Futurismo e _avanguardie giapponesi ovvero Mori Ogai e Gabriele D'Annunzio: interscambi letterari nel primo Novecento giapponese di Doi Hideyuki Sono felice di poter essere nuovamente qui, oggi, a confrontarmi con voi, a un anno e tre mesi dall'ultima occasione, e sempre insieme al gruppo di dottorandi della TUFS. Fra i due appuntamenti romani, se ne è tenuto un altro lo scorso novembre a Tokyo nel nostro campus. Anche quella volta era presente la professoressa Mastrangelo che rivedo oggi con gioia. Dinnanzi a lei e a tutti gli altri convegnisti, avevo trattato in modo piuttosto generico alcune tematiche quali le sette segrete, l'esotismo del primo Novecento, la non poesia composta di versi brevi, ecc. Questo perché l'argomento non era ancora completamente maturo in me, e privo di una logica che collegasse tutti gli elementi. Passati due mesi, la situazione non è variata poi di molto, ma oggi proverò ad essere più chiaro e a concentrarmi di più sui punti chiave. Per le due giornate di oggi e domani la professoressa Mastrangelo ci ha invitato a preparare le relazioni ponendo l'accento sui "metodi di ricerca". Alla luce delle due precedenti esperienze, si volevano forse evitare argomenti troppo specialistici che avrebbero finito per inibire lo svolgimento di un dibattito. Cercherò quindi di focalizzarmi su interessi comuni a tutti, adottando un approccio comparatistico. Devo dunque preannunciarvi che non mi spingerò a trattare le tematiche del futurismo o delle avanguardie. _Inizialmente pensavo di includere solo una premessa sul romanziere Ogai come "ponte" tra le mie relazioni precedenti e i nuovi temi. Tuttavia nell' approfondire l'argomento, ho scoperto diversi episodi interessanti che accomunano O gai e D'Annunzio e che costituiranno il tema centrale del mio intervento. Modificherei perciò il titolo in questa maniera: "Mori Ogai e Gabriele D'Annunzio: interscambi letterari nel primo Novecento giapponese. ".
726 2010 Roma Workshop Parto dalla domanda rivoltami dalla professoressa Mastrangelo in occasione del workshop tenutosi in questa stessa sede nel 2008. La mia relazione s'intitolava "Shimoi Harukichi e due riviste napoletane". In essa ho presentato una personalità alquanto irregolare, un poeta giapponese che ha contribuito ad animare la scena letteraria del primo Novecento nell'ambito della rivista napoletana «Diana». Con le sue traduzioni dei versi brevi in stile tanka, egli ha gettato anche le fondamenta degli studi giapponesi in Italia in quanto lettore all'allora Reale Istituto Orientale di Napoli e organizzatore della rivista «Sakura». Sul primo numero di «Sakura» del gi~gno 1920 il poeta Shimoi pubblicò la traduzione di una pièce di Mori Ogai (1862-1922) accompagnata da una nota sull'autore. _ Ebbene la domanda della professoressa Mastrangelo è stata questa: O gai conosceva questa traduzione, che era tra le poche pubblicate mentre lo scrittore, morto nel 1922, era ancora in vita? Tornato in Giappone dopo il precedente workshop romano, e condotta una verifica nelle biblioteche dell'università di Tokyo dovrei rispondere di no alla questione. Consultando i diari riportati nell' Opera omnia, ho trovato soltanto appunti sulle attività burocratiche e ~ulle condizioni di salute dello scrittore: negli ultimi anni della sua vita, Ogai fu da un lato tra i più attivi ed illustri esponenti della narrativa giapponese, e dall'altro operò come generale medico dell'esercito, nonché come direttore incaricato dei Musei nazionali e presidente dell' Accademia. Nonostante io non abbia trovato alcun riferimento a quella traduzione italiana, il perché di ql!ell'interrogativo risulta piuttosto interessante. Essendo specialista di Ogai, la professoressa Mastrangelo sostiene che, a giudicare dallo stile dello scrittore, si può arguire che egli scrivesse le sue opere prevedendone già una traduzione. In quegli anni a cavallo fra due secoli il linguaggio letterario stava subendo drastici mutamenti sia nel lessico, che nella sintassi e nello stile appunto. Ovviamente in tale processo è decisiva l'influenza delle traduzioni da autori europei. Ogai stesso era un fervido traduttore. Si dice che più della metà del suo sconfinato corpus sia interamente costituita da traduzioni. Per la maggior parte si tratta di versioni da~ tedesco, inglese o francese; ma in alcuni casi, attraverso queste lingue, Ogai traduce autori russi, ed anche italiani. La prima opera di O gai tradotta in italiano è, abbiamo detto, un'opera teatrale, o più precisamente un dialogo tra un uomo e una
Doi Hideyuki 727 donna. Il titolo originale, Kage cioè "ombre", viene reso dal traduttore Shimoi con Il trionfo della morte. Perché? La trama praticamente si sviluppa sulla falsariga dell' omonimo romanzo dannunziano: le due. ombre di Ippolita Sanzio e Giorgio Aurispa, si ritrovano dopo il suicidio nel finale della storia. Tornando al precipizio sull'adriatico da cui si erano lanciate, le due "ombre" riconsiderano insieme l'estrema resistenza della donna contro la morte, scambiandosi infine promesse per la prossima vita: LUI. [per rinascere] Dico di scegliere una fanciulla giapponese. LEI. Sarà poi un tale paese il Giappone...? LUI. Forse vi soffierà, più o meno, il vento della decadenza; ma sembra che vi rimangano abbastanza luoghi ancora profumati dall'odore della terra vergine. Se vi andiamo, è per amore di ciò. LEI. Allora sceglierò il Giappone. E il curatore Shimoi spiega la scelta di questo pezzo nella premessa alla traduzione: Il Kage «Ombre» è un dialogo in un atto, scritto sul «Trionfo della morte» di D'Annunzio. È uno studio critico di analisi psicologica dei due protagonisti del romanzo dannunziano. Critica e studio non fatti nel solito modo arido e accademico ma in forma letteraria e Per far vedere con quanta larga forza creativa e con quanta precisa.osserv.azione un giapponese stud!~_l'opera letteraria d'italia, abbiamo scelta, prima di tu1!~.' ques~~a le numerose opere c!iogai. Il romanzo n trionfo della morte, pubblicato originariamente nel 1894, ebbe una grande fortuna in Giappone. In un primo momento, grazie alla traduzione parziale di Ueda Bin nella silloge poetica Kaichoon (Il suono della marea) del 1905, il pubblico giapponese conosce l'opera e l'autore. Si dovrà attendere poi fino al 1913 la traduzione completa, anche se dal francese, per mano di Ishikawa Gian. Ma nel frattempo accade uno scandalo che travolge la società giapponese: due giovani tentano un doppio suicidio, poi sventato, imitando proprio n trionfo della morte. Nell'ultima lettera la donna allora ventiduenne chiariva le sue ragioni: «per realizzare me stessa, per portare a compimento il sistema del mio io». È un tentativo quasi superomistico, forse ancor più che nel romanzo di D'Annunzio. Nella piena febbre dello scandalo, in quello stesso 1909, Morita S6hei, il giovane sopravvissuto, su
728 2010 Roma Workshop consiglio del suo maestro, il grande scrittore Natsume S6seki, trae dalla vicenda un romanzo d'appendice autobiografico per pubblicarlo sul giornale Asahi-shinbun. Così il caso di Shiobara, località termale dove si erano recati i due amanti, diventa un caso letterario, noto anche, dal titolo del romanzo, come il caso di Baien (Fuliggine). La donna, Hiratsuka Raich6, fonda invece la prima rivista femminista «Seito» (Calze blu) nel 1911, tre anni dopo l'accaduto, scegliendo per esergo il famoso motto: «In principio, a dire il vero, la donna era il sole». Contemporaneamente alla pubblicazione di Fuliggine dell' allievo Morita, S6seki menziona la storia dannunziana del doppio suicidio nel suo celebre romanzo Sorekara (E poi... ), in cui il protagonista Daisuke non ammette tuttavia l' es~stenza di un'autentica angoscia fra i due amanti. Anche il nostro O gai ne abbozza una versione dal sapore parodico - sulla scia, diremmo, dell' operetta morale leopardiana, benché lo scrittore non ne fosse a conoscenza - forse alludendo allo scandalo nei toni del brano già citato, con particol~e riferimento a quel «vento della decadenza». Per la rivista «Kabuki» Ogai traduce inoltre dal tedesco il poema dannunziano Sogno del tramonto d'autunno del 1898, già famoso a livello europeo in versione sceneggiata sin dal 1905, anno in cui era stato messo in scena da Eleonora Duse. Aggiungo che ad oggi esistono dodici traduzioni diverse de Il trionfo della morte, otto delle quali risalenti al periodo anteguerra. Un'altra variazione in senso letterario si può certamente riconoscere inoltre tra i primi racconti di Mishima Yukio, Misaki niteno monogatari (Storia sul promontorio) del 1946. Dobbiamo ammettere che, contrariamente a quanto si crede circa il fervore dannunziano in Giappone, l'apporto maggiore va attribuito non tanto a Il suono della marea di Ueda Bin, quanto alla totalità dei contributi di Ogai. Nella rubrica "Mukudori tsushin" (Notizie dello storno) sulla rivista mensile «Subaru» (Le Pleiadi), nel breve periodo che va dal 1909 al 1913, lo scrittore cita ben più di quaranta volte D'Annunzio. E nella stessa rubrica Ogai, traduce il primo manifesto futurista, addirittura dalla versione italiana (pubblicata a Milano), nel numero del maggio 1909, a distanza di soli tre mesi dalla pubblicazione sul giornale francese «Le Figaro». Nel cappello introduttivo agli undici comandamenti di Marinetti, Ogai definisce quest'ultimo, poeta anti-dannunziano, e piuttosto ispirato ai toni di Vietor Hugo e Nietzsche. Ci sembra che questi due aspetti non si concilino, anzi si contraddicano. O gai, firmandosi scherzosamente «Mumeishi» (Signor Senzanome), non era ancora cosciente delle potenzialità di questo movimento, pur essendo
Doi Hide1Juki 729 l'effettivo scopritore di esso. I?'altro canto, il poeta, Yosano Tekkan, su suggerimento del suo amico Ogai, traduce e adotta come proprio stile la poesia futurista, restandole fedele per tutta la vita. Sua moglie, Yosano Akiko, si rivela anche lei seguace di questa novità letteraria; mentre per contro, negli anni successivi gli avanguardisti italiani si lascieranno entusiasmare e influenzare dai versi brevi di Akiko tradotti da Shimoi. Le due reazioni procedono in parallelo nei due paesi, senza incontrarsi mai direttamente. Qui mi devo fermare, a proposito del futurismo, riservandomi magari di ritornarvi in una prossima occasione... Ciò detto, viene da chiedersi perché gli scrittori giapponesi del primo Novecento mostrassero tanta attrazione per D'Annunzio, in particolare quello de Il trionfo della morte. Uno dei motivi ce lo suggerisce il protagonista del già citato E poi..., Daisuke. Secondo questo, i suoi contemporanei leggevano in D'Annunzio una «ansia esistenziale, ovvero un complesso di inferiorità derivato da una decadenza illimitata». Sia l'ansia che il complesso di inferiorità rappresentano dei tratti distintivi fondamentali dell'uomo moderno, come del resto nel caso dello stesso autore S6seki, notoriamente affetto da gravi nevrosi. Tornando al poeta Shimoi, nel tradurre quel dialogo di O gai, egli intendeva probabilmente presentare una società giapponese tanto matura e decadente quanto quella europea. Per chiudere il mio discorso vorrei sottoporre a voi una questione "di metodo", che ha continuato a pressarmi con insistenza durante la preparazione dell'intervento di oggi. Ci sono ancora abbastanza possibilità nella comparatistica per non lasciarsi andare a facili e superficiali paragoni? E come si possono inquadrare i problemi fondamentali in quell'ambito?
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