DIREZIONE ASSICURATIVA Divisione Commerciale Gestione Intermediari Normativa Distribuzione/nbz gestintermediari@gruppoitas.it - 0461.891752 Spett.le ISVAP Via del Quirinale, 21 00187 ROMA Trento, 31 gennaio 2011 Osservazioni in merito al documento di consultazione n. 41/2010 - Schema di disposizione regolamentare in tema di conflitto di interessi degli intermediari assicurativi. La scrivente Società, visto il documento di consultazione n. 41/2010 a margine, ritiene opportuno rilevare alcune osservazioni, che possano da un lato essere di ausilio per la migliore regolamentazione dell'attività di intermediazione assicurativa, e dall'altro aggiungere al dibattito alcune riflessioni che possano offrire lo spunto per il bilanciamento e il rispetto degli interessi e delle esigenze in gioco. Itas ritiene di fondamentale importanza intervenire per disciplinare il conflitto di interessi degli intermediari assicurativi, sia sotto il profilo della correttezza degli operatori, sia dal punto di vista della trasparenza e tutela del contraente e quindi del miglior funzionamento del mercato. D'altro canto, il corretto comportamento degli intermediari, oltre a costituire un onere di controllo per le compagnie, si rivela al contempo la migliore garanzia per l'attività delle medesime imprese di assicurazione, essendo l'intermediario l'interfaccia della compagnia con la clientela. Tuttavia, la scrivente Società ritiene che le misure previste nello schema di disposizione regolamentare de quo possano risultare eccessive rispetto agli scopi prefissi e alla normativa primaria di riferimento. 1. Non conformità della disposizione regolamentare con la disposizione di legge: confronto letterale. Non v'è dubbio che la disposizione in parola sia - come spiegato dalla relazione di presenta-
zione per la pubblica consultazione - attuativa dell'art. 183 del CAP che disciplina le regole di comportamento degli intermediari assicurativi. Tuttavia, la particolare modalità attuativa dell'art. 183, come applicata nel caso di specie, appare eccessiva. E tale fatto si rileva dal semplice confronto (e contrasto) tra le parole della disposizione di legge e quelle utilizzate nella relazione di accompagnamento (la quale ultima funge evidentemente da spiegazione e da interpretazione autentica nella norma regolamentare). L'art. 183 impone agli intermediari di "organizzarsi in modo tale da identificare ed evitare conflitti di interesse ove ciò sia ragionevolmente possibile"; mentre nella relazione si legge che l'intermediario deve "astenersi, ove ragionevolmente possibile, da situazioni di conflitto di interessi". La sostituzione della parola "evitare" con la parola "astenersi" implica la deduzione di due soluzioni difformi: infatti, laddove la legge dice che il conflitto di interessi va evitato ove sia possibile evitarlo, ma ogni volta che non sia possibile l'operatore può comunque compiere l'attività dandone debita informazione al cliente. La parola "astenersi" fa invece sostenere a codesto Istituto che, ove sia possibile, l'intermediario debba astenersi dal porre in essere situazioni di conflitto: e cioè, deve astenersi ove non sia imposta per legge la conclusione del contratto. È chiaro che le due soluzioni sono diametralmente opposte e inconciliabili: da un parte, l'intermediario può sempre operare in conflitto di interessi dandone compita informativa al cliente; dall'altra, l'intermediario deve sempre astenersi, laddove non vi sia l'obbligo di concludere il contratto. La seconda soluzione, sposata nella disposizione regolamentare in consultazione, appare dunque testualmente difforme e contraria alla littera legis. Del resto, come si vedrà qui appresso, il principio, per il quale un conflitto di interessi, anche solo potenziale, vada prevenuto in via generale e astratta con un divieto, non appare conforme a quanto stabilito a livello europeo e italiano, sia in ambito legislativo sia in ambito giurisprudenziale, osservando a tal proposito che la novella in consultazione non raffigura nessuna regola di diligenza, correttezza o trasparenza, ma pone una interdizione assoluta. *** 2. I principi comunitari per la gestione dei conflitti di interessi: trasparenza e non divieto di operazioni o obbligo di astensione.
La disposizione in consultazione pare eccessiva, se non addirittura contraria, rispetto ai principi di fonte comunitaria (e poi nazionale di primo e secondo livello), posti a presidio delle situazioni conflittuali potenzialmente pregiudizievoli degli interessi del cliente assicurato. Punto di partenza di questa disamina è la constatazione che la Direttiva 2002/92/CE non prevede alcuna limitazione che sia antecedente logico o analogico rispetto all'obbligo di a- stensione/divieto di operazione. Se - come pare incontestabile e chiarito anche da codesto Istituto nella relazione accompagnatoria - il nuovo disposto si inserisce negli obblighi di diligenza, correttezza e trasparenza posti in capo ad (imprese e) intermediari nello svolgimento delle proprie attività, va osservato che la legislazione comunitaria prevede solamente oneri di comunicazione, informativa e trasparenza in favore del cliente-contraente, mentre non dispone alcun divieto in capo al soggetto suscettivo della vigilanza. Rispetto a quanto espressamente previsto dall'art. 12 della legge comunitaria, la medesima Direttiva chiarisce che gli stati membri possono adottare disposizioni più rigorose per quanto riguarda le esigenze in materia di informazione, se tali disposizioni sono conformi al diritto comunitario. Per altro verso, non va dimenticato che la direttiva sull'intermediazione assicurativa è volta all'armonizzazione tra le discipline dei vari Stati membri, ed è quindi proiettata all'eliminazione di quelle diversità non direttamente plasmate su principi di rango comunitario, al fine di garantire un'unica regolamentazione su tutto il territorio interessato. Come già rilevato, il d.lgs. 209/2005, in attuazione della direttiva 2002/92, inserisce l'art. 183, il quale, oltre a prevedere che imprese e intermediari debbano "comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza nei confronti dei contraenti e degli assicurati"(comma I lett. a), con precipuo riferimento ai conflitti di interesse prevede che i medesimi soggetti debbano "( ) in situazioni di conflitto, agire in modo da consentire agli assicurati la necessaria trasparenza sui possibili effetti sfavorevoli e comunque gestire i conflitti di interesse in modo da escludere che rechino loro pregiudizio" (comma I lett. c). Dunque, anche in questo caso, nella ricorrenza di conflitti di interesse, solo oneri di informativa e obblighi di trasparenza nei confronti del cliente, ma nessun divieto (ovvero obbligo di astensione) in capo all'operatore. Le disposizioni introdotte dal legislatore nazionale, ultronee rispetto a quanto stabilito e- spressamente dal legislatore comunitario, ne risultano tuttavia corretta applicazione, dal momento che estendono anche all'ambito dell'intermediazione assicurativa quelle regole che il legislatore europeo (e poi italiano, Authorities competenti incluse) ha stabilito nel contiguo ambito dell'intermediazione finanziaria e bancaria. Nello specifico, il Codice delle Assicurazio-
ni riprende la politica di gestione dei conflitti di interesse, così come disciplinata dalla direttiva ISD, trasfusa nel T.U.F., e poi innovata dalle Direttive I e II MiFID. È del tutto evidente il parallelismo tra art. 183 c.a.p. e art. 21 t.u.f. Quel che importa sottolineare è che le soluzioni adottate spaziano dalla imposizione agli intermediari di più o meno stringenti requisiti organizzativi alla fiducia verso meccanismi di trasparenza, tramite esplicitazione ai clienti delle situazioni di conflitto. Una strada che, invece, non è mai stata intrapresa è quella del divieto agli intermediari di prestare i propri servizi in presenza di situazioni di conflitto. Del resto, il medesimo art. 183 CAP non impone il divieto di operare in situazioni di conflitto, bensì di agire in modo da consentire agli assicurati la necessaria trasparenza, funzionale all'assunzione di scelte contrattuali consapevoli. In questo senso, d'altra parte, hanno operato anche le competenti Authorities, come dimostrato sia dal Regolamento Congiunto Consob-Banca d'italia sia dal Reg. 5 Isvap (cfr. art. 48): qualora l'intermediario si trovi in situazione di conflitto, deve adoperarsi nel senso di rendere il proprio cliente consapevole di detta situazione e degli eventuali o potenziali rischi in tal caso pendenti sul cliente. La c.d. disclosure è propriamente la modalità con cui l'intermediario deve adempiere agli obblighi di informativa (ossia, agli unici obblighi che la Direttiva 2002/92 e il d.lgs. 209/2005, nonché la normativa comunitaria in ambito finanziario, pongono in capo all'intermediario). Il legislatore ha preso atto, quindi, che le situazioni di potenziale conflitto non sono realisticamente evitabili, né si può per questo ostruire o inibire l'esercizio dell'attività intermediativa: qualora il conflitto sussista, gli intermediari devono operare in modo da non recare pregiudizio agli interessi dei contraenti (art. 48 Reg. 5 Isvap), dandone compita informativa (art. 50 Reg. 5). In ogni caso, adempiuti gli obblighi di trasparenza, non v'è alcun obbligo di astensione. Ed allora, la disposizione in consultazione appare essere in contrasto coi principi europei sulla gestione dei conflitti di interessi. *** 3. Criticabilità della disposizione regolamentare alla luce della nozione di conflitto di interessi: irragionevolezza e sproporzionatezza della presunzione assoluta. Oltre ad apparire contraria alla normativa primaria comunitaria e nazionale, nonché alle medesime previsioni contenute nel Regolamento n. 5, la disposizione in consultazione pare ec-
cessiva, rispetto ai limiti imposti al Regolatore dall'art. 191 commi II e III CAP, anche alla luce della definizione di conflitto di interessi. Invero, può dirsi che per "conflitto di interessi" vada intesa ogni situazione in cui un intermediario persegua o potrebbe perseguire, più o meno esplicitamente, una finalità diversa da quella del cliente e diversa da quella tipica insita nel sinallagma contrattuale. Per vero, un disallineamento tra gli interessi dell'intermediario e quelli del cliente deve considerarsi di per sé fisiologico, nel senso che non costituisce conflitto la mera contrapposizione delle finalità perseguite dai contraenti di un negozio giuridico a prestazioni corrispettive. Pertanto, il perseguimento e la titolarità di un interesse da parte dell'intermediario, per il solo fatto di non coincidere con quello del cliente, non è di per sé in contrasto con gli obiettivi e le utilità ricercate da quest'ultimo, e così non necessariamente viene a costituire una situazione di conflitto. La giurisprudenza ha poi stabilmente statuito che, perché si possa parlare di effettivo conflitto di interessi, debba sussistere un interesse concreto e attuale, contrario a quello del cliente, e per questi fattualmente pregiudizievole (Trib. Roma 20 marzo 2008; Trib. Palermo 24 novembre 2006; Trib. Torino 24 marzo 2006 e 16 febbraio 2006; Trib. Parma 3 marzo 2006; Trib. Roma 13 giugno 2005; Trib. Padova 6 aprile 2005). Per dirla in maniera sintetica, non sussiste conflitto di interessi senza danno per il cliente (Trib. Mantova 18 marzo 2004). La valutazione dell'esistenza di un danno effettivo., che compete al Giudice come all'autorità di Vigilanza, va però sempre fatta ex post sul caso concreto, ma non può essere mai fatta ex ante in via generale ed astratta. In questo senso depone anche l'art. 183 c.a.p., laddove impone ad imprese ed intermediari di "gestire i conflitti di interesse in modo da escludere che rechino pregiudizio" al cliente. Del resto, con l'innovazione portata a livello europeo dalle due direttive Mifid (2004/39 e 2006/73), non tutte le ipotesi di conflitto di interesse sono rilevanti, dal momento che il legislatore comunitario ha introdotto il principio del c.d. "detrimental conflict of interest", secondo cui è rilevante solo quel conflitto di interesse in grado di arrecare un danno al cliente. In questo modo, è evidente come non possa darsi aprioristicamente una situazione di conflitto di interesse, ma si debba valutare caso per caso innanzitutto l'effettiva esistenza di interessi concretamente in collisione tra di loro, e quindi l'ulteriore necessario requisito del pregiudizio reale che da tale collisione possa derivare al cliente. Sembra dunque impossibile e normativamente errato voler predeterminare in via astratta e generale una situazione di conflitto di interessi, per di più assumendo una soluzione - quella
del divieto di creazione della situazione - contrastante con tutti i principi che regolano i conflitti di interesse, tanto in ambito assicurativo quanto in ambito finanziario. Pertanto, non si può condividere l'impostazione, che, assumendo che nella maggior parte dei casi v'è un pregiudizio astratto per il cliente, ritiene doveroso imporre a tutti gli operatori di astenersi sempre e comunque nei casi di concomitanza tra il ruolo di intermediario e la posizione di beneficiario. Infatti, come spiega la giurisprudenza e come si evince dall'impianto della legge, il pregiudizio deve essere vagliato nel caso concreto, e deve essere attuale ed effettivo, non solo potenziale o teorico. Infatti, se non v'è un danno stimabile ed ingiusto per il cliente, l'intermediario non è sanzionabile, non solo dal punto di vista civilistico, ma neppure secondo il Regolamento 5 Isvap. Non basta assumere la posizione di dominio dell'intermediario, o la concreta possibilità che questi imponga un costo eccessivo a carico del cliente; ma, caso per caso, va verificata la sussistenza effettiva del pregiudizio. Del resto, non sono solo i costi a rilevare in sede di valutazione del pregiudizio; ma anche i benefici che il cliente trae dall'avere una copertura assicurativa immediata, verso la quale l'intermediario-beneficiario non può opporre alcuna eccezione, e la cui garanzia è anzi assodata dall'interesse che l'intermediario stesso pone nella migliore copertura possibile e nella sua totale operatività senza esclusioni cavillose o vessatorie. Natila Bonomi Zeweri Responsabile Gestione Intermediari e Normativa Distribuzione ITAS MUTUA