CERAMICA DAL CASTELLO DI PIOMBINO (LI)

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CERAMICA DAL CASTELLO DI PIOMBINO (LI) Introduzione: la storia del castello attraverso le indagini archeologiche Lo scavo è stato curato dall Area di Archeologia Medievale dell Università di Siena in collaborazione con il Comune di Piombino. I risultati ottenuti sono stati resi pubblici attraverso la costituzione di un museo all interno del castello e impiegando gli strumenti di comunicazione multimediale. Costruzione della porta e della cinta La storia del castello, in mancanza di tracce precedenti, inizia dai primi decenni del XIII secolo. Nel 1235, come attesta un'epigrafe posta su uno degli stipiti interni, fu costruita la grande porta, oggi inglobata all'interno del castello. L' edificazione avvenne in contemporanea a quella dell'adiacente cinta muraria e rientrava in un importante progetto edilizio voluto dal comune di Piombino, che prevedeva dall'inizio del duecento la costruzione di un circuito difensivo più ampio di quello a difesa del borgo di XII secolo. A quel tempo Piombino era uno dei più importanti porti del litorale toscano, grazie ai suoi traffici soprattutto con l'isola d'elba e le sue miniere di ferro. Questa fu una delle principali ragioni che spiega l'interesse pisano per l'insediamento. Già nel XII secolo infatti, Pisa aveva acquistato parti del borgo per controllare meglio il territorio e la vita politica di Piombino. Al di sopra della porta si elevava una struttura turriforme provvista di due piani. Al primo di questi piani si accedeva da due porte poste sui lati est ed ovest, raggiungibili attraverso rampe di scale in pietra poggianti su piattaforme in muratura. I ridotti resti di queste piattaforme, quasi totalmente distrutte nelle successive trasformazioni, sono stati riportati in luce duranti i lavori di scavo archeologico e di restauro. Dal secondo piano della torre, attraverso una piccola porta si accedeva al camminamento della cinta. In questo secondo livello una feritoia permetteva di controllare il territorio esterno alle mura. La volta a botte a chiusura del secondo piano induce ad ipotizzare la presenza di una copertura piatta che costituiva un ulteriore e più alto punto di avvistamento. Dell'originaria cinta sono stati individuati pochi resti, maggiormente conservati sul versante est, dove una feritoia, poi tamponata, testimonia un punto di avvistamento connesso alla piattaforma. Un piccolo ambiente interrato, a cui si accedeva attraverso una botola, costruito contemporaneamente alla piattaforma est, riportato in luce durante lo scavo, potrebbe essere interpretato come possibile deposito di oggetti (torce, sgabelli etc.) necessari al turno di guardia alla porta. Un lacerto di selciato in pietra, rinvenuto e- sternamente alla porta, ma non ritrovato internamente a quest'ultima, è l'unica, labile traccia dell'originaria viabilità.

Le aree cimiteriali La prima area cimiteriale L'edificazione della porta urbana e relativa cinta, causarono l'interramento e la quasi totale distruzione di un'area cimiteriale localizzata in questa zona, originariamente posta al di fuori delle mura del primo nucleo abitato di Piombino. Durante lo scavo archeologico sono state individuate labili tracce di cinque sepolture databili alla fine del XII secolo. Gli scheletri di un individuo adulto di sesso non determinabile (S2), di un bambino morto in età compresa tra i 12 ed i 14 anni (S3) e di un secondo bambino di età indeterminabile per lo stato di conservazione (S11) furono tagliati parzialmente dalla fossa di fondazione della struttura in muratura sotterranea, connessa alla cinta difensiva.. Delle altre due sepolture riferibili a questa prima area cimiteriale sappiamo che appartenevano ad un uomo di età intorno ai 50 anni (S1) e ancora ad un bambino di età non determinabile. La seconda area cimiteriale Alla fine del XIII secolo, quasi 70 anni dopo la sua costruzione, la porta cittadina fu tamponata. I motivi di questa scelta sono molteplici e vanno ricercati nella particolare situazione politica piombinese, strettamente legata a quella di Pisa. Tenere aperta una porta, all'interno di un circuito muraria che già ne comprendeva due o forse tre, comportava al Comune notevoli spese sia per la manutenzione della struttura sia per il mantenimento di un gruppo fisso di militari addetti al suo controllo. Piombino inoltre era un porto dove sempre più spesso, soprattutto dopo la battaglia della Meloria del 1289, si rifugiavano le navi pisane inseguite da quelle dei genovesi, che già in passato avevano anche attaccato il nucleo abitato. Una porta cittadina in più significava quindi un ulteriore pericolo in caso di episodi bellici. La chiusura della porta in prossimità di un'area ancora non abitata determinò il ripristino di una tradizione, evidentemente ancora forte, di seppellire i propri defunti nel luogo del precedente cimitero. Di questa area cimiteriale non conosciamo l'estensione, a causa della sua parziale distruzione. I cambiamenti delle zone circostanti il castello non permettono inoltre di verificare la presenza di un edificio religioso connesso a questi cimiteri, di cui non resta traccia nemmeno nei documenti scritti. Le indagini archeologiche hanno portato alla scoperta di nove sepolture appartenenti a questa secondo gruppo di inumazioni, avvenute nei primi decenni del XIV secolo. Tra questi vi sono tre scheletri di individui a- dulti: una donna (S 12); un uomo di età compresa tra 40 ed i 45 anni (S6); un individuo di sesso non determinabile. Le altre sei sepolture ci riportano a morti avvenute in età infantile o adolescenziale. Due scheletri appartenevano a ragazzi al di sotto di 20 anni di età (S13) o di 18 anni (S9). Quattro scheletri sono relativi a bambini di età variabile; 9 mesi (S5); 3 o 4 anni (S10); 4 o 5 anni (S8); 11 anni (S14). Unendo i dati relativi all'età della morte, con gli altri desunti sempre dall'analisi dei resti ossei effettuate dagli antropologi, notiamo come gli scheletri appartenenti alla prima e

seconda area cimiteriale presentino caratteristiche comuni. Il dato più appariscente è sicuramente quello dell'alta mortalità infantile ed adolescenziale. Nove scheletri su quattordici appartenevano a individui morti tra i 9 mesi ed i 20 anni. Questo dato, che contrasta con la situazione contemporanea degli abitanti di Piombino, non deve stupirci. In età medievale le morti di bambini e ragazzi erano molto frequenti. Il numero poi aumentava negli appartenenti alle classi sociali più basse, dove le malattie, la scarsa igiene, una dieta povera e l'abitudine a lavori pesanti e pericolosi, anche in giovane età, incideva notevolmente sull'età della morte. La stessa età media degli adulti (45/50 anni), appartenenti a questo piccolo campione di società piombinese, è piuttosto bassa se rapportata a quella contemporanea, ma non si discosta molto dai valori medi in età medievale, soprattutto se riferiti a quelli delle grandi città. Le misure degli scheletri confermano un'altezza intorno a 1.56 m per l'unica donna inumata e 1.63 per gli uomini. I valori dei microelementi contenuti nelle ossa, indicativi della nutrizione (Calcio, Stronzio, Zinco) rimandano ad una dieta equilibrata tra cibi vegetali e di origine animale. In tre dei cinque individui adulti, si registrano fenomeni di artrosi in parti dello scheletro (al piede, al ginocchio, all'osso sacro). Questo dato può essere ricollegato a forti stress fisici legati ai lavori pesanti svolti da questi uomini in vita. I corpi erano deposti in fosse direttamente scavate nel terreno, senza un ordine preciso nel loro orientamento. La totale assenza, insieme agli scheletri, di oggetti legati a capi di vestiario, come bottoni, fibbie, spille fa ipotizzare che gli individui fossero sepolti con indosso dei vestiti molto semplici, come delle tuniche. In due (?) casi insieme al defunto è stata rinvenuta una moneta. Secondo una credenza medievale infatti, la moneta sarebbe servita al defunto per pagare il passaggio nell'aldilà. L'alta mortalità infantile, la mancanza di corredo, la deposizione in fosse terragne e le malformazioni ossee farebbero ipotizzare l'appartenenza di questi individui a classi sociali inferiori. La costruzione della fortezza trecentesca Nel corso della seconda metà del Trecento o- gni traccia delle sepolture scomparve a causa di un nuovo, importante progetto edilizio nell'area immediatamente addossata alla cinta. Il committente di questo nuovo progetto fu sicuramente Pisa. La generale crisi attraversata da questa città a seguito delle sconfitte subite dai genovesi e delle lotte tra fazioni politiche interne, portò ad un allentamento del suo controllo sul contado della Maremma. Sebbene Pisa detenesse ancora l'elezione delle principali cariche del comune di Piombino, nel corso del Trecento qui come in altri borghi del territorio, scoppiarono rivolte della popolazione locale contro il predominio di Pisa e le sue imposte fiscali. Nel 1370 il mercante pisano Giovanni dell'agnello fu a capo di un piano per conquistare Piombino ed il suo territorio. Malgrado il fallimento del progetto, le agitazioni continuarono determinando l'intervento di Benedetto Gambacorti, capo della fazione dominante a Pisa. Questo comportò un più forte controllo militare di Piombino. Alla metà del Trecento è testimoniata, nei documenti, una rocca dove nel luglio 1337, Pisa teneva un castellano e otto sergenti. Nella seconda metà di questo secolo, compare la menzione di un'altra fortificazione costruita per controllare il traffico marittimo e costiero.

I dati desunti dalle indagini archeologiche ed in particolare l'analisi dei frammenti ceramici datanti il deposito connesso a questa fortezza, la ricollegano a quest'ultima struttura difensiva menzionata dai documenti e relativa appunto alla seconda metà del XIV secolo. L'area di fronte alla porta, già in precedenza tamponata, fu chiusa su tre lati da nuovi muri di cui restano poche tracce nelle murature attuali. Una porta di ridotte dimensioni permetteva l'accesso a questa nuova fortezza dal lato nord-ovest, prospiciente il borgo. La porta della cinta muraria tamponata, divenne una torre di avvistamento dove probabilmente alloggiava parte della guarnigione e a cui si accedeva dalle originarie rampe collegate alla cinta. Un altro ambiente chiuso doveva trovarsi addossato all'angolo interno nord-est, dove sono state trovate tracce di muri e crollo di un tetto in lastrine di ardesia, connesso alla struttura. Il resto della fortezza doveva essere all'aperto, come si vede nella ricostruzione, dal momento che nello scavo non sono stati trovati altri indizi di coperture. I militari camminavano su di un pavimento in terra battuta che sigillava la precedente area cimiteriale e dove in alcuni punti erano state poste delle piccole pietre in modo da creare una sorta di rozzo selciato. Il castello nel XV secolo: Lo Stato di Piombino si formò a seguito della scissione dei domini pisani. Jacopo d'appiano, divenuto signore di Pisa con un colpo di Stato nel 1392, consegnò la città in mano ai Visconti. Il figlio Gherardo nel 1399 smembrò ulteriormente i possedimenti, circoscrivendo, nel 1399, lo stato di Piombino che divenne la roccaforte della famiglia Appiano. In conseguenza di una generale, turbolenta situazione politica, Piombino, per la sua posizione strategica, si trovò sempre più al centro dell'interesse di potenze esterne. A causa di ciò ed a seguito di disordini interni contro la famiglia Appiano, avvenuti nel 1406, la città fu provvista di nuove opere difensive, tra cui lo stesso castello. La datazione dei depositi connessi alla sua ricostruzione, confermano che questa operazione avvenne nella prima metà del Quattrocento, forse contemporanea ad altre, commissionate in particolare da Paola Colonna, madre e tutrice di Jacopo II Appiano, intorno agli anni '40 di questo secolo. Nel castello quattrocentesco, conservando le strutture della precedente fortezza pisana, il perimetro fu raddoppiato con la costruzione di tre muri perimetrali poggiati alla più antica cinta urbana medievale. Dei merli, ancora parzialmente leggibili nelle attuali murature, coronavano la sommità dei muri. Il nuovo ingresso venne localizzato a sud, con la costruzione di una torre provvista di un ponte levatoio. Intorno al castello, infatti, un fossato rappresentava un ulteriore elemento difensivo. La torre sopra la porta medievale, ancora tamponata, servì come punto di avvistamento e di alloggio nei due piani interni. Come dimostrato dalle indagini archeologiche, l'interno del castello era aperto, senza coperture o muri interni, con una pavimentazione in terra battuta, dove avrebbero potuto più facilmente asserragliarsi militari e animali

in caso di pericolo. Una porta tagliata nella cinta medievale, permetteva il passaggio dall'area aperta sud-est verso quella nord-ovest. Della precedente fortezza pisana fu mantenuta la porta che permetteva il passaggio dalla fortezza verso il borgo. L'ambiente chiuso posto nell'angolo nord-ovest fu invece distrutto per creare una piattaforma di discesa dalla nuova apertura nella cinta, necessaria forse per colmare i dislivelli del terreno. Nel deposito sono state rinvenuti evidenti tracce del cantiere edile di questo periodo: tagli per la fondazione dei muri; buche di palo necessarie per alloggiare i ponteggi dei costruttori; punto di raccolta della calce utilizzata nelle murature una buca dove fu gettato il materiale di scarto della calcara per la produzione della calce. La fortezza cinquecentesca: Tra Quattrocento e Cinquecento gli Appiano riuscirono a mantenere la stabilità del proprio Stato attraverso una politica di alleanze, in cui le questioni interne trovarono un equilibrio con le vicende politiche di potenze maggiori. In questo senso si deve interpretare il rapporto più o meno conflittuale con Firenze ed in particolare con Cosimo I de' Medici, duca di Toscana. A Cosimo è legata la costruzione della nuova fortezza, voluta nel momento in cui questo entrò in possesso, nel 1548, di Piombino e del suo territorio. Il progetto della fortezza fu commissionato a Giovanni Battista Camerini, impegnato in quegli anni anche nella progettazione della città di Cosmopolis-Portoferraio all'isola d'elba. Dal carteggio tra l'architetto e Cosimo relativo ai lavori eseguiti, si deduce che il Camerini lavorasse già dai primi anni '40 alle fortificazioni di Piombino. La costruzione però, come si evince dalle lettere, procedette a rilento, per mancanza di fondi e fu più volte subordinata a quella di Portoferraio e legata all'invio di materiale edilizio da quest'ultimo cantiere. Nel 1556 si parla di un 'castello nuovo', anche se in quell'anno non tutte le strutture della fortificazione erano state completate. Nel 1552 nella fortezza alloggiavano 300 fanti e 220 archibugieri muniti di armamenti come cannoni, colubrine e moschetti (tipi di cannoni più leggeri e lunghi). Per realizzare la nuova fortezza il Camerini ampliò notevolmente il perimetro difensivo circostante il castello, costruendo quattro bastioni collegati da una spessa cortina muraria, secondo il modello architettonico proprio delle fortificazioni di quel periodo. All'interno si trovava il volume dell'originario castello, prospiciente un vasto spazio aperto dove potevano muoversi agilmente uomini, armi ed animali. In relazione a queste trasformazioni, anche il castello quattrocentesco subì delle modifiche. I muri perimetrali nord-ovest e sud-est furono raddoppiati in spessore, per resistere meglio ad eventuali attacchi di artiglieria pesante. In un primo momento il principale ingresso al castello fu mantenuto sul lato sud-est, dove si leggono le tracce di una grande porta successivamente tamponata. In seguito si entrò nel castello attraverso le aperture più antiche, poste sui lati est e nord-ovest. Gli spazi aperti interni furono chiusi da un nuovo sistema di solai e muri, sovente sostenuti con spesse strutture voltate in laterizio, di cui sono state trovate tracce durante le indagini archeologiche. In corrispondenza dei solai, nei muri perimetrali furono aperte delle feritoie utili per l'appostamento dell'artiglieria in caso di pericolo. All'interno della tamponatura della porta cittadina di XIII secolo, fu ricavato un am-

biente foderato in mattoni, usato come ripostiglio per le armi. La precedente merlatura quattrocentesca fu inglobata nel rialzamento del tetto, provvisto sul lato nord-ovest di beccatelli in laterizio ed al centro di una struttura quadrangolare di avvistamento, impostata sui muri perimetrali della torre medievale, ricostruita durante il recente restauro. La presenza di un così importante complesso difensivo fu determinante in varie situazioni di pericolo. Una di queste corrisponde a quella raffigurata nella ricostruzione. Nel 1555 infatti nel porto di Faliegi (attuale punto di imbarco per l'elba), sbarcarono 3500 turchi con l'intento di impossessarsi di Piombino. Nella città, nella fortezza e accampati nei dintorni però si trovavano le milizie al comando di Chiappino Vitelli che, quando i Turchi furono a poca distanza, riuscirono a respingerne l'attacco, catturandone e uccidendone moltissimi. Questo episodio è stato raffigurato in numerosi dipinti ed incisioni, oggi essenziali insieme ad altri documenti iconografici, qui riprodotti, per ricostruire la forma della fortezza, attualmente poco leggibile a causa soprattutto delle costruzioni di età contemporanea che vi si sono addossate. LA CERAMICA DI PIOMBINO La ceramica da cucina e da dispensa La ceramica che veniva utilizzata per la cottura dei manufatti era nel medioevo priva di rivestimenti e realizzata con argille molto grossolane, per permettere un alta resistenza al calore. Dalla fine del XIII secolo alcuni manufatti da fuoco, in particolare olle e tegami vengono rivestiti all interno con una vetrina trasparente o colorata (marrone, verde, gialla). Le forme che si utilizzavano nel pentolame da cucina erano prevalentemente due: l olla per la cottura di cibi liquidi o semiliquidi (zuppe, minestre, ma anche carni bollite); - il tegame, entrato in uso con la pratica di cucinare carni in umido e stufati. Una forma particolare, molto usata in Toscana ed in Liguria, è il testello, una sorta di piccolo piatto per cucinare focacce di cereali e gallette. La cottura dei cibi poteva avvenire in vari modi e le differenti tracce di annerimenti sulle superfici esterne dei vasi lo dimostrano. In particolare le olle, soprattutto per la bollitura di cibi molto duri, come le carni, venivano semplicemente poste accanto al focolare e non

direttamente sopra: di questo aspetto resta e- videnza nelle fumigazioni sulle superfici. In altri casi il vaso poteva essere immerso direttamente nella brace o poggiato su un treppiedi metallico o sospeso ad un gancio. La pentola grezza priva di rivestimento trovata a Piombino è un prodotto realizzato a mano e diffuso in molti castelli della Toscana meridionale. I prodotti invetriati sono ugualmente frutto di una bottega locale e richiamano nella forma i modelli presenti in tutta la Toscana dal Trecento. Per immagazzinare le derrate alimentari e per lo stoccaggio nelle cucine si usavano nel Medioevo contenitori privi di rivestimento di varie dimensioni e forme. In particolare si suppone che grandi boccali e brocche venissero utilizzati per il mantenimento dei liquidi o delle granaglie, mentre catini e ciotole erano funzionali ai lavori culinari: una sorta di contenitori di dimensioni differenziate usati per contenere i cibi e per la loro preparazione. La mensa nel XIV e XV secolo: Maiolica Arcaica e Ingubbiate e Graffite Dietro la suggestione delle ceramiche provenienti dal mondo islamico nel corso del XIII secolo inizia in Toscana la produzione di ceramica da mensa rivestita da smalto stannifero, la maiolica arcaica. Si tratta di manufatti con la superficie principale rivestita da smalto bianco e decorata in verde (ramina) e bruno (manganese), più raramente in blu (cobalto) e bruno, con motivi geometrici, vegetali, figurativi a- raldici. Nella prima fase (XIII-prima metà XIV secolo) vengono prodotte soprattutto forme chiuse (boccali e orcioli) mentre le forme aperte (catini ciotole scodelle e tazze) aumentano progressivamente fino a prevalere nella fase matura della produzione (seconda metà XIV-XV secolo). Questo tipo di ceramiche costituisce inizialmente una produzione di pregio che tuttavia nel corso del XIV secolo, si incrementa sempre di più con la standardizzazione delle forme e delle decorazioni e con la diffusione di recipienti più economici realizzati mediante un semplice rivestimento di smalto bianco privo di decorazione. La maiolica arcaica diventa così una produzione di largo consumo che raggiunge anche le mense dei ceti meno abbienti e le aree più periferiche. Gli esemplari e- sposti a Piombino

sembrano entrambi riferibili al XIV secolo, ma sono riconducibili a due aree produttive diverse: lo scodellone infatti presenta caratteristiche morfologico-decorative proprie della produzione di tipo senese, mentre il boccale è assimilabile a forme dell'area pisana. Verso la metà del XV secolo, sulle mense, accanto alla maiolica arcaica e alle prime smaltate policrome, compare la ceramica ingobbiata e graffita, prodotta in seguito all'introduzione in Toscana della tecnica dell'ingobbio sotto vetrina piombifera. Consiste nel rivestire la superficie del vaso con una soluzione acquosa di argilla bianca su cui viene graffita la decorazione con l'eventuale aggiunta di pennellate di colore), e poi passata la vetrina. A seconda del tipo di decorazione e degli strumenti usati, le ingobbiate posso essere graffite a punta (ottenute con disegni incisi a tratti sottili asportando l ingobbio con punte fini) o a stecca (caratterizzate da motivi tracciati con uno strumento dall estremità squadrata); con la tecnica della graffitura a punta inoltre vengono realizzate le graffite a fondo ribassato ottenute mediante l asportazione dell ingobbio con tratti molto ravvicinati e paralleli che scoprono porzioni più o meno ampie del corpo ceramico. Il panorama morfologico, nel quale prevalgono ampiamente le forme aperte, riprende, almeno nella fase iniziale, quello della maiolica arcaica, mentre i motivi decorativi posso essere geometrici, vegetali o più raramente, figurativi. Le ingobbiate e graffite trovate durante lo scavo di Piombino esemplificano tutte le tipologie sopra menzionate e sono probabilmente riferibili alle produzioni del medio valdarno e a quelle dell'area pisana. La mensa nel XVI secolo: la maiolica di Montelupo Accanto a prodotti riferibili all area pisana e a quella senese lo scavo della rocca di Donoratico ha restituito materiali provenienti dal medio valdarno e in particolare dalla zona di Montelupo che nel corso del XV secolo diventa uno dei maggiori centri produttori di ceramica di tutto il Mediterraneo. Lo sviluppo di una produzione su larga scala a Montelupo inizia con l imitazione delle maioliche spagnole che dà luogo alla ceramica italo moresca, caratterizata da boccali e ciotole con decorazioni di ispirazione prevalentemente vegetale, realizzati in blu e bruno, cui talvolta vengono aggiunti altri colori (il verde, il giallo e l arancio). Tra la fine del Quattrocento e l inizio del secolo successivo inoltre nel medio valdarno e in particolare a Montelupo, si sviluppa la produzione di maioliche policrome che presentano un lessico decorativo assai originale destinato ad essere ampiamente imitato. Nascono allora i decori rinascimentali come il reticolo puntinato, la palmetta persiana, la floreale gotica e l occhio di penna di pavone, cui si aggiungono nel XVI secolo il decoro alla

porcellana, gli intrecci, gli ovali e rombi, i nastri spezzati e il blu graffito. Sempre al XVI secolo inoltre risalgono i primi esemplari di ceramiche decorate in stile compendiario che continueranno anche dei secoli successivi. La maggior parte di questi decori fa in genere da contorno ai motivi principali delle forme aperte e delle forme chiuse ma essi possono essere anche usati per decorare l intera superficie del manufatto. I colori impiegati, comprendono il bruno, il giallo, il verde, l arancio e il blu. Come già accennato dallo scavo provengono manufatti che esemplificano alcune delle tipologie sopra menzionate: un boccale e una forma aperta (scodella?) in maiolica italo moresca con decorazioni vegetali e zoomorfe in blu (fine XV secolo), due piatti uno con decoro a nastri spezzati, l altro con decoro blu graffito e una forma aperta con un motivo in stile compendiario, tutti ascrivibili al XVI secolo. Per le caratteristiche dell argilla inoltre sembra da riferire alla zona del medio valdarno anche la scodella in maiolica monocroma bianca, che la mancanza di motivi decorativi, unita alla semplicità della forma, non permette di collocare in maniera più puntuale il reperto. Spagna testimoniata dall afflusso di prodotti ceramici spagnoli, realizzati nelle fabbriche valenzane e destinati ad una committenza multiforme, sia di ceto sociale elevato, che di classe sociale meno abbiente. Cobalto e manganese tunisino La ceramica a lustro valenzana è un prodotto che testimonia la perizia delle maestranze spagnole poiché il pigmento dorato che contraddistingue i lustri spagnoli viene applicato nella terza cottura del manufatto ceramico seguendo un procedimento peculiare e complesso. Il catino trovato nel castello di Piombino è un lustro valenzano maturo, decorato in blu e giallo con motivi vegetali e si data al XV secolo. La ceramica d importazione La vivacità commerciale del porto di Piombino è attestata al finire del medioevo anche da ritrovamenti di ceramiche fini da mensa provenienti da varie parti del mediterraneo. In particolare tra la fine del XIV secolo e gli inizi del XV secolo in Toscana si nota un intensificazione dei rapporti commerciali con la