza. In riferimento ai servizi privi di rilevanza economica, infatti, non esiste un mercato concorrenziale. In altre parole, con l articolo del T.U. in commento il legislatore statale ha indebitamente disciplinato una materia che, non riguardando l esigenza di tutelare la libertà di concorrenza, dovrebbe essere rimessa alle fonti regionali e locali. D altra parte, come hanno fatto notare i giudici delle Consulta, anche la Commissione europea nel «Libro verde sui servizi di interesse generale» del 21-5-2003 dopo aver precisato che il concetto di economicità ha carattere dinamico ed evolutivo per cui non sarebbe possibile stabilire a priori un elencazione definitiva dei servizi non economici afferma che le norme sulla concorrenza si applicano soltanto alle attività economiche. Anche in tema di servizi non economici, i rapporti fra gli enti locali ed i soggetti gestori sono regolati dai contratti di servizio. 6. La gestione in economia La gestione in economia dei servizi pubblici locali deve essere preferita allorquando per le modeste dimensioni o per le caratteristiche del servizio non appaia opportuno procedere ad affidamento ai soggetti di cui al comma 1 dell art. 113bis del T.U. In tale ipotesi si può procedere ad una assunzione diretta di spese e di personale da parte dell ente locale e all assorbimento del servizio nella sua normale amministrazione. Non disponendo nulla a riguardo il D.Lgs. 267/2000, si presume che in materia di organizzazione del servizio gestito in economia viga la normativa concernente gli atti, la contabilità ed i controlli previsti per la restante attività comunale. Con la gestione in economia, il servizio non diviene autonomo, ma costituisce una parte dell amministrazione locale, che si avvarrà per la sua erogazione del personale dipendente. 7. AZIENDE SPECIALI E ISTITUZIONI L art. 114 del T.U.E.L. e successive modifiche regolamenta le aziende speciali e le istituzioni disciplinando il rapporto di strumentalità che intercorre fra esse e l ente locale per il quale operano. Come già accennato in precedenza (v. 5) l art. 113bis, introdotto nel testo unico dalla L. 448/2001 (Finanziaria 2002) e successivamente modificato dal D.L. 269/2003, conv. con modif. nella L. 326/2003, elenca le aziende speciali e le istituzioni tra i moduli gestionali cui ricorrere esclusivamente in relazione a servizi pubblici privi di rilevanza economica.

Capitolo Unico: Le forme di gestione dei servizi pubblici locali 379 A) L azienda speciale Il D.Lgs. 267/2000, pur configurando l azienda speciale come ente strumentale dell ente locale, le ha conferito carattere imprenditoriale, e quindi una maggiore autonomia, che si sostanzia essenzialmente: nel conferimento della personalità giuridica; nel riconoscimento di un autonomia imprenditoriale, comprensiva di un autonomia patrimoniale, che si concretizza nella dotazione di un capitale che le permetta di svolgere efficacemente ed autonomamente il ruolo di soggetto pubblico imprenditore; nella disciplina del proprio ordinamento e funzionamento a mezzo di un proprio statuto. A norma dell art. 114, comma 5 del T.U. l azienda speciale è dotata di un proprio statuto, approvato dal Consiglio comunale o provinciale, che costituisce l atto fondamentale dell impresa pubblica locale, disciplinando esso, nell ambito della legge, l ordinamento e il funzionamento dell azienda stessa. Gli organi dell azienda sono: il Consiglio di amministrazione; il Presidente; il Direttore, al quale compete la responsabilità gestionale; un organo di revisione preposto al controllo economico e contabile. L ente locale esercita, rispetto all azienda, speciali poteri d indirizzo, controllo e vigilanza, che si sostanziano: nell approvazione dello statuto da parte dell organo consiliare (art. 114, comma 1); nella determinazione delle modalità di nomina e revoca degli amministratori, effettuata dallo statuto dell ente locale (art. 114, comma 3). L ente locale, inoltre, ai sensi del comma 6 dell art. 114 in esame, conferisce il capitale di dotazione, determina le finalità e gli indirizzi, approva gli atti fondamentali, esercita la vigilanza, verifica i risultati della gestione, provvede alla copertura degli eventuali costi sociali. Accanto ai poteri di verifica esercitati dall ente locale, lo statuto dell azienda deve prevedere, ex art. 114, comma 7, forme autonome di verifica della gestione, che si accompagnano all attività svolta anche dall organo di revisione. B) L istituzione Come emerge dalla lettura dell art. 114 del T.U. l istituzione presenta elementi di similitudine con l azienda speciale. Tale ente strumentale infatti pur non avendo né personalità giuridica, né potestà regolamentare, presenta la stessa organizzazione delle aziende speciali, nonché un autonomia gestionale tendenzialmente simile. L art. 114, comma 3, indica chiaramente che ci si trova dinanzi ad un organismo la cui disciplina viene riservata alla legge ed agli statuti locali. Rispetto all azienda speciale rileva la minore autonomia organizzatoria, poiché l istituzione è disciplinata esclusivamente dalla legge, dallo statuto e dai regolamenti dell ente locale cui dipende.