Tom Clancy. Op-Center. Titolo originale: Tom Clancy s Op-Center. Da un idea di: Tom Clancy e Steve Pieczenik. Traduzione di: Andrea Zucchetti



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Tom Clancy Op-Center Titolo originale: Tom Clancy s Op-Center Da un idea di: Tom Clancy e Steve Pieczenik Traduzione di: Andrea Zucchetti Consulenza tecnico-militare di: Maurizio Pagliano

Presentazione È il cuore pulsante della sorveglianza dei servizi segreti, delle più sofisticate tecnologie a disposizione della Difesa degli Stati Uniti: è Op-Center. Ed è l unico centro cui il governo americano possa rivolgersi quando un lavoro è troppo sporco, o troppo pericoloso, perché ufficialmente Op-Center non esiste, è top secret. Così, quando una bomba provoca una strage in uno dei punti più caldi del mondo - a Seul minacciando non solo la difficile pace tra le due Coree ma anche l equilibrio mondiale, tocca a Paul Hood, il responsabile di Op-Center, e al suo team di agenti selezionatissimi approntare una strategia d emergenza nell ipotesi che l attentato sia solo il primo passo dell invasione della Corea del Sud da parte dei nordcoreani. Un ipotesi resa ancora più inquietante da un fattore cruciale: le testate nucleari di cui dispone la Corea del Nord. Mentre lo Striker Team, il commando speciale composto da dodici uomini scelti di Op-Center in grado di agire con fulminea tempestività, si appresta ad affrontare il nuovo focolaio di tensione, a Seul fervono frenetiche le indagini per scoprire gli attentatori. A condurle è Gregory Donald, un diplomatico americano che, avendo perso nello scoppio della bomba l amatissima moglie, è implacabile nella sua caccia agli assassini. La situazione sembra precipitare quando i computer di Op Center registrano immagini dal satellite che mostrano un massiccio spiegamento di truppe nordcoreane dirette al confine tra i due Paesi: inoppugnabile prova che il Nord vuole scatenare la guerra. Gli Stati Uniti dichiarano lo stato di allerta. Ma all improvviso il colpo di scena: a Op Center, l esperto di computer Matt Stoll scopre che qualcuno ha immesso nel sistema un virus che falsifica le immagini. Se dunque il governo di Pyongyang è innocente, chi altri ha interesse a innescare il conflitto, chi è il vero responsabile dell attentato? E chi ha rubato i barili di gas letale e si è impadronito della batteria di missili a testata nucleare che, puntata contro il Giappone, è pronta al lancio? La tensione cresce attimo dopo attimo fino a scatenare un vero inferno, e nel giro di pochissime ore il mondo si trova sull orlo della Terza guerra mondiale; ma il cappio stretto da Op-Center intorno alla mente criminale che ha architettato questa vertiginosa escalation non lascia via di scampo. Il pericolo è scongiurato, per questa volta...

Ringraziamenti Desideriamo ringraziare Jeff Rovin per le sue idee creative e il suo inestimabile contributo alla preparazione del manoscritto. Siamo inoltre grati per l aiuto a Martin H. Greenberg, Larry Segriff, Robert Youdelman e alle meravigliose persone del Putnam Berkley Group, inclusi Phyllis Grann, David Shanks ed Elizabeth Beier. Come sempre, un ringraziamento a Robert Gottlieb della William Morris Agency, nostro agente e amico, senza il quale questo libro non sarebbe mai stato concepito. Ma soprattutto grazie a voi, lettori, da cui dipenderà il buon esito del nostro sforzo collettivo.

Autori Tom Clancy è nato a Baltimora e in questa città - al Loyola College, un collegio di gesuiti - si è laureato in lettere sognando di diventare scrittore. Un desiderio che si realizzò soltanto nel 1984 quando la pubblicazione del suo primo romanzo, La grande fuga dell Ottobre Rosso, lo trasformò da sconosciuto assicuratore in straordinario scrittore di best-seller. La storia, raccontata magistralmente, di un sottomarino nucleare sovietico che si consegna nelle mani degli americani diventò un clamoroso caso editoriale, segnando l avvento di un nuovo genere - il techno-thriller - e riversando sull autore una montagna di dollari. Da allora Clancy ha scritto altri sette romanzi, ognuno dei quali ha puntualmente scalato le classifiche dei libri più venduti in tutto il mondo. Tre di essi sono diventati anche grossi successi cinematografici: La grande fuga dell Ottobre Rosso («Caccia a Ottobre Rosso», con Sean Connery e Aloc Baldwin); Attentato alla corte d Inghilterra («Giochi di potere», con Harrison Ford), Pericolo imminente («Sotto il segno del pericolo», con Harrison Ford). Lo studio di Clancy è ingombro di war-game, libri sulle armi, mappe governative, a testimonianza della sua passione per lo spionaggio e la tecnologia militare. La sua conoscenza di fonti riservate all interno dell ambiente militare americano e dei servizi segreti fa di lui un autore di thriller e di spy-story del tutto sui generis. Tom Clancy vive nel Maryland con la moglie e quattro figli. Steve Pieczenik è scrittore affermato, diplomatico, negoziatore, esperto di problemi di sicurezza. Ha studiato al Cornell University Medical College laureandosi in psichiatria e ha inoltre conseguito un Ph. D. in relazioni internazionali al Massachusetts Institute of Technology. E stato assistente del vicesegretario di Stato durante le amministrazioni Nixon, Reagan e Bush, nonché consulente del dipartimento di Stato, della Casa Bianca e di numerosi altri organismi governativi americani. Abilissimo mediatore, ha svolto un ruolo di rilievo nella conferenza internazionale di pace sulla Cambogia e nei trattati di Camp David per la pace in Medio Oriente, e anche in importanti operazioni quali l estradizione di Noriega da Panama e le trattative per liberare Aldo Moro. Vive nei dintorni di Washington con la moglie e due figlie.

CAPITOLO 01 Martedì, ore 16.10, Seul Gregory Donald bevve un sorso di scotch e perlustrò con lo sguardo il bar affollato. «Non ti capita mai di tornare indietro con il pensiero, Kim? Non voglio dire a questa mattina o alla settimana scorsa, ma... al passato?» Kim Hwan, vicedirettore della Korean Central Intelligence Agency (KCIA), i servizi segreti sudcoreani, si divertiva a tormentare con una cannuccia rossa la fettina di limone che galleggiava nella sua Diet Coke. «Per me, Greg, questa mattina è il passato. Soprattutto in giornate come queste. Non so cosa darei per trovarmi a bordo di un peschereccio con mio zio Pak, a Yangyang.» Donald rise. «È sempre intrattabile come una volta?» «Ancora di più. Ricordi che aveva un paio di pescherecci? Be, ha deciso di sbarazzarsi di uno dei due. Ha detto che non riusciva a sopportare il socio. Ma talvolta preferirei dover affrontare pesci e tempeste piuttosto che i burocrati. Sai bene com era.» Con la coda dell occhio, Hwan osservò due uomini seduti accanto a lui pagare il conto e uscire. Donald annuì. «Lo so. È per quello che me ne sono andato.» Hwan si protese verso di lui guardandosi intorno. Socchiuse gli occhi e i suoi lineamenti ben disegnati assunsero un aria di cospirazione. «Non volevo parlare mentre i redattori del Seoul Press erano seduti qui. Ti rendi conto che hanno deciso di tenere a terra i miei elicotteri per oggi?» Donald inarcò le sopracciglia per lo stupore. «Sono impazziti?» «Peggio Incoscienti. Quegli scimmioni della stampa hanno dichiarato che gli elicotteri in volo avrebbero fatto troppo rumore, disturbando la registrazione dei servizi. Così, se succede qualcosa, non abbiamo copertura aerea.» Donald finì il suo scotch, poi infilò la mano nella tasca laterale della sua giacca di tweed. «È sconcertante, ma è così ovunque, Kim. Il calcolo ha preso il posto del talento. Le cose vanno in questo modo nei servizi d informazione, nel governo, persino alla Società per l Amicizia. Nessuno vuole più correre rischi. Tutto viene esaminato e valutato finché il tuo spirito d iniziativa non diventa più freddo del generale Custer.» Hwan scosse lentamente il capo. «Ci sono rimasto male quando te ne sei andato per entrare nel corpo diplomatico, ma sei stato in gamba. Scordati di poter migliorare

il modo in cui l agenzia sbriga i suoi affari: io passo la maggior parte del tempo a lottare per mantenere lo status quo.» «Ma nessuno lo fa meglio di te.» Hwan sorrise. «Perché amo l agenzia, giusto?» Donald annuì. Aveva tirato fuori la sua pipa di schiuma Block e un pacchetto di tabacco Balkan Sobranie. «Dimmi... ci sono guai in vista per oggi?» «Qualche minaccia da parte dei soliti estremisti, rivoluzionari e fanatici, ma sappiamo chi sono e dove stanno, e li teniamo d occhio. Sono come quei matti che telefonano di continuo in TV, al programma di Howard Stern. Tutti i giorni la stessa musica. Ma perlopiù si tratta di chiacchiere senza fondamento.» Donald inarcò nuovamente le sopracciglia, mentre pressava nel fornello della pipa una presa di tabacco. «Prendi Howard Stern?» Hwan terminò di bere la sua Diet Coke. «No. La settimana scorsa abbiamo sgominato un organizzazione clandestina e così ho avuto modo di ascoltare dei nastri pirata. Andiamo, Greg, conosci questo Paese. Il governo ritiene che, il più delle volte, Oprah sia troppo spinta.» Donald si mise a ridere e, mentre Hwan si voltava per dire qualcosa al barista, i suoi occhi azzurri percorsero di nuovo da un capo all altro la sala buia. C era qualche sudcoreano ma, come sempre nei locali attorno al palazzo del governo, gli avventori erano per la maggior parte giornalisti della stampa internazionale: Heather Jackson della CBS, Barry Berk del New York Times, Gil Vanderwald del Pacific Spectator e altri ancora a cui non aveva voglia di pensare, né tantomeno di parlare. Per questa ragione era arrivato presto e si era sistemato in un angolino buio e appartato; e per lo stesso motivo sua moglie Soonji non si era unita a loro. Al pari di Donald, lei pensava che la stampa non fosse mai stata obiettiva nei suoi confronti, né quando lui era ambasciatore in Corea, venti anni addietro, né quando era diventato consigliere dell Op-Center (Centro Operazioni) per gli affari coreani, appena tre mesi prima. A differenza del marito, però, Soonji andava su tutte le furie quando leggeva sui giornali qualche critica negativa. Gregory, invece, aveva da tempo imparato a cercare conforto nella sua vecchia pipa di schiuma; un abitudine che gli rammentava come, in fondo, il titolo di un giornale fosse effimero quanto una nuvoletta di fumo. Il barista venne e se ne andò. Hwan tornò a voltarsi verso l amico, fissandolo con i suoi occhi scuri; teneva il braccio destro appoggiato rigidamente sul bancone. «Allora, cosa intendevi dire con la tua domanda sul passato?» chiese Hwan. Donald finì di riempire la pipa. «Ti ricordi di un tizio di nome Yunghil Oh?» «Vagamente», rispose Hwan. «Se non sbaglio, insegnava all agenzia. ««Era uno dei padri fondatori della divisione di psicologia», precisò Donald. «Un affascinante, vecchio gentiluomo di Taegu. Quando venni qui per la prima volta, nel

1952, Oh stava per andarsene. A dire il vero, era stato buttato fuori a calci. L agenzia stava facendo ogni sforzo possibile per darsi un organizzazione sul modello americano, per diventare una struttura informativa all avanguardia, e Oh, quando non teneva lezioni sulla guerra psicologica, era occupato a introdurre aspetti del Chondokyo.» «Religione nella KCIA? Fede e spionaggio insieme?» «Non esattamente. Aveva sviluppato un tipo di approccio spirituale, divino, alle tecniche deduttive e investigative. Predicava che i fantasmi del passato e del futuro sono attorno a noi. Era convinto che attraverso la meditazione, la riflessione su eventi e persone che furono e che verranno, fosse possibile entrare in contatto con loro.» «E?» «E ci avrebbero aiutato a capire meglio il presente.» Hwan soffocò una risatina. «Non mi meraviglio che l abbiano licenziato.» «Non faceva per noi», convenne Donald, «e francamente non credo che avesse tutte le rotelle a posto. Eppure... è strano. Sempre più spesso mi sorprendo a pensare che avesse intuito la verità o che perlomeno ci fosse andato molto vicino.» Donald frugò nella tasca alla ricerca dei fiammiferi. Hwan osservò attentamente il suo mentore di un tempo. «Qualcosa di concreto?» «No», ammise Gregory. «Solo una sensazione.» Hwan si grattò lentamente il braccio destro. «Hai sempre dimostrato un certo interesse per i tipi stravaganti.» «Perché no? C è sempre la possibilità di imparare qualcosa da loro.» «Come il vecchio maestro di tue-kwon-do. Quello che avevi portato per insegnarci il naginata.» Donald accese un fiammifero e, reggendo la pipa nella mano sinistra, avvicinò la fiamma al tabacco. «Era un buon programma, avrebbero dovuto svilupparlo. Ti può sempre capitare di essere disarmato e di doverti difendere con un giornale ben arrotolato o con...» Il coltello a seghetta spuntò all improvviso da sotto l avambraccio destro di Hwan, mentre questi scivolava giù dallo sgabello. Nel medesimo istante Donald si curvò all indietro e, tenendo sempre in mano la pipa, con una torsione del polso diresse il cannello verso Hwan. Schivò il fulmineo affondo e, ruotando la pipa in senso antiorario, una controparata di quarta, colpì la lama sulla sinistra.

Hwan tirò indietro il coltello e scattò in avanti; Donald replicò dandogli una leggera botta sul polso e colpì una seconda volta la lama sulla sinistra, poi una terza. Questa volta il suo giovane avversario si piegò sulle gambe e attaccò sul lato destro: Donald portò la pipa all altezza della lama e parò nuovamente il colpo. Il sommesso clac clic clac del combattimento richiamò l attenzione delle persone più vicine. Diverse teste si voltarono in direzione dei duellanti, che muovevano le braccia come pistoni, facendo ruotare i polsi con destrezza e precisione «Ehi, fate sul serio?» chiese un tecnico con una maglietta della CNN. Nessuno dei due uomini rispose. Concentrati nella lotta, parevano ignorare ciò che li circondava, gli sguardi avvinti, i volti impassibili, i corpi immobili a parte il braccio sinistro. Respiravano entrambi rapidamente dalle narici, le labbra serrate. Mentre le armi continuavano a balenare, una piccola folla si radunò in semicerchio attorno ai contendenti. Infine, vi fu una serie di colpi in rapida successione: Hwan fece un affondo, Donald agganciò il coltello in ottava, lo legò in sesta e utilizzò una mossa prise-de-fer per torcere lievemente la mano dell avversario. Quindi mollò per un attimo la presa e, con una violenta botta in settima, fece cadere la lama a terra. Tenendo gli occhi fissi su quelli di Hwan, Donald spense il fiammifero ancora acceso con un leggero movimento della mano destra. La fine dello scontro fu salutato da applausi e urla da parte dei presenti, e alcuni di questi si avvicinarono a Donald per complimentarsi con pacche sulle spalle. Con un largo sorriso, Hwan gli tese la mano. Sorridendo a sua volta, Gregory la strinse tra le sue. «Riesci sempre a sbalordirmi», affermò Hwan. «Hai esitato e...» «Solo all inizio, nel caso tu non fossi pronto. Ma lo ero. Sei agile come un gatto.» «Come un gatto?» ripeté una dolce voce alle spalle di Donald. Gregory si voltò e vide la moglie farsi largo tra gli spettatori. Giovane e attraente, Soonji attirò su di sé gli sguardi dei giornalisti. «Uno spettacolo vergognoso», esclamò rivolgendosi al marito. «Sembrava di vedere l ispettore Clouseau e il suo maggiordomo.» Hwan fece un inchino. Donald passò un braccio attorno alla vita della moglie, la tirò a sé e la baciò. «Non era per i tuoi occhi», le disse, accendendo finalmente la pipa con un altro fiammifero. Lanciò un occhiata all orologio al neon appeso sopra al bancone. «Non dovevamo incontrarci sul palco tra un quarto d ora?» «Prima.» Lui la fissò con aria interrogativa.

«Un quarto d ora fa.» Donald abbassò lo sguardo e si passò una mano fra i capelli d argento. «Perdonami. Kim e io ci siamo messi a confrontare storie dell orrore e avevamo idee profondamente personali al riguardo.» «Molte delle quali alla fine si sono rivelate identiche», puntualizzò Hwan. Soonji sorrise. «Avevo il sospetto che dopo due anni avreste avuto parecchio da dirvi.» Guardò il marito. «Tesoro, se desideri continuare la conversazione o tirare di scherma con qualche altro utensile, posso annullare la cena con i miei genitori...» «No», la interruppe Hwan. «Non farlo. L analisi della situazione mi terrà impegnato fino a tarda sera. Inoltre, ho conosciuto tuo padre al vostro matrimonio, ed è piuttosto ben messo. Cercherò di venire presto a Washington e di trascorrere un po di tempo con voi. Potrei persino trovarmi una moglie americana, visto che Greg si è preso la donna più incantevole di tutta la Corea.» Soonji gli indirizzò un lieve sorriso. «Qualcuno doveva pur insegnargli come rilassarsi.» Hwan disse al barista di mettere le consumazioni sul conto dell agenzia, poi recuperò il coltello, lo posò sul bancone e si rivolse al suo vecchio amico: «Prima di andare, be, voglio dirti questo: mi sei mancato, Greg». Donald indicò con un gesto il coltello. «Sono contento che tu mi abbia mancato.» Soonji gli diede un colpetto sulla spalla. Lui le accarezzò la guancia con il dorso della mano. «Ciò che intendo dire è...», continuò Kim, «che ho riflettuto a lungo sugli anni dopo la guerra, quando ti sei preso cura di me. Se i miei genitori non fossero morti, non avrei potuto desiderare una famiglia più affettuosa.» Hwan chinò il capo rapidamente e uscì dal locale; Donald teneva gli occhi fissi a terra. Soonji lo osservò allontanarsi, quindi posò la mano sottile sulla spalla del marito. «Aveva le lacrime agli occhi.» «Lo so.» «Se n è andato in fretta perché non voleva turbarti.» Donald annuì, poi alzò lo sguardo verso sua moglie, la donna che gli aveva dimostrato come gioventù e saggezza non si escludessero a vicenda... e come, a parte l eternità che impiegava ogni mattina a raddrizzare la schiena, l età in fondo non fosse che uno stato d animo. «E questo a renderlo così speciale», disse, mentre Hwan si allontanava nella vivida luce del giorno. «Kim è tenero dentro e duro fuori. Yunghil Oh era solito dire che serviva una corazza per ogni evenienza.» «Yunghil Oh?»

Donald la prese per mano e la condusse fuori dal bar «Un tizio che lavorava all agenzia, una persona che avrei voluto conoscere un po meglio.» Lasciandosi dietro una sottile scia di fumo, Donald accompagnò la moglie nell ampia, affollata Chonggyechonno, una delle vie principali di Seul. Si diressero a nord, passeggiando mano nella mano verso l imponente palazzo Kyongbok, alle spalle del vecchio Campidoglio, edificato nel 1392 e ricostruito nel 1867. Qualche istante dopo, videro profilarsi la lunga sagoma blu della tribuna delle personalità. Lo spettacolo cui avrebbero assistito di lì a poco si preannunciava come una singolare alternanza di noia e divertimento: quel giorno la Corea del Sud celebrava l anniversario dell elezione del suo primo presidente.

CAPITOLO 02 Martedì, ore 17.30, Seul Il seminterrato dell albergo destinato alla demolizione era pervaso dall odore delle persone che vi trascorrevano la notte; il tanfo misto di sudore e alcolici tipico dei poveracci, dei derelitti, coloro per cui quel giorno, quell anniversario, rappresentava unicamente l opportunità di raggranellare qualche spicciolo extra dalla gente venuta ad assistere alla celebrazione. Ma, sebbene tutti gli ospiti fissi al momento fossero assenti, occupati a elemosinare il pane quotidiano, la piccola stanza non era vuota. Un uomo sollevò il vetro della finestra a livello della strada e scivolò all interno, seguito da altri due. Dieci minuti prima, i tre si trovavano in una suite del Savoy, la loro base operativa, dove avevano indossato abiti comuni, in modo da passare inosservati. Ognuno recava con sé una sacca da viaggio nera, priva di segni di riconoscimento; due maneggiavano le loro borse con cautela, mentre il terzo, che portava una benda sull occhio, non pareva curarsene. Quest ultimo si diresse nel punto in cui i senzatetto avevano ammucchiato indumenti logori e sedie rotte, posò la sacca su un vecchio banco di scuola e aprì la chiusura lampo. L uomo con la benda tirò fuori un paio di stivali e lo passò a uno dei suoi compagni; ne consegnò un secondo paio all altro e tenne il terzo per sé. Procedendo con rapidità, si levarono gli stivali che avevano ai piedi, li nascosero in un mucchio di vecchie scarpe e infilarono quelli nuovi. Prima di collocare la sacca da viaggio in un angolo buio della stanza, l uomo con la benda ne estrasse una bottiglia d acqua minerale. La borsa non era vuota, ma per il momento non avevano bisogno di ciò che conteneva. Presto, pensò l uomo con la benda. Se tutto va bene, molto presto. Tenendo la bottiglia nella mano inguantata, tornò alla finestra, alzò il vetro e diede un occhiata all esterno. Il vicolo era deserto. L uomo con la benda fece un cenno con il capo ai compagni, strisciò fuori dalla finestra e si voltò per aiutarli con le borse. Una volta nel vicolo, aprì la bottiglia di plastica. Bevvero quasi tutta l acqua; quando ne rimase più o meno un quarto, l uomo con la benda lasciò cadere a terra il contenitore e lo calpestò, schizzando il liquido dappertutto. Quindi, con le due borse in mano, i tre individui attraversarono il vicolo, stando ben attenti a camminare in mezzo all acqua, e si diressero verso Chonggyechonno.

Un quarto d ora prima dell inizio dei discorsi, Kwang Ho e Kwang Lee - K-Uno e K-Due, come venivano chiamati dagli amici dell ufficio stampa del governo - stavano procedendo a un ultima verifica dell impianto sonoro. Alto e snello, K-Uno era in piedi sul podio; il suo blazer rosso spiccava nettamente sullo sfondo del maestoso palazzo alle sue spalle. Meno di trecento metri più lontano, dietro la tribuna, il grande e grosso K-Due sedeva nel furgone delle apparecchiature audio. Curvo sopra il quadro di comando, era concentrato nell ascolto del collega la cui voce giungeva attraverso la cuffia. K-Uno si avvicinò ai tre microfoni, fermandosi davanti a quello sulla sinistra. «C è una grassona seduta nella fila in alto», disse. «Ho paura che il palco possa crollare.» K-Due sorrise e soffocò l impulso di attivare l altoparlante. Premette invece un bottone sul pannello che aveva di fronte: una spia rossa si accese sotto il microfono, segnalando che quest ultimo era in funzione. K-Uno lo coprì con la mano sinistra e si spostò verso quello al centro. «Ti immagini come sarebbe farci l amore?» osservò. «Rischieresti di annegare nel suo sudore.» La tentazione divenne ancora più forte. Ma K-Due si limitò a pigiare il bottone successivo sul quadro di comando. La spia rossa si accese. K-Uno coprì il microfono centrale con la mano destra e parlò nel terzo. «Oh!» esclamò. «Sono terribilmente dispiaciuto. E tua cugina Ch un. Non l avevo riconosciuta, Kwang. Veramente.» K-Due premette con forza l ultimo pulsante e osservò Kwang che s incamminava verso l automezzo d appoggio della CNN per assicurarsi che i collegamenti fossero a posto. Scosse la testa. Un giorno o l altro l avrebbe fatto. L avrebbe fatto davvero. Avrebbe atteso che lo stimato tecnico del suono dicesse qualcosa di realmente imbarazzante e... D improvviso tutto si fece buio e K-Due si accasciò sulla consolle. L uomo con la benda lo spinse sul pavimento del furgone e ripose il manganello in una tasca. Poi iniziò a svitare il pannello del quadro di comando, mentre il secondo uomo apriva con cautela le sacche da viaggio e il terzo si appostava vicino alla porta con in mano un manganello, nell eventualità che arrivasse l altro tecnico. Operando con rapidità, l uomo con la benda sollevò la lastra metallica, l appoggiò alla parete e si mise a esaminare i fili elettrici. Quando trovò quello che cercava, lanciò un occhiata all orologio. Avevano sette minuti di tempo. «Sbrigati», ringhiò.

Il secondo uomo annuì, estrasse con prudenza una carica di esplosivo al plastico da ciascuna borsa e le applicò alla parte inferiore del pannello, in un punto ben nascosto; terminata l operazione, l uomo con la benda prese due fili dalle sacche e li porse al compagno. Questi introdusse il capo di un filo in ogni carica e gli restituì le altre estremità. L uomo con la benda sbirciò attraverso la piccola finestrella in direzione del podio. Le personalità politiche cominciavano ad arrivare. Traditori e patrioti conversavano amabilmente tra di loro; nessuno avrebbe notato che qualcosa non andava. Dopo aver spento gli interruttori che regolavano i microfoni, l uomo con la benda collegò velocemente i fili inseriti nell esplosivo a quelli del sistema audio. Quando ebbe finito, rimise al suo posto il pannello metallico. I suoi due complici afferrarono ciascuno una borsa ormai vuota e il terzetto si allontanò, tranquillamente come era arrivato.

CAPITOLO 03 Martedì, ore 3.50, Chevy Chase, Maryland Paul Hood si girò sul fianco e guardò l orologio. Poi tornò a sdraiarsi e si passò una mano tra i capelli scuri. Neanche le quattro. Maledizione. Non aveva senso; non lo aveva mai. Non c era nessuna catastrofe incombente, nessuna situazione allarmante in corso, nessuna crisi in vista. Tuttavia, da quando si erano trasferiti, quasi ogni notte la sua mente vulcanica sempre in attività lo svegliava delicatamente e gli sussurrava:» Quattro ore di sonno sono più che sufficienti, signor direttore!: tempo di alzarsi e preoccuparsi per qualcosa». Roba da pazzi L Op-Center lo teneva occupato in media dodici ore al giorno, e talvolta, nei casi che vedevano coinvolti degli ostaggi o durante una sorveglianza speciale, esattamente il doppio. Non era giusto essere prigionieri del lavoro anche nel cuore della notte. Come se potessi scegliere. Aveva iniziato come funzionario di banca, poi era divenuto assistente del vicesegretario al Tesoro e infine aveva amministrato una delle più bizzarre e inebrianti città del mondo, sempre schiavo dei propri pensieri, dei propri dubbi: che ci fosse un modo migliore di fare una cosa, un particolare che poteva aver trascurato, qualcuno che si era dimenticato di ringraziare, di rimproverare... o magari di baciare. Paul si strofinò distrattamente la mascella, solcata da rughe profonde. Poi si voltò a contemplare la moglie, coricata su un fianco. Che Dio benedica Sharon. Lei dormiva sempre il sonno dei giusti. D altra parte, era sposata con lui, e questo avrebbe portato chiunque all esaurimento. Oppure sarebbero finiti davanti a un avvocato. O entrambe le cose. Resistette alla tentazione di toccare i suoi capelli biondo tiziano. E non solo quelli. La luna piena di giugno avvolgeva il suo corpo snello in una luce bianchissima, facendola somigliare a una statua greca. Aveva quarantun anni, la figura slanciata di chi frequenta la palestra, ma ne dimostrava dieci di meno - e possedeva ancora la vitalità di una ventenne. Sharon era davvero straordinaria. Quando Poulera sindaco di Los Angeles, era solito tornare a casa tardi per cena e parlare al telefono tra un piatto d insalata e una tazza di caffè, mentre lei preparava i ragazzi per la notte. Poi si sedeva a tavola con lui, oppure si rannicchiava sul divano, e gli mentiva in modo convincente non facendogli mai pesare i problemi che aveva sul lavoro, al reparto pediatrico del

Cedars, dove svolgeva servizio volontario. Si tirava da parte affinché lui potesse aprirsi, scaricare su di lei le tensioni accumulate nella giornata. No, ricordò Paul. Non è successo nulla d importante. Solo i tremendi attacchi d asma di Alexander, i problemi di Harleigh con i compagni di scuola, le telefonate, i pacchetti e le lettere minatorie da parte della destra radicale o dell estrema sinistra; una volta era persino arrivato un espresso firmato da ambedue le fazioni. Non è successo nulla. Una delle ragioni per cui aveva scelto di non ricandidarsi era che sentiva che i ragazzi stavano crescendo senza di lui. O che lui stava invecchiando senza di loro... non avrebbe saputo dire quale delle due cose lo turbasse di più. E persino l intrepida Sharon, il suo sostegno, aveva cominciato a insistere, per il bene della famiglia, perché si trovasse un lavoro meno impegnativo. Sei mesi prima, quando il presidente gli aveva offerto la direzione dell Op-Center, un nuovo organismo dotato di ampia autonomia di cui la stampa era ancora all oscuro, Hood si stava preparando a rientrare nel mondo bancario. Ma quando accennò in casa alla proposta, suo figlio di dieci anni e sua figlia di dodici parvero subito entusiasti all idea di trasferirsi a Washington. Sharon aveva dei parenti in Virginia - e inoltre, come sapevano entrambi, intrighi e spie erano senz altro più interessanti di dollari e assegni. Paul si girò sul fianco e allungò la mano sin quasi a sfiorare la nuda spalla d alabastro di Sharon. Nessuno dei giornalisti di Los Angeles aveva mai saputo cogliere in pieno il valore di sua moglie. Avevano notato il suo fascino e la sua intelligenza, e l avevano osservata persuadere gli spettatori a rinunciare a ciambelle e pancetta nel programma televisivo settimanale di mezz ora MCDonnell Healthy Food Report, ma non si erano mai resi conto di quanto la sua forza e la sua costanza avessero aiutato il marito a raggiungere il successo. Paul seguì con la mano il profilo del suo braccio candido, senza toccarlo. Avrebbe voluto essere su una spiaggia, in qualche posto lontano. Un luogo dove lei non avrebbe dovuto preoccuparsi dei ragazzi che potevano sentirli, del telefono che squillava, del furgone del corriere internazionale che si arrestava bruscamente davanti a casa. Era parecchio tempo che non andavano da nessuna parte. Da quando si erano stabiliti nel distretto di Columbia, a dire il vero. Se solo fosse riuscito a rilassarsi, a smetterla di tormentarsi per come andavano le cose all Op-Center. Mike Rodgers era maledettamente in gamba, ma con la fortuna che gli arrideva di solito, l agenzia avrebbe affrontato e risolto la sua prima grande crisi mentre lui era in vacanza sull isola Pitcairn, da dove avrebbe impiegato settimane a tornare. Se Rodgers avesse conseguito una vittoria del genere e gliel avesse presentata bell e pronta, lui non avrebbe retto al colpo. Ecco, ci risiamo!

Paul scosse il capo. Era lì, disteso accanto a una delle più adorabili e provocanti donne di Washington, e non faceva che pensare al lavoro. Non era il caso di fare un viaggio, si disse, ma una lobotomia. Un sentimento di amore e desiderio lo pervase, mentre osservava Sharon respirare piano, i suoi seni sollevarsi, invitanti. Spostò la mano oltre il braccio di lei e lasciò che le dita vagassero sopra il baby-doll di seta. Che i bambini si svegliassero pure. Che cosa avrebbero sentito? Che lui amava la loro madre, e anche lei lo amava. Aveva appena sfiorato il tessuto trasparente, quando udì un grido provenire dall altra stanza.

CAPITOLO 04 Martedì, ore 17.55, Seul «Dovresti davvero passare più tempo con lui, Gregory. Sei raggiante, lo sai?» Donald svuotò la pipa battendola contro il sedile. Osservò la cenere cadere dall ultima fila del palco giù in strada, quindi ripose la pipa nel suo astuccio. «Perché qualche volta non vai a trovarlo per una settimana o due? Posso cavarmela da sola con la Società.» Donald la guardò fissamente negli occhi. «Perché adesso ho bisogno di te.» «Puoi averci entrambi. Come faceva quella canzone di Tom Jones che mia madre suonava sempre? «Il mio cuore ha abbastanza amore per due...»» Donald rise. «Soonji, Kim ha fatto per me molto più di quanto lui stesso non creda. Andarlo a prendere tutti i giorni all orfanotrofio mi ha aiutato a non impazzire. C era una sorta di equilibrio karmico tra la sua innocenza e i crimini che progettavamo all agenzia e all ambasciata.» Soonji corrugò la fronte. «Che cosa c entra questo con il fatto di vederlo più spesso?» «Quando siamo insieme... Suppongo che dipenda in parte dalla cultura e in parte proprio da lui, ma non sono mai riuscito a inculcargli quella regola che i ragazzi americani assimilano con tanta facilità: scordati dei tuoi e pensa a divertirti.» «Come puoi pretendere che ti dimentichi?» «Non lo pretendo, ma lui è convinto di non fare abbastanza per me, e prende la cosa in modo molto, molto personale. L agenzia non ha un conto in quel bar. Lui sì. Sapeva che non l avrebbe spuntata nel duello, ma era disposto ad accettare una sconfitta in pubblico per me. Quando siamo insieme, si trascina dietro il pesante fardello del suo debito di riconoscenza. Non voglio che questo lo distrugga. Soonji lo prese sottobraccio e si tirò indietro i capelli con la mano libera. «Sbagli. Lascia che ti dimostri il suo affetto come vuole...» Rimase un attimo immobile, poi si raddrizzò di scatto. «Soon, cosa c è?» Soonji gettò uno sguardo verso il bar. «Gli orecchini che mi hai regalato per il nostro anniversario. Ne ho perso uno!» «Forse l hai lasciato a casa.»

«No. L avevo al bar.» «E vero. L ho sentito quando ti ho accarezzato la guancia...» Soonji gli lanciò un occhiaia. «Deve essere stato allora che l ho perso.» Balzò in piedi e si precipitò verso l estremità del palco. «Torno subito!» «Perché non chiamiamo da qui?» urlò Donald. «Qualcuno avrà di certo un cellulare...» Ma lei era già lontana. La vide scendere i gradini e, un momento dopo, correre in strada verso il bar. Donald si piegò in avanti e appoggiò i gomiti sulle ginocchia. Se non l avesse ritrovato, Soonji ne sarebbe rimasta sconvolta. Gregory aveva appena fatto fare quegli orecchini su ordinazione per il loro secondo anniversario di nozze, con due piccoli smeraldi, le pietre che lei preferiva. Avrebbe potuto ordinarne un altro identico, ma non sarebbe stato lo stesso. E Soonji non se lo sarebbe mai perdonato. Scosse lentamente il capo. Perché mai ogni volta che dimostrava a qualcuno il suo amore, questo si tramutava in dolore? Kim, Soonji... Forse dipendeva da lui. Un cattivo karma, qualche peccato commesso in una vita precedente, o il destino... Gregory si appoggiò all indietro e guardò verso il podio, dove il presidente dell Assemblea Nazionale si stava avvicinando al microfono.

CAPITOLO 05 Martedì, ore 18.01, Seul Il volto di Park Duk assomigliava al muso di un gatto, tondo e sornione, con occhi scaltri e vigili. Non appena si alzò e avanzò verso il podio, le persone sul palco e la folla sottostante proruppero in un applauso scrosciante. Il presidente alzò le mani in segno di ringraziamento, solennemente incorniciato dal maestoso palazzo alle sue spalle, con i giardini circondati da mura e le antiche pagode provenienti da ogni parte del Paese. Gregory Donald strinse i denti, poi si trattenne, sforzandosi di assumere un espressione neutra. La sua carica di presidente della Società per l Amicizia tra Stati Uniti e Corea del Sud gli imponeva di mantenersi equidistante rispetto alla questione sudcoreana. Se il popolo voleva la riunificazione con il Nord, doveva mostrarsi favorevole. Se invece non la voleva, doveva mostrarsi contrario. Dentro di sé, la desiderava ardentemente. Il Nord e il Sud avevano molto da offrire l uno all altro e al mondo, culturalmente, religiosamente ed economicamente, e l intero sarebbe stato meglio della somma delle sue parti. Duk, un veterano della guerra e un accanito anticomunista, non voleva nemmeno sentirne parlare. Donald rispettava le sue idee politiche, seppure a fatica, ma non accettava che rifiutasse ogni discussione sull argomento. Uomini del genere non erano che potenziali dittatori. Dopo un applauso interminabile, Duk abbassò le mani, si chinò verso il podio e cominciò a parlare. Ma, sebbene le sue labbra si muovessero, non si udiva alcun suono. Duk si ritrasse e, con un sorriso sardonico, diede dei colpetti al microfono. «Unificazionisti!» esclamò, rivolto ai politici che sedevano in prima fila dietro di lui; alcuni accennarono un timido applauso. Gli spettatori che si trovavano più vicini levarono grida di approvazione. Donald si concesse di corrugare lievemente la fronte. Duk lo irritava davvero, sia per i suoi modi melliflui sia per il crescente numero dei suoi sostenitori. Un lampo rosso colpì l occhio di Donald mentre, da qualche parte dietro quel nobile assembramento, una figura con un blazer scarlatto si dirigeva di corsa verso il furgone delle apparecchiature audio. Avrebbero risolto l inconveniente in un battibaleno.

Dei giochi olimpici del 1988, Gregory si ricordava soltanto di quanto i sudcoreani fossero rapidi e abili nell individuare e riparare i guasti. L espressione accigliata scomparve dal suo viso non appena si voltò verso il bar e vide Soonji corrergli incontro. Il braccio della moglie era alzato in segno di trionfo, e lui ringraziò Dio che almeno qualcosa quel giorno andasse per il verso giusto. Kim Hwan era seduto in un auto senza segni di riconoscimento parcheggiata sulla Sajingo, a sud del Palazzo, circa duecento metri alle spalle del punto in cui era stato eretto il palco. Da quella posizione, vedeva tutta la piazza e i suoi agenti appostati sui tetti e alle finestre. Osservò Duk avvicinarsi e poi allontanarsi dal podio. I burocrati ridotti al silenzio: ecco la sua idea di un mondo perfetto. Sollevò il binocolo che aveva accanto. Duk era in piedi e faceva cenni d assenso con il capo ai suoi sostenitori tra la folla. Be, che piacesse o no, questa era la democrazia. Sempre meglio degli otto anni di legge marziale sotto il comando del generale Chun Doo Hwan Non che a Kim fosse andato a genio il suo successore, Roh Tae Woo, eletto presidente nel 1987, ma perlomeno era stato eletto. Puntò il binocolo verso Gregory e si chiese dove fosse finita Soonji. Se fosse stato un altro a conquistare il cuore della sua ex assistente, Hwan lo avrebbe odiato fino all ultimo respiro. L aveva sempre amata, ma il regolamento dell agenzia proibiva qualsiasi relazione tra dipendenti; sarebbe stato troppo facile ottenere informazioni infiltrando una segretaria o una ricercatrice per sedurre qualche funzionario. Sarebbe quasi valsa la pena di lasciare il posto per Soonji, ma in tal caso avrebbe infranto il cuore di Gregory. Secondo il suo maestro, lui, Hwan, possedeva il cervello, il coraggio e il fine istinto politico di un uomo della KCIA, e aveva speso una piccola fortuna per educarlo e prepararlo a quella vita. Benché talvolta ne avesse le tasche piene della burocrazia, Hwan sapeva che Gregory aveva ragione: questa era la vita che faceva per lui. Un bip alla sua sinistra lo obbligò ad abbassare il binocolo. Nel cruscotto dell auto era collocata una radio ricetrasmittente; un segnale acustico lo avvertiva quando qualcuno desiderava parlargli e una spia rossa lampeggiava sopra il tasto che permetteva di sintonizzarsi sulla relativa stazione. Si accese la lucetta che corrispondeva all agente piazzato in cima ai grandi magazzini Yi. Hwan premette il tasto. «Hwan. Passo.» «Signore, un uomo con un blazer rosso sta correndo verso il furgone delle apparecchiature audio. Passo.» «Procedo a un controllo. Passo.»

Hwan prese il telefono portatile e chiamò l ufficio del responsabile del coordinamento al Palazzo. Rispose una voce seccata. «Sì... cosa c è?» «Sono Kim Hwan. È un vostro uomo quello che sta correndo verso il furgone delle apparecchiature sonore?» «Sì. Nel caso non se ne fosse accorto, è saltato l audio. Forse è stato qualcuno dei vostri mentre ispezionava il palco in cerca di qualche bomba.» «Se è così, gli strapperemo le ossa.» Ci fu un lungo silenzio. «Le ossa di un cane. Abbiamo mandato fuori l unità cinofila.» «Fantastico», esclamò il coordinatore. «Magari uno di loro ha pensato bene di pisciare su un filo.» «Una spiegazione politica», osservò Hwan. «Voglio che resti in linea finché non ha notizie.» Un altra lunga pausa. All improvviso una voce lontana gracchiò nel telefono. «Mio Dio! K-Due... «Hwan si mise sul chi vive. «Alzi il volume della radio. Voglio sentire cosa stanno dicendo in quel furgone.» Il volume aumentò d intensità. «K-Uno, che sta succedendo?» chiese il coordinatore. «Signore... K-Due è steso a terra. Sanguina dalla testa. Deve essere caduto.» «Controlla il quadro di comando.» Seguì un silenzio pieno di tensione. «I microfoni sono spenti. Eppure li avevamo controllati. Perché avrebbe dovuto farlo.» «Accendili di nuovo.» «Va bene.» Hwan socchiuse gli occhi e strinse con forza il ricevitore, pronto a precipitarsi fuori dall auto. «Gli dica di non toccare niente!» urlò. «Qualcuno può essere entrato e...» Ci fu un lampo, e il resto della frase venne inghiottito da una violenta deflagrazione.

CAPITOLO 06 Martedì, ore 4.04, Casa Bianca L unità telefonica protetta denominata STU-3 si mise a suonare sul tavolino da notte. Sulla parte superiore dell apparecchio c era uno schermo illuminato di forma rettangolare, con un display a cristalli liquidi che indicava il nome e il numero della persona che stava chiamando, e inoltre se la linea era protetta o meno. Ancora mezzo addormentato, il presidente Michael Lawrence afferrò il ricevitore senza guardare lo schermo. «Sì?» «Signor presidente, abbiamo un problema.» Si appoggiò su un gomito e gettò un occhiata allo schermo: era Steven Burkow, il capo della Sicurezza Nazionale. Sotto il suo numero telefonico compariva la scritta CONFIDENTIAL, non SECRET O TOP SECRET. Si stropicciò l occhio sinistro. «Cos è successo?» domandò, strofinandosi l altro occhio e lanciando uno sguardo all orologio accanto al telefono. «Signore, sette minuti fa si è verificata un esplosione a Seul, all esterno del Palazzo.» «La celebrazione», disse con il tono di chi era ben informato. «Vittime?» «Ho appena dato una rapida occhiata al video. Pare che ci siano centinaia di feriti, forse alcune dozzine di morti.» «Qualcuno dei nostri?» «Non lo so ancora.» «Terrorismo?» «Sembrerebbe di sì. È saltato in aria un furgone con le apparecchiature audio.» «Nessuna rivendicazione dell attentato?» «Kalt è al telefono con la KCIA proprio adesso. Finora, nessuna.» Il presidente era già in piedi. «Chiama Av, Mel, Greg, Ernie e Paul; voglio che si trovino nella Sala Situazioni alle cinque e un quarto. Libby era là?» «Non ancora. Era in viaggio dall ambasciata: preferiva perdersi il discorso di Duk.»

«Una ragazza in gamba. Contattala; prenderò la telefonata al piano di sotto. Chiama il vicepresidente in Pakistan e pregalo di tornare questo pomeriggio.» Il presidente riattaccò e, attraverso l interfono, chiese al suo cameriere di preparargli un completo nero e una cravatta rossa. Gli abiti del potere, nel caso in cui avesse dovuto parlare ai media senza avere il tempo di cambiarsi. Mentre attraversava velocemente il soffice tappeto diretto nella stanza da bagno, Megan Lawrence si agitò nel letto; lui la udì mormorare il suo nome, ma fece finta di niente e chiuse la porta dietro di sé.

CAPITOLO 07 Martedì, ore 18.05, Seul I tre uomini camminarono con calma lungo il vicolo. Giunti all altezza della finestra del vecchio albergo, l uomo con la benda rimase a sorvegliare la strada, mentre gli altri due penetravano all interno dell edificio, poi si affrettò a seguirli. L uomo con la benda recuperò la sacca da viaggio che aveva lasciato nella stanza e ne estrasse tre pacchi. Tenne per sé l uniforme di capitano dell esercito sudcoreano e lanciò ai compagni le divise da sottufficiale. Si levarono gli stivali, li infilarono nella borsa insieme ai vestiti e indossarono rapidamente le uniformi. Finita l operazione, l uomo con la benda tornò alla finestra, la scavalcò e fece segno agli altri due di raggiungerlo. Con le borse in mano, attraversarono in fretta il vicolo e si allontanarono dal Palazzo, verso una strada laterale dove un quarto uomo li attendeva in una jeep con il motore acceso. Non appena furono saliti, la vettura partì bruscamente, imboccando Chonggyechonno in direzione opposta all esplosione, verso nord.

CAPITOLO 08 Martedì, ore 4.08, Chevy Chase, Maryland Paul Hood chiuse delicatamente la porta della camera, si accostò al letto del figlio e gli posò una mano sugli occhi; quindi accese la lampada accanto al letto. «Papà...», ansimò il ragazzino. «Lo so», disse Hood con dolcezza. Allargò un poco le dita per lasciar filtrare gradualmente la luce, poi prese il nebulizzatore sotto il tavolino da notte. Dopo aver sollevato il coperchio dell apparecchio, grande all incirca quanto un cestino della merenda, Hood srotolò il tubo e ne porse l estremità ad Alexander. Il ragazzino se la infilò in bocca, mentre suo padre versava con il contagocce la soluzione di entolin nell apposita fessura. «Avresti voglia di darmi un calcio nel sedere mentre lo fai, vero!» Il ragazzino annuì con aria seria. «Ti insegnerò a giocare a scacchi.» Alexander si strinse nelle spalle. «E un gioco in cui si possono prendere a calci i cervelli degli altri. Ti garantisco che dà molta più soddisfazione.» Alexander fece una smorfia. Dopo aver messo in funzione l apparecchio, Hood andò verso il piccolo Trinitron nell angolo della stanza, attivò l unità Genesis e ritornò con un paio di joystick mentre il logo di Mortal Komhat risplendeva sul video. «E non inserire la password per la versione più cruenta», disse Hood, porgendone uno al ragazzino. «Non voglio farmi strappare il cuore stanotte.» Suo figlio sgranò gli occhi. «Proprio così. So tutto della sequenza A, B, A, C, A, B, B. Sullo schermo Codice d Onore. Ti ho visto farlo la volta scorsa, e Matt Stoll mi ha spiegato di che si tratta.» Gli occhi del ragazzino erano sempre spalancati mentre suo padre si sedeva sul bordo del letto. «Già... è impossibile fregare i geni dell informatica dell Op-Center ragazzo. O il loro capo.» Tenendo saldamente tra le labbra il boccaglio, del nebulizzatore Alexander si sentì in dovere di premere soltanto il pulsante dello Start. Subito la stanza fu invasa dai

grugniti e dal rumore secco dei colpi che Liu Kang e Johnny Cage si scambiavano lottando per la supremazia sullo schermo televisivo. Per la prima volta Hood senior si stava difendendo con onore quando squillò il telefono. A quell ora poteva essere solo qualcuno che aveva sbagliato numero oppure qualche guaio. Udì scricchiolare le assi del pavimento e un istante dopo Sharon fece capolino dalla porta «E Steve Burkow.» Hood si rianimò all istante. A quell ora doveva trattarsi di qualcosa di grosso. Alexander aveva approfittato della distrazione per colpire l alter ego del padre con due rapidi calci al volo e mentre Hood si alzava Johnny Cage cadeva all indietro morto stecchito. «Se non altro non mi hai squarciato il cuore, osservò Hood posando il joystick e dirigendosi verso la porta. Questa volta fu sua moglie a sgranare gli occhi. «Discorsi tra uomini» osservò Hood passandole accanto e affibbiandole un affettuosa pacca sul fondoschiena da dietro la porta. Il telefono della camera da letto era una linea protetta non un portatile. Hood rimase all apparecchio giusto il tempo necessario perché il consigliere della Sicurezza Nazionale lo informasse dell esplosione e dell incontro programmato nella Sala Situazioni. Sharon entrò e cominciò a gironzolare per la stanza. Agli orecchi di Hood giunsero dei rumori di combattimento segno che Alexander stava sfidando il computer. «Scusami non l ho sentito» gli disse la moglie. Paul sgusciò fuori dai pantaloni del pigiama e si infilò i calzoni. «Non c è problema. Ero già in piedi.» «Una faccenda seria?» chiese lei indicando il telefono con un cenno del capo. Terrorismo a Seul una bomba. È tutto quello che so.» Sharon si strofinò le braccia nude. «Per caso mi stavi toccando mentre eravamo a letto. Hood afferrò una camicia bianca dal pomello dell armadio e abbozzò un sorriso. «Ci ho fatto un pensierino.» «Mmmmm... devo essermelo sognato. Eppure ci avrei giurato.» Paul si sedette sul letto e calzò le sue Thom McCanns. Sharon gli si accomodò accanto e cominciò ad accarezzargli la schiena mentre lui si allacciava le scarpe. «Paul, sai di cosa abbiamo bisogno?» «Di una vacanza.»

«Non solo di una vacanza. Di andarcene via per un po di tempo... da soli. «Lui si alzò e afferrò l orologio, il portafoglio, le chiavi e il pass della sicurezza dal comodino. «Stavo giusto pensando la stessa cosa a letto. «Sharon restò in silenzio, ma la smorfia sul suo viso era piuttosto eloquente. «Ti prometto che lo faremo», le annunciò lui, baciandola teneramente sul capo. «Ti amo, e non appena avrò salvato il mondo andremo a esplorarne qualche parte.» «Mi chiami?» domandò Sharon, seguendolo fuori dalla porta. «Certo, sta tranquilla», rispose Paul scendendo nell atrio a due scalini per volta e precipitandosi fuori dall ingresso principale. Uscendo in retromarcia dal vialetto con la sua Volvo, Hood selezionò il numero di Mike Rodgers e inserì il viva Voce. Il telefono suonò soltanto una volta. «Mike?» «Sì, Paul», rispose Rodgers. «Ho saputo.» Ha saputo? Hood aggrottò le sopracciglia. Rodgers gli piaceva, nutriva per lui una grande ammirazione e il suo aiuto gli era indispensabile. Ma si era ripromesso che il giorno in cui fosse riuscito a cogliere alla sprovvista il generale a due stelle, se ne sarebbe andato in pensione. Perché, dopo una soddisfazione dei genere, la sua vita professionale non avrebbe potuto riservargli nient altro di meglio. Paul si sedette sul letto e calzò le sue Thom McCanns. Sharon gli si accomodò accanto e cominciò ad accarezzargli la schiena mentre lui si allacciava le scarpe. «Paul, sai di cosa abbiamo bisogno? ««Di una vacanza.» «Non solo di una vacanza. Di andarcene via per un po di tempo... da soli.» Lui si alzò e afferrò l orologio, il portafoglio, le chiavi e il pass della sicurezza dal comodino. «Stavo giusto pensando la stessa cosa a letto.» Sharon restò in silenzio, ma la smorfia sul suo viso era piuttosto eloquente. «Ti prometto. che lo faremo», le annunciò lui, baciandola teneramente sul capo. «Ti amo, e non appena avrò salvato il mondo andremo a esplorarne qualche parte.» «Mi chiami?» domandò Sharon, seguendolo fuori dalla porta. «Certo, sta tranquilla», rispose Paul scendendo nell atrio a due scalini per volta e precipitandosi fuori dall ingresso principale. Uscendo in retromarcia dal vialetto con la sua Volvo, Hood selezionò il numero di Mike Rodgers e inserì il viva voce. Il telefono suonò soltanto una volta.

«Mike?» «Sì, Paul», rispose Rodgers. «Ho saputo.» Ha saputo? Hood aggrottò le sopracciglia. Rodgers gli piaceva, nutriva per lui una grande ammirazione e il suo aiuto gli era indispensabile. Ma si era ripromesso che il giorno in cui fosse riuscito a cogliere alla sprovvista il generale a due stelle, se ne sarebbe andato in pensione. Perché, dopo una soddisfazione dei genere, la sua vita professionale non avrebbe potuto riservargli nient altro di meglio. «Chi ti ha informato?» chiese Hood. «Qualcuno della base a Seul?» «No», replicò Rodgers. «L ho appreso dalla CNN.» Hood s incupì ancor di più. Lui non poteva dormire, e cominciava a pensare che Rodgers invece non ne sentisse nemmeno la necessità. Forse gli scapoli possedevano maggiori energie, o forse Mike aveva stipulato un patto con il diavolo. Avrebbe avuto una risposta se prima o poi una delle sue amichette ventenni lo avesse scaricato, o quando fossero trascorsi altri sei anni e mezzo, qualunque delle due cose fosse accaduta per prima. Poiché il telefono dell auto non era criptato, Hood prudentemente evitò di parlare in modo esplicito. «Mike, sto per vedere il principale. Non so che cosa mi dirà, ma voglio lo Striker Team sul campo. Occupatene tu.» «Ottima idea. Hai ragione di credere che finalmente ci farà giocare in trasferta?» «No», rispose Hood. «Ma se decide di giocare a baseball con qualcuno, almeno partiremo in vantaggio.» «Mi piace», affermò Rodgers. «Come disse Lord Nelson nella battaglia di Copenaghen: «Ricordati! Per nulla al mondo vorrei essere altrove.» Hood riagganciò. L ultima frase di Rodgers lo aveva reso stranamente inquieto. Ma scacciò quel pensiero dalla mente e chiamò il vicedirettore Curt Hardaway, che faceva il turno di notte, incaricandolo di riunire in ufficio i suoi collaboratori più stretti per le cinque e mezzo. Gli chiese anche di rintracciare Gregory Donald. Sapeva che era stato invitato alla celebrazione, e sperava che non gli fosse successo nulla.