Simone Moro. Nanga. Fra rispetto e pazienza, come ho corteggiato la montagna che chiamavano assassina

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Transcript:

Simone Moro Nanga Fra rispetto e pazienza, come ho corteggiato la montagna che chiamavano assassina

Proprietà letteraria riservata Rizzoli Libri S.p.A. / Rizzoli ISBN 978-88-17-09023-0 Prima edizione: novembre 2016 Crediti dell inserto fotografico: Nanga Parbat 2011/2012 e 2015/2016 Archivio Simone Moro Nanga Parbat 2014/2015 David Göttler L Editore ha fatto il possibile per reperire i proprietari dei diritti e rimane a disposizione per gli adempimenti d uso.

Nanga

Al quinto giorno eravamo dei mostri di ghiaccio. Mangiammo appena e saltammo fuori dalla tenda perché il nostro unico pensiero era scendere, scendere, scendere. E volevamo farlo in giornata. Non potevamo permetterci un altra notte lontano dal campo base, non sapevamo se saremmo stati capaci di resistere senza conseguenze. Ripiegammo i nostri sacchi a pelo, ormai pesavano il doppio rispetto all inizio. È per la condensa: il ghiaccio che si trasforma in acqua durante il giorno per ritornare allo stato solido nella notte. Ghiaccio che ti si incolla addosso, formando una specie di sarcofago, un tutt uno fra te e il tuo sacco a pelo. Avevamo fretta, non volevamo perdere un minuto di più. Smontammo la tenda, ci suddividemmo equamente i carichi, anche quella mattina Tamara non chiese sconti. Per fare più rapidamente, posizionai la talloniera del rampone in modo impreciso sull inserto posteriore dello scarpone, tirai forte e sentii crack. La talloniera si era spaccata, che è più o meno come 7

Nanga se si rompesse l attacco posteriore dello sci. Niente di buono, insomma. Scoppiai a ridere. Davvero, mi misi a ridere tanto che Ali mi guardò con la faccia interrogativa. «Cos hai da ridere?» mi chiese. «No, niente, mi si è solo spaccato un rampone!» dissi. «Ma hai una talloniera di ricambio?» mi domandò, vedendomi ridere. «No, rido perché adesso devo assolutamente aggiustarla, e chissà cosa devo inventarmi... ma una soluzione la trovo, la devo trovare.» Le mie soluzioni da MacGyver mi hanno sempre fatto molto ridere. Ma non era solo quello. Ridevo perché mi era andata bene. Quell incidente tecnico mi era successo scendendo, a poco dalla meta finale: il campo base. Se mi fosse successo salendo? Se avessi dovuto scalare il Nanga Parbat con una talloniera legata allo scarpone con un cordino, ce l avrei fatta? Oppure, per la quarta volta, il sogno di arrivare in cima alla montagna nuda sarebbe ancora sfumato? Per una talloniera? Una cosa è certa, non avrei riso così di gusto. 8

UN DESIDERIO CHE CRESCE

1. Sogni di carta Quando incontrai per la prima volta il Nanga Parbat ero ancora un ragazzino, avevo forse dodici anni. Non lo conobbi di persona, non lo vidi fisicamente: me lo presentarono le pagine dei libri che parlavano di lui o di lei, visto che la chiamano la montagna nuda e ne lessi con passione nelle storie di quegli eroi che mi ispiravano, nelle vicende che avevano legato per sempre il nome di quella montagna ad Albert Mummery, Hermann Buhl e Reinhold Messner. L alpinista inglese Mummery fu un vero precursore e osò sfidare un ottomila in tempi lontanissimi. Lo fece nel 1895, quando decise di salire sul Nanga Parbat ancora ovviamente vergine e inesplorato. Si immerse in quell impresa in uno stile che lo rappresentava: senza l uso di guide e con il metodo più pulito, e più sincero, possibile. Lo tentò inizialmente dal versante Rupal, la parete più alta della Terra, per scoprire che, da là, la montagna era inaccessibile; si spostò quindi sul versante opposto, il Diamir. Arrivò a 6100 metri con altri tre alpinisti, ma dovettero tutti rinunciare. Senza darsi per vinto andò a esplorare 11

Nanga anche un terzo versante, il Rakhiot, lungo il quale cominciava a sognare quella linea che lo avrebbe portato fin sulla vetta, a 8126 metri. Mummery, purtroppo, morì nel tentativo di trasferirsi dal Diamir al Rakhiot. Scomparve in un labirinto di crepacci e di seracchi: non si seppe mai di preciso se fosse caduto in uno di questi crepacci o se, nel tentativo di scendere dal versante Rakhiot, fosse precipitato lungo le pareti verticali che fanno da linea di confine tra i due fianchi della montagna. Un altro grande mito che mi raccontò e mi introdusse il Nanga Parbat fu Hermann Buhl. Anche Buhl è stato un simbolo dell alpinismo (e lo è ancora oggi, a quasi un secolo dalla sua nascita): rocciatore fortissimo, dimostrò di essere pure un grandissimo alpinista. Fu il primo a salire la nona montagna più alta del pianeta, il Nanga Parbat, compiendo un impresa strepitosa: dai 6900 metri, infatti, proseguì in solitaria verso la vetta in una scalata che ancora oggi, settant anni dopo quel 3 luglio del 1953, rappresenta una salita di massimo livello. Una terza persona mi fece innamorare del Nanga Parbat, portandomi a sognare di poter essere in grado, un giorno, di salire la montagna più grande del pianeta. Sì, perché la montagna nuda, pur non essendo la più alta in assoluto, resta comunque la più grande del mondo se consideriamo il dislivello tra il campo base e la vetta, che corrisponde a quasi il doppio di quello tra il campo base avanzato e la vetta del mon- 12

Sogni di carta te Everest. Questa persona fu Reinhold Messner, l uomo del Nanga Parbat. L uomo che su quella cima scrisse le pagine più importanti e anche le più drammatiche della sua carriera. Nel 1970, Messner lasciò tutti a bocca aperta quando, con il fratello Günther, salì la parete inviolata del Rupal superando i suoi oltre 4500 metri di dislivello. Lessi della loro scalata strepitosa sui libri che furono scritti e capii quanto grande, difficile e complicata fosse la montagna nuda. L impresa eccezionale, che lo aveva visto protagonista, aveva però aperto una grossa ferita nel suo animo e scatenato una polemica durata circa trent anni. Dopo aver raggiunto insieme la vetta e aver constatato che non c erano più le condizioni per tornare indietro dalla stessa parete, Reinhold e Günther tentarono una discesa disperata dal versante opposto al Rupal, il Diamir. Quando ormai erano giunti alla base della parete, Günther fu travolto da una valanga e perse la vita. Reinhold era molto più avanti del fratello e riuscì, nonostante i gravi congelamenti, a trascinarsi verso valle. Fu trovato da alcuni pastori locali che lo aiutarono riportandolo sulla strada principale. Qui incontrò i suoi compagni di spedizione, già sulla via del ritorno, convinti com erano che i due fratelli fossero morti. Per lungo tempo, Reinhold fu accusato delle peggiori nefandezze: di avere sacrificato il fratello per la sua ambizione e di aver mentito raccontando, come invece la storia ha confermato, che Günther fosse morto ai piedi del Diamir. Tutti i 13