Presentazione all edizione italiana (Andrea Canevaro)



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Presentazione all edizione italiana (Andrea Canevaro) Il nome di Svetlana Broz Il nome di Svetlana Broz può fare reagire qualche interlocutore non per quello che Svetlana Broz sta vivendo e facendo, ma per il legame con il nonno, il Maresciallo Tito, che è stato una delle figure più interessanti e importanti di un periodo storico controverso e drammatico, con pagine oscure (le foibe, in particolare) recentemente ricordate e anche «utilizzate», nel nostro Paese, per rivedere equilibri e responsabilità collaterali, ma anche carico di speranze. È così capitato che, all annuncio che i bambini e le bambine del Villaggio Italo-Svizzero (CEIS) di Rimini le avrebbero consegnato la Bussola dell Educazione, qualcuno, dopo aver chiesto di che cosa si occupasse, sapendo che si trattava della nipote di Tito, abbia sollevato dubbi sull opportunità che proprio dei bambini entrassero in contatto con chi era in qualche modo parte di una storia drammatica. E in ogni dramma vi sono persecutori e vittime. Svetlana Broz faceva parte riteneva l interlocutore in qualche modo dei persecutori. Il 26 aprile 2007, alle 2 del pomeriggio, è stata consegnata a Svetlana Broz la Bussola dell Educazione da parte dei bambini del Centro Educativo (Villaggio) Italo-Svizzero di Rimini. La motivazione diceva: Chi cresce deve poter sapere che l odio ha molto ucciso. Che ci sono state guerre e uccisioni insensate,

10 I giusti nel tempo del male campi di sterminio e foibe e che la nostra Terra, continenti e mari sono un cimitero terribile; che la morte è stata provocata dall insensatezza, dalla sete di dominio, e da tanti che hanno preferito voltarsi dall altra parte, far finta di niente. Ma chi cresce deve sapere che ci sono persone come te, Svetlana Broz, che hanno cercato chi ha fatto prevalere il coraggio di riconoscere che l altro, quale sia la sua religione, la sua cultura, la sua storia, è uno come noi, da aiutare perché anche noi abbiamo bisogno di essere aiutati. Nelle guerre, hai cercato di trovare chi faceva le paci, chi aveva il coraggio di non combattere contro il proprio vicino. Ci puoi insegnare le memorie delle paci. Bisogna saperle cercare, con tenacia, e sapendo andare oltre la menzogna che vuole che nelle guerre ci siano solo guerre. Tu lo stai facendo con ostinata pazienza. I bambini, le bambine, le insegnanti, alcune studentesse universitarie e altri avevano passato la mattinata in dialogo con Svetlana Broz. E si erano resi conto della sua proposta. Certamente era (lo è tuttora) di enorme importanza per l area geografica e culturale balcanica, che evoca una storia recente e passata di guerre, uccisioni di massa, catene di vendette. Svetlana ha proprio letto la pace e i gesti di coraggio civile nelle guerre. Ha saputo diventare il punto di riferimento di chi ha vinto il pregiudizio attraverso un gesto, anche apparentemente piccolo, di coraggio civile. I bambini e le bambine hanno capito bene che ciò che dice e testimonia Svetlana Broz non ha un valore circoscritto a un area geografica e alla sua storia. Ha un valore per tutti. Perché ciò che è accaduto in forme drammatiche e anche tragiche in un luogo risponde a una logica in cui il mondo sembra immerso. Le guerre sono la drammatizzazione agita più intensamente di ciò che viviamo, ogni giorno, in quella che chiamiamo pace, e che sembra dominata dal pregiudizio. Svetlana Broz dimostra che il pregiudizio è diffuso come una malattia endemica estesa al mondo intero.

Presentazione all edizione italiana 11 E dimostra anche che non è invincibile e che qualcuno, anzi molti, stanno reagendo positivamente. Il nome di Svetlana Broz, che suscita pregiudizio in alcuni, per quei bambini e quelle bambine è diventato il simbolo di come rompere con il pregiudizio. La rottura del pregiudizio è coraggio civile. Coraggio civile Il cuore è alle radici etimologiche di «coraggio». E la cittadinanza, l essere cittadino, a quelle di «civile». Forse non è un caso che i bambini e le bambine del Villaggio Italo-Svizzero di Rimini, nel 2005, abbiano consegnato la Bussola dell Educazione a Luigi Ciotti, che è l espressione della cittadinanza attiva. Il nome di Don Ciotti, presidente di «Libera», l associazione delle associazioni per la lotta e la liberazione dalle mafie, è collegato alla legge, nata dall iniziativa popolare, che permette di convertire i beni delle mafie in occasioni di riscatto. Sono nate cooperative di produzione nelle terre liberate. E tutto questo è frutto della cittadinanza attiva, e non inerte, di tanti. Il potersi dire cives era un segno di appartenenza riservato ad alcuni. E anche in epoca odierna, il diritto di cittadinanza non è un fatto scontato. Vorremmo che l espressione coraggio civile diventasse il modo per sentirsi moralmente cittadini, avendo aderito a una prospettiva che si sforza di trovare nella storia non solo pregiudizio e vendetta. Noam Chomsky (2007) ci ricorda che la Germania negli anni intorno al 1930 era il paese più avanzato d Europa e primeggiava nelle arti, nelle scienze, nella letteratura, nella filosofia. In poco tempo, è diventato un paese carico di morte. E questo è accaduto distillando paura: paura dei bolscevichi, degli americani, degli zingari, e poi degli ebrei. La Germania, proclamava Martin Heidegger nel 1935, era erede diretta della civiltà greca. E in nome di tale posizione, poteva giudicare (pregiudicare) le differenze. Non dovrebbe essere necessario che un intellettuale celebre ci ricordi questo. Ma uno degli effetti della dinamica del pregiudizio e della vendetta è la falsificazione della memoria. Impariamo a dimenticare, a ricordare in termini unicamente di contrapposizione, di rinforzo allo schema amici/nemici e alla

12 I giusti nel tempo del male voglia di distruzione dell avversario, con ragioni motivate proprio dalla storia falsificata. La storia del pregiudizio è radicata nella dinamica del dominio. Questa è una chiave di lettura della realtà che può permetterci di capire ciò che ci circonda. Non è l unica chiave di lettura, ma è potente. L ansia di dominio è presente nel mondo scientifico come in quello sportivo e passa nel mondo degli affari, del commercio, dell arte, del tempo libero, del turismo Va ben oltre la competitività, che potrebbe essere ed è sana. Ma deformata dall ansia di dominio va ben oltre la rivalità relativa a un risultato, e porta a desiderare la distruzione, con ogni mezzo, del rivale, che diventa nemico. Di qui diffamazioni, utilizzo di indicazioni di appartenenza come epiteto ingiurioso, ecc. La deformazione della verità per trasformare il rivale in avversario da disprezzare e distruggere è costante. Chi ha perso deve vendicarsi, anche se non ha capito neanche bene chi ha vinto. Deve inventarsi un avversario da battere per riscattarsi. La vendetta, etimologicamente, richiamerebbe il riscatto, e quindi la fine di una violenza subita. Ma non è così. Il riscatto del coraggio civile rompe con la catena delle vendette. È un vero riscatto. L ansia di dominio giustifica tutto. A volte abbiamo l impressione che certi personaggi delle competizioni sportive, vincitori con aiuti chimici, siano gettati in pasto al grande pubblico dai media, e così permettano che, in zone protette dallo sguardo, tanti utilizzino modi che contrastano anche con la loro appartenenza e si sentano giustificati nei loro comportamenti contraddittori dalla forza vincente che possono dare. Così, persone che proclamano di difendere grandi ideali, e in nome di quelli vogliono sconfiggere gli avversari, pensano che sia «naturale» servirsi di mezzi che sarebbero del tutto in contrasto con quei grandi valori che devono far vincere. Tutto diventa «naturale» e giustificato dall ansia di dominio, dalla maldicenza alla corruzione alla droga. Nasconde un altra storia, e fa credere a chi cresce che sia naturale vivere continuando la storia del pregiudizio. Non cultura, ma natura. E quindi invincibile. Il pregiudizio radicato può piegare le volontà, indurre comportamenti, condizionare decisioni. Può vivere di piccole vicende quotidiane. E scatenarsi all improvviso, in modi che sembreranno agli osservatori superficiali come imprevisti e quindi simili a un improvvisa follia. Si poteva forse prevedere che le azioni scomposte delle tifoserie degli stadi di calcio diventassero, con la benzina del commercio di armi, guerre balcaniche?

Presentazione all edizione italiana 13 Il coraggio civile è il contrario del percorso della vendetta Hannah Arendt (1999), ripresa da Luc Boltanski (2000), suggerisce uno schema interpretativo che polarizza la politica della pietà e quella della giustizia. Ogni polarizzazione ha il merito di chiarire per schemi qualcosa che nella realtà di ogni giorno è confuso, e quindi può ingannarci. Certamente vi sono molti che si sentono coinvolti dalla pietà, e ritengono in profonda buona fede di agire per la giustizia. Ma la polarizzazione schematica può servirci a chiarire aspetti poco visibili perché indotti. Dobbiamo anche dire che il termine «politica» può sorprendere e allontanare chi sente in questa parola un riferimento a chi è impegnato in ruoli specifici. Qualcuno può pensare che il termine non lo riguardi, considerandosi sostanzialmente impolitico e lontano dalla politica. I due autori citati però si riferiscono proprio a queste persone, che sono molte: sono politiche anche e proprio perché si considerano impolitiche. Le implicazioni latenti di una politica della pietà, se portate in primo piano, ci indicano il ruolo da protagonista che gioca l osservazione, in molti casi, dell infelicità. E questo sembra riempire un impegno morale di condivisione. Ma, pur con le migliori intenzioni individuali, in realtà consolida la divisione del mondo in due schiere molto semplicemente legate alla sorte: i fortunati e gli sfortunati. L infelice è vittima della sorte. La sorte e la fortuna, o sfortuna, dominano il mondo di chi osserva. Una delle note dominanti è che la vita sia rappresentabile come un grande gioco d azzardo continuo. Bisogna azzardare, giocando, e sperare di essere fortunati. Il rischio è accettato in questa logica, e fa sembrare coraggioso chi lo corre. È il trionfo del pensiero magico: avere la faccia giusta, con l abito giusto, al momento giusto, può fare la fortuna. È un estrazione a sorte. E quello che fa funzionare la credenza in questo modo di vivere è la moltiplicazione continua delle occasioni; quando non sono già organizzate, si possono organizzare. Si va dalle gare clandestine, all infrazione compiuta fuori dallo sguardo di chi può sanzionarla, alla credenza che il successo scolastico sia dovuto al tal tipo di indumento, che porta fortuna. L osservazione dell infelicità rinforza l idea che non il merito ma la buona sorte permetta di conquistare un posto fra chi è felice. E questo nonostante, e forse con l aiuto contorto, dei predicatori della meritocrazia. Proprio perché

14 I giusti nel tempo del male predicano, rinforzano i ruoli di spettatori e osservatori di tanti. Perché un corollario importante è il seguente: l intensità dell esposizione mediatica della sofferenza, invece di trasformare la pietà in giustizia, intensifica in ciascuno di noi il ruolo di spettatore, disimpegnando dall essere attore. Svetlana Broz ci presenta un popolo di attori e non di spettatori. Agiscono il coraggio civile (politica della giustizia). Mettendo in luce quest altra storia, ci aiuta a capire che esiste. E faremmo un torto a Svetlana Broz se la collocassimo in un perimetro ristretto (le guerre balcaniche), senza capire che in una situazione storica si producono con un evidenza tragica le stesse realtà di una quotidianità che chiamiamo «in tempo di pace». I gesti di coraggio civile non sono da guerrieri. Se non fossero sullo sfondo di una guerra, che li rende più eroici, li potremmo ugualmente proporre in qualsiasi contesto, anche in quello in cui viviamo le nostre giornate più o meno apparentemente tranquille. Ma quest affermazione non è vera del tutto, ovvero è una verità paradossale. Perché, se vediamo le componenti di un gesto di coraggio civile, capiamo che l elemento contestuale è importante. Un gesto di coraggio civile si inserisce in una relazione specifica, con uno o più individui specifici. Ed è evidente che il contesto è altrettanto specifico, e non può essere generico o astratto. Anche perché il gesto deve mettere insieme due elementi che sono misurabili unicamente facendo riferimento al contesto: deve essere fattibile, e deve essere efficace. La fattibilità è relativa alla compatibilità del gesto con la propria funzione, il ruolo che si occupa; deve «tener conto dei vincoli che pesano su colui che porta soccorso» (Boltanski, 2000, p. 12). Diversamente, il gesto può trasformarsi in «ultimo gesto» oppure diventare espressione di coraggio inutile. L efficacia è legata alla possibilità di modificare realmente l andamento di una vicenda, rompendo la fatalità di un destino segnato. Svetlana Broz ha il grande, straordinario merito di metterci in relazione con gesti di coraggio civile. Lo fa con l intenzione esplicita di contagiare, ovvero di trasmettere un modo di ribellarci alla nostra collocazione di spettatori. E questo ci interroga. Avendo utilizzato una polarizzazione schematica e avendo dichiarato che ogni schema chiarisce forzando intenzioni e realtà, possiamo farci delle domande, senza che queste diventino aggressioni alle intenzioni. Ad esempio: versare una somma per un adozione a distanza, o indicare una scelta del «cinque per mille» ci colloca più verso la schiera degli

Presentazione all edizione italiana 15 spettatori dell infelicità, o ci permette di essere un po attori in un azione di giustizia? Le risposte a queste e a molte altre domande sono individuali e non costituiscono un referendum per stabilire una decisione assunta una volta per tutte. Servono a ragionare e speriamo a educarci e educare verso la logica che il coraggio civile promuove. Il coraggio e la paura Il coraggio richiama il cuore: un «cuor di leone». Anche la paura: fa battere il cuore. Possiamo dire che il coraggio civile fa sì che il batticuore (la paura) diventi una molla per avere coraggio. Immaginiamo che il soggetto di un gesto di coraggio civile pensi: «Ho paura che questo individuo che mi sta di fronte faccia una brutta fine». Naturalmente ha paura anche lui, o lei. Questa paura è condivisa. Ma non ha la distanza dello spettatore. Vive la prossimalità più semplice e primordiale, quella dello stesso contesto fisico. Può decidere: o ritirarsi in un ruolo di spettatore, e quindi prendere le distanze protette da un ruolo, da una funzione; o scoprire quello spazio, nel ruolo, nella funzione, che permette l azione di aiuto. È una decisione nell istante. Ma ogni istante è frutto di una «chimica» che chiamiamo educazione (educarsi/educare). Possiamo avvicinarci all apprendimento con quest ottica. E riflettere sulla possibilità di collegare il buon apprendimento con la proposta di Svetlana Broz, cioè la proposta del coraggio civile. Il buon apprendimento non è solo e sempre aver imparato una lezione. È soprattutto aver imparato a imparare. Una certa interpretazione dell apprendimento (Boimare, 2005) ci dice che per apprendere sono necessarie tre avvertenze: avere a che fare con le mancanze sottomettersi alle regole confrontarsi con l incertezza. Questo significa accettare che apprendiamo perché non sappiamo (abbiamo delle mancanze); che le conoscenze si presentano seguendo un loro profilo coordinato (le regole derivano da loro, e non sono imposte da noi: come il legno suggerisce al falegname il suo impiego); che la strada

16 I giusti nel tempo del male dell apprendimento va percorsa, e non siamo già sicuri di essere arrivati (l incertezza). Apprendere è essere attori e non spettatori. C è da domandarsi, nell educazione formale scolastica e informale, quanto venga considerato attore, ovvero soggetto attivo, chi apprende. E quanto chi apprende non sia convinto di essere nel ruolo passivo di spettatore, a tal punto da considerare questa dimensione come corretta e naturale, e quella attiva (di attore) come trasgressiva e rischiosa. Quanta didattica si svolge consolidando questa convinzione? La paura di apprendere può trasformarsi in coraggio civile. Possiamo anche dire che apprendimento è coraggio civile. Ma lo diciamo nella convinzione che sia fondamentale proporre e proporci l apprendimento non come compito chiuso nelle procedure scolastiche, ma come stile di vita. E questo salda il nostro argomentare al lavoro di Svetlana Broz, e lo propone a chi ha qualche responsabilità nell educazione (educarsi/educare) e nell insegnamento/apprendimento. Rende anche evidente che c è una logica non casuale nel fatto che i bambini e le bambine del Villaggio Italo-Svizzero un luogo attuale dell educazione attiva le abbiano consegnato la Bussola dell Educazione. Il Centro Educativo Italo-Svizzero è nato nell immediato dopoguerra nel 1946 a seguito della richiesta di aiuto inviata dagli amministratori riminesi al «Soccorso Operaio Svizzero». In seguito alla richiesta di aiuto si decise di creare un Centro Sociale, un centro di assistenza per i feriti, i senzatetto e una scuola materna. A organizzare i lavori fu la prima Direttrice del CEIS, Margherita Zoebeli, che è stata un educatrice attiva convinta e capace. Il CEIS si è sempre impegnato fin dall inizio a realizzare una politica dell educazione attiva che facesse valere i diritti di tutti, grandi e piccini, disabili e non, ricchi e poveri. Il contesto giusto per accogliere Svetlana Broz. * * * Nella primavera del 2008 è apparsa in Italia la traduzione del libro L eff etto Lucifero. Cattivi si diventa? di Philp Zimbardo. Risale al 1975 invece la traduzione del libro di Stanley Milgran (1975), che realizzò un originale ricerca sperimentale condotta presso il dipartimento di psicologia

Presentazione all edizione italiana 17 dell Università di Yale, dal 1960 al 1963. I due studiosi sono accomunati per le problematiche delle loro ricerche. Zimbardo ha impiegato molti anni prima di realizzare il libro che abbiamo citato. Si è deciso dopo le vicende dei soldati statunitensi in Iraq. Giovani del tutto normali si sono resi responsabili di fatti atroci, sevizie a prigionieri, con tanto di esibizione fotografica delle imprese. Zimbardo ha logicamente ripensato alla sua ricerca, che si è svolta presso l Università di Stanford nell agosto del 1971. Il fatto che per tanti anni il suo autore non abbia scritto nulla di ciò che era accaduto, e che per altro aveva documentato in una sorta di diario scientifico, un lungo silenzio, testimonia del coinvolgimento emotivo che Zimbardo aveva vissuto. La ricerca di Milgran aveva avuto un grande successo mediatico, tanto che molti la conoscono senza aver letto il suo testo. Milgran aveva selezionato, fra la popolazione studentesca, seguendo i criteri selettivi della più semplice normalità di tipologia umana, un certo numero di soggetti, invitati a collaborare a una ricerca scientifica. La ricerca esigeva che ciascun soggetto-collaboratore sottoponesse a un questionario una persona collocata in una cabina di vetro. Se quest ultimo non forniva la risposta giusta, il soggetto-collaboratore doveva sottoporlo a una scarica elettrica via via più intensa. La «cavia umana» era un attore ma i soggetti-collaboratori lo ignoravano e simulava di svenire e di star molto male per l intensità delle scariche. Con sorpresa, Milgran scoprì che una vasta maggioranza dei soggetticollaboratori eseguiva la richiesta fino alle conseguenze più drammatiche, senza provare alcun contrasto visibile fra ciò che viveva in prima persona e il senso a lui sconosciuto della sperimentazione. Si sentiva completamente deresponsabilizzato, facendo parte di una categoria di esecutori che dovevano, appunto, unicamente eseguire. Zimbardo fece qualcosa di simile in un altro contesto simulato. In questo caso i soggetti-collaboratori erano a conoscenza della simulazione ed erano stati scelti con lo stesso criterio di Milgran nella popolazione universitaria di Yale. La richiesta era di collaborare alla simulazione di un ambiente carcerario. I soggetti-collaboratori venivano suddivisi in due gruppi: i detenuti e i guardiani. Tutti erano al corrente, ovviamente, che si trattava di una simulazione. Zimbardo aveva ottenuto che l università mettesse a disposi-

18 I giusti nel tempo del male zione un ambiente che era stato trasformato in carcere, sia pure fittizio, ma con una messa in scena realistica e precisa. Zimbardo sospese l esperimento, ritenendo pericolosa la situazione che si era creata, perché una situazione simulata aveva dato luogo a reali comportamenti crudeli e persecutori. Lo studioso ne ha derivato una riflessione molto interessante sull appartenenza: dal momento che un soggetto si sente di vivere l appartenenza con un ruolo, vive sentendosi autorizzato a rispondere alle aspettative sociali che quel ruolo comporta. Il libro di Svetlana Broz aiuta a non ritenere le ricerche di Milgran e di Zimbardo come un destino inevitabile. Ricordiamo Lorenzo Milani. In educazione, soprattutto se desideriamo che sia buona educazione, obbedienza deve coniugarsi con coscienza. Diversamente, si impone la disubbidienza, che Svetlana Broz riformula in coraggio civile. * * * Nelle pagine che seguono vengono riportati gli stralci più significativi dell incontro che Svetlana Broz ha tenuto con i bambini e gli insegnanti del CEIS e con gli studenti universitari. Riferimenti bibliografici Arendt H. (1999), Sulla rivoluzione, Torino, Edizioni di Comunità [1963]. Beccaria Rolfi L. e Bruzzone A.M. (1978), Le donne di Ravenbrück. Testimonianze di deportate politiche italiane, Torino, Einaudi. Boimare S. (2005), Il bambino e la paura di apprendere, Roma, Edizioni Magi [1999]. Boltanski L. (2000), Lo spettacolo del dolore. Morale umanitaria, media e politica, Milano, Raffaello Cortina [1963]. Chomsky N. (2007), Le lavage de cerveaux en liberté, «Le Monde diplomatique», agosto, Parigi. Milani L. (1968), L obbedienza non è più una virtù, Firenze, Libreria Editrice Fiorentina. Milgran S. (1975), Obbedienza all autorità. Il celebre esperimento di Yale sul confl itto tra disciplina e coscienza, Milano, Bompiani [1974]. Zimbardo P. (2008), L effetto Lucifero. Cattivi si diventa?, Milano, Raffaello Cortina [2007].

Presentazione all edizione italiana 19 Svetlana Broz Visita al CEIS, 26 aprile 2007 Svetlana: Buongiorno a tutti. Vi ringrazio di avermi invitato. Sono Svetlana Broz, di professione sono medico cardiologo, però da nove anni mi occupo dell educazione, della formazione dei giovani, soprattutto per quanto riguarda la cittadinanza. Lavoro con giovani che hanno dai 15 ai 20 anni. In questi ultimi due anni ho cominciato a lavorare anche con i ragazzi più giovani. Sono molto contenta di essere oggi qui nella vostra scuola. I vostri insegnanti poco fa mi hanno spiegato come funziona la vostra scuola. Ho visto anche i ragazzi più piccoli di voi, di prima, seconda e terza e ho visto che studiate tutti insieme. Non so quanto sapete voi della Bosnia-Erzegovina, il paese dal quale vengo, che sta dall altra parte del mare. Ci divide soltanto il mare. Io vengo da un paese dove solo 12 anni fa è terminata una guerra molto brutta, e in quella guerra sono morti anche tanti bambini, come succede in tutte le guerre; i bambini sono sempre i più colpiti. Il vostro Paese, l Italia, ha fatto molto per aiutare i bambini della Bosnia. L Italia è stata l unica che fin dall inizio della guerra ha aperto le porte ai bambini bosniaci anche senza documenti; e questo è stato molto importante perché i bambini hanno sempre bisogno d aiuto: farli arrivare senza problemi è stata una grande cosa. Vorrei trasmettervi l amore che ho per l Italia, ringraziare il vostro Paese per quello che ha fatto durante la guerra in Bosnia. Molti bambini, quando è cominciata la guerra, sono venuti qui, hanno frequentato le vostre scuole, sono cresciuti e sono tornati. Siete molto fortunati a vivere in un Paese come l Italia, e a frequentare una scuola come questa, molto calda e molto accogliente. Dovete sfruttare questa opportunità, fare amicizie, studiare; solo se crescete e imparate a rispettare gli altri, gli amici che sono con voi, potete diventare delle grandi persone un giorno. Io lavoro con i ragazzi e gli insegnanti su come devono affrontare, combattere, ogni autorità negativa. Voi sapete cosa vuol dire «autorità»? Bambino: Qualcuno che comanda e che tiene l ordine? Svetlana: È una possibilità. Bambino: Chi ha molto potere e cerca di esercitarlo? Svetlana: Anche. Bambino: Un presidente, un capo.

20 I giusti nel tempo del male Bambino: Una persona autonoma, che sa come gestire le cose. Svetlana: Bella risposta. Questa è una definizione positiva. Bambino: Per me, un autorità è una persona che comanda un popolo, una persona da rispettare. Svetlana: Grazie, vedo che sapete molto. Avete dato definizioni molto variopinte, ma che possono aiutare a comprendere quello che faccio. Esistono autorità positive, come i vostri genitori, gli insegnanti, coloro che lavorano per il vostro bene, mentre le autorità negative non hanno questa funzione: molte persone usano il loro potere per comandare gli altri, e noi tutti, fin da bambini, dovremmo imparare a confrontarci con le persone che hanno questa autorità negativa; dobbiamo essere consapevoli che possiamo farlo, fin da quando siamo piccoli. Voi potete fare delle esperienze, qui tra voi, dovete, potete contrastare l autorità negativa. Vi faccio un esempio: se qualcuno tra di voi a cui non piacciono i capelli di questa ragazza [indica una bambina seduta di fianco a lei] può prenderla in giro, sta a tutti voi decidere come affrontare questa cosa. È più facile prenderla in giro o difenderla? Bambino: Prenderla in giro, anche se è più giusto difenderla. Svetlana: Ti ringrazio per la risposta, perché è proprio quello di cui voglio parlare, il coraggio delle persone. Questo coraggio civile è il coraggio delle persone di contrastare l autorità negativa. Solo i liberi cittadini possono avere questo coraggio e a quanto ho potuto vedere in questa scuola voi cercate di diventare delle persone libere, che possono dire quello che pensano, dire la propria opinione a voce alta. Imparate a conservare questi valori, perché saranno importanti un giorno, quando uscirete da questa scuola. Un giorno affronterete delle situazioni molto più complesse di quelle dell esempio che abbiamo fatto prima della vostra amica e della sua capigliatura; saranno delle situazioni molto più delicate, e quindi è importante che voi conserviate questo valore di libertà e la capacità di parlare contro le cose che non vi vanno bene. Un giorno, quando sarete grandi, quando avrete un lavoro, incontrerete delle situazioni in cui probabilmente non potrete dire sempre quello che pensate, ci sarà qualche autorità negativa a punirvi, se non la pensate come lei pensa. Allora bisognerà vedere se avrete il coraggio di dire quello che pensate, quando saprete che potreste essere puniti.

Presentazione all edizione italiana 21 Svetlana: Durante la guerra in Bosnia, ci sono state delle persone che si sono opposte a certe brutalità e non hanno voluto accettare alcune decisioni. Ci sono state persone che hanno rischiato la loro vita, solo per dimostrare il loro coraggio e opporsi a certe ingiustizie. Noi in Bosnia le chiamiamo «i giusti»; sono delle persone che possiamo considerare nostri maestri, perché ci possono insegnare tanto su come esprimere il nostro coraggio civile. Qui, nella vostra società, avete mai avuto modo di esprimere il vostro coraggio per qualcosa? Bambino: Io ho avuto il coraggio di dire una cosa a una persona, con la quale non ero d accordo. Svetlana: Hai ricevuto una bacchettata sulle dita? Bambino: No. Bambino: Mi ricordo un giorno in cui stavo giocando; è arrivato un bambino che voleva giocare con noi, e un altro gli ha risposto che non poteva giocare. Allora io ho detto che se non giocava lui, non giocavo neanch io. Bambino: Una volta prendevano in giro un mio amico e io l ho aiutato dicendo che queste cose non vanno dette. Però alla fine l ho ricevuta la bacchettata. Svetlana: Ti penti di quello che hai fatto? Lo faresti di nuovo, difenderesti il tuo amico? Bambino: Sì. Svetlana: Se voi già adesso imparate a combattere contro le piccole ingiustizie, saprete poi combattere contro quelle più grandi. Così riusciamo anche a costruire un mondo migliore nel quale vivere. Avete qualche domanda da farmi? * * * Bambino: Perché ha intitolato il suo libro I giusti nel tempo del male? Svetlana: È una bella cosa che sappiate del libro, anche se non è ancora stato pubblicato in Italia. Si tratta di un libro nel quale ci sono delle testimonianze delle persone che sono sopravvissute a questa guerra. Sono testimonianze di persone che descrivono altre persone che le hanno aiutate durante la guerra, persone che hanno rischiato la vita per aiutare qualcuno. Sono degli uomini giusti questi, vero? Quindi nel libro ci sono le testimonianze di uomini giusti in un periodo di guerra, in un periodo di male.

22 I giusti nel tempo del male Bambino: Mentre scriveva le pagine del suo libro cosa provava? Svetlana: È una domanda molto seria, a cui è difficile rispondere. Ogni volta che parlavo con quelle persone, le registravo sulle audiocassette, facevo delle interviste, loro raccontavano sempre della guerra, di tutto quello che avevano passato durante la guerra; e in mezzo a tutto questo, mi raccontavano di una persona buona, che li aveva aiutati. Mentre ascoltavo ero scioccata dalla brutalità della guerra e quando sentivo di questa persona buona che aiutava, solo allora potevo mettermi a piangere. Era un sentimento molto contrastante che andava dal terrore per quello che succedeva in guerra fino all amore per questa persona buona. Ogni volta che qualcuno legge il mio libro ad alta voce, o lo leggo io stessa, mi viene da piangere. Dopo 14 anni provo le stesse emozioni che provavo quando l ho scritto. Bambino: Come ha trovato fisicamente e psicologicamente le persone che ha intervistato? Svetlana: Ogni persona è diversa, è un caso a sé, anche a livello psicologico siamo tutti diversi, ma queste persone avevano in comune la voglia di lasciare una testimonianza, soprattutto per i giovani come voi, per quando si troveranno, se si troveranno, un giorno davanti al male, davanti all ingiustizia. Come si dovranno comportare? Gireranno la testa oppure cercheranno di affrontare l ingiustizia? Bambino: Le persone che ha intervistato erano civili o militari? Svetlana: Ho deciso di raccogliere le testimonianze dei civili. I civili sono sempre le vittime più colpite durante una guerra, perché vivono in un territorio che spesso è in mezzo tra gli eserciti. Ho intervistato solo persone adulte, ma spesso nei loro racconti si parla di bambini. Bambino: Il libro parla anche di lei? Svetlana: No, io non ci sono. Non parla di me. Il mio lavoro era solo quello di intervistare, di registrare. Io non cercavo di descrivere queste persone, ho solo trascritto le loro parole, quello che hanno detto durante l intervista. Le uniche parti in cui ci sono io sono l introduzione e il commento finale: si tratta di poche pagine, e il libro ne ha più di 400. Bambino: Cosa l ha spinta ad andare nella città che era contro la sua? Svetlana: Vivevo a Belgrado, una città dove la guerra non c era. La Bosnia- Erzegovina era una delle sei Repubbliche che costituivano la vecchia Jugo-

Presentazione all edizione italiana 23 slavia, il Paese dove sono nata. Io sento ognuna di queste sei Repubbliche come casa mia. Le persone che soffrivano a Sarajevo, durante l assedio, erano la mia gente. Mi sono spostata da Belgrado a Sarajevo per fare il medico volontario, perché sono una cardiologa; volevo aiutare in qualche modo le persone che soffrivano in Bosnia. Sentivo il bisogno di aiutare il popolo bosniaco. Poi mentre facevo il mio lavoro di volontaria, sono stati gli stessi pazienti che mi hanno portato le loro testimonianze. Bambino: Che emozione ha provato quando ha lasciato Belgrado? Svetlana: Io non mi sentivo bene nella mia città, una città dove vivevano 2,5 milioni di cittadini che ogni giorno guardavano la tv e vedevano che solo a 150 chilometri c erano i bambini che morivano, c era la guerra. Io non potevo stare seduta sulla mia poltrona e guardare queste atrocità. Non sto bene quando guardo qualsiasi guerra. Pensate a quello che potevo provare quando sapevo che questo succedeva al mio popolo. Mi sentivo molto male nella mia città, una città senz anima. Quando sono andata in Bosnia, anche se c era la guerra, mi sono sentita molto meglio. Probabilmente a voi questo sembrerà strano: sentirsi meglio in una città dove si sta peggio; però era l unica cosa che volevo fare. Mi vergognavo molto della mia città, Belgrado. Volevo dimostrare la mia ostilità verso l indifferenza. Bambino: Cosa intende per «Belgrado, città senz anima»? Svetlana: È il problema della mia vita. Provate a immaginare di vivere in una città dove la maggior parte dei cittadini ha votato dei politici che hanno voluto la guerra. Questi cittadini vivono una vita normale e vedono che c è una guerra guidata dai loro politici e non fanno niente. Provate a immaginare che il sindaco di Rimini decida di attaccare Bologna. Voi siete qui a Rimini, e i vostri genitori hanno votato per un governo che ha deciso di fare la guerra, e vedete alla televisione quello che succede a Bologna. Come vi sentireste? Vi sentireste bene? Poi mi sono chiesta: perché queste persone raccontano tutto questo a me? Me lo raccontavano perché avrei potuto portare queste testimonianze a chi non sapeva o non voleva sapere niente di questa guerra. Voi sapete che quando andate dal medico e gli dite qualcosa, lui non può raccontarlo in giro Io non avrei potuto pubblicare le testimonianze se non fossero stati gli stessi pazienti a dirmi: prendi il registratore, raccogli le nostre storie.

24 I giusti nel tempo del male Ho vissuto per 45 anni a Belgrado, poi nel 1999 mi sono trasferita a Sarajevo. Belgrado non ha più un anima, Sarajevo dopo anni di assedio sì. Voglio far aprire gli occhi ai cittadini di Belgrado per convincerli che una cosa come quella che è successa non dovrebbe più accadere. Molti di loro ancora non sanno della guerra. Hanno voluto ascoltare la verità della propaganda, la verità raccontata dai giornali e dalle tv. Menzogne che sono diventate l unica verità perché come sosteneva Goebbels durante il nazismo una bugia ripetuta dieci volte diventa una verità. Bambino: Come faceva lei a sapere che c era una guerra in Bosnia? Svetlana: Tutti quelli che volevano sapere, potevano sapere. Anche se la tv e i media ti dicono una bugia, ci sono altri modi per scoprire la verità. Belgrado dista solo 150 chilometri dalla Bosnia. La gente viaggiava, dalla Bosnia venivano a Belgrado per curarsi e raccontavano: si poteva credere o non credere a queste persone; la maggior parte dei cittadini ha creduto alla televisione. Io, invece, ho preso la macchina e ho scoperto che queste persone dicevano la verità. Ognuno poteva sapere, ma non voleva sapere. Quando sono andata a Sarajevo, mia figlia aveva 11 anni; cercavo di spiegarle che lei doveva rimanere a Belgrado perché io andavo dove c era la guerra. Cercavo di spiegarle cos era la guerra e perché andavo via ed è stato difficile perché per spiegare una cosa bisogna averla vissuta e io non lo avevo ancora fatto. Voi avete più o meno l età che aveva mia figlia quando siamo partiti per Sarajevo. E come adesso voi state ascoltando me, allora mia figlia ascoltava sua madre parlare della guerra. Quando ho finito di spiegare lei ha detto solo una frase: «Anche lì vivono dei bambini». Aveva ragione. Anche lei voleva venire in Bosnia. Non sapevo bene che cosa stesse succedendo, ma ho portato mia figlia in una zona di guerra dove vivevano bambini della sua stessa età. Non volevo proteggere mia figlia più di quanto erano protetti gli altri. Perché mia figlia doveva essere privilegiata? Tutti i bambini hanno diritto all infanzia e alla vita. Bambino: Ha perso dei parenti durante la guerra? Svetlana: Un mio cugino ha perso la vita a Sarajevo. Dovete sapere che in Bosnia ci sono persone che hanno perso tutta la loro famiglia. Alcune delle persone di cui ho raccolto le testimonianze hanno perso anche più di trenta membri della propria famiglia.

Presentazione all edizione italiana 25 Bambino: Cosa farebbe se scoppiasse una guerra come quella che c è appena stata? Svetlana: Rifarei tutte le cose che ho fatto: sono un medico, non posso prendere le armi, ma posso impugnare la carta e la penna. Ma quello che sto facendo adesso è prevenire la guerra, far capire queste cose ai più giovani. In Bosnia sono stati i politici, le autorità negative, a spingere per farci entrare in guerra. Bambino: Hanno mai cercato di catturarla? Svetlana: Una volta mi trovavo in una piccola città, il cui sindaco era un mio collega, un dottore. Dovevo spiegare al sindaco perché ero lì, cosa facevo. Quando ho finito di spiegare, lui mi ha chiesto: «Ma perché non scrivi un libro sul male, perché lo scrivi sul bene?». Io ho risposto: «Purtroppo c è stato tanto di quel male, che c è materiale per scrivere centinaia di libri». Lui mi ha detto che i due gruppi etnici a cui non apparteneva erano buoni solo da morti. Io gli ho risposto che era una brutta persona, un nazista e che non volevo più parlare con lui. Ho lasciato il suo ufficio, ero molto arrabbiata. Ho preso la macchina e sono andata verso un altro paese. Sono andata da alcuni amici che lavoravano in una radio e che mi aiutavano nella raccolta delle testimonianze. Quando sono entrata nel loro ufficio, mi hanno detto che dovevo scappare al più presto, il capo della polizia aveva l ordine di arrestarmi Bambino: Se una persona che ti ha fatto del male interiormente ti chiedesse scusa, la perdoneresti? Svetlana: La questione del perdono è una cosa molto personale. Io mi chiedo sempre se una persona che ha perso 30 membri della propria famiglia possa perdonare chi li ha uccisi. Nel Sud dell Africa hanno fatto una Commissione per il Perdono: chiamavano sia le persone che avevano ucciso sia quelle che avevano subito dei crimini; se uno che aveva commesso dei crimini veniva a raccontare quello che aveva fatto, poteva essere perdonato. Penso che sarei in grado di perdonare una persona che si sta pentendo veramente. Bambino: Che emozione prova a ricevere questo premio, la Bussola dell Educazione? Svetlana: Sono molto emozionata e molto orgogliosa. Il Premio porta il nome di Margherita Zoebeli, una persona che ha fatto molto per la città, per l Italia, ma anche per il resto del mondo. Per me è un incentivo a

26 I giusti nel tempo del male continuare fino alla fine della mia vita a fare quello che posso, a lavorare per l educazione dei giovani. * * * Voglio ringraziarvi ancora una volta, le vostre domande mi hanno affascinato. Parlo ai giovani da otto anni, e poche volte ho sentito domande serie come le vostre, e molte volte erano fatte da ragazzi universitari. Non riesco a immaginare le domande che farete quando sarete più grandi. Spero di incontrarvi di nuovo, un giorno, da qualche parte, in qualche università. Continuate così. Incontro con gli studenti dell università e le insegnanti del CEIS Canevaro: Abbiamo appena avuto un incontro con dei bambini di 10 anni. Ho in mente una domanda in particolare: qual è il modo più efficace per presentare dei contenuti importanti ai bambini? Svetlana: Non saprei darti una risposta precisa. Ma oggi ho avuto un incontro con i ragazzi di quinta elementare, e dalle loro domande forse mi sono fatta un idea di come si potrebbe fare. Il tema di cui mi occupo è il coraggio civile; proprio di questo ho parlato ai ragazzi, e ho visto che dei ragazzini di 10 anni hanno capito perfettamente ciò di cui stavo parlando. La cosa che mi ha stupito di più è come abbiano capito che usavo esempi del passato per prevenire quello che potrebbe succedere in futuro. Si è visto bene che gli insegnanti hanno preparato l incontro: le prime domande che i ragazzi mi hanno fatto erano già state concordate con le insegnanti. Ma dopo le mie prime risposte, c è stata un interazione diversissima, perché i ragazzi ponevano delle domande basate sulle mie risposte. Come avvicinare i giovani a un qualsiasi tema? Bisogna presentare loro una situazione chiara, le cose come stanno. Quello che ho notato parlando con questi ragazzi è che viene loro insegnato a ragionare con la propria testa, a essere aperti, ad avere veramente una coscienza critica. Questo non è così scontato. Quello che ho visto in questa scuola è che i bambini vengono educati ad arrivare alle soluzioni da soli, a risolvere i loro piccoli problemi autonomamente. Questa è una cosa molto più importante che far loro studiare delle semplici informazioni, dei dati.

Presentazione all edizione italiana 27 Insegnante: A me sembra importante che rimangano delle tracce, che si mantengano dei ricordi. Nella biblioteca abbiamo libri su Sarajevo, sul linguaggio bosniaco, con le tracce degli amici che sono passati di qui: questo è un altro modo per veicolare contenuti anche importanti e seri ai ragazzi. Svetlana: Ora vorrei fare una domanda agli studenti che sono qui presenti: di che facoltà siete? Studentessa: Siamo tutti di Scienze della Formazione, del secondo e del terzo anno. Svetlana: E quanto sapete del concetto di coraggio civile? Studenti: Poco. Svetlana: Una situazione del genere mi si presenta sempre, anche quando tengo lezioni in anfiteatri che contengono più di 4000 persone: nessuno sa rispondere a questa domanda. Voi sapete chi è Antigone, chi sono Giordano Bruno, Martin Luther King, Mahatma Gandhi, Nelson Mandela? Studenti: Sì. Svetlana: Allora sapete cos è il coraggio civile. Qual è il problema, vista la vostra prima reazione? Non siete abituati a ragionare su questo argomento. Non è vero che non sapete cosa sia il coraggio civile: ma il vostro è un sapere passivo, non lo utilizzate. E come mai non ragionate su questo tema? Secondo voi, è perché vivete in una società in cui non ci sono problemi di questo tipo? O forse pensate che ci sarà qualcun altro che risolverà i problemi che voi dovreste risolvere? Esistono molte definizioni del coraggio civile: io ve ne darò una. Si tratta di avere il coraggio di contrastare un autorità negativa. [ ] Non so se come studenti della vostra facoltà avete mai sentito queste parole di Hannah Arendt: «L uomo può sempre dire o no o sì». È una frase molto semplice, ma dice tutto: dice come si può contrastare un autorità negativa. E senza questa coscienza non potremo mai sapere che noi, come uomini, abbiamo la possibilità di scegliere. Se voi, oggi, come studenti, non riflettete su questo argomento, sarà molto più difficile un giorno, quando sarete nel mondo del lavoro, ribellarvi a un autorità negativa. E mi chiedo come potrete un giorno insegnare agli altri a coltivare questa coscienza. Proprio per questo, quando è iniziato il conflitto nei Balcani, ho deciso di andare dove c era la guerra, per raccogliere le testimonianze delle per-

28 I giusti nel tempo del male sone che hanno avuto la forza di ribellarsi e di contrastare i meccanismi politici che c erano allora. Ero cosciente che noi dovevamo fare di tutto per lasciare alle future generazioni delle testimonianze di quello che è successo. Il libro che ho pubblicato nel 1999, che si intitola I giusti nel tempo del male, raccoglie molte di queste testimonianze. In tempo di guerra ci sono sempre situazioni in cui bisogna ribellarsi e contrastare il «male», che è costituito non solo dai carri armati e dalle bombe, ma soprattutto dalla malvagità dell uomo. In questa guerra ci sono state delle persone che hanno sacrificato la vita per aiutare chi era diverso. Quando voi, che vivete in Italia, in una società dove la guerra non c è, leggete un libro come questo, dovreste chiedervi se voi avreste il coraggio civile di contrastare le ingiustizie, oppure se girereste la testa, facendo finta di niente. Le testimonianze qui raccolte sono come degli specchi, che vi mostrano come anche voi potreste comportarvi un giorno. Adesso in Bosnia il libro è arrivato alla sesta edizione. Ne sono state vendute ben 20000 copie: per un Paese piccolo come la Bosnia è una tiratura enorme. E se calcolate che una copia viene letta in media da cinque persone, il numero dei lettori effettivi sale a 100000. Chiunque abbia letto il mio libro ha fatto questa considerazione: «Il libro mi ha costretto a tornare con la mente al periodo della guerra, e ad analizzare me stesso per capire se veramente ho fatto di tutto per aiutare gli altri». Sto parlando della mia generazione, delle persone che hanno circa 50 anni. Mentre i giovani hanno una reazione diversa: loro non devono fare una ricerca nel passato, ma hanno una specie di risveglio e si dicono che forse loro stessi potrebbero fare qualcosa contro l autorità negativa. Tutti, noi inclusi, abbiamo un potenziale per impegnarci attivamente: si tratta solo di trovarlo. È un processo dinamico, un attitudine da coltivare: anche le persone che pensano di non avere il coraggio civile di fare qualcosa, di aiutare qualcuno, magari un giorno si troveranno nella condizione di doverlo fare. Facciamo un esempio, che si possa applicare alla società italiana: cosa potrebbe fare un giornalista che si accorge che il suo direttore ha manipolato una notizia solo per scopi personali? Credo sia un esempio pertinente, perché ogni giorno ci accorgiamo di come vengano manipolate le notizie, le informazioni, dai media. Questa mattina ho fatto una domanda simile ai ragazzi di quinta elementare.

Presentazione all edizione italiana 29 Ho chiesto loro: «Se una ragazza ha un brutto taglio di capelli, è più giusto prenderla in giro o affrontare i compagni che la prendono in giro e difenderla?». Tutti hanno dato la stessa risposta: è più facile prenderla in giro, ma sarebbe più giusto affrontare l ingiustizia e difenderla. Così reagiscono dei ragazzi di 10 anni; ma che cosa succederà quando avranno 21 o 22 anni? A quell età si faranno un altra domanda: è più importante contrastare un autorità negativa, o starsene zitti e far finta di niente, per difendere magari il posto di lavoro? Qualsiasi lavoro facciate, potreste trovarvi nella situazione del giornalista che abbiamo preso prima come esempio: nella situazione, cioè, di avere un autorità negativa che vi danneggia. E dovete essere coscienti che pagherete sempre un prezzo, se vi ribellerete all ordine costituito. Ma senza il coraggio civile, saremmo solo degli spettatori delle nostre vite, e degli altri vivrebbero al posto nostro. Sono stata un po troppo provocatoria? Canevaro: No, no giusta! Mi viene un altra curiosità: ma tu come hai imparato il coraggio civile? Svetlana: Io provengo da una famiglia che è sempre stata fortemente antifascista. Mio nonno è entrato nella storia per la sua lotta contro il fascismo e il nazismo, sia come capo militare sia come politico. Dopo la seconda guerra mondiale, ad esempio, in qualità di politico, ha avuto il coraggio di dire no a Stalin, nel 1948. Però io non vorrei parlare molto di mio nonno: su di lui si è scritto molto, si sa molto. Vorrei invece portare l esempio di mio padre, che all età di 17 anni è entrato volontario nell Armata Rossa, ha difeso Mosca e Stalingrado, e ha perso le mani. Quando si cresce accanto a due uomini come mio padre e mio nonno, non si può ignorare che cosa sia l uguaglianza di fronte all ingiustizia: è un valore che viene assimilato naturalmente. Io forse sono un esempio estremo, perché la mia famiglia è conosciuta, ma dovete sapere che ci sono milioni di altre famiglie sconosciute che coltivano gli stessi valori. Mentre facevo ricerche per il mio libro, ho tentato di rintracciare le persone di cui i testimoni mi parlavano, e di capire i motivi dei loro atti coraggiosi. Tutti mi hanno risposto che sono stati spinti dai principi di giustizia e uguaglianza imparati in famiglia: «Io mi sono comportato così» hanno detto «perché anche mia madre, mio padre si sono comportati nello stesso modo durante la seconda guerra mondiale». Per la mia generazione, l educazione ricevuta in famiglia è stata molto importante,

30 I giusti nel tempo del male mentre credo che oggi sia più efficace l educazione che si riceve fuori dalla famiglia, nelle strutture scolastiche, ad esempio. [ ] Il conflitto nei Balcani è stato una conseguenza delle strategie delle élite politiche, che volevano conquistare certi territori. Quelle élite hanno usato i media per fare il lavaggio del cervello al popolo, utilizzando la teoria di Goebbels, in base alla quale dire per 10 volte una bugia la fa diventare automaticamente una verità. Io ne sono testimone: nei Balcani, i media per 1000 volte al giorno dicevano delle falsità, che alla fine sono diventate delle verità. Dopo quattro anni di continuo lavaggio del cervello, le élite hanno raggiunto un obiettivo, quello di portare la paura tra la gente. Nonostante ciò non sono riusciti a fare in modo che il popolo cominciasse la guerra di propria iniziativa. Per questo sono state ingaggiate delle unità paramilitari (le cosiddette «Tigri di Arkan», e molte altre), che hanno fatto scoppiare la prima scintilla. Secondo i censimenti del 1991, la Bosnia aveva allora 4 milioni di abitanti e, credetemi, non esiste in Bosnia un villaggio dove io non sia stata, ho girato tutto il Paese, e non ho mai sentito da nessun abitante la conferma che la guerra è iniziata perché l ha voluto il vicino di casa. Tutti mi hanno raccontato che la guerra è iniziata sempre nello stesso modo: è arrivato qualcuno di un villaggio lontano, che ha buttato la prima bomba, ha bruciato la prima casa, ha ucciso la prima persona. Subito si è creata una divisione fra due gruppi: le vittime e gli aggressori. L estremizzazione della polarizzazione così costituita ha poi provocato lo scoppio del conflitto. La guerra nei Balcani non è scoppiata per l odio etnico, per l odio interreligioso: la guerra nei Balcani è stata solo il risultato di una manipolazione politica delle masse. Solo dieci giorni fa è stato ospite della mia ONG a Sarajevo l antropologo olandese Klaus De Jong, che ha fatto un lavoro simile a quello che ho fatto io, per capire se ci sono state persone che si sono ribellate alla guerra in Ruanda. Abbiamo tradotto il suo studio antropologico in bosniaco, si intitola I giusti in Ruanda fra passato e presente. È significativo il fatto che le testimonianze che lui ha trovato in Ruanda siano molto simili a quelle che io ho trovato in Bosnia. In Ruanda viveva un popolo unito, con la stessa religione, la stessa cultura e la stessa lingua; all inizio del Novecento i colonizzatori belgi l hanno diviso in due gruppi, gli Hutu e i Tutsi, solo perché i primi avevano il naso più