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A Storia râ Sicilia

Antonella Fortuna A STORIA RÂ SICILIA Cuntata m puisìa Virità, liggendi e tantìcchia i fantasìa Parte II (Dal 1713 al 1948)

www.booksprintedizioni.it Copyright 2013 Antonella Fortuna Tutti i diritti riservati

La mia Sicilia, bel fior fra tre mari sbocciato. Luigi Pirandello (da Elegie renane, 1890)

Prefazione Le origini tosco-siciliane mi hanno sempre portata ad assorbire l una e l altra cultura con il medesimo interesse, rimanendo affascinata soprattutto dalla particolare espressività e musicalità di entrambe: il Toscano, lingua aulica per eccellenza, nonché materna; il Siciliano, lingua di antiche radici culturali, nonché paterna. In Italia, dalle regioni centro-meridionali a Lampedusa, si parlano dialetti affini al Siciliano che è ricco di vocaboli espressivi e con molteplici sfumature. Essi, anche se difficilmente hanno l esatto corrispettivo in Italiano, danno un immediata resa visiva che sicuramente mette in risalto la peculiarità dell animo e del carattere dell uomo meridionale. Ricordiamo che Dante definì il Siciliano la lingua della poesia e che Leonardo Sciascia mette in risalto come sia provata l impotenza degli italiani a fare realismo se non nei termini della dialettalità ; in un suo scritto il prof. Napoleone Caix dice che anche la scienza, ai nostri giorni, ai vernacoli plebei volge di preferenza i suoi studii, perché in essi soltanto rinviene molte delle migliori ricchezze che nelle lingue scritte andarono perdute (N. Caix, Nuova Antologia - Firenze, settembre 1874, pag. 1). Al tempo dell unificazione i dialetti erano di quelle cose che il senso universale degli uomini chiama lingue, perché erano parlati da persone d ogni classe, tra persone d ogni classe, cioè in una società effettiva e continua (A. Manzoni), mentre l italiano era adoperato solo da una minoranza di popolazione. Con mirabile maestria, Luigi Pirandello mette in risalto come l unità linguistica italiana sia costituita da quel fondo comune che dà anima e corpo alla lingua della nazione.. 7

Con il presente lavoro ho quindi pensato di poter dare un contributo per favorire l approccio alla conoscenza, alla divulgazione ed alla salvaguardia della lingua siciliana. Inoltre ho cercato, scrivendo in rima, di dare più sapore alla storia della Sicilia, colorandola con qualche episodio ameno, o leggendario o mitologico, così come se la stessi raccontando io, per invogliare il pubblico di ogni età facendolo innamorare della sicula terra. Scrisse, infatti, Indro Montanelli: Tutto quello che qui racconto è già stato raccontato. Io spero solo di averlo fatto in maniera più semplice e cordiale, in uno stile più piano e facilmente accettabile dalla grande massa dei lettori, attraverso una serie di ritratti che illuminano i protagonisti di una luce più vera, spogliandoli dei paramenti che ce li nascondevano. (prologo dell Opera Storia di Roma, Rizzoli, 1957). Preciso che l Opera è suddivisa in due parti (Parte I, Dalle origini ai Borboni; Parte II, Dal 1713 al 1948) e che chiudo ogni argomento trattato con poesie antiche e popolari, separandole dal contesto storico con tre asterischi e scrivendole in corsivo così come i vari episodi ameni, leggendari o mitologici, di cui sopra. Sottolineo anche che i versi sono dotati di note esaurientemente esplicative. Evidenzierò che: A) Ho prediletto consultare quei dizionari che rappresentassero un documento della sopravvivenza e realtà del nostro parlare di ieri e di oggi (G.Ragusa, Dizionario Italiano Siciliano Ibleo, pag. 6), per usare quei vocaboli che potessero essere dei punti d incontro fra i numerosi dialetti della Sicilia. Questi infatti, per le varie dominazioni e i molti popoli con cui i siciliani sono stati a contatto (arabi, greci, bizantini, latini, normanni, francesi, spagnoli, inglesi, angloamericani, ecc.), hanno tali disparità da meravigliare che appartengano alla stessa regione. 8

B) L accento tonico è stato adoperato per facilitare una più rapida e precisa lettura dei vocaboli, soprattutto dove potessero risultare poco comprensibili o potessero generare confusione nel significato. Il segno ^, è stato adoperato anche per evidenziare un suono foneticamente più chiuso. A conclusione di questa breve introduzione desidero ringraziare quanti mi siano stati particolarmente vicini durante la stesura di questa Opera, composta da ben 7.840 versi. 20/05/2012 L Autore 9

A Sicilia di lu tempu rê Savòja (1) (1713 1720) Ripìgghiu dû discursu liparotu, (2) c apprima i ccàni cc era muntuatu. Finìu, chissu, quannu Binirìttu, ca di lu tri chiù deci è nnùmmiratu, ê cosi desi appoi n abbirsatedda: lu sitticentuvintinovi era, nô centru rû duminiu austrècu, pi cui si nu scruccuni unu è diciutu lu cangia occarùnu n laparderu, d hellebardier, surdatu câ laparda, pigghànnulu e pinzann ô so ricordu! Annunca, cu d Utrèchti la paci, (3) Filippu Quintu, re ricanusciutu di la vicina iberica nazioni, tutt a Sicilia cci ll app a lassari a re Vittoriu Amedeu Sicunnu chi ni Palermu re fu ncurunatu di la Sicilia, la Trinacria nostra. Cuntenti l abbitanti fànu festa d aviri finalmenti allinchiutu lu tronu so, di re vacanti sempri! Ma cuannu mai! Passannu n anniceddu (4) poi s arricampa a mmuccar viscotti, diciuti savujardi nti lu munnu, 11

e a guvirnari nni lassau Maffei, Annibbali di nomu e puru conti, purtànnusi cur iddu i mègghiu nostri: (5) cristiani i liggi e granni littirati, ngigneri e occhirùnu puru i fici ministri e macari mmasciaturi. Stu re cci avìa parciò na prescia ssai e sutt ô so guvernu fici vaj: scalau l aturità dû Parlamentu, lu dari sordi n abbastava mai, a libbirtà si cci putìa nsunnari ; a ggenti nun spiddìa di cantari: Ciànciunu Regalbutu e Mulimenti, lu cannizzu nun civa a la tramoja, ppi la fami gastìmanu li genti, ervi e carduni sunu la so gioia; arsi li terri, persi li simenti, pari ca cci passò casa Savoia! Senza cresii, campani e sacramenti, megghiu lu Papa ni dassi a lu boja!. Ni chistu mentri, na taliàta â Spagna: (6) ha fattu sempri u chiamu la Sicilia! Rignava tannu ni la terra Iberia, nasciuta dê Farnesi, Lisabbetta chi l ura nun vidìa i cci truvari nu beddu pusticeddu a lu so fìgghiu, annìcchia arrassu, no luntanu tantu, picchì nn avìa quattru a chiù fratastri. 12