TRIBUNALE ORDINARIO DI AREZZO

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R. G. n. 1021/2016 REPUBBLICA ITALIANA TRIBUNALE ORDINARIO DI AREZZO SEZIONE CIVILE SOTTO SEZIONE LAVORO IN NOME DEL POPOLO ITALIANO DISPOSITIVO CON MOTIVAZIONE CONTESTUALE il Giudice del lavoro dr. Leonardo Pucci, pronunciando SENTENZA nella causa promossa da: AMEZQUITA CACERES CAROLINA INMACULADA con l avv. RANDELLINI ROBERTA CONTRO INPS - SEDE DI AREZZO con l Avv. CALZONE CARMINE visto l'art. 429 c.p.c., A) accoglie il ricorso e, per l effetto, condanna INPS a riconoscere la provvidenza di cui all art. 1 co. 125 L. 190/2014 in favore della ricorrente per la nascita del figlio Liam Lopez Amezquita con le decorrenze e gli interessi di Legge; B) condanna INPS al pagamento delle spese di lite, liquidate, comprensive di spese forfetarie, in complessivi euro 1.980,00 oltre IVA e CAP, con distrazione in favore del procuratore antistatario ove richiesta in atti. Arezzo, 09/11/2016. Il giudice dr. Leonardo Pucci

MOTIVAZIONE I. Parte ricorrente agisce in giudizio, con ricorso ai sensi dell art. 28 D.Lgs. 150/2011 per sentire dichiarare il suo diritto a ricevere da INPS la previdenza di cui all art. 1 co. 125 l. 190/2014. II. Sosteneva, infatti, la ricorrente che tale norma, nel limitare l erogazione del beneficio ai cittadini di Stati extracomunitari con permesso di soggiorno ai sensi dell'articolo 9 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, opererebbe una discriminazione basata sulla nazionalità e, come tale, alla luce della contrarietà con la normativa comunitaria e costituzionale, considerando l oggetto della prestazione assistenziale, la norma dovrebbe essere disapplicata, ovvero rimessa alla Corte Costituzionale, inoltre contrasterebbe con la situazione giuridica della ricorrente, in possesso di idoneo permesso di lungo periodo rilasciato però ai sensi di diversa normativa. III. Si costituiva INPS contestando in via di fatto e diritto la domanda, rilevando variamente l insussistenza e non allegazione e prova dei presupposti per godere della prestazione, la non discriminatorietà della normativa e del comportamento dell Istituto. Contesta in via preliminare il rito applicabile. 1. Per quanto concerne il rito, questo giudice ritiene che la vertenza debba essere trattata con l ordinario rito lavoro e ciò non tanto per ragioni di compatibilità della procedura sommaria di cui all art. 702 bis c.p.c. (cfr., Corte appello Reggio Calabria 01 marzo 2012: «Il procedimento sommario di cognizione, quale disciplinato dagli art. 702-bis e ss. c.p.c. non è adottabile per le cause che sono assoggettate ad un rito a cognizione piena diverso e alternativo rispetto a quello ordinario quale quello delle cause di lavoro o locatizie»; ancora, Corte appello Lecce 16 marzo 2011: «Il procedimento sommario di cognizione di cui agli art. 702 e ss. c.p.c. non può essere esteso alle controversie in materia di lavoro e locazione»), rispetto alla quale la dizione dell art. 28 D.Lgs. 150/2011 è chiaro nel prevedere la competenza al Tribunale senza alcuna distinzione (cfr., Tribunale Roma sez. lav. 21 giugno 2012: «L'art. 28 d.lg. 1 settembre 2011 n. 150 - che disciplina il procedimento antidiscriminatorio - non contiene alcuna espressa indicazione in ordine a una riserva di competenza in favore del giudice civile ordinario, per

cui devono essere decise dal giudice del lavoro le controversie in materia di discriminazione che rientrano nelle previsioni dell'art. 409 c.p.c. (nel caso di specie, ove la diversa competenza funzionale avrebbe comportato anche una diversa competenza territoriale, il Tribunale ha rigettato l'eccezione d'incompetenza del giudice del lavoro avanzata dalla resistente, in quanto l'oggetto della controversia era relativo alla mancata assunzione di lavoratori subordinati)»), quanto piuttosto perché la discriminazione allegata, a parte il fatto che non sembra da ricondurre alle ipotesi per le quali la normativa richiamata dispone il rito sommario (infatti, nel caso di specie non si tratta di discriminazione per nazionalità in senso stretto, tenendo conto che quest ultima richiede che la discriminazione derivi direttamente dal concetto appunto di provenienza geografica del singolo soggetto, mentre nel caso di specie l elemento contestato attiene alla richiesta di un requisito specifico richiesto dalla norma, incidente sulla radicalizzazione sul territorio, che giustificherebbe il riconoscimento del beneficio), è solo la motivazione subordinata alla domanda che, in via principale si fonda sulla titolarità in capo alla ricorrente delle condizioni di Legge per godere della previdenza. 2. Con riferimento al merito della questione, la domanda della parte ricorrente pare meritevole di accoglimento proprio sotto quest ultimo aspetto. In via pregiudiziale non possono essere condivise le censure di INPS incentrate sulle carenze probatorie (e prima ancora di allegazione). Infatti nel corpo dell atto si rappresenta la nascita di un figlio (peraltro indicata nel 16 aprile 2016) e la dimostrazione della effettività di tale nascita, della presenza del minore nel nucleo familiare della ricorrente, delle decorrenze del permesso di soggiorno, sono tutte allegazioni che risultano documentalmente dimostrate in atti tanto dal certificato ISEE aggiornato (dove vi è la presenza del minore Liam, con codice fiscale all interno del nucleo familiare della ricorrente, doc. 4, fasc. ricorrente), dal permesso di soggiorno (doc. 2, fasc. ricorrente) che ovviamente risponde ai canoni legali.

3. Nel merito della pretesa, la ricorrente risulta essere cittadina extracomunitaria, soggiornante legalmente in Italia con permesso di soggiorno ai sensi dell art. 10 del D.Lgs. 30/2007. Tale norma, disciplinante gli status dei cittadini dell Unione prevede al co. 1 che «I familiari del cittadino dell'unione non aventi la cittadinanza di uno Stato membro, di cui all'articolo 2, trascorsi tre mesi dall'ingresso nel territorio nazionale, richiedono alla questura competente per territorio di residenza la Carta di soggiorno di familiare di un cittadino dell'unione, redatta su modello conforme a quello stabilito con decreto del Ministro dell'interno da emanarsi entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del presente decreto legislativo. Fino alla data di entrata in vigore del predetto decreto, è rilasciato il titolo di soggiorno previsto dalla normativa vigente alla data di entrata in vigore del presente decreto». All art. 23 poi, estende la normativa anche alla generalità degli altri soggetti non cittadini italiani, ove più favorevole. Dunque la ricorrente, essendo madre di cittadina italiana (circostanza documentata doc. 2 cit. e doc. 5, fasc. ricorrente), ha potuto avvantaggiarsi della disposizione sopra detta, per ottenere un permesso di soggiorno che, non solo è del tutto equipollente a quello previsto dall art. 9 del D.Lgs. 286/1998, ma addirittura è quello previsto per i cittadini comunitari. Da ciò ne consegue che, proprio per la disciplina di favore, la stessa è titolare di un permesso che, giuridicamente, la equipara ad un cittadino dell Unione e dunque a soggetto che ai sensi del citato art. 1 co. 125 della L. 190/2014 ha diritto alla prestazione («Al fine di incentivare la natalità e contribuire alle spese per il suo sostegno, per ogni figlio nato o adottato tra il 1º gennaio 2015 e il 31 dicembre 2017 è riconosciuto un assegno di importo pari a 960 euro annui erogato mensilmente a decorrere dal mese di nascita o adozione. L'assegno, che non concorre alla formazione del reddito complessivo di cui all'articolo 8 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni, è corrisposto fino al compimento del terzo anno di eta' ovvero del terzo anno di ingresso nel nucleo familiare a seguito dell'adozione, per i figli di cittadini italiani o di uno Stato membro dell'unione europea o di cittadini di Stati extracomunitari con permesso di soggiorno di cui all'articolo 9 del testo unico

delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, e successive modificazioni»). 4. In definitiva, non solo e non tanto vi è una diretta equipollenza tra i due tipi di permesso di soggiorno, ma quello concesso alla ricorrente è addirittura, ai fini che interessano in questa sede, maggiormente tutelante, tanto che è stato applicato (al posto di quello previsto dal D.Lgs. 286/1998) come trattamento più favorevole e sarebbe irragionevole farne discendere svantaggi evidenti. Le domande possono essere allora accolte e INPS deve essere condannata a riconoscere e pagare la provvidenza richiesta, con interessi dalla domanda amministrativa. 5. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo. Arezzo, 09/11/2016 Il giudice dr. Leonardo Pucci