XIII - 1/2009 1, 2, DCB/43/2004

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Tariffa Assoc. Senza Fini di Lucro: Poste Italiane S.P.A - In A.P -D.L. 353/2003 (Conv. in L. 27/02/ 2004 n 46) art. 1, comma 2, DCB/43/2004 - Arezzo - Anno XIII n 1/2009 Potare 1

3 Primapagina Il setaccio che muove la vita 4 6 La potatura di Dio Un colpo d'ala 8 10 Troppi verbi al condizionale I distacchi che generano vita 12 14 La vita sta nelle radici Giovanni, il suo asino, la sua chiesa 18 SOMMARIO 20 24 29 La lezione della crisi Invisibile agli occhi Graffiti Amico fragile 22 Novità 26 trimestrale Anno XIII - Numero 1 - Marzo 2009 REDAZIONE località Romena, 1-52015 Pratovecchio (AR) tel. 0575/582060 - fax 0575/453699 www.romena.it e-mail: mail@romena.it DIRETTORE RESPONSABILE: Massimo Orlandi REDAZIONE e GRAFICA: Simone Pieri, Alessandro Bartolini Massimo Schiavo FOTO: Massimo Schiavo, Paolo Dalle Nogare Eliseo Pieri Copertina: Massimo Schiavo Hanno collaborato: Luigi Verdi, Stefania Ermini, Pier Luigi Ricci, Paola Nepi, Luigi Padovese, Achille Rossi, Maria Teresa Abignente, Wolfgang Fasser, Luca Buccheri. Filiale E.P.I. 52100 Arezzo Aut. N. 14 del 8/10/1996

Una passeggiata nel bosco, con Wolfgang. Non è una rarità per noi di Romena. Wolfgang non vede, ma la foresta la conosce bene. Il sentiero che percorriamo oggi l ha addirittura ripulito lui, metro per metro. Mi lascio guidare, la mente gode di questi passi che capovolgono le regole: un cieco che mi mostra le piante, che mi insegna le erbe, che apre i miei occhi. A un certo punto Wolfgang si ferma, esce dal sentiero. Lo vedi là, in quello spiazzo. Là ci sono i resti di una vecchia casa contadina. Il mio sguardo si concentra, mette a fuoco, ma non rilascia nulla, null altro che una radura coperta di sterpaglie. Ma non voglio contraddire Wolfgang. Così sto zitto. Villa Magra, si chiamava così. Me lo hanno detto i contadini che vivono in questa zona. Ci abitava una famiglia grande, almeno quindici persone. Ora non c è più nulla, l erba è cresciuta sull humus delle pietre, alberi hanno preso il posto delle stanze. Però continua Wolfgang se guardi con attenzione alcune parti della casa sono rimaste: c è un muro, un muro intero che ha retto, lo sostiene un querciolo. Eccolo il muro, l ho trovato, è nascosto sotto un balzo. Vedi spiega il mio amico la natura da una parte distrugge per riportare un nuovo equilibrio, ma dall altra sa anche conservare quello che ha fatto l uomo. Anche dentro di noi ci sono due forze che si muovono, come nella natura: una forza che è capace di disfare quelle cose che sono superate e una forza che regge, come quel muro. È importante che noi sappiamo imparare a riconoscere queste forze: e capire che cosa, della nostra vita, è tempo di potare, di disfare, perché ci appesantisce, perché impedisce al nuovo di venire alla luce, e qual è invece la parte che regge, che ci dà linfa vitale, e che il creato accoglie e sostiene. Potare. Si comprende bene perché questo verbo lo usiamo solo per le piante. Perché potare se stessi è molto più difficile. Non ci è facile riconoscere i nostri rami secchi, non ci piace rinunciare a nulla di ciò che abbiamo, perché tutto ciò che abbiamo, almeno così ci sembra, ci è necessario. Ci lamentiamo, questo sì. Di relazioni personali imprigionate in se stesse, di un lavoro che si è reso arido, di una vita sociale claustrofobica, dell essere vincolati a troppe sicurezze. Ma riteniamo che tutte queste condizioni siano inevitabili, e ci offriamo mille alibi per non toccarle. E questo avviene perché questa modernità così protesa ad accumulare ci ha fatto dimenticare che c è un solo modo per individuare che cosa conta davvero, qual è il muro che regge: ed è attraverso l ascolto di ciò che è davvero vivo e autentico dentro di noi. La potatura è la conseguenza di questo movimento in profondità: e, come in una pianta, interviene per recidere le fronde di quei percorsi che si sono fatti sterili senza aspettare che marciscano, magari travolgendo parti sane. PRIMAPAGINA Francesco Guccini in Eskimo, ci ricorda che nella vita bisogna saper scegliere in tempo, non arrivarci per contrarietà. Teniamo presente questo invito per evitare di muoverci sempre e solo dietro il peso degli eventi. L azione del potare, di un potare saggio e tempestivo come quello del contadino, certo all inizio crea un vuoto. Ma poi, lentamente, apre i pori, fa filtrare energia nuova, ci fa sentire più liberi, più veri. È un gesto d amore verso noi stessi, un impensabile gesto d amore. Massimo Orlandi

IL SETACCIO CHE MUOVE LA VITA di Luigi Verdi Giosuè mi ha insegnato la sua arte di Icone con i metalli fino a donarmi il suo laboratorio. Le prime volte che creavo Icone tendevo ad aggiungere segni e riempire spazi vuoti, mentre lui mi diceva togli è più bello, più semplice. Da allora cerco di semplificare e uso questo metodo in qualunque cosa che faccio; anche quando scrivo fatico molto, le poche parole nascono dopo aver filtrato e potato le cose inutili. Giosuè nella sua vita si era allenato alla potatura, come una pianta sapeva che dopo il bocciolo c è il fiore, poi il frutto, poi il seme. Per questo era diventato capace di lasciare le cose prima che le cose lo avessero lasciato. Lasciare il suo laboratorio di artista per andare oltre verso la poesia. Togliere per fare spazio a qualcosa di nuovo che stava nascendo in lui. Questo allenamento alla potatura aveva prodotto in lui i suoi frutti che erano la mitezza, la compassione verso tutti gli esseri viventi, l accettazione serena delle inevitabili sofferenze e opposizioni; la capacità di abitare l essere universale e tuttavia essere amico del particolare, del germoglio nuovo che nasce, attento al dettaglio. Non portate nè borsa, nè bisaccia, nè sacco, nè sandali (Mt 10,10). Imparare a vivere leggeri, non portando tutto dietro di noi ma solo l essenziale, non lasciando impronte ma il profumo del vento dello spirito. Per ascendere bisogna divenire leggeri, liberi nell andare, dolci nello stare, destreggiandosi tra luce e buio; un fabbricare passaggi dove ci sono i muri, aprire brecce negli sbarramenti, un costruire ponti. Le troppe cose, i troppi desideri soffocano l uomo (Gc 1,15). La vita ci chiede spazio come l aria, di scorrere come l acqua, di togliere la pula come fa il fuoco, di rinnovarci come la terra, un lasciar venire e passare continuamente in noi, la vitalità. Quando ci sentiamo soffocare dal troppo, usiamo le poche forze che abbiamo per riequilibrarci, 4 ma il problema non è tanto trovare un minimo di stabilità per vivere, perché l equilibrio è gelido e divenire padroni di sè è poca cosa. Oggi il punto è saper riattingere alla sorgente della vita e rimetterla in movimento, perché senza la cura e la custodia della sorgente della vita non vi è quell humus-terra-atmosfera che propizia il fiorire. Il giardino devi coltivarlo, pulirlo, dissodarlo, ma anzitutto tagliare, togliere sia prima di seminare che durante la crescita della pianta. Si potano le piante perché il vecchio e ciò che soffoca impedisce ai germogli di prendere luce e vita. La donna spaccò il vasetto e versò il profumo sulla testa di Gesù. Alcuni dei presenti, scandalizzati, mormoravano tra loro: Perché tutto questo spreco di profumo? (Mc 14,3-5). Amo i gesti coraggiosi, pazzi, irregolari di Zaccheo che sale sull albero e di Pietro che si getta nel lago per raggiungere più veloce la riva e di lei che spezza il vasetto questo spezzare una forma definita per aprirsi ad un altra. Quanto valgono mani, capelli e profumi come doni abitati da tenerezza e bellezza; Gesù aveva bisogno di tenerezza, di essere sostenuto in quel suo andare verso la croce. Potare è difficile perché abbiamo acquisito tante abitudini, sentiamo la necessità di andare oltre ma la nostra natura resiste, non vuol cambiare la forma acquisita. Il nuovo nasce dallo spezzarepotare le cose e i gesti, lo spazio, il tempo e le parole, perché la nostra vita non ce la fa a rigenerarsi e non matura se non accetta la potatura. È una generazione soffocata e invecchiata perché non ha avuto il coraggio di potare per permettere al nuovo di venire fuori. All inizio di questo anno ho dato via 600 dei miei 700 libri. Ho bruciato tutti gli appunti di pensieri di 25 anni scritti negli anni di prete. Una potatura che ha permesso al nuovo che era dentro di me di uscire fuori. Occorre ogni tanto passare il grano dal setaccio per poter ripiantare nel giardino ripulito.

Foto di Paolo Dalle Nogare Se non sai dove andare, torna al punto di partenza, alla sorgente, all inizio, a quella sapienza che sorregge il mondo. Proverbio africano

La potatura di Dio di Giancarlo Bregantini Giancarlo Bregantini è da tempo un amico di Romena, vescovo coraggioso che dalle valli del Trentino si è trovato a trascorrere gran parte della sua vita in Calabria ed ora in Molise. Riportiamo qui uno stralcio del messaggio per la Quaresima 2008 che mette a fuoco il tema del potare con quella nitidezza e semplicità che trae dalla sua esperienza di vita. Nell omelia d ingresso a Campobasso ho paragonato l obbedienza che il Papa Benedetto XVI mi ha chiesto alla potatura. Che fa soffrire, ma che ringiovanisce. Ebbene, la primavera è tempo di potatura. E la Quaresima è potatura, per prepararci alla fioritura della Pasqua. Lo sanno benissimo i nostri contadini: un albero se non lo poti, muore. Se lo poti, rinnova la sua forza per un raccolto più abbondante È la logica della vita, come ce l ha descritta il Vangelo: «Chi ama la propria vita la perde e chi perde la propria vita per il Vangelo, la ritrova». Ma potare è un arte difficile e fonte di sofferenza, lenta da apprendere È Dio il potatore della nostra vita: «Ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti maggior frutto Io sono la vera vite e il Padre mio è l agricoltore» (Gv 15,1-2). Lui sa quando e cosa potare. Dio conosce quali cose dobbiamo lasciare e quando ne è il momento. Ed anche il perché. Perché la potatura non è mai fatta per tagliare soltanto. È fatta soprattutto per ridare nuova vitalità. Certo, il contadino quando taglia, non guarda il ramo che cade. Spesso, anzi, taglia proprio il ramo più grosso, lasciando un esile tralcio che tende al cielo. Ma in quel tralcio fragile, il contadino, con gli occhi della fede, già intravede l abbondanza dell uva matura. Chi non è contadino, si stupisce, perché vede solo il presente, non si rende conto, non sa spiegarsi certi tagli. Solo il contadino capisce, non perché vede, ma perché intravede con gli occhi della fede. La Quaresima a questo serve: capire lo stile di Dio, il suo intervento nella nostra vita, il perché della sua potatura Ma per poter capire questo, occorre armarsi della fede del contadino: mai guardare indietro né giudicare solo con il criterio del presente. È il raccolto, non la potatura, il criterio di verità: «Beati quelli che piangono, 6 perché saranno consolati» (Mt 5,4). È la fede quindi che addolcisce la sofferenza della potatura con la gioia del raccolto; è la fede che riempie di speranza il sacrificio; è la fede che trasforma il dolore in fecondità; è la fede che ti lancia nella vita oltre il presente, per non rimanere incastrato nella paura. Paura e fede si combattono a vicenda. Dove c è fede, non c è paura e purtroppo, se c è paura, è segno che poca è la fede che ci sorregge. Certo anche noi dobbiamo, in questa Quaresima, fare una grossa pulizia interiore, tagliando dal nostro cuore certi rami secchi o spinosi o malati. I rami secchi sono il fatalismo, la rassegnazione, l indifferenza. Quando chiudi la tendina del tuo cuore sui problemi degli altri, quando dici: Tanto, a me che interessa?, e lasci che il fratello se la sbrighi da solo, annaspando nel fango della tristezza. I nostri mali sono causati non tanto dalla cattiveria di pochi malvagi, ma dalla indifferenza di tanti buoni! Altri rami sull albero risultano spinosi o sterili. Sono le nostre cattiverie, invidie, le gelosie, i giudizi cattivi, le rabbie coltivate nel cuore. Guai a chi ci tocca. Scattiamo subito, con risposte che feriscono più di un coltello. Ma sento anche che Dio è più grande di noi. Con stupore, in questo periodo, già intravedo sui rami una fioritura di forte speranza, che supera i nostri calcoli e le nostre paure. Con gli occhi del contadino intravedo un Dio che sta conducendo la nostra Chiesa ad un cristianesimo di qualità, capace di valorizzare il poco che abbiamo nelle nostre povere mani. Intravedo la fecondità che sgorgherà da tante lacrime sparse Nasceranno cristiani coraggiosi, maturi, famiglie più unite e solidali e aperte. Non è possibile che tante lacrime siano versate invano. Possano invece fecondare questa nostra terra!

Foto di Massimo Schiavo Si deve diventare così semplici e senza parole come il grano che cresce o la pioggia che cade; si deve semplicemente essere. Etty Hillesum

UN COLPO D ALA di Maria Teresa Marra Abignente Toccare la vita è diverso che parlarne, contemplarla è altra cosa che lasciarsela scivolare addosso. Guardo le ferite delle mie piante potate: il ramo tagliato alla biforcazione che si protendeva nell aria e già respirava la primavera, il piccolo getto che forse già annusava il profumo delle gemme. Vorrei abbracciare le mie piante mutilate, e con la mano delicatamente accarezzo quel taglio che mi sembra carne viva ormai esposta al gelo del vento di tramontana, quella piaga che sembra rimpiangere un assenza. E mi chiedo quanto somigli quel vuoto alle mie ferite La mia pianta resta là, forse a tremare, forse a piangere, ma con forza affonda le sue radici nella terra che le dà vita e aspetta silenziosa e con fiducia la forza nuova che le verrà da quel taglio. Chissà se non sente già uno slancio più potente verso il sole, chissà se non si sente già un po più bella presagendo il futuro della prossima estate. Io invece rimango a guardare quei vuoti che mi sembrano lacerazioni e se potessi prenderei colla e chiodi per riattaccare quel che ho perduto: mi sento defraudata. E più fragile. Quanto è difficile lasciar andare, quanto è complicato e doloroso lasciarsi abitare dallo spazio senza confonderlo col vuoto, quanto è penoso fare posto dentro e attorno a noi. Potare non è lavoro da fare con il caldo, ma quando ancora gelano le mani e il fiato si rapprende, quando le gemme sono solo una speranza ed i rami ancora spogli e nudi. Non c è nessun presagio di frutto in quel momento, ma solo inesorabili colpi di forbici, che sembrano recidere 8 Quando voi cogliete il frutto maturo dall albero, l albero è felice: gli togliete un peso, un compito, e adempite la missione dell albero che è quella di dare il frutto maturo che ha fatto. G. Vannucci spietatamente anche ciò che serve. Assuefatta alle mie sicurezze e incapace di intuire il futuro io invece lascio andare solo ciò che reputo superfluo e ormai inutile: le mie potature sono gli squarci che mi ha aperto la vita e che con insofferenza e ribellione le ho lasciato fare, solo perché inevitabili. A volte però proprio da quei tagli subiti e ancora sanguinanti ho assaporato il gusto di una grazia o di un miracolo, il miracolo di quando si addenta un frutto maturo e si sorride perché la vita sembra tutta buona e saporita. Quella ferita si trasformava, non era più solo un vuoto sul quale piangere ma diventava come un colpo d ala che mi permetteva di volare più in alto e più leggera. Una spinta inaspettata, uno slancio col cuore diventato più pulito. E tutto era accaduto in silenzio: attraversare il mistero del sentirsi ferita e spogliata e trovarsi poi nel cielo un po più intenso. E forse è proprio questo il vero senso della povertà: questo sentirsi liberi dalla pienezza e dalla sazietà, questo poter volare nudi nel cielo. Nudi come ora è la mia pianta che appare quasi scheletrita; ma da quella nudità nasceranno gemme e foglie e frutti così dolci che non sarebbero stati tali se quella vita non fosse passata attraverso il dolore delle cesoie. Ora guardo la mia pianta non più solo con compassione, ora vedo il futuro. E benedico allora i colpi di forbici che le suggeriranno una forma più bella da prendere, che le daranno la forza di crescere più rigogliosa, di dare più frutti e che le permetteranno di tuffarsi nel cielo portando con sé la vita che è nata dalle cicatrici. Così si accende la primavera.

Foto di Paolo Dalle Nogare La vita è come le onde del mare, un movimento continuo: dopo essersi affermata in una figura si raccoglie per lanciarsi oltre e ancora sempre oltre. Giovanni Vannucci

Troppi verbi al condizionale di Pier Luigi Ricci Anche se tu non fossi mai andato a scuola e non avessi imparato a coniugare i verbi, stai tranquillo, appena ti trovi davanti alla necessità di potare qualcosa nella tua vita, impari subito ad usare il condizionale. Nel fare gli esercizi di grammatica si faceva una gran fatica e si sbagliava spesso, ma nei momenti in cui si devono fare delle scelte e toglierci di dosso qualcosa di troppo o di nocivo, non si perde l occasione. E ognuno comincia a dire: dovrei smettere di, bisognerebbe che, vorrei fare diversamente, ma. E quei condizionali ci inchiodano a lasciare tutto nel limbo delle intenzioni. Ognuno di noi è più esperto di quanto si pensi e sa bene cosa gli sta facendo male e cosa dovrebbe essere tolto o modificato nella propria vita, in un certo momento. È vero, spesso dico alle persone: Stai attento a non buttar via cose che invece vanno mantenute, ma poi mi accorgo che il più delle volte non sono le valutazioni a creare problema. È che al momento di agire arrivano gli alibi e cominciano i verbi al condizionale. Gli alibi, a differenza di quello che normalmente si pensa, non nascono dalle paure. Si cibano di esse, ma non sono poi le paure a decidere tutto. Non è nemmeno cosa strana che in noi ci sia la paura. Gli alibi nascono dall idea che tenersi attaccato addosso qualcosa di troppo ci procuri un vantaggio. E questo è vero, non è solo fantasia. E mentre facciamo esercizi di condizionale in realtà rafforziamo in noi l idea di lasciare tutto così come è. Il gioco dei vantaggi è perverso: è come se per garantirci una solida stampella che ci dà l idea di tenerci in piedi, rinunciassimo a tenere in allenamento le nostre gambe. Così per avere un po di sicurezza e di tranquillità spesso rinunciamo volutamente a rischiare un po di più e a cercare qualcosa di nuovo. Ho visto persone fare dei cambiamenti in quindici secondi, nel preciso momento in cui hanno preso coscienza che ciò a cui stavano legati non aveva tutto quel valore che gli si era attribuito. Alibi, scuse, giustificazioni: il loro contrario è avere chiarezza con se stessi, abbandonare la presa, è fidarsi un po più di sé stessi ed essere finalmente leali con ciò che ci preme veramente. C è un momento in cui si decide tutto, è un attimo: o ti alzi e fai quel gesto deciso o starai tutta la vita ai piedi di quell albero a raccontarti un sacco di bugie. E a riempire la tua vita di zavorre inutili. Spesso le persone mi chiedono: come si fa? Si comincia. Ricordo ancora con emozione l incontro a Romena con il confessore di Madre Teresa. Gli chiesi: Come si fa a mettere via le intenzioni e a cambiare qualcosa in noi? E lui candidamente mi rispose: Si fa!. 10

Foto di Paolo Dalle Nogare Noi dovremmo essere così: un cuore attraversato dalle domande di amore, dalla preghiera, dal sangue della primavera. Ermes Ronchi 11

I DISTACCHI CHE GENERANO VITA di Luigi Padovese La parola potare mi è familiare. Ho vissuto per molti anni in campagna, in mezzo agli ulivi. Se penso al significato di potare penso subito agli ulivi. Ad essi infatti, più frequentemente, si associa l azione della potatura. Potare significa tagliare i rami di una pianta, per rinvigorirla e per dare abbondanza di frutti. Così la nostra vita è simile ad un albero. Le stagioni si susseguono, le diverse fasi della vita richiedono potature più o meno decise e approfondite, per andare avanti. L azione del potare ci fa in genere pensare a ciò cui rinunciamo, perdiamo, tagliamo, piuttosto che al frutto cioè alla meta che vogliamo raggiungere. Sono i distacchi che dobbiamo realizzare che ci riempiono di paura. Le emozioni e i sentimenti ad essi associati spesso ci bloccano, alcune volte ci terrorizzano. Per questo ci capita di concentrare le nostre energie sul trattenere le cose. Spesso tutto questo riguarda il nostro passato: stiamo aggrappati a rapporti che non ci soddisfano più, insistiamo in un lavoro che non ci appaga, continuiamo a pagare spese di manutenzione per una casa troppo grande, rispetto alle esigenze dell oggi. Ci si appesantisce inutilmente. Così, ogni tanto, sentiamo forte il bisogno di alleggerirci e di prendere il largo verso qualcosa di nuovo. La vita ci chiama con voce più forte. Ci troviamo di fronte alla necessità di saper conciliare i nostri bisogni di sicurezza con i nostri bisogni di crescita. Dobbiamo accettare il rischio collegato al lasciare qualcosa. Dobbiamo superare alcune paure, alcuni ostacoli: paura di restare nudi e indifesi, paura di lasciare qualcosa di noto anche se insoddisfacente - per una meta che non è ancora chiara, paura di perdersi nel non sapere in quale direzione muoversi, paura di non avere le energie e la forza necessarie per realizzare il cambiamento che si aspetta. È una nostra scelta: possiamo concentrarci sulle paure o invece sulla speranza. Padre Vannucci ci ricorda che, dal punto di vista cristiano, rinunciare significa andare avanti 12 nella vita. Chiunque vuole andare avanti nella vita bisogna che si distacchi, si separi, come il fiore si distacca dal bocciolo, il frutto dal fiore rinuncia alla forma precedente, va avanti. La natura spinge alla vita, è indirizzata verso una meta, verso il frutto per cui esiste verso il sogno di Dio. Per noi esseri umani questo è rappresentato da ciò che sentiamo essere lo scopo della nostra vita. In altre parole, il compimento delle nostre tendenze più profonde, il sentire di essere sulla strada giusta, la realizzazione del nostro Sé. In questa prospettiva, riesco a potare con maggior facilità e convinzione se mi è chiara la direzione, se mi innamoro di un sogno, se abito le vere priorità della mia vita. È importante sognare, è importante immaginare e guardare al nostro sogno con sguardo concreto. È importante autorizzare noi stessi a sognare e a pensare che il nostro sogno può diventare realtà. Immaginando con chiarezza una possibilità, rendiamo più facile la sua realizzazione. Non si tratta di sognare a occhi aperti, ma di avere in mente e nel cuore, il proprio modello ideale (come viene definito dalla psicosintesi) cui tendere orientato verso la realtà della nostra vita. Il pensiero che emerge spontaneamente, a questo punto, è quello di chiedersi come posso realizzare il mio sogno? Cosa mi può aiutare ad esprimere la parte più autentica di me? Due qualità vanno coltivate: innanzitutto la consapevolezza di sé, che richiede la curiosità e la voglia di fare e di farsi domande. E poi la padronanza di sé, che ci permette, attraverso la volontà, attraverso questo regista interiore, di esprimere e valorizzare i nostri talenti. Non aspettiamo dunque il tempo ideale, non rimandiamo, in attesa che accada non si sa che. Se assumiamo questo atteggiamento, è come mettersi l animo in pace e aspettare sulla panchina che si consumi la nostra vita, nell attesa che si creino le condizioni ottimali per agire. Il tempo è ora. Il sogno è nostro. Siamo autorizzati ad agire.

Foto di Paolo Dalle Nogare L istante in cui ti sei sottratto, sarebbe potuto essere quello della tua salvezza. Non sai mai. Christiane Singer 13

LA VITA STA NELLE RADICI di Paola Nepi Nove anni e il dolore / mi entrò addosso. Da allora mi tiene / tenace instancabile continuo. Per me altro scampo non c era / che Amarlo! Fra i pochi, fra i mille / farne impareggiabile amore. Sono i versi di una poesia di Paola Nepi, inserita nel suo diario in versi La ragione del dolore che abbiamo pubblicato un anno fa. Paola fa i conti da una vita con la distrofia muscolare; la malattia, nel tempo, le ha frenato i movimenti fino a fermarli; non contenta, da due anni, si è presa anche la sua voce. Dalla sua camera da letto, dove conduce la sua vita, Paola affida i suoi movimenti al suo cuore aperto e sensibile, alla freschezza della sua mente, alla sua penna, che intinge nell autenticità della sua esperienza. È prezioso, per noi, averla, da questo numero, come nuova collaboratrice. Era grande l orto davanti casa. La terra amena dove bambina scorrazzavo senza limiti. Sul fare di ogni primavera vedevo il babbo armarsi di robuste forbici, sega, scala e farsi da una parte. Prima toccava alla pergola dell uva. Potati tutti i vecchi sarmenti scarmigliati, legava i nuovi butti in brevi intrecci con i vinchi d oro che docili ricomponevano tutto in un perfetto insieme. Soddisfatto passava al susino, l albero dal grande ombrello. Lì faceva da padrona la sega e giù rami che cadevano sotto gli acuminati denti, dandomi sconforto. Poi toccava al glicine, alla siepe di rose, al ribes in fondo all orto. Gli faceva da spalla mia madre che sembrava anche lei godere del proprio tagliuzzar gerani, cedrina, salvia e rosmarino. Perché tutto quell accanirsi a tagliar via rami e rametti che poi finivano in cenere nella stufa di cucina? Mi chiedevo. Tutte le piante van potate se vuoi farle vivere a lungo, dar loro forza, farle ricche di fiori, frutti, la vita sta nelle radici. Era vero, l ho capito dopo. E come la pergola dell uva, la siepe di rose, se ho voluto vivere con la contentezza della vita, non piegarmi al male che mi aveva invasa, ho dovuto prendere affilate forbici e tagliare via da me, giorno dopo giorno, ogni frasca, ogni orpello inutile. La strada è stata dura e, dietro l angolo, c era sempre pronta qualche via di fuga che lì per lì consolava il vuoto di ogni vana illusione. A pugni chiusi, quasi scorticata, il cuore stretto di paura, son scesa fino in fondo alla realtà dei fatti, delle cose. A tentoni ho seguito uno spiraglio di luce che era quel testardo tendere alla vita dentro me. Mi son riconosciuta. Quel filo di luce è stato il vinco che ha ricucito ogni strappo, ha rilegato insieme corpo e anima, rendendomi a me stessa. Non è stata cosa da poco e di poco tempo e, ancora oggi, ad ogni stagione si rinnova il taglio. Fuori le sirene continuano a cantare, sempre. 14

Foto di Massimo Schiavo Dobbiamo fare come l agricoltore che quando l occhio profano non vede nulla in un campo di zolle aride, guarda invece molto consolato perché sa da molti indizi che tra poco verrà il germoglio e poi verrà finalmente il frutto. Ernesto Balducci

Foto di Paolo Dalle Nogare 16

Soltanto coloro che osano rinunciare, possono osare di ricominciare Meister Eckhart 17

Giovanni, il suo asino, la sua chiesa Un prete, una missione. Dalle montagne del Perù ci è arrivata, alla vigilia di Natale, una nuova testimonianza di don Giovanni Gnaldi. Pulsa di vita, la vita che si vive nel rovescio del mondo. Fratelli, familiari, amici, approfitto per scrivervi, perché c è la luna. E la luna sempre tranquillizza. È come un balsamo! È compagna di cammino, in questo cammino sempre provvisorio, precario, incerto della vita, così come ci capita a tutti di affrontarla quaggiù nel Sud, nel rovescio del mondo. Forse tu, o Luna, da lassù vedi le cose in un modo diverso! Aiutaci a scoprire la saggezza nel vivere, aiutaci ad assaporare le cose, facci scoprire ciò che è veramente essenziale. Eccoci qui, tutti carissimi, a raccontarci qualcosa del quotidiano e della cordialità del vivere Amorizzare il mondo A volte viene voglia di chiudere gli occhi e di farsi portare dall immaginazione, dalla fantasia. Per un momento, così, scompaiono tutte le ingiustizie, le guerre, la fame, la violenza, l invidia, gli scontri sociali e politici. Poi, riaprendo gli occhi, ci si accorge che la realtà quotidiana è dura, difficile e a volte triste perché persistono le cause che producono tutti questi fenomeni. Abbiamo mai provato a pensare il mondo, l economia, la politica, la vita, non a partire dal proprio ombelico, ma dal Perù, dalla Bolivia, dal 18 Paraguay? Proviamoci e raccontiamoci il nostro sentire! Siamo individui soddisfatti soltanto quando ci arricchiamo o consumiamo? Una notizia letta qualche mese fa informava che in Inghilterra, secondo la BBC, ogni anno si disperdono 4 milioni di tonnellate di alimenti, il 20% dei quali finisce intatta nell immondizia. Grazie, patriarca, maestro, fratello Arturo Paoli che ci aiuti a sintetizzare le sfide e le speranze di oggi con un verbo, un articolo e un sostantivo: amorizzare il mondo! Otros dìas vendràn Dal calendario dell anno scorso scelgo un giorno, il 25 giugno. Somos de tierra, ichu y madera: siamo uomini e donne impastati di terra, paglia e legno! È il pensiero che mi accompagna a conclusione di una giornata di lavoro, lassù in alto, sulle pendici del Monte Iquinito, nella zona delle Alpacas. Ancora una faena (lavoro comunitario) per coprire il tetto della casa campesina, in lenta costruzione. Il techamiento è un lavoro e un rito al tempo stesso. La faena comincia al mattino presto. Le persone al lavoro si suddividono in tre gruppi: giovani e donne dipanano la paglia precedentemente tagliata, ammucchiata

e preparata per l opera. Gli uomini in parte si sistemano sul tetto e parte, da terra, passano pali di eucalipto, corde e paglia. Un piccolo gruppo di donne e bambini rimangono disponibili per trasportare l acqua, accendere il fuoco, far bollire le pentole. Siamo ovunque circondati dal silenzio della montagna, dal cielo azzurrissimo, dal sole sempre puntuale a riscaldarci, dalle voci delle persone che accompagnano il lavoro con commenti, battute, scherzi. Anche la volpe gira guardinga e astuta, puntando lo sguardo furtivo sugli agnellini appena nati! T ikawasi (casa dei fiori) è il nome della casa in costruzione! Di terra e paglia, sarà una casa per tutti, per i vicini, per i giovani, per le mamme, per i campesini, per gli ospiti e per coloro che vorranno valorizzare quanto la Natura e la Pachamama prodigiosamente e gratuitamente regalano. Preghiera di Natale Signore, fa che un giorno il Natale possa essere festeggiato da tutti i cristiani uniti, come un cuor solo e un anima sola. Signore: fa che io viva questo Natale in nome di tutti quelli che forse ti amerebbero ancora di più di quanto faccio io, se solo avessero la gioia di conoscerti come io ti conosco! Signore: apri i miei occhi! A che serve lodarti nel presepio della chiesa se non ti riconosco quando piangi dal freddo e dalla fame, in milioni di baracche del mondo sottosviluppato? (Helder Càmara) Il cammino continua come Ulisse, navigando verso Itaca o come Giovanni, fermandosi sull isola di Patmos. Il tempo stringe e a volte il cuore si stanca. Dove stiamo andando? È proprio vero che ci stiamo dirigendo a Betlemme? Al margine della storia? Il cammino, ne vale la pena: lì è il luogo dell Infinito Amore! La periferia ci basta! Un abbraccio, mentre vamos caminando. L ascolto è un posto di confine delle tue energie. Non nella tua sazietà, ma quando invece sei vuoto, quando hai consumato tutto. Erri De Luca 19

La lezione della crisi di Achille Rossi Cosa ci insegna la grande crisi finanziaria ed economica che stiamo vivendo? Quali segnali dà alla nostra società e al nostro stile di vita? Potare non vuol dire anche saper puntare su ciò che conta e rinunciare a ciò che è inutile e, alla fine, dannoso? Su questo tema riflette Achille Rossi, sacerdote profondamente attento ai temi dell economia, che a Città di Castello dirige una scuola ispirata a Don Milani*. Stiamo osservando proprio in questi giorni la crisi del capitalismo finanziario che poi è la crisi di questo neoliberismo selvaggio che dice che bisogna privatizzare tutto, che in qualche modo bisogna deregolarizzare tutto. Quindi siamo ad una crisi di questa concezione neoliberale, però questa fase viene vissuta come tutte le crisi, pensando che in qualche modo si risolveranno. Ma così non si va fino in fondo per vedere che forse questa crisi dice qualche altra cosa, più profonda; ci dice cioè che questa terra è limitata e non si può andare oltre i suoi limiti. Per continuare con questo nostro sistema considerandolo naturale, normale, ci vorrebbero altri tre pianeti come la terra. Ma non ci sono, naturalmente. Ecco perché si parla di decrescita. Decrescita non vuol dire crescere all indietro, vuol dire che non si può proseguire in questo modo, a produrre sempre di più, sempre più velocemente cose sempre più inutili e con materie prime che scarseggiano sempre di più. Dobbiamo rimettere in discussione il modello e abbandonare la fede nello sviluppo infinito. A questo punto io mi dico: ma è possibile fare un cambiamento di sistema mantenendo sempre la stessa ottica sulla realtà? Ci vuole una percezione più profonda della vita. È qui secondo me che si lega l imperativo della decrescita, che sembrerebbe un imperativo puramente economico, con un impresa spirituale di grande spessore perché non sarà possibile una decrescita senza una crescita di qualità dal punto di vista spirituale. Suggerirei di utilizzare tre immagini che ci propone Panikkar: Ascoltare la dimensione del divino. Ascoltare il divino significa rendersi conto che nella nostra vita tocchiamo qualche cosa che è più profondo del nostro ego psicologico. Allora se questo lo ascoltiamo ci rendiamo conto che la vita è qualitativamente più forte. Che non ha bisogno di una grande quantità di beni. Che come direbbe Kirkeegard ci disperdiamo tra le cose quando perdiamo questa dimensione di tensione verso l infinito. * L intervento è un estratto della conversazione tenuta da don Achille a Romena nel settembre scorso. 20

E poi, seconda cosa: coltivare l umano. Noi coltiviamo i beni, ma non coltiviamo le relazioni. Coltivare l umano vuol dire riprendere il dialogo tra noi, riprendere la capacità di ascolto. Infine, terzo punto. Riprendere un rapporto mite con la terra. Quando uno viene qui a Romena e si rende conto che questa è una fioritura di pietra in mezzo a una natura spettacolare lo vede con chiarezza questo concetto. Allora possiamo riprendere un rapporto mite con le cose e non un rapporto aggressivo, di consumo. Qualche esempio: occorre rilocalizzare l economia. Non possiamo continuare a commerciare da tutte le parti del mondo, spostando le merci qua e là: ci sono gli stessi prodotti che viaggiano da una frontiera all altra in direzione inversa. Bisogna ricostruire il tessuto tra chi produce, il luogo dove viene prodotto, le istituzioni e la gente. Questa era una delle grandi lezioni di Gandhi. Poi produrre per i bisogni collettivi, non solo per i bisogni individuali come stiamo facendo adesso con il consumismo. Siamo spinti a mettere tutto nel mercato, la salute, l istruzione, gli organi. Invece l operazione profonda è quella di togliere al mercato quello che non ci deve essere, che non è competenza sua. Infine sciogliere questo abbraccio fra la finanza e la tecnologia. La tecnologia può fare determinate cose perché c è la finanza dietro che mette il denaro. Questo abbraccio è perverso perché è senza fini, si fa quello che è possibile fare, non si fa perché c è uno scopo e tanto meno perché c è uno scopo umano. E allora riportare la finanza sotto il controllo della società, disarmare la finanza, come dice Petrella, è riportare la finanza nei suoi limiti, nei suoi confini. Io credo che se noi riusciamo a vivere una vita che punta sulla qualità più che sulla quantità ci mettiamo sulla strada giusta. Questa è la strada della decrescita, cioè la strada del vivere felicemente, ma in un altra maniera. Il nostro problema non è in che modo pregare nelle catacombe, ma piuttosto come rimanere umani nei grattacieli rav. A.J. Harchel 21

Amico fragiledi di Luca Buccheri Luca Buccheri Abbè Pierre Fabrizio De Andrè Una serata dedicata a Fabrizio De Andrè e all Abbè Pierre, pensata e organizzata dalla Fraternità di Romena e dalla Comunità delle Piagge, con la presenza di don Gino Rigoldi ed una serie di testimonianze, video, canti e interviste per tuffarsi nel mondo dell umanità fragile e vedere la vita dalla parte degli sconfitti. Cosa può accomunare un poeta e un missionario, un cantastorie e uno stracciaiolo? Non c è solo la ricorrenza della loro morte, che casualmente cade nello stesso periodo dell anno (in gennaio), ma soprattutto quel sottile filo e quella geniale intuizione che lega invisibilmente le loro così diverse esistenze: «l attenzione alla condizione di fragilità, soprattutto di quanti non possono nasconderla». Così ha introdotto Massimo Orlandi, nel non facile ma riuscitissimo compito di presentare la serata fiorentina dedicata all inedita coppia Fabrizio De Andrè e Abbè Pierre, «che non hanno bisogno di presentazioni». Amico fragile, il titolo di una bella canzone di De Andrè preso a prestito per la speciale occasione celebrata in un sovraffollato teatro fiorentino la sera del 5 febbraio, più di una rievocazione delle due figure ormai scomparse ha inteso fissare lo sguardo su quell umanità ancor oggi disprezzata e sfigurata, messa al centro dell opera e della sensibilità dei due personaggi. Due artisti dello spirito a modo loro, con le irrequietezze, le genialità e le insolenze moderate tipiche dei creativi e degli appassionati che sognano con i piedi per terra. Ospite e interlocutore principale della serata è stato don Gino Rigoldi, cappellano del carcere minorile Beccaria di Milano e fondatore di Comunità Nuova, testimone privilegiato del prendersi cura di un umanità particolarmente fragile come quella dei giovani carcerati. L apertura della serata è stata tutta dedicata a loro due. «Bisogna amare le porte scriveva l Abbè Pierre che viene ora declamato da Antonio che sono il posto dove nessuno si ferma, il posto da dove si passa, da dove si parte e dove avvengono tutti gli incontri. E bisogna odiare le porte chiuse, chiuse agli incontri e chiuse a chi parte». «Ieri cantavo i vinti continua De Andrè mentre oggi canto i futuri vincitori, quelli che coltivano la loro diversità con dignità e coraggio I nomadi per esempio e tutti quelli che attraversano i disagi dell emarginazione senza rinunciare ad 22

assomigliare a se stessi Sono loro, saranno loro i vincenti perché muovono la storia. I perdenti sono le persone che più mi affascinano; per me dietro ad ogni barbone si nasconde un eroe. È la fuga dal branco che ci porta a maturare spiritualmente, così la solitudine diventa una possibilità di riscatto» (dall ultimo album del cantautore genovese Anime salve). E ancora: «Vivere emarginati provoca necessariamente un disagio, ma è proprio attraversando i disagi (in questo caso il disagio dell abbandono) che un uomo, un appartenente al genere umano, riesce a dare il meglio di sé». L ouverture arricchita da una toccante interpretazione della drammatica canzone di De Andrè dedicata al cantante suicida Luigi Tenco, Preghiera in gennaio, eseguita da Antonio Salis e il suo gruppo è stata solo l occasione per introdurre i temi che più stavano a cuore. «È giusto essere di parte» ha esordito Rigoldi pensando ai due profeti della serata e per fuggire dalle maschere che ci costruiamo, diventando delle caricature di noi stessi, occorre un confronto comunitario schietto e sincero. Come quello che lui sperimenta da 40 anni, andando ogni giorno nel carcere e accogliendo i ragazzi che escono nella comunità da lui fondata. Dai diamanti non nasce niente, dal letame nascon fiori cantava De Andrè. «Ogni ragazzo ha una parte buona racconta don Gino, incalzato dalle domande di Massimo che può essere messa in movimento e lanciata in avanti»; come «quel ragazzo molto aggressivo e cattivo, di cui non ho mai saputo il cognome, che ha suonato con Jovanotti in carcere, si è iscritto a Medicina e si è affiancato a me per i ragazzi balordi che lui conosceva, utilizzando la sua leadership per coinvolgerne parecchi e che ora purtroppo è morto, vivendo fino alla fine proiettato in avanti»; o come «Giorgio tetro (così lo chiamavamo perché rideva sempre) che ne ha fatte di tutti i colori, ed ha gestito una casa per richiedenti asilo fino a sei mesi fa poi anche lui è andato in paradiso; tutta gente insomma che non ha avuto paura di lavorare e di costruirsi una professionalità per aiutare la gente a cambiare, a crescere». Insomma persone non problemi, per citare un altro grande paladino degli ultimi, don Luigi Ciotti. «Grazie a mia madre continua Rigoldi mi sono abituato a non giudicare ma a vedere il cuore delle persone, perché un cuore c è sempre». Guardando all esperienza d Oltralpe, si collega bene l intuizione dell Abbè Pierre di aiutare i diseredati a recuperare la propria dignità attraverso la raccolta degli stracci, di tutti gli scarti della società borghese che possono essere riutilizzati e venduti. Così nasce la Comunità di Emmaus, fondata dal prete più famoso di Francia che fu anche partigiano resistente al nazismo, deputato e occupatore di case dalla parte dei poveri. Delle sue comunità, diffuse oggi in tutto il mondo, erano presenti alla serata anche due amici che lo hanno conosciuto bene e che hanno testimoniato il suo calore umano e la sua passione integrale per la persona umana: «Con un giornalista e un fotografo andammo un giorno in una comunità ci ha raccontato Graziano Zoni, presidente onorario di Emmaus Italia e passeggiando arrivammo in mezzo a cartoni, metalli e quant altro dove i comunitari lavoravano; il giornalista chiede all Abbè Pierre di posare per una foto, praticamente di far finta di lavorare. L Abbè Pierre reagì con i suoi scatti d amore e disse: No, qui non si fa teatro! O si resta per lavorare altrimenti si parte, anche per rispetto ai comunitari che lavorano tutto il giorno». Ecco una vera scena che fotografa questa sì! il mondo interiore dell Abbè, mentre alle spalle scorrono le immagini della sua memorabile visita a Romena nel 2003. Con il saluto di Gigi e di don Santoro (delle Piagge) si è poi conclusa una serata che non voleva commemorare, ma che sarà difficile dimenticare. 23

Nuovo Libro Invisibile agli occhi Di Stefania Ermini Di solito siete voi che accompagnate me, che non vedo, nel mondo del visibile. Per una volta, vorrei portarvi nel mio mondo, il mondo di ciò che non si vede con gli occhi. Da questo invito parte l inatteso e affascinante viaggio nella vita di Wolfgang Fasser contenuto nel libro Invisibile agli occhi pubblicato dalle Edizioni Romena e in uscita ad aprile. Massimo Orlandi ha raccolto le esperienze dell amico, fisioterapista e musicoterapeuta non vedente, trasformando i suoi passi in parole. Il risultato è un percorso di crescita che ciascuno di noi può compiere con la meraviglia di sentire che sarà un cieco a fare da guida. (In uscita a maggio) Un libro da ascoltare con tutti i sensi. Un libro che odora di bosco e di montagne, profuma di Africa e di Casentino, di musica e di Dio. Un libro che tocca il visibile e ti invita ad un viaggio nell invisibile. Un viaggio che Massimo Orlandi ha intrapreso per primo, incontrando Wolfgang al sorgere del sole di un inverno e narrando questa vita in movimento, in continua trasformazione. Mentre ci si immerge in questo viaggio e se ne ascolta la musica c è una luce sottile che guida e accompagna: la cecità di Wolfgang. È il visibile, che pagina dopo pagina, incontrando l invisibile, acquista una nuova forma, una nuova melodia, una nuova vita. Il viaggio al buio con Wolfgang invita all attenzione e all apertura. Wolfgang si fa narratore del suo sentire unico e lo fa partendo dall inizio, dalle sue radici e dall arrivo della malattia che gli fa conoscere i propri limiti accettandoli e non combattendoli. Dai 16 ai 18 anni Wolfgang è in ricerca, progetta la propria vita e sperimenta un lavoro dopo l altro: il meccanico, 24 il panettiere, il magazziniere. Fintanto che i suoi limiti invece di bloccarlo non lo guidano verso la sua vera inclinazione: la fisioterapia. Durante questi anni di tentativi professionali, con in mano le sue radici, ma ormai lontano da casa, Wolfgang si scontra con le prime difficoltà. Quando hai un handicap come il mio, dice, la vita ti propone in un modo più acuto, diretto, a volte anche brutale, le stesse domande esistenziali, che prima o poi toccheranno a tutti. Attraverso queste sfide Wolfgang sente che il vero punto di svolta nella sua vita sarà quello di non essere definito dal suo limite ma quello di esserne guidato. Si sposta, cambia punto di vista per non essere etichettato come un non vedente, ma semplicemente come Wolfgang. E semplicemente come Wolfgang si offre al suo sogno. Partire per l Africa con un biglietto di sola andata. Lascia il lavoro, offre i mobili di casa alla comunità di Emmaus, prepara lo zaino e raggiunge il Lesotho. Qui mette a disposizione il sapere, il sentire

di fisioterapista e racconta Il luogo delle mie terapie è una specie di mercato in cui io, col mio lettino, ho la mia bancarella. Tutti si fermano a vedere cosa faccio non solo per curiosità, ma anche perché desiderano sostenere, con la loro presenza, la terapia. Lo stesso lavoro di fisioterapista che fino a poco tempo prima svolgeva in occidente, là, liberato dallo stipendio e dai riconoscimenti acquista un nuovo valore: il lavoro adesso è centrato sulla persona. Wolfgang viene invaso dal vivere semplice della sua Africa, dal vivere in una piccola stanza, senza acqua potabile; un luogo dove il senso di pienezza si raggiunge sul finire della giornata, quando ogni persona è mossa dall incontro con l altro. Sarà questo il bagaglio di ritorno dall Africa: la cura e l ascolto alla persona, il vivere secondo essenzialità. Un esperienza che segnerà umanamente e professionalmente Wolfgang e lo accompagnerà alla ricerca del suo piccolo Lesotho in Toscana. È in Casentino, a Quorle, che Wolfgang riconosce la sua essenzialità e le da forma. Sceglie di vivere in una piccola casa, agganciata ai boschi e al creato. Sceglie di offrire il lavoro di fisioterapista a coloro che non hanno grandi mezzi economici per seguire una lunga e faticosa riabilitazione. Sceglie di stare vicino a chi ne ha bisogno, di prendersi cura di, invece di curare. Quorle diventa così un piccolo eremo di amore e di cura. Sceglie l essenziale. So che l aver troppe cose e troppi soldi mi allontana da un contatto profondo con me stesso. Io sto davvero bene quando vivo in modo semplice. È una delle grandi lezioni che ho imparato in Lesotho: godi di quello che hai. Massimo e Wolfgang rendono questo viaggio nell invisibile sempre più intenso, sicuro, profondo attraverso l incontro con i cani guida Quasco e Dusty. Con loro la vita diviene tenera, dolce, giocosa, sicura. Questi due cani toccano l anima di Wolfgang e fanno divenire la sua vita molto di più. Il viaggio poi sposta la luce leggera sulla musica. La musica suonata dal suo sax che arriva nella vita di Wolfgang e silenziosamente vi fa casa e lo spinge a divenire musicoterapeuta e a creare il Trillo, atelier di improvvisazione teatrale in Casentino. I bambini disabili che arrivano al Trillo cercano di comunicare con il linguaggio musicale il loro disagio. La musica diventa un dono, un energia che entra nella profondità del bambino e lo aiuta a espandersi. Se ci si apre all etereo linguaggio di Wolfgang si potrà sentire l odore e il suono della natura. Stare all aria aperta è una valvola di sfogo, ti dà in ogni momento la sensazione che il mondo possa aprirsi e riversarti addosso nuove sorprese. Quella parola, handicap, nella natura non c è, non la trovi sotto la piaga di nessun albero. La natura è lo specchio di Wolfgang. Nel bosco lui si vede. La natura lo aspetta ogni giorno, lo guarda, gli racconta di se stesso. La natura è illuminata dalle voci il cui ascolto fa innamorare e incantare Wolfgang. Alle piante dice rivolgo le stesse domande che si fanno a una persona quando la si incontra. Ma tu chi sei? Perché sei qui? Cosa fai? E, come avviene con le persone, se quell incontro è fuggevole, poi non lascia tracce nella memoria. Ma se mi soffermo, se sto li, si crea il contatto, nasce un atmosfera e quella per me diventa indimenticabile. È in questa natura, nel bosco, negli incontri dei suoi cani, nell Africa, nelle sfide dopo l arrivo della malattia, nel suo vedere l invisibile, che Wolfgang incontra Dio non sentendosi mai come una creatura imperfetta, un errore genetico. Dio lo ha pensato così come è. E lo tiene per mano. Oggi si apre un nuovo spazio per Wolfgang, proposto dalla Fraternità di Romena. Un luogo di incontro raccolto, a Quorle, vicino ad una canonica. Un luogo dove poter dare voce alle note, alla melodia; dove poter abbracciare l armonia del creato. Questo nuovo viaggio attende Wolfgang. Il nostro, invece, termina qui. Qui dove il visibile, ora, ha acquistato una nuova forma, una nuova melodia, una nuova vita 25

Quest anno il cammino della nostra Fraternità raggiunge i diciotto anni di attività e continua il suo percorso dando concretezza a quanto piano piano matura nel cuore e nella vita e arricchendosi del nuovo che chiama. A partire dai luoghi. Oltre a Romena, altri luoghi portano la sua impronta: la casa di Quorle, dove stiamo preparando dei piccoli eremi che daranno la possibilità a singoli o coppie di vivere, a partire dall estate, giornate di silenzio in completa autogestione (con dialoghi quotidiani con Wolfgang Fasser); San Pancrazio, piccola realtà che ospita diversi corsi di Romena dove sr. Rita e Vittoria accolgono nei fine settimana quanti desiderano condividere tempi di vita comune, lavoro e preghiera in spirito di semplicità e stupore; Santa Maria a Diacceto dove è possibile sperimentare spazi di silenzio e ritmi di vita lenti accompagnati da Thomas Müller. In ciascuno di questi luoghi sarà dato più spazio ai corsi e agli eremi che scandiscono le proposte della Fraternità lungo tutto l anno. Le veglie porteranno in giro per l Italia, dal Trentino alla Sicilia, i colori, le riflessioni e le armonie di Romena: alle oltre 30 mete già toccate lo scorso anno se ne aggiungono altre come Ragusa, Gallipoli, Prato, Perugia, Crotone, Trieste, quasi per unire realtà tanto diverse con il soffio leggero dello Spirito. Accanto ai corsi su cui si fonda da molti anni la proposta di Romena (Primo, Secondo e Terzo corso) sono confermati i diversi corsi a tema, tra cui quelli biblici e quelli di approfondimento. Anche qui, come sulle iniziative dei viaggi, troveremo delle nuove e interessanti proposte. Il tema dell anno, che viene a cadere nel 25 della morte di padre Vannucci, sarà Chiamati dal futuro (per riprendere un tema a lui caro): la nostra vita, le nostre scelte non sono determinate dal passato o solo dalle nostre radici (come hanno tanto insistito alcune scuole psicologiche), ma dal futuro, da quel futuro che ci abita sotto forma di sogni, intuizioni e desideri profondi, e che ci chiama a libertà e creatività. C è dunque un futuro che preme su di noi, sul nostro presente e ci invita a realizzarci secondo quella pressione interiore che lo Spirito ha scolpito in noi. A settembre ci sarà un importante appuntamento per vivere e celebrare insieme questo maestro che ha anticipato, nel silenzio appartato delle Stinche, alcune delle più geniali intuizioni del Vaticano II e che può ben considerarsi un ispiratore di Romena. Vogliamo che questo lasciarci guidare dal futuro ci interpelli e sia di provocazione anche per i giovani, con i quali vogliamo vivere alcune giornate di fraternità in luglio a Romena, aiutati dalla musica e dall incontro con dei testimoni. Per concludere, anche sul fronte editoriale molto bolle in pentola ma queste novità le scopriremo insieme, addentrandoci nel cammino. La Fraternità 26