CHIRURGIA DELL'OCCHIO. Intervento di cataratta



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18 novembre 2002 lezione di S.M.C. Professor Miglior CHIRURGIA DELL'OCCHIO Intervento di cataratta L'intervento di cataratta è il più diffuso in assoluto nel mondo occidentale; esso permette una riabilitazione visiva oserei dire superba, ponendo l'occhio nella condizione di recuperare tutto quello che ha perso, qualora il deficit sia dovuto effettivamente ed esclusivamente alla cataratta. Con questo intervento si modifica la situazione refrattiva, diottrica: sostanzialmente cambiamo la lente; è chiaro che se, dietro la lente, la retina non è a posto, il risultato funzionale dipenderà molto dallo stato retinico. Primo tempo: la preparazione degli ingressi in camera anteriore L'intervento consiste nel creare innanzitutto un'incisione a livello del limbo sclero-corneale; la pupilla è completamente midriatica perché il cristallino è posizionato dietro all'iride e si deve avere un accesso che sia il più comodo possibile; l'incisione è molto corta, di 3 mm, ed è accompagnata spesso a seconda della tecnica chirurgica da altri due piccoli ingressi ai lati. In questa prima fase dell'intervento è stato preparato l'ingresso attraverso cui si eseguiranno le fasi successive: tale accesso dovrà essere perfezionato perché ancora non si è entrati in camera anteriore; a questo serviranno i due ingressi di servizio. A questo punto si allarga e si approfondisce il taglio intracorneale, scavando un tunnel nello stroma; successivamente si entra in camera anteriore con un bisturi di 3 mm. Secondo tempo: l'apertura della capsula anteriore o capsuloressi

Il cristallino, secondo le moderne tecniche chirurgiche, non viene più tolto integralmente, cioè tutto lo stroma con la capsula compresa; si lascia la capsula e si leva esclusivamente la parte cellulare del cristallino: per fare questo bisogna proprio creare un'apertura nella superficie anteriore, una capsuloressi. Prima si inserisce una sostanza visco-elastica trasparente, che permette di mantenere le giuste distanze e gli spazi adatti allo scopo chirurgico; a questo punto, con una pinza si prende la capsula anteriore e si apre con una manovra circolare, per permettere le fasi successive. Poi si può procedere alla emulsificazione e aspirazione del cristallino vero e proprio. Una volta ottenuto questo risultato, abbiamo la necessità di separare bene dalla capsula il corpo, cioè la struttura cellulare, del cristallino non solo anteriormente ma anche posteriormente, quindi su tutta la superficie interna della capsula; si crea un'interfaccia fra le due strutture, requisito fondamentale perché il cristallino possa effettivamente ruotare: ciò si ottiene instillando semplicemente dell'acqua attraverso un'agocannula immediatamente al di sotto della capsula anteriore. L'acqua si disperde in tutti gli spazi, insinuandosi nello spazio virtuale fra capsula e corteccia del cristallino; questo permette la separazione fra le due strutture. Nel momento dell'iniezione risulta visibile la diffusione dell'acqua nello spazio virtuale: tale "onda" di diffusione dimostra che si è creata una separazione fra la corteccia del cristallino e la capsula. Con l'agocannula stessa, il chirurgo è ora in grado di far ruotare il corpo del cristallino. Quando è possibile eseguire questa rotazione, significa che è possibile la successiva aspirazione del cristallino: chiaramente ogni ulteriore manovra non determinerà una trazio-ne sulla capsula. Terzo tempo: la facoemulsificazione-chop La facoemulsificazione si esegue utilizzando una sonda ad ultrasuoni che è in grado contemporaneamente di emettere onde che disgregano il cristallino, emulsificandolo, e di aspirare il tessuto che viene disgregato. Si attua un vero e proprio sminuzzamento del tessuto, poi aspirato dalla stessa sonda. Il segreto dell'intervento è di operare in spazi corretti: il diametro della sonda corrisponde al diametro dell'incisione di ingresso e dalla sonda è

garantita una continua irrigazione; la sonda manda acqua e la recupera, permettendo un costante turn-over di liquido attraverso cui si mantiene stabile l'altezza della camera anteriore. Questa è una garanzia di sicurezza che permette al chirurgo di lavorare in camera anteriore senza correre il rischio, nel caso in cui si compiano inavvertitamente movimenti grossolani, di toccare la cornea, ledendo il lembo corneale, fondamentale al mantenimento della trasparenza. L'operatore utilizza, oltre alla sonda, anche un chopper: è un ferro chirurgico con la punta arcuata, tagliente nella sua porzione rivolta posteriormente. Il chopper permette, con l'ausilio della sonda, il taglio del cristallino in parti più piccole che siano più facilmente emulsificabili ed aspirabili. Il nome completo della tecnica è dunque facoemulsificazione-chop (to chop = tagliare in lingua inglese). Nella prima fase il chirurgo scava con la sonda in direzione verticale, crea un'incisione progressivamente più profonda per poter poi separare in modo netto, in due parti, il cristallino. Prima l'incisione è eseguita in un verso, poi il cristallino viene fatto ruotare di 180 ed essa verrà completata nel verso opposto, sempre in direzione verticale. Al termine di questa fase il cristallino sarà separato nettamente in due emicristallini. Successivamente il chirurgo penetra con la sonda nel corpo del cristallino, senza emissione di ultrasuoni, ma solo esercitando una certa aspirazione per tenerlo bloccato, mentre con l'altro ferro, il chopper, si porta in periferia per tagliare il cristallino, aiutandosi con l'appoggio della sonda. In questo modo i due emi-cristallini vengono ridotti a spicchi, poi in porzioni sempre più piccole, fino a raggiungere le dimensioni corrette per l'aspirazione. A questo punto la macchina esercita la sua massima capacità d'aspirazione; i frammenti verranno rapidamente convogliati verso la bocca della sonda, che sta emulsificando. Tutto fuoriesce attraverso la capsulotomia anteriore. La manovra può apparire semplice, ma in realtà si lavora in spazi ridottissimi, di dodici millimetri di diametro. Ciò che rimane è la capsula, svuotata del suo contenuto, cioè del nucleo del cristallino e di gran parte della corteccia; rimangono anche alcuni residui corticali che dovranno essere aspirati, perché la capsula dovrà

essere perfettamente pulita; infatti, se la componente cellulare di tali residui corticali dovesse proliferare andrebbe a opacizzare nuovamente e rapidamente la capsula posteriore; inoltre questi residui rimangono a contatto con un ambiente acquoso, poiché la capsula anteriore è aperta e l'acqueo penetra con facilità all'interno del sacco: i residui si imbibirebbero e occuperebbero ancora più spazio; infine il cristallino è immunologicamente segregato: lasciare in sede i residui corticali espone a rischio di infiammazioni intraoculari. Quindi, nei limiti del possibile, tali residui endo-oculari devono essere aspirati. L'aspirazione della porzione di corteccia rimasta in sede può essere eseguita con una sonda singola che entra ancora dall'accesso principale, la quale aspira e irriga contestualmente in modo da rimpiazzare immediatamente con una pari quantità di acqua ciò che sottrae, oppure con due sonde separate, una per aspirare e l'altra per irrigare, una in mano destra e l'altra in mano sinistra, così da eliminare facilmente tutto il materiale; per completare a 360 questa fase dell'intervento, il chirurgo ad un certo punto dovrà scambiare gli strumenti operatori da una mano all'altra. Durante questa fase si rende ben visibile, nel filmato, il bordo tondo della capsuloressi che corrisponde all'apertura della capsula anteriore, su un piano di taglio decisamente anteriore rispetto alla capsula posteriore; il cristallino artificiale verrà infilato nella capsula, quindi il bordo della capsula anteriore, parte ancora presente, sarà ancorato ad esso. Con queste manovre non si rischia di ledere la capsula posteriore? Sì, certamente; la lesione della capsula posteriore costituisce il rischio principale di questo intervento, il quale si deve concludere con l'integrità del sacco capsulare e quindi della sua porzione posteriore. E' ovvio che eseguendo queste manovre può accadere che in fase di facoemulsificazione si penetri troppo in profondità, oppure che durante l'aspirazione si rivolga la bocca dell'aspiratore verso il basso: in questo caso la capsula posteriore verrà risucchiata e andrà immediatamente a impegnare il foro dello strumento. Il chirurgo deve prontamente mollare il pedale di comando dell'aspirazione e il reflusso conseguente all'interruzione della manovra sparerà all'esterno la capsula, evitandone la rottura; esistono, d'altra parte, anche capsule molto sottili, le quali andranno incontro più facilmente a rottura in circostanze di questo tipo. Questo è proprio il punto delicato dell'intervento, che cambia radicalmente in caso di rottura della capsula. Quarto tempo: il posizionamento della lente intraoculare Le lenti intraoculari sono di diverso tipo: oggi si usano lenti a piatto, molto larghe e pieghevoli, perché fatte di un materiale che ne permette

l'ingresso attraverso un'incisione molto piccola, in modo da concludere l'intervento senza punti di sutura o con un singolo punto per garantire la massima sicurezza; soprattutto, un taglio così ridotto non lascia nessun residuo cicatriziale che possa indurre astigmatismo post-operatorio. Dapprima viene iniettata nel sacco capsulare una sostanza visco-elastica per riempirlo e distenderlo; si tratta della stessa sostanza utilizzata anche all'inizio dell'intervento: è un materiale gelatinoso, disponibile in diversi pesi molecolari. Per il corretto ingresso della lente, è indispensabile l'adeguata distensione del sacco capsulare, senza la quale i loop della lente che servono per ancorarla, andrebbero a impigliarsi in alcuni punti impedendo il giusto funzionamento visivo. Dopo il riempimento della capsula si procede allargando il taglio: da 3 mm si passa a 4 mm, per facilitare l'ingresso della lente, la quale ha di per sè un diametro di 6 mm, a volte 6.5 mm: la lente piegata in due ha un diametro dimezzato e questo permette di contenere entro i 4 mm il diametro dell'incisione. Il passaggio successivo è l'inserimento della lente, che viene presa e manovrata da una pinza specifica per quest'uso. La lente possiede due loop, che fungono da "molle" della lente, permettendole di mantenere una posizione centrale nell'asse ottico: per ridurre al minimo il traumatismo la prima loop che entra può essere ripiegata ad ansa prima dell'inserimento. Poi la lente viene fatta entrare attraverso il bordo della ressi, viene inserita, successivamente viene ruotata, poi la pinza viene aperta e la lente si distende. La seconda loop è ancora all'esterno del sacco: verrà inserita anch'essa, ad esempio per rotazione. A questo punto la lente intraoculare è totalmente in posizione corretta. La manovra successiva consiste nell'aspirare la sostanza visco-elastica che è stata inserita, la quale può essere riassorbita dall'occhio attraverso il trabecolato, ma che, essendo gelatinosa, determina un ipertono nel primo post-operatorio che può anche essere piuttosto marcato. Il trabecolato non viene ostruito dalla lente? No, perché il trabecolato è sito all'angolo irido-corneale, su 360, mentre la lente è in camera posteriore. Il trabecolato potrebbe essere interessato solo quando, qualora avessimo causato una rottura nella capsula e non avessimo possibilità di posizionare la lente in camera posteriore, fossimo obbligati a mettere la lente in camera anteriore: allora la lente sarebbe anteriore al piano irideo, tra l'iride e la cornea, e le loop della lente andrebbero a toccare il trabecolato, almeno in alcuni punti.

A questo punto l'intervento è sostanzialmente finito; come manovra di sicurezza si può dare un punto di sutura sull'incisione. Il chirurgo può scegliere di non suturare, perché in realtà la stessa pressione dell'occhio esercitata all'interno sulla parte posteriore, o termine del tunnel, spinge verso la cornea il pavimento del tunnel stesso che si è venuto a creare, facendo in modo che venga mantenuta la pressione e che l'incisione sia self-ceiling, cioè auto-cicatrizzante. In realtà, se il paziente dovesse innavvertitamente toccarsi l'occhio, si potrebbe creare una curvatura tale da non permettere ai due piani dell'incisione di combaciare: si può concludere dunque in questo modo, ma il paziente dovrà avere l'assoluta accortezza di non toccare l'occhio. Per questo motivo, onestamente, ritengo che terminare l'intervento con un punto di sutura a livello dell'incisione non comporti nessun problema e sia di massima sicurezza per il paziente, oltre che di protezione nei confronti del principale rischio operatorio, cioè l'infezione. Tanto più rapida sarà la cicatrizzazione, migliore sarà la protezione dal rischio infettivo. Di che materiale sono le loop della lente? Sono di materiale plastico: possono essere polimeri chimici con gruppi silicone, mentre altri sono in PNMA, etc.etc. Hanno caratteristiche particolari, cioè sono immunologicamente inerti. Alcune lenti sono più morbide, per permettere l'ingresso con vettori particolari, altre sono più rigide. Intervento di correzione della miopia Gli interventi di scelta per la correzione della miopia sono sostanzialmente due: la tecnica PRK e la LASIK; la differenza è che nella PRK l'intervento viene eseguito direttamente sullo stroma corneale, dopo aver solamente eliminato con una spatolina la parte più superficiale dell'epitelio corneale, che poi ricrescerà nel post-operatorio; nella LASIK, invece, con un tagliente particolare si taglia in senso laterale un lembo della cornea, il quale poi viene ribal-tato per pemettere di eseguire il laser sul fondo dello spazio di stroma scoperto; il lembo verrà poi riposizionato. Le indicazioni per le due tecniche sono assolutamente le stesse. La tecnica PRK Primo tempo: la preparazione del paziente

Il paziente si posiziona al di sotto dello strumento; viene eseguita un'anestesia locale, con somministrazione topica di un collirio; la preparazione del paziente è piuttosto "informale", dato che i rischi di sepsi in questo tipo di intervento sono veramente scarsi; viene posizionato uno strumento per tenere divaricati i due margini palpebrali. Secondo tempo: l'eliminazione dell'epitelio Individuata la zona da trattare, con una spatola viene eliminato l'epitelio superficiale corneale per esporre lo stroma sottostante all'azione del laser; il paziente non avverte assolutamente nessun fastidio. La zona viene pulita con attenzione. Terzo tempo: il laser Il paziente guarda alcuni punti di fissazione sulla macchina per tutta la durata d'emissione del laser, che viene indirizzato sullo stroma corneale non più protetto dall'epitelio; l'ampiezza del raggio-laser viene progressivamente aumentata e la superficie d'azione sullo stroma corneale è dapprima ridotta, poi via via concentricamente più ampia: i laser moderni si distinguono da quelli precedenti perché l'area che vanno a "bersagliare" sulla cornea è decisamente più larga, allo scopo di ridurre al minimo i potenziali fenomeni di regressione che si sono visti nei primi pazienti nel post-operatorio. Il laser può essere dotato di un sistema particolare grazie al quale lo strumento è in grado di seguire ogni piccolo movimento dell'occhio del paziente. L'occhio è libero di muoversi: il laser ferma la sua emissione nel caso in cui l'occhio si sposti troppo. In realtà esistono anche sistemi alternativi: il chirurgo può utilizzare una specie di coppettina per tenere più fermo l'occhio, in modo da avere un Miglior controllo della situazione. Il laser esegue una vera e propria ablazione centrifuga dello stroma corneale: modellando la curvatura corneale, si corregge il difetto. Quarto tempo: la medicazione Si procede alla medicazione con farmaci antibiotici e anti-infiammatori ad uso topico; infine, viene posizionata sulla superficie dell'occhio una lente a contatto morbida, che rimarrà in sede per due o tre giorni, senza che il paziente la tolga, giorno e notte: la lente è in grado di ridurre innanzitutto il dolore post-operatorio e permette al paziente di tenere l'occhio aperto fin da subito.

L'epitelio che è stato escarificato si riforma nel giro di due, tre giorni; la cornea rimane ovviamente assottigliata, perchè l'effetto del laser è di ablare lo stroma: la cornea, che ha fisiologicamente uno spessore medio di 550 _m, sarà ora di 400, 450 _m; lo spessore finale dipende ovviamente dall'entità della miopia da trattare. La cornea deve mantenere uno spessore minimo: per questo oltre certi gradi di miopia non è assolutamente consigliato trattare con il laser, perché non si ottiene il risultato sperato e si rischia di indebolire eccessivamente la cornea. Una volta che l'epitelio si è riformato l'occhio riprende la sua struttura unica, uniforme; non presenta nessun taglio permanente. E' una terapia che va bene per qualsiasi forma di miopia, anche se si può leggere sulle riviste che solo la miopia di grado lieve è indicata all'intervento con tecnica PRK, ma non è assolutamente vero. La PRK è in grado esattamente come la LASIK di correggere miopie di grado elevato; anzi su un paziente con miopia elevata può essere meglio eseguire una PRK, poi vi spiegherò perché. Quali possono essere gli effeti indesiderati dell'intervento? Il primo rischio, il più importante, è quello di trattare una miopia di grado troppo elevato: se l'assottigliamento della cornea è eccessivo, ad esempio di 200 _m, il paziente avrà problemi gravi. La cornea non avrà più la stessa robustezza, la sua rigidità fisiologica e potranno verificarsi delle ectasie, cioè delle alterazioni della curvatura, le quali potranno anche essere clinicamente non visibili, ma molto significative dal punto di vista funzionale. Un altro rischio è lo sviluppo di edema: nell'arco di mesi la cornea può andare incontro a un processo infiammatorio che è ben trattato con antiinfiammatori cortisonici, ma al quale, d'altra parte, potrà associarsi la perdita di efficacia del trattamento; tale rischio non è comunque prevedibile. Il rischio di infezione è prossimo a zero e comunque si tratta di infezioni della parte esterna dell'occhio, per le quali può bastare una terapia locale adeguata. In realtà, dunque, non ci sono rischi importanti, che invece esistono solo laddove è stata posta una cattiva indicazione, ad esempio per miopie troppo elevate. Come al solito, anche in questo caso la corretta informazione da parte del medico riduce al minimo la possibilità di contenziosi con il paziente.

Nell'immediato post-operatorio si possono presentare, infine, dolore di intensità importante e lacrimazione marcata; d'altra parte, il dolore può essere anche del tutto assente, dipende dall'individuale reazione del paziente: addirittura ci sono soggetti che in un occhio hanno dolore e nell'altro no! In ogni caso, il dolore cessa quando si è riformato l'epitelio corneale; l'effetto terapeutico dell'intervento, infine, si stabilizza nell'arco dei primi due o tre mesi. Così come si corregge la miopia, si può correggere anche l'astigmatismo e l'ipermetropia anche se entro certi limiti e non con gli stessi risultati che si ottengono per la miopia. La tecnica LASIK Questa seconda tecnica si avvale anch'essa del laser, ma è differente. Dopo aver bloccato l'occhio del paziente si utilizza il cheratotomo, che esegue un taglio della superficie corneale: lo strumento equivale ad una pialla, tramite la quale viene "affettato", in senso orizzontale, un lembo di cornea dello spessore di 150 _m; il taglio non è totale, il lembo resta attaccato all'estremità opposta a quella di partenza del taglio e viene ribaltato per eseguire le fasi successive dell'intervento, durante le quali si va ad agire sullo spessore corneale residuo di 400 _m, non più di 530 _m come avveniva nella tecnica precedente. Ciò significa che non si possono trattare con la LASIK le miopie di grado molto elevato, nelle quali si rischierebbe di assottigliare eccessivamente lo stroma corneale. Lo strumento possiede un blocco che permette di non tagliare tutto il flap di cornea superficiale che ad un capo deve restare ancorato allo stroma sottostante, per quanto la letteratura sia ricca di casi in cui il lembo è stato tagliato completamente; oggi le tecniche sono d'altra parte molto migliorate; al termine del trattamento il lembo viene ribaltato e riposizionato nel suo sito fisiologico. E' indubbiamente una tecnica molto più invasiva della precedente: si tratta di un intervento chirurgico di una certa importanza; non è un intervento che può fare chiunque, ma è appannaggio di chi ha una certa esperienza di chirurgia oculare e la pratica quotidianamente. Primo tempo: la preparazione del paziente

L'anestesia è sempre eseguita secondo una via di somministrazione topica. Nella LASIK c'è un rischio settico maggiore: resterà infatti inevitabilmente uno spazio virtuale fra lo stroma corneale e il lembo riposizionato al termine dell'intervento; ciò crea un certo rischio di infezione, quindi la preparazione del campo chirurgico è più attenta. Viene identificata, innanzitutto, la zona centrale da trattare; poi si blocca l'occhio tramite uno strumento a forma di coppetta che crea un vacuum di una certa entità in grado di bloccare i movimenti dell'occhio, data l'impossiblità ad eseguire il taglio nel caso in cui l'occhio non sia fermo. Secondo tempo: il taglio del flap Il cheratotomo crea il lembo di epitelio corneale, proseguendo in direzione orizzontale fino al blocco; poi, quando il flap è stato tagliato, torna indietro lentamente alla posizione di partenza. Il capo opposto a quello da cui il cheratotomo ha iniziato il taglio è il punto di ancoraggio o cerniera del lembo corneale. Il flap deve essere creato con un taglio preciso, eseguito senza interruzioni: sono riportati casi in cui il cheratotomo si è bloccato a metà: l'unica soluzione corretta è, in situazioni di questo tipo, sospendere l'intervento, perchè il taglio interrotto non potrà essere ripreso e completato da un altro strumento. Ho assistito personalmente ad un caso di questi: il chirurgo ha scelto di proseguire l'intervento senza un flap completo e comunque ribaltando la breve porzione tagliata; il risultato è stato che il laser ha agito sia sullo stroma corneale, sia sul lembo incompleto, con risultati devastanti: per il paziente dopo qualche anno è stato necessario un trapianto di cornea! Terzo tempo: il laser In questa fase fra la PRK e la LASIK non c'è nessuna differenza: l'azione concentrica e centrifuga del laser corregge la curvatura corneale. Quarto tempo: il riposizionamento del flap Il lembo corneale viene ribaltato nella sua posizione di partenza; il flap, d'altra parte, non aderirà mai più allo stroma sottostante: resterà fermo in posizione fisiologica solo perchè l'epitelio del margine libero del taglio ricostituirà la continuità con l'epitelio corneale complemetare rimasto in sede. E' ovvio che se l'occhio dovesse subire un trauma, seppur banale (un dito nell'occhio, una pallina da tennis...), l'urto potrebbe spostare il flap

oppure, caso ancora più grave, il lembo si potrebbe perdere: sono casi descritti in letteratura. La LASIK ha il grande vantaggio di non dare dolore nel post-operatorio, poiché l'epitelio è sostanzialmente ancora tutto presente e nel giro di poche ore la linea del taglio sarà cicatrizzata tramite la rigenerazione dell'epitelio corneale; inoltre, il paziente vede rapidamente, recuperando in brevissimo tempo. Il grande svantaggio è che il soggetto resta per tutta la vita con un certo rischio potenziale di lesione corneale, oltre al fatto che lo spessore stromale sottostante al flap è molto più sottile di quanto sia nella PRK, con un rischio di ectasie decisamente maggiore: sostanzialmente le ectasie sono un rischio della LASIK, non della PRK. Considerato che con la PRK il paziente vede al meglio dopo tre, quattro giorni e con la LASIK, invece, già il giorno successivo, si può affermare che in pratica, a fronte di un guadagno di qualche giorno in termini di recupero dell'acuità visiva, il paziente operato secondo la LASIK dovrà pagare, nel follow-up, un rischio non ancora del tutto quantificabile, ma di una certa importanza. La LASIK è ritenuta in ambito specialistico più "elegante", ma per fortuna non è la tecnica scelta nella maggior parte dei casi: a volte viene suggerita al paziente con particolare enfasi, considerato l'enorme riscontro economico che l'accompagna in quanto appannaggio di pochi chirurghi; ma la PRK è assolutamente la più sicura, presentando come unici effetti collaterali l'abbondante lacrimazione e il dolore nel postoperatorio, ma nulla di più. L'intervento di correzione della miopia, dopo il recupero nel primo post-operatorio, prevede nel follow-up una prima fase di ipermetropia, per pochi mesi successivi all'intervento, e poi una normale regressione fino alla stabilizzazione definitiva. La prima regola è, comunque, che è impossibile pretendere una correzione della miopia che sia perfetta: permane dopo l'intervento un +/- 0.25, o +/- 0.50, che comunque in visione binoculare non creano grossi problemi: il paziente si potrà permettere di non usare più nè lenti a contatto, nè occhiali. Bisogna d'altra parte considerare che la presbiopia incombe su tutti fra i 40 e i 50 anni, quando gli occhiali diventano d'obbligo: queste considerazioni incidono sulle indicazioni chirurgiche e rendono indubbiamente controindicato l'intervento per pazienti con miopia di grado molto elevato.

Una controindicazione assoluta all'intervento è la presenza di un cheratocono. Qual è la soglia oltre la quale è sconsigliato l'intervento? Fino a 12 diottrie l'operazione può avere una buona efficacia, anche se è ovvio che sopra le 8 diottrie la possibilità di avere una correzione totale si riduce; oggi però, con i nuovi laser, in commercio dall'anno scorso, si vedono indubbiamente ottimi risultati anche per miopie fino a 12, spesso con risultati anche più stabili di quelli ottenuti nella correzione di difetti più lievi. D'altra parte la qualità del risultato dipende anche da altri fattori: ad esempio, la corretta temperatura della stanza, che è molto importante, così come la perfetta efficacia del laser, che deve essere sempe testato prima di ogni singolo intervento; tutti elementi di cui il paziente, purtroppo, non è al corrente. P.S. A lezione sono stati proiettati dei filmati illustranti le varie tecniche chirurgiche: ho riportato tutto, ma proprio tutto, in questa sbobinatura! Ghisi Daniela