VIA RENZO. un mondo in cento passi



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Transcript:

1 VIA RENZO un mondo in cento passi

2 PREMESSA Ho lasciato il paese natale di Acquate una quarantina di anni fa, dopo aver contratto matrimonio con Franca, per emigrare a Calolziocorte, un borgo che, parafrasando il Manzoni, si appresta a divenir città. Calolziocorte appunto, una vivace realtà posta al centro di un area ad alto sviluppo industriale che, sin dai primi anni 60 dello scorso secolo, richiamò dal Mezzogiorno centinaia di famiglie che si integrarono con i bergamaschi, formando così una solida comunità che in quegli anni annoverò quasi quattordicimila anime. Fra questi nuovi calolziesi mi annovero pure io - un cosiddetto baggiano 1 - che nonostante il distacco della mia terra natia, distante soltanto una manciata di chilometri, ho mantenuto sino ad oggi buoni rapporti di amicizia e collaborazione con la borgata di Acquate: il vagheggiato paesello dei Promessi Sposi, patria secolare della mia famiglia, dove - senza ombra di retorica - posso affermare di avervi lasciato il cuore. Partendo da tale sentimento di velata nostalgia, ho cercato di ricostruire lo scenario entro cui ho vissuto i primi anni della mia infanzia, attento osservatore del piccolo variopinto mondo che mi circondava e della vivace gente che lo animava: Via Renzo: il mondo in cento passi, per l appunto. Lungo tale trafficata contrada e i cortili dell attiguo Oratorio, si sono consumati i migliori anni della mia infanzia e poi quelli dell adolescenza: ricordi che, con altri, entreranno con buon diritto a far parte delle presenti Reminiscenze. A ragion del vero, debbo ammettere che l opportunità di poter raccogliere buona parte di tali osservazioni mi fu offerta sin dall età di otto anni dalla Parrocchia, o meglio, dalla signora Greppi responsabile della Buona Stampa parrocchiale che mi affidò, per una mezza dozzina d anni, il compito di recapitare - nei giorni festivi il giornale cattolico L Italia agli abbonati della mia contrada e quelli delle contrade adiacenti. Oltre e tale circostanza aggiungo il quotidiano andar per botteghe della Via Renzo al seguito di mia mamma Palmira dove, salvo le medicine, si trovava tutto il necessario a soddisfare i quotidiani bisogni di quei tempi lontani. Grazie al frequente accesso alle corti delle diverse contrade in veste di strillone per la consegna del giornale e il continuo andar per botteghe - alla lunga - forte della mia innata curiosità, riuscii a fissare nella memoria - quasi fotografica - personaggi e fatti che, pur sopiti ma mai dimenticati, oggi riaffiorano dall oblio per rivivere nei diversi capitoletti che formeranno la raccolta Reminiscenze. Un operazione la mia sicuramente non scevra da rischi di possibili errori. Infatti, trattandosi di un puro reportage memonico, non supportato da appunti o memorie scritte e pur considerando l acerba età del testimone, si potranno incontrare imprecisioni sulle date, sui fatti e sui personaggi descritti. Per tali possibili discordanze, scusandomi in anticipo, chiedo a quanti dovessero riscontrane nel corso della lettura, di darmene cortese notizia, utilizzando la pagina Commenti presente in questo sito, in modo che possa apportare le opportune modifiche. 1 Nomea affibbiata agli abitanti della riva opposta dell Adda, ai brianzoli e ai lecchesi in genere.

3 INTRODUZIONE Non saprei dire a quante persone potrà interessare questa testimonianza, vecchia di quasi settant anni, lunga una trentina di pagine fittamente scritte, che racconta la breve storia di gente e di botteghe disseminate lungo una stradina di un centinaio di passi, al centro di un paese posto tra monte e lago di nome Acquate (che con l acqua non ha nulla a che vedere). Mi sento però di assicurare quanti, lasciandosi vincere dalla curiosità di scoprirlo, vorranno scorrere tutte le pagine sino alla fine che fra le righe rivivranno - tra spunti curiosi e spiritosi momenti di vera umanità, forse un po casareccia e patetica ma sicuramente schietta. Un umanità che azzardo definire virtù (o, per evitare sorrisetti di compatimento, sono disposto a declassare a semplice pregio ) di quegli anni travagliati, che hanno spinto un incallito nostalgico come me a salvarne il ricordo nel presente faldone virtuale che ho voluto appunto intitolare Reminiscenze: dalle nebbie della memoria. UN PIZZICO DI STORIA LOCALE Se qualcuno mi chiedesse: Acquate è il paese de I Promessi Sposi? Senza esitare risponderei: Certamente, lo è! Un tempo lo affermavo con la voce del cuore, oggi lo affermo con la voce della ragione. Sono giunto a questo mio convincimento dopo avere consultato una pletora di biografie e ricerche sul Manzoni, redatte quando ancora questi era in vita, in cui ripetutamente si cita Acquate quale vagheggiato paesello dei Promessi Sposi 2. La Municipalità Acquatese onorata da tanta popolarità, dopo avere conferito allo scrittore, (notoriamente legato ad Acquate da motivi di parentado e da cospicui interessi fondiari ) la Cittadinanza Onoraria, deliberò di dedicare negli anni immediatamente seguiti alla sua morte - l intera toponomastica del nucleo storico al personaggi del Romanzo, intitolando così una quindicina di contrade, piazze e piazzette, ad altrettanti suoi protagonisti. In ragione di tale scelta, l antica Piazza Granda divenne Piazza Alessandro Manzoni, 3 e la Via al Monte divenne Via Renzo 4, appunto la contrada argomento del presente capitolo. 2 Mi propongo di esporre - con dovizia di particolari le conclusioni cui sono giunto - in una capitolo a parte. 3 Una quarantina d anni dopo tale dedica - esattamente nel 1923 - a causa dell accorpamento del Comune acquatese con quello di Lecco, la piazza A. Manzoni, orgoglio degli acquatesi, nel rispetto del motto latino ubi maior minor cessat dovette cambiare nome, ve evitare il doppione, assumendo quello del regnante sabaudo dell epoca: il: Re Vittorio Emanuele III. Però la danza dei toponimi finì soltanto attorno all anno 1946, quando la Repubblica si sostituì alla monarchia, colla conseguente rinomina della Piazza che finalmente assunse l attuale nome di Piazza della Vittoria, ovviamente riferita alla Vittoria della Prima Guerra Mondiale. 4 La Via Renzo sostituì invece l antica Via al Monte già presente in una mappa redatta nel 1566 in occasione della prima visita pastorale del Cardinale Carlo Borromeo alla Parrocchia di Acquate.

4 Le sensazioni racchiuse in cento passi Via Renzo, il cuore pulsante di Acquate: una vetusta contrada, acciottolata e larga non più di cinque metri che, alla metà dei tempestosi anni 40, ospitava due dozzine di botteghe dedicate alla vendita al minuto di derrate alimentari e di mercerie in genere, comprendendo pure alcune piccole officine dove si svolgevano minute attività artigianali. Le botteghe erano affacciate ai due lati dell intera contrada che, partendo dal Sagrato, raggiungeva lo Zuccarello distante un centinaio di metri. Ora, cercherò di ricostruire, frugando fra meandri della mia mente, un quadro della mia Via Renzo, delle sue botteghe e delle persone che le animavano; una specie di retrospettiva che risale ad oltre sessant anni fa, sullo sfondo di uno scenario certamente più colorito e più vivace della spenta e desolante contrada che ci ritroviamo oggi. I periodi cui farò riferimento spesso sono certamente approssimativi, non disponendo di una benché minima cronistoria, potranno quindi non rispettare pedissequamente i tempi reali, ma ritengo che alla fine si possano ben integrare nel loro contesto senza produrre particolari incongruenze rispetto agli scenari evocati. Anche i fatti riportati sono frutto di osservazioni dirette e, in diversi casi, sono frammenti di testimonianze raccolte all epoca. Mi appare subito vivido il quadro che riporta alla mente ii chiacchiericcio delle massaie sulla porta delle varie botteghe; il vociare concitato dei clienti del Guido barbé nell urlata disputa stagionale fra i sostenitori di Coppi e di Bartali durante l estate e quelli della Juve e del Milan durante l inverno. Come dimenticare il delizioso profumo dell onnipresente polenta che, verso mezzogiorno, si diffondeva dai camini mischiato al cinereo fumo della legna stagionata? Come dimenticare la delicata fragranza dei gerani che ornavano i terrazzi delle antiche case e il dolce canto della Germana intenta a pulire i vetri delle finestre? Come dimenticare il lontano abbaiare dei cani lupo provenienti dal parco della vicina Villa Orio-Cesaris e il roco chiocciare delle galline nei piccoli pollai sparsi un po ovunque? Ancora mi par di sentire l assordante rotolare delle ruote dei carri carichi di legna o di fieno sullo sconnesso acciottolato, scandito dallo zoccolio del cavallo. Dalla finestra affacciata sul cortile dei Garibold, davanti ai miei occhi rivedo la spensierata gara di vocianti ragazzini diretti al vicino Oratorio al seguito della loro rumorosa birla di metallo. Ed ancora riconosco la stentorea voce del Lanfranchi pessat che dalla contrada spingendo la sua pesante bicicletta, ogni venerdì di calendario, proponeva insistentemente la sua merce: Donne correte! Pesci di lago! Anguille vive! Ultimi agoni freschi! Nel bel mezzo di un tale trambusto trovava pure spazio il disperato pianto di un bimbo vanamente consolato dalle amorevoli filastrocche della mamma. Tornando a quei giorni, risento con nostalgia il suono delle mie campane, magistralmente tirate dal Giuàn secrista che, in ossequio alle antiche liturgie, annunciavano puntualmente, coi loro rintocchi, a volte solenni a volte gravi, le sacre funzioni, le festività religiose e i particolari momenti di gioia o di mestizia. In questo affollato microcosmo, nel primo dopoguerra, si inserisce la mia piccola ed insignificante presenza; la presenza di un normale bambino, di sei-sette anni, vivace e curioso come tutti i bambini di quell età.

5 Quello stesso bambino che oggi, dopo oltre sessant anni, trova la voglia ed il tempo di risvegliare quelle sensazioni per raccoglierle in una specie di taccuino, quasi a voler fermare un momento della sua infanzia che, nonostante le traversie legate a quegli anni non certo facili, è trascorsa serena e spensierata. In quegli stessi anni buona parte delle massaie acquatesi residenti nel nucleo storico del paese (nel cui centro nevralgico è posta la Via Renzo) e nelle frazioni limitrofe, per la loro spesa quotidiana, affollavano la Via Renzo dove, nello spazio di cento passi, trovavano la quasi totalità di quanto necessitava alla semplice e dignitosa esistenza delle rispettive famiglie. Dallo sfondo di quest affollato scenario inizia il mio viaggio, partendo dal Sagrato Don Abbondio, alla riscoperta di quelle botteghe, templi di vera umanità, dove la gente, giorno dopo giorno - mentre riempiva la sporta per il desinare - si incontrava, socializzava, scambiava opinioni: il tutto in un clima di serenità e, spesso, di tacita complicità. La piantina schematica che segue potrà offrire un idea della disposizione e della sequenza delle botteghe che incontreremo lungo i cento passi del nostro percorso. Buon viaggio, quindi!

6 URSULA giornalaia con frutta e verdura (1-1A) All inizio del mio percorso trovo, al numero 10 del Sagrato Don Abbondio, scendendo un paio di gradini, la piccola bottega della detta della Ursula, gestita dai coniugi Ripamonti, dove si compravano giornali, riviste, frutta e verdura e altri generi alimentari. Più tardi, el Nandin Ripamonti (titolare pure di una piccola officina per la produzione di reti da letto), col figlio Raimondo, apriva un moderno bar-gelateria di fronte alla sacrestia7. Un attività che si sarebbe conclusa, mi par di ricordare, dopo una quindicina di anni. Più tardi, Bianca nipote dell Orsola, subentrata nell attività di famiglia, spostò il negozio allo Zuccarello che, dopo averlo gestito sino ai primi anni del 2000, lo cedette a terzi. EL MAGAZZIN DEL SUFÌA (2) Appena sopra la Ursula, sempre sulla destra, si trovava il magazzino della Premiata Ditta Pozzi Claudio e figli tipografia - carta, cancelleria ed affini. Una specie di enorme scantinato stracolmo di scaffalature in traliccio, cariche di carta per negozi, quaderni, registri, inchiostri, matite, penne,temperini e quant altro. Nel centro del magazzino troneggiava un antica ed elegante colonna secentesca in granito, sbucata chissà da dove, che puntellava a fatica una grossa trave in legno del soffitto, per evitare che la sovrastante famiglia Nava si trovasse un bel dì a coabitare sugli scaffali del Süfia fra carta igienica, penne, quaderni e cartoline. Sul fondo del buio locale, senza finestre, troneggiava una gigantesca ghigliottina in ghisa per il taglio di grosse risme di carta, azionata manualmente da una gigantesca ruota che, con un sordo fragore, squadrava a misura enormi plichi di carta destinati alla vendita all ingrosso. La rumorosa ghigliottina era destinata pure al taglio di fogli di carta multicolore, necessari alla stampa di piccoli manifesti, di locandine e di volantini per mezzo di una vetusta pedalina, modello Heildelberg, posta in uno sgabuzzino del negozio di famiglia, che scopriremo più avanti. Da una grossa trave in legno del soffitto, appesa ad una catena, ciondolava un enorme stadera ad asta destinata a pesare i pacchi di carta ma, talvolta, usata fugacemente da noi bambini (al seguito di uno dei numerosi rampolli della famiglia Pozzi) come improvvisata e divertente altalena. La famiglia Pozzi Claudio, detti i Sufia 5 dal nome della matriarca Sofia Dell Oro una cara donna che ebbi modo di conoscere - ha fornito per tanti anni uno stuolo di validi cooperatori all Oratorio ed alla Parrocchia. 5 Ad Acquate sin dal XIII secolo risiedeva un grosso nucleo di famiglie accomunate dallo stesso cognome: Pozzi, in buona parte originarie da Falghera e dalla zona di S. Egidio, una località posta lungo il torrente Caldone a monte del rione Bonacina. Per distinguere fra loro le diverse famiglie che man mano si staccavano dal ceppo originario per formarne delle nuove, al cognome Pozzi si dovette aggiungere una specie di soprannome derivato in genere dalla località di residenza o dalla professione esercitata dal capostipite. Ecco spiegarsi la nascita di famiglie Pozzi cui si dovette aggiungere, ad esempio, il soprannome : Scajoo (la mia famiglia), Sufia, Balabi, Lacée, Bastianeej, Valenti, Pin, Penc, Strüsét, Benedett e sicuramente altri ancora.

7 Nella cooperazione di quegli anni era pure compreso l uso di un vecchio mezzo di trasporto della ditta: Il mitico triciclo a pedali del Sufia che, specialmente nei fine settimana, era adibito ai più svariati usi parrocchiali. Spesso lo si vedeva scorrazzare per le anguste viuzze del paese stracarico di arrembanti bambini, ammucchiati all inverosimile sul cassonetto di legno. Di tale veicolo mi soffermerò a parlarne in altro capitolo. Da diversi anni lo storico magazzino del Sufia non esiste più. Il locale oggi è mestamente adibito a rimessa per auto. LA BŒSA (3) Risalendo la Via Renzo, all altezza dell attuale civico 4, sempre sul lato destro, esisteva l antico bottegone gestito dalla Bœsa, coadiuvata dal consorte: el Bœs. Disposti alla bell e meglio sulle scansie di un grande localone scuro, erano presenti articoli casalinghi di ogni genere frammisti a scatolame e derrate varie. La specialità del negozio però era rappresentata dalla frutta e verdura. Dall insalata ai pomodori, dalle patate ai guatt 6, il tutto abitualmente esposto in grandi ceste di legno, poste direttamente sull acciottolato della strada. In particolare proprio i guatt, le dolci carrube, erano l obiettivo di noi bambini che, sull esempio dei più grandicelli, le prelevavamo direttamente dalle ceste esposte, sfrecciando di corsa davanti all ingresso del bottegone. Al suo interno, su alcuni tavoli in legno, facevano bella figura (sic), in attesa di improbabili acquirenti, alcune statuine ingesso dipinto raffiguranti il Sacro Cuore e vari personaggi del presepe, spesso ammaccate e, ricordo, alcune sprovviste addirittura della testa. I ragazzini più grandi ci convincevano ad entrare nel vecchio negozio a comprare Dés franch de müs péstaa, se l è minga péstaa dè pestàmel (dieci lire di muso pestato e,qualora non lo fosse, di pestarmelo), cosa che irritava fortemente i simpatici vecchietti e Immancabilmente causava un impari rincorsa lungo la contrada da parte dell iracondo Bœs. I due singolari personaggi, el Bœs e la Bœsa, settimanalmente, col loro carrettino a mano, scendevano sino a Lecco per rifornirsi di frutta e verdura al mercato o dal Riva verduraio; lei seduta fra le ceste vuote e lui infilato fra le stanghe con un cinghione da traino a tracolla. Riempite le ceste, riprendevano la faticosa ascesa verso Acquate: lui sempre fra le stanghe a tirare come un somaro e lei, dietro il carretto carico di ortaggi e frutta, a spingere. Cessata l attività di questi due singolari esercenti, il negozio e l intero stabile, in seguito fu acquistato da Luigi Pozzi Lacèe che, lasciato il piccolo negozio posto all angolo con via Agnese, dopo un importante ristrutturazione realizzò un negozio moderno, dotato di un ampia cella frigorifera, specializzato nella vendita di latte, formaggi e frutta; un attività che il Pozzi proseguì per molti.anni, sino al raggiunto pensionamento. 6 Le dolcissime carrube essiccate, un farinaceo ormai introvabile, cibo per porci e.. bambini golosi come noi in quei tempi di magra.

8 L ACHILLE SALA: tila de lècc (4) Di fronte alla Boesa, sul lato sinistro, troviamo el Palazz dove, in due ampi locali al piano terra in precedenza abitati dalla famiglia Frigerio detta del Signur (così soprannominato per la sua interpretazione della figura di Gesù durante le affollate sacre rappresentazioni della Passione che si teneva durante la Quaresima per le vie del paese negli anni antecedenti l ultima guerra). L Achille Sala, marito della proprietaria del Palazz, mia cugina Richetta, produceva, per mezzo di due rumorosi telai, in funzione anche dodici ore al giorno, la tila de lècc, la classica rete da letto che rappresentava una produzione artigianale molto diffusa nel vecchio nucleo del rione. Un attività che il buon Achille dovette abbandonare una volta raggiunto il meritato pensionamento. Successivamente, gli stessi locali furono adibiti ad abitazione sino ai primi anni 90, quando l intero Palazz fu acquistato da un immobiliare lecchese che lo ristrutturò integralmente. A seguito dei lavori di ammodernamento, gli stanzoni che ospitavano i telai furono trasformati in un accogliente ufficio. COOPERATIVA LA MODERNA (5) Il Palazz, oltre alla bottega dell Achille, da molti anni ospitava una succursale della Cooperativa La Moderna (un ente di antica estrazione socialista ), un negozio che di moderno aveva ben poco ma che sicuramente, per la vasta scelta di prodotti alimentari offerti a prezzi ragionevoli, rappresentava con l avversaria rivendita della cattolica Cooperativa La Popolare, ubicata in Piazza della Vittoria, un importante punto di confronto per la quotidiana spesa dei miei compaesani. La bottega de La Moderna, confinante col portone di casa mia, era particolarmente apprezzata da mia mamma Palmira - oltre che per la comodità di averla appena fuori casa - per la convenienza dei prezzi e per la professionalità dal gestore, tale Mario. Ricordo il profumo emanato dai salumi e dai formaggi in stagionatura nel retrobottega della Moderna che aveva le finestre, protette da una grossa inferriata, aperte sul mio cortile. Ancora mi par di risentire il fragoroso russare dei grossi motori delle celle frigorifere, particolarmente fastidioso nelle notti estive, quando, causa il caldo e l afa, si cercava di dormire tenendo con le finestre aperte 7. Attualmente, dopo le importanti ristrutturazioni su accennate, i locali della Moderna ospitano un laboratorio di odontotecnica ed un piccolo box. 6 Alla Moderna negli anni 70 subentrarono altri esercenti, l ultimo tra questi, il droghiere Carlo Nasatti, dopo alcuni anni si spostò più a monte, nell attuale proprietà Milani, in un locale più recente costruzione, fino a qualche tempo prima occupato dal negozio di Abbigliamento del sig. Felice Salvi.

9 MANSÜĖT BARBE (6) Posto di fronte alla Moderna, dalla fine della guerra esercitava l arte del barbiere, (un tempo molto redditizia (in paese ricordo almeno la presenza di cinque saloni), tale Mansüet che occupava un piccolo locale; lo stesso, dove attorno agli anni 30 dello scorso secolo - mi raccontavano solerti miliziani somministravano botte e robuste purghe, a base di beveroni di olio di ricino, ai poveri malcapitati che si opponevano alle direttive del regime. In seguito, il locale e la piccola costruzione sovrastante furono occupati dalla famiglia Valvassori a cui subentrò, più tardi, la famiglia Manzoni che la occupa attualmente. EL CARLO CALZÚLAR (7) Dedico a questa minuscola bottega, posta proprio di fronte a casa mia, una più incisiva attenzione poiché la grande l amicizia che univa il titolare signor Carlo e mio papà Aldo, cui si aggiunge la mia amicizia con Nando e Gianna, figli del calzolaio, mi consentì di frequentarne assiduamente la famiglia. Carlo Bonacchini, fiero mantovano, sin dal primo dopoguerra esercitava l arte di calzolaio in un localone in affitto, posto a fianco della sua abitazione, in fondo al cortile detto dei De Lazzari 8. A causa della eccessiva ampiezza del vano, con conseguenti elevati costi affitto e, non ultimo, la lontananza dalla contrada che ne mortificava la visibilità, decise di spostare il proprio banchetto di legno, con tutta l attrezzatura, in un angusto bugigattolo, di una decina di metri quadrati, un tempo adibito forse a pollaio.. Per adattarlo alle proprie esigenze, ottenne di ricavare nel grosso muro una finestrella,una specie di piccola vetrina, esposta sulla trafficata contrada. Questa piccola vetrina, unica fonte di luce naturale che filtrava a malapena all interno,ospitava sopra alcuni ripiani in vetro, una piccola mostra di desuete scarpe in cuoio, di scatolette di lucido Guttalin, di stringhe nei vari colori, di suole in Vibram, di grasso Marga per scarponi e quant altro; praticamente, tutta la campionatura di quanto contenuto negli scatoloni posti sopra alcune mensole appese alle pareti della botteguccia. Ancora mi sembra di sentire il ritmico martellinare sul cuoio da modellare che dal porticato si espandeva per l intera contrada, spesso accompagnato dal canticchiare del buon Carlo che aveva una gran bella voce baritonale. Mio padre Aldo, compare del calzular nelle interminabili partite a scopa 15 presso Osteria Resegone del Pozzi Pin, con altri pensionati bontemponi, era solito trascorrere ore intere a chiacchierare ed a discutere su argomenti talvolta futili, proprio in quel locale che conteneva a malapena, oltre al banchetto di lavoro, un paio di sgabelli in legno. Discussioni animate, condite da solenni fumacchiate che, in quel bugigattolo, dopo solo un paio di alfa aspirate sino alla scottatura delle labbra, appestavano l aria, rendendola irrespirabile a causa della pesante cappa di fumo che calava dal soffitto. 8 Una grande corte posta di fronte a casa mia, teatro di tanti miei giochi giovanili con gli amici Nando, Pietro e Graziano.

10 Una situazione che si ripeteva ogni giorno e che immancabilmente provocava generali e convulsi attacchi di tosse che, mischiati col battito del martello, dal portico, si diffondevano per la contrada. Verso gli anni 1952-53 al gruppo degli affumicati si aggiunse il buon Baleta, un simpatico vecchietto ultra ottantenne che, oltre ad essere l incaricato ufficiale dell approvvigionamento delle citate sigarette (rigorosamente acquistate nel negozio del Crespin in bustine Modiano da 5 pezzi), anche più volte al giorno. Il vecchietto, a causa di alcuni suoi anomali comportamenti senili, era continuamente (e deprecabilmente) oggetto e soggetto di scherno e ilarità da parte degli irriverenti bontemponi. Mio padre, al suo rientro dalla quotidiana puntatina presso il Carletto calzular, a causa della nauseabonda puzza che si portava appresso, fatta di fumo di sigaretta, di vernici e colle da calzolaio - un mix da voltastomaco - provocava immancabilmente le sacrosante ed inascoltate ire di mamma Palmira costretta, sconsolata, ad appendere in continuazione giacca, calzoni e tutto il resto sul terrazzo a prendere aria. Il buon Carlo calzular, marito della sciura Amalia 9, prematuramente dovette appendere il suo grembiule di cuoio al chiodo, stroncato da un male incurabile. Oggi, quello storico localino, dopo un adeguata trasformazione, è stato declassato a stanza da bagno per essere aggregato ad un attiguo appartamento. EL CURTÌIL DE L URATÓRI o di GARIBOLD FERĖE (8) Fra le decrepite mura di quest antica corte, (dove si affacciava pure casa mia), sempre considerata una specie di anticamera dell Asilo e,poco più avanti, dell Oratorio Maschile, trascorsi gli spensierati anni della mia infanzia. Era denominata la curt dei Garibold oppure, impropriamente, el curtil de l Uratori. Allora era un cortile informe, pure bruttino e per nulla accogliente, diviso al suo centro da una specie di muretto a secco. Era racchiuso ai quattro lati da vecchie abitazioni che affacciavano sulla corte una ventina di di finestre. Per giunta, il terreno era piuttosto insidioso, disseminato da un alternarsi di ciottoli e buche. Il colore ruggine cupo del terriccio era un lascito dell ossido di ferro trasportato dai ruscelletti che, ad ogni minima pioggia, uscivano dall Officina fabbrile del Ngiulin [Angiolino] Garibold, dopo aver ben bene lavato e rilavato i profili di ferro ormai divorati dalla ruggine per essere stati esposti alle intemperie da chissà quanti anni. Nonostante questa mia ricostruzione, che potrà sembrare opprimente, ricordo quella corte con viva nostalgia, perché in quel fazzoletto di terreno trascorsi le migliori ore della mia infanzia, impegnato in infiniti giochi creati al momento dalla "fantasia" 10 di una schiera di indiavolati coetanei contradaioli con cui condividevo lo svago. 9 Di origini goriziane, sfollata a seguito della disfatta di Caporetto del 1917. 10 Tratterò in un capitolo a parte i giochi, oggi scomparsi, che accompagnarono la mia infanzia nel primo dopoguerra.

11 Un cortile, in quegli anni, in condominio con la famiglia di Ugo Gariboldi, la mia famiglia e, per l appunto, con l officina dell altro Gariboldi, il fratello maggiore Angiolino Ngiulin. Un tempo, l intero cortile era di proprietà dei miei nonni che, nel 1897, concedettero alla Parrocchia i diritti di "andito" che consentirono gli accessi all'asilo Infantile "Don Giovanni Nava (1897) e, successivamente, all'oratorio Maschile costruito dal Parroco don Giovanni Piatti (1911). Per raggiungere le due nuove istituzioni parrocchiali, si accedeva dalla Via Renzo attraverso un porticato sopra il quale, derivata forse da un antico fienile, si trovava la piccola camera in cui vidi la luce, nel marzo del 1941. L accesso carrale al curtil de l Uratori avveniva attraverso un grande portone in granito, chiuso da un antico e malandato portone in legno con portoncino pedonale sempre aperto. Un cortile dove, superato il mio piccolo giardino sulla destra, si accedeva alla rumorosa bottega di fabbro dell Angiolino Gariboldi Ngiulin, titolare della Premiata ditta Gariboldi Giacomo & Figli. Negli anni del primo dopoguerra, in quell officina operavano, oltre al Ngiulin e a suo figlio Giacomo jr, l Angelo secrista e l Angelo Manzoni. Nonostante la presenza di tanti angeli, la bottega del Gariboldi di angelico aveva ben poco: un continuo inferno fatto di colpi del pesante maglio su infuocate barre di ferro, (colpi che facevano tintinnare le chicchere nella credenza di casa mia) cui si aggiungeva l angosciante stridore della fresa. (Da qui probabilmente hanno avuto inizio i miei disturbi uditivi!). A fianco della bottega del Ngiulin, chiudeva il cortile un vecchio rustico un tempo proprietà di mio padre dove, sotto il grande porticato al piano terra, attorno agli anni 20, ricoverava cavallo e un barroccio. Con la cessione dello stabile i locali subirono delle trasformazioni. In particolare, al piano terra furono ricavati un paio di locali ad uso abitazione ed altri adibiti prima ad ospitare degli sfollati per motivi bellici e, più tardi a magazzino dell officina.. Al primo ed unico piano della casa, in un piccolo appartamento abitava l Anita, moglie dell Ugo, col figlio Claudio, cui seguirono M. Grazia e Vigilio. Mentre la famiglia del patriarca Giacomo Gariboldi, con la moglie Claudia e la figlia Adele, occupava l appartamento centrale. Sulla sinistra dell ampia veranda, in una buia ed angusta stanzetta, abitava un anziana zitella: la Rosina, mentre nel disagiato bugigattolo, un locale di 3x6 metri sovrastante il portichetto di accesso all Asilo, era alloggiata un anziana vedova, da tutti noi conosciuta come la Maria de Lech, una buona amica di mia mamma, che spesso andava a trovare per farle compagnia. Questo piccolo locale, alla morte della vedova, fu occupato dal Salvadur de la Delina, ingegnoso radiotecnico autodidatta del quale parlerò nel capitolo dedicato alle arti e ai mestieri. Verso la fine del 1945, l Ugo Gariboldi, classe 1910, rientrò dalla prigionia in Germania. Ad attenderlo sul portone, dopo quasi sei anni di lontananza, si era radunata una piccola folla di parenti ed amici. Un indimenticabile giorno di festa per gli abitanti della corte ma non per me. Quel giorno era da me temuto per il fatto che Claudio, mio compagno di giochi, in occasione delle nostre continue vertenze, mi minacciava ripetutamente di dirlo al suo papà che - una volta tornato dalla Germania - me le avrebbe date di santa ragione.

12 Quando vidi Ugo, con un grosso zaino militare sulle spalle, entrare nel cortile fra pianti di gioia e infiniti abbracci, temendo l inevitabile reprimenda, fuggii terrorizzato sul solaio di casa dove, appollaiato dietro un finestrino rimasi per un paio d ore a sbirciare nel sottostante cortile in attesa dell incombente terribile reazione del babbo di Claudio. Solo la santa pazienza di mamma Palmira, cui dovetti raccontare la pena chi mi attanagliava, dopo infinite assicurazioni, mi convinse a lasciare il mio rifugio per raggiungere col babbo e mia sorella Flavia l abitazione del reduce dove si stava festeggiando. Vedendomi entrare Ugo, notando il mio imbarazzo, mi venne incontro per sollevarmi fra le sue possenti braccia. Con qualche residuo timore accettai dalle sue mani una fetta di torta e, informandosi quale fosse il mio nome, mi apostrofò benevolmente: Te ghet dent la ghigneta de baluset del tò papà (trad.; Hai lo stesso ghigno da furbetto di tuo papà! ) cui fece seguito una grossa risata da parte dei presenti. A questo punto, rinfrancato dal clima festoso, mi resi conto che il buon Ugo non intendeva punirmi o, forse, l amichetto Claudio si riservava di informarlo in un secondo momento. Ritengo a ragione che dopo quasi settant anni, tale punizione sia da considerare prescritta. Ugo riprese la stessa attività di meccanico che svolgeva prima del suo richiamo alle armi. Occupati i locali lasciati liberi dagli sfollati si mise a costruire, in proprio, pinze e tenaglie per la trafileria. Alla sua morte, avvenuta una ventina d anni dopo, subentrò il figlio Claudio che proseguì nella stessa attività fino al raggiungimento della pensione. Attualmente la casa Gariboldi è disabitata. In quanto i tre fratelli Gariboldi si sono trasferiti altrove. Oltre il portichetto del curtil dei Garibold si trovava, sulla sinistra, una porticina in legno per l accesso pedonale all Asilo e l attuale cancello carrabile. Da questo punto si dipartiva una dritta stradina acciottolata che, costeggiando l asilo sulla sinistra, portava direttamente al verde cancellone dell Oratorio, la mia seconda casa che costituirà l argomento a parte. L ALFREDO MACELÁR (9) I numeri civici 9 11 13 di Via Renzo indicavano la casa di cui mio padre era proprietario. In questo capitolo mi limiterò a descrivere le due attività che si svolgevano nei locali al piano terra, affacciati sulla via, perché approfondirò l argomento in un capitolo dal titolo; Casa mia, casa mia. All inizio degli anni 50 la mia famiglia decise di smobilitare la cucina-tinello-sala, posta nel grande locale al piano terra, per trasferirla al primo piano, in un locale resosi libero con la morte di zia Emilia avvenuta nel 1944. Dieci anni dopo, un amico di papà, tale Alfredo Riva di Galbiate - un bell uomo, un tipo alla Clark Gable, estroverso e dinamico chiese ed ottenne da papà in affitto il locale a piano terra con lo scopo di realizzarvi una macelleria (nda: la quinta del paese, dopo le tre di Piazza della Vittoria e quella alla Giazzera). Il muratore Sandrino Lanfranchi, allora capomastro del Guglielmu Colombo, ricavò dalla finestra che dava sulla via Renzo una grande porta d ingresso a vetri, protetta da una poderosa saracinesca. Internamente realizzò una cella frigorifera, ne rivesti le pareti con

13 delle bianche piastrelle in ceramica dalle quali spuntavano appuntitii ganci in acciaio destinati a sorreggere i grossi quarti bovini. Nei giorni che precedettero il Natale del 1954 tutto fu pronto per l inaugurazione della nuova bottega, addobbata, per l occasione, con rami di alloro, luminarie e variopinti festoni. All esterno, ai lati della porta d ingresso, appesi per i garretti, davano il benvenuto alla clientela due grossi quarti di bue, freschi di macellazione. Il bell Alfredo, indossata un immacolata vestaglia bianca e berrettino iniziò, dall alto del bancone di marmo, a distribuire la sua merce alle massaie che accorsero numerose attratte, oltre che dalla bontà delle carni, dalla contagiosa simpatia che trasmetteva attraverso salaci battute offerte generosamente, accompagnate da irresistibili risate, assieme a cotechini e cotolette. Nell angolino, ricavato dall antico accesso alle scale la signora Edda, armata di una nuovissima Multisumma Olivetti, sovraintendeva meticolosamente alle operazioni di cassa. Negli anni successivi, la premiata macelleria di Alfredo Riva, che nel frattempo si era conquistata una cospicua clientela, passò di mano diverse volte, operazione abbastanza usuale fra macellai. Dapprima, l Alfredo cedette la propria attività ad un giovane, tale Anghileri Giancarlo di San Giovanni, che lo resse sino a che un brutto incidente con la Moto non lo costrinse a cederlo al cognato Silvio di Carenno che, a sua volta, la passò al Giancarlo Lunghin di Olate per finire all Amelio Polvara che, causa la morte del padre, noto macellaio di S Giovanni, dopo diversi anni fu costretto a chiudere il redditizio negozio di Via Renzo per continuare la propria attività nella macelleria paterna. Agli inizi del egli anni 90 la macelleria, dopo una quarantina d anni, cessò definitivamente per declassarsi a semplice ripostiglio temporaneo di derrate alimentari, affittato al droghiere Carlo Nasatti che, dopo aver rilevato l attività della disciolta Cooperativa La Moderna, necessitava di un magazzino con cella frigorifera per stipare le proprie scorte. Tale locazione si esaurì dopo alcuni anni, preferendo il Nasatti, utilizzare un locale attiguo al proprio negozio, all inizio di Via Lucia. EL GUIDO BARBE (10) Al piano terra della mia abitazione, superato il portoncino d accesso alle scale, contraddistinto dal numero civico 11, si trovava una seconda bottega: il salone di barbiere, dato dai miei in affitto sin dal 1946 al signor Guido Palma, reduce dal servizio militare. Guido gestì il salone da barbiere per circa trentacinque anni, sino al raggiungimento della pensione, per poi cederla al garzone Antonio Totò Talarico che proseguì con l attività per una quindicina d anni, sino alla chiusura definitiva del negozio che non venne più affittato ad alcuno in quanto dopo la morte dei miei genitori, con mia sorella Flavia, decisi porre in vendita l intero stabile. Cessione che avvenne nell anno 2001. Quella di Guido era una bottega vetusta che avrebbe richiesto un opportuno ammodernamento ma, né lui né tantomeno mio padre Aldo, entrambi notoriamente parsimoniosi, erano intenzionati a porre mano al portafogli. Risultato: il locale rimase tale

14 quale si presentava all inizio del secolo scorso quando i miei nonni Carlo e Mirina, coadiuvati dalle figlie Innocente e Emilia, vi gestivano un attività di posteria. Moltissimi ricordi e sensazioni mi legano a questa bottega da barbiere, posta proprio sotto la mia camera da letto. Questo negozio, col tempo divenne, una specie di punto di riferimento sportivo dove si incontravano e scontravano i maggiori esperti ed opinionisti nostrani per dissertare sul campionato di Calcio, in quegli anni dominato dal Torino e dall Inter, oppure sul Giro e sul Tour dove tutti si esaltavano per le epiche imprese di Bartali, Coppi e Magni. Le roboanti dispute, attraverso la tromba delle scale di casa, giungevano amplificate alle nostre orecchie, specialmente il sabato sino a tarda sera e la domenica mattina dalle sette sino alle tre del pomeriggio. Fra i più quotati opinionisti sportivi accreditati nella bottega, ricordo il Gigi Pennati che, il sabato e la domenica, coadiuvava il titolare Guido nella rasatura delle barbe, prima di partire definitivamente per l Australia per conto della SAE di Lecco. Ricordo il pianto dirotto dei bambini appollaiati sul seggiolone, avvolti in un enorme mantino azzurro, sottoposti alla tortura del taglio dei capelli. Che dire poi della raccolta dei giornali e riviste che troneggiavano sul tavolino posto a ridosso della vetrina? Ce n erano per tutti i gusti, politici e non. Dal giornale l Italia dei cattolici all Avanti dei socialisti e all Unità dei comunisti. Ricordo la Domenica del Corriere con le famose copertine di Walter Molino e, frutto proibito per noi ragazzini, il Grand Hotel e Crimen, che sbirciavamo di soppiatto senza però evitare quel senso di colpa che ci costringeva a dichiararlo nella Confessione settimanale. Oggi la vivace bottega di barbiere non esiste più. Un altro pezzo di umanità che animava la contrada se n è andata per sempre, portando inesorabilmente con sé il ricordo di tante storie col volto dei loro protagonisti. L eco di questi ricordi d infanzia si rinnova in occasione delle mie visite al Cimitero di Acquate quando, con lo sguardo, incontro la familiare immagine di Guido Barbée sulla tomba attigua a quella dei miei genitori. Alla morte di mamma Palmira, avvenuta nel 1998, l intero stabile fu acquistato da Massimo Redaelli. Il locale,un tempo adibito a barbieria, oggi è tramutato in una grande ed accogliente cucina dove, alle concitate diatribe sportive, si sono sostituite gioiose grida di una vivace cucciolata di bimbetti; orgoglio della simpatica famiglia di Massimo. LUIGI E ADELE POZZI LACĖR (11) All inizio di Via Agnese, nella casa di Olivio Bodega 11 in un piccolo locale d angolo, sin dal primo dopoguerra, era attiva una latteria-gelateria gestita da Luigi Pozzi Lacée, coadiuvato dalla sorella Adele. Un locale risultato una vera chicca per il quartiere in quei primi anni del dopoguerra. Ben presto, con la necessità di ampliare l attività di vendita, con 11 Un simpatico vecchietto, che ricordo con baffi e furbi occhietti, che trascorreva buona parte della giornata seduto sulla murella posta fuori casa, con l eterna pipa fra i denti e bastone fra le mani.

15 l aggiunta di formaggi, frutta e verdura, i fratelli Pozzi si trasferirono all inizio di via Renzo nei nuovi locali ristrutturati, un tempo occupati dai Bœs (di cui abbiamo parlato all inizio del capitolo). LA CELESTINA TRENTA (12) Superato l accesso di Via Agnese, fino al termine degli anni 50 era attivo il negozio di generi alimentari, gestito della signora Celestina Frigerio Trenta, proprietaria dell intero stabile posto ad angolo fra la Via Renzo e la Via Agnese. Il negozio in seguito, dopo opportuni ammodernamenti, fu rilevato dal signor Pasqualino Bodega che, lasciato anzitempo l impiego di economo alla Ferriera del Caleotto, volle cimentarsi con la più raffinata gastronomia: la sua vera passione. Proprio grazie a questa sua innata passione Pasqualino, in breve tempo fece del nuovo negozio un punto di riferimento per i palati più esigenti anche provenienti da fuori paese. Pasqualino fu generoso fornitore ufficiale di tutti i Campeggi CADAS, organizzati fra i giovani del Circolo Giovanile tra il 1962 al 1967, la cui storia è ampliamente illustrata al capitolo Campeggio che passione! Al raggiungimento della pensione, avvenuta sul finire degli anni 70, il geniale gastronomo cessò l attività e restituì il locale alla famiglia Frigerio. LA POSTA (13) Lasciato l ingresso del Guido Barbé, dopo la rossa cassetta della posta troviamo l ingresso delle Poste e Telegrafo, presente in quel piccolo locale quasi da un secolo. La gestione dell Ufficio Postale 12 già dall immediato dopo guerra, era affidata a due funzionarie estremamente pignole e fiscali: la signora Bea e la propria figlia Fausta. La distribuzione della posta era affidata a signor Veronelli che per tanti anni, bicicletta alla mano, borsone a tracolla e classico berretto da postino in testa, con puntualità e precisione, per decenni ha consegnato quotidianamente buste, pacchi e raccomandate alle famiglie acquatesi, comprese quelle residenti nelle lontane frazioni montane. CASA INVERNIZZI Lo stabile che attualmente ospita l Ufficio Postale, ed sino a un paio di decenni fa la cartoleria della Sufia, è da annoverare fra le costruzioni di maggior pregio del paese. Un complesso risalente con buona probabilità al XVI secolo: sicuramente la costruzione più antica della contrada. Fino al termine dell 800 di proprietà dei miei antenati, ospitò fra l altro, un Osteria con annesso gioco bocce, gestita per tanti anni dai miei cugini Pozzi 12 Oggi, con scelta alquanto inopportuna, operante solo in mattinata nelle giornate di mercoledì e sabato.

16 Mèrich che poi si trasferirono a Belledo per fondare l Antica Trattoria Americo (famosa ancora oggi per i tradizionali piatti a base di succulente lumache). Successivamente, l intero complesso, comprendente un bel cortile interno ed un vasto orto che confinava con l Oratorio 13, passò alla famiglia Invernizzi. L accesso a questa antica magione, sino ad un centinaio di anni fa, era costituito da un elegante e possente struttura ad arco tutto sesto in granito, come risulta da un antica foto della fine dell 800. Dell antico ed imponente portale in pietra, oggi scomparso, è rimasta, con pochi altri elementi, solo la chiave di volta: un pesante parallelepipedo in granito, del peso di oltre un quintale, con scolpito nel suo centro lo stemma del casato Pozzi composto da uno scudo oblungo che racchiude una ruota raggiata. Il granitico reperto, da sempre conservato nel cortiletto della mia famiglia ad Acquate, mi ha seguito nel trasloco a Calolziocorte, trovando una nuova dimora tra le siepi del giardino di casa.. Attraversando il grande cortile interno dello caseggiato Invernizzi, si raggiungeva una scaletta esterna che portava all abitazione delle sorelle Maria e Barbara Manzoni 14, famosa per essere guarita da una grave malattia dopo un pellegrinaggio a Lourdes. La storia di questo prodigioso miracolo è stata recentemente riportata in un volumetto disponibile presso la Parrocchia di Acquate. Sulla sinistra del cortile, superato un portichetto, si accedeva ad un grande orto, che allora confinava col campetto di calcio dell Oratorio, dove non di rado - fra cicorie e pomodori - finiva la palla maldestramente calciata da qualcuno di noi ragazzini a cui per tacito accordo spettava l obbligo del recupero della sfera per poter continuare la partitella. Operazione non certamente esente da rischi. Per evitare le sacrosante ramanzine del proprietario, bussando alla sua porta per chiedergli il permesso di poter ricuperare la palla finita nell ortaglia (anche più volte nella stessa giornata), il malcapitato autore del tiraccio era costretto a scavalcare il muraglione di cinta col rischio di lasciare una campionatura dei propri calzoncini appesa al filo spinato, confidando, una volta superato il muro, che il padrone dell orto e, soprattutto, il suo temibile cane da guardia fossero occupati altrove. Al primo piano esercitava la professione di ciabattino il Pedrin Calzular, un Pozzi della stirpe dei Bastianej fino a quando, per dare maggior visibilità alla propria attività, si spostò col suo banchetto in un negozio, un tempo occupato da un barbiere, posto nei pressi di Piazza della Vittoria. 14 Barbara Manzoni nell estate del 1928, fu al centro dell attenzione popolare per un fatto che fece grande scalpore, la cui eco si diffuse ben oltre il territorio di Lecco. Si trattò del presunto miracolo che consentì alla giovane Barbara, colpita da una grave forma di encefalite letargica che la costringeva da tempo sulla carrozzina, di tornare a casa sulle proprie gambe, perfettamente guarita, dopo un pellegrinaggio a Lourdes nell agosto del 1928. Un presunto miracolo che, pur inspiegabile da parte della scienza medica, non venne mai riconosciuto tale dall apposita commissione medico-ecclesiastica. Una conclusione che non piacque ai tenaci acquatesi che, guidati dal Parroco don Piatti coadiuvato dai due fratelli sacerdoti nativi Andrea e Giulio Spreafico, colonne dell UNITALSI lombarda, decisero di celebrare quello che per gli acquatesi era considerato un miracolo a tutti gli effetti avvenuto alla grotta di Massabielle, con la costruzione del bellissimo santuario in stile gotico, dedicato alla Madonna di Lourdes che sovrasta l antico nucleo del paese. Un particolare amicizia legava la mamma con Barbara che esercitava la professione di sarta e, quando richiesto, eseguiva senza nulla chiedere, iniezioni intramuscolari, che eseguiva in modo indolore, nonostante gli aghi di quel tempo fossero grossi come fiammiferi.

17 LA CARTOLERIA DE LA SUFÌA (14) Sempre nel contesto di questo importante caseggiato, prima che la via Renzo si allarghi per trasformarsi nella piazzetta dello Zuccarello, troviamo un piccolo negozio di non più di 20 metri quadrati, ricavato da un vecchio locale dal caratteristico soffitto a botte: quello che gli anziani ricordano come la mitica Butega del Sufìa. Punto di riferimento per generazioni di bambini in età scolare, dove, nel vetusto locale senza finestre, salvo l ingresso che comprendeva una minuscola vetrina, potevano trovare tutto, ma proprio tutto, l occorrente per la scuola. Nello scaffale a quadrettoni che copriva un intera parete alle spalle del bancone erano riposti in bell ordine quaderni suddivisi per classe; da quelli classici con la copertina nera zigrinata, bordati di rosso a quelli più moderni con copertina illustrata (tutti con l utile tavola pitagorica nell ultima pagina), ed ancora, album da disegno, quaderni di musica, di stenografia e calligrafia, matite, pastelli Giotto, gomme per cancellare, inchiostri, penne a cannuccia con svariati tipi di pennino: da quelli a campanile, a quelli a tre buchi, a quelli da rotondo, e così via. Ben presto l avvento della rivoluzionaria biro, che si sostituiva alle penne ad inchiostro, che a mio avviso, a peggiorato il modo di scrivere manuale a tutti i livelli. Sotto il massiccio bancone erano riposte le squadrate cartelle di fibra da tracolla, compassi cromati, squadre e righe di legno (spesso utilizzate come spade nei frequenti duelli all uscita dalla scuola), carte assorbenti, Diari Vitt, carta e spago per pacchi ecc. Verso la fine di agosto, nella vetrinetta aperta sulla Via Renzo comparivano i classici articoli per la scuola; ai primi di dicembre il tutto era sostituito da multicolori addobbi natalizi, dalle statuine del presepe, alle capannine, alle carte da sfondo con i classici villaggi della Palestina sormontati da un cielo stellato, alle fragilissime palle in vetro colorate da appendere al brüscun di alloro. Gli articoli natalizi invenduti, dopo l Epifania, ritornavano mestamente negli scatoloni di cartone sugli scaffali del magazzino del Sufìa (descritto in precedenza) in attesa del prossimo Avvento, per lasciare il posto ai variopinti articoli di carnevale: maschere di cartapesta, stelle filanti, le famose strìsciole, coriandoli e trombette di cartone, parrucche di stoppa e così via. In un alto scaffale a vetrinette, color nocciola, posto di fronte al bancone di vendita, erano esposte finissime penne stilografiche Pelikan da regalo, riposte in candidi astucci di raso, coroncine del rosario sguscianti da piccole scatolette di finta madreperla e candidi libretti da Messa con Angeli oranti sulla copertina. Un ricco campionario di santini e cartoncini di diverso soggetto era contenuto in capaci faldoni suddivisi per tema. La stessa Premiata ditta Pozzi Claudio e figli, con la pedalina (di cui parleremo tra poco) imprimeva sul retro dei santini con caratteri gotici o inglesi, di colore grigio-argento o oro, il nome del soggetto, la data della cerimonia, seguiti dalle immancabili citazioni evangeliche: il tutto destinato a Prime Comunioni, Cresime, Battesimi, Nozze e pure alle malaugurate dipartite. In quella piccola bottega, se si escludono vettovaglie e confezioni di abbigliamento, si trovava proprio tutto! In una buia rientranza sul fondo del locale erano riposte latte e

18 lattine di smalto colorato e, soprattutto, di color argento (per i tubi fumari delle stufe), bustine per colorare la biacca, pennelli, pennellesse e frattazzi di tutte le misure. Sotto un tavolaccio era riposto il sacco del gesso e la damigiana dell acquaragia, prodotti che venivano venduti sfusi utilizzando una vecchia bilancia a due piatti con pesi e pesini in ottone. Saliti tre ripidi gradini, si accedeva alla Premiata Tipografia Claudio Pozzi. In un bugigattolo, non più grande di una decina di metri quadrati, troneggiava una rumorosa macchina di stampa Heildelberg, meglio conosciuta come pedalina. Nonostante il suo piccolo formato di stampa, da quell infernale macchinario, colpo dopo colpo, sono usciti milioni di fogli stampati 15 : locandine per ogni esigenza, volantini di carattere politico e religioso, biglietti da visita, bollettari di ogni genere, immaginette della Comunione ecc. La composizione del testo avveniva, posizionando manualmente i vari caratteri, con l uso di pinzette, nella matrice racchiusa in un telaio. Completava la tipografia un enorme bancone dai pesanti cassetti contenenti i tipi di piombo o di legno di ogni forma e dimensione. Sull ampio suo ripiano si svolgevano tutte le operazioni di composizione e scomposizione delle matrici cui, necessariamente, seguiva un ordinato ricovero dei caratteri utilizzati nei rispettivi cassetti di legno. Nella gestione di questa variegata attività commerciale e artigianale si sono alternate ben tre generazioni della famiglia Pozzi Sufìa : il patriarca Claudio 16 la moglie Sofia Dell Oro, i figli Carletto, Alberto e Romilda, a cui si deve aggiungere una schiera di figli e nipoti. Verso la fine degli anni 80, dello scorso secolo, l attività cessò definitivamente. Con la chiusura della storica bottega del Sufìa, cui è subentrato un box per auto, sono scomparse intere generazioni di vocianti ragazzini che avevano tacitamente eletto quel minuscolo locale e relative pertinenze loro abituale punto di incontro. LA VEDOVELLA DELLO ZUCCARELLO In una nicchia, ricavata nella grossa muraglia dello stabile Invernizzi, è tuttora presente una verde fontanella in ghisa, (del tipo chiamato Vedovella ) sistemata in quella posizione sin dalla fine dell 800, quando la Municipalità acquatese decise di eliminarne un analoga di granito, posta una decina di metri più a monte. Dall acqua sempre freschissima, anche nelle giornate più calde dell estate, la Vedovella dello Zuccarello, per diversi anni dalla fine della guerra, ha continuato a rifornire del vitale elemento le tavole e le tinozze di una buona parte degli abitanti della contrada, non ancora serviti dalla rete idraulica comunale. 15 Un paio di volte sono pure entrate le dita di qualche maldestro tipografo. 16 Coi figli Carletto e Alberto, gestiva un commercio all ingrosso di carta, cancelleria ed affini, particolarmente diretto a negozi e rivenditori al dettaglio. Con un Guzzino65 prima, e con un Galletto Guzzi più tardi il patriarca Claudio, non più giovanissimo, raggiungeva i suoi clienti sparsi dalla Brianza sino alla Valtellina.

19 La Vedovella è sempre stata anche fonte di giochi e battaglie da parte di stuoli di ragazzini armati, come si usava in quegli anni, di pistole a pompetta che, utilizzate con eccessiva disinvoltura, spesso ottenevano lo spiacevole risultato di attirare sacrosante secchiate d acqua (talvolta ghiacciate) da parte delle spazientite massaie disturbate nel loro quotidiano approvvigionamento idrico. CAVENAGHI: Storico prestino della Via Renzo (15) Sicuramente era la bottega più trafficata dell intera contrada, sia per la sua invidiabile posizione centrale rispetto agli altri negozi, sia per l alimento base trattato: il pane quotidiano. Il commercio al dettaglio avveniva in un piccolo ma fornitissimo locale, profondo e stretto, disposto perpendicolarmente alla strada, con una porticina sul fondo che - tra prosciutti e salami appesi - comunicava direttamente con l ampio prestino. La parte commerciale dell attività, nel primo dopoguerra, era curata dalla signora Maria prestinera mentre la parte artigianale, cioè la conduzione del forno a legna e carbone, era affidata al marito Egidio Cavenaghi: i genitori delle sorelle Teresina, Rosanna e Clementina. Durante le mie vacanze scolastiche del 1948-49, Rosanna, allora fresca maestrina elementare, ricevette l incarico di mia mamma di seguire e verificare i miei compiti estivi che svogliatamente ero costretto a presentarle giorno dopo giorno ma che, a causa dello scarso mio impegno, spesso fruttavano bonarie ma meritatissime ramanzine da parte della paziente maestrina ma un po meno bonarie da parte della mamma. Ben presto, gli anziani genitori passarono la mano e al banco di vendita subentrò la figlia Teresina che, da sarta provetta, dovette lasciare ago e filo per assumere la conduzione del negozio fino a che, per esaudire una sua vocazione, prese i voti religiosi per farsi suora. Fu allora che la giovane sorella Rosanna, riposto in un cassetto il suo fresco diploma magistrale, con il prezioso aiuto della sorella minore Clementina, dovette assumersi la responsabilità in toto nella gestione dell attività. Nel frattempo, Rosanna convolava a nozze col signor Livio Camagni (un amico con cui per alcuni anni condivisi la passione per l organo elettronico), milanese di Inzago che, in breve tempo, rubando il mestiere di panettiere, da carrozziere qual era, si trasformò in abile fornaio e pasticciere. Tutti i santi giorni di calendario, nel cestino del pane posto al centro della tavola, facevano bella mostra le profumate michette della prestinera che, dovevano bastare per pranzo, merenda e cena e, nel rarissimo caso che avanzasse qualche rosetta, il giorno dopo, finivano nell odiato pancotto o nelle zuppe di brodo e cipollino che invece non mi dispiacevano. Mia mamma, fin da bambini, ci aveva insegnato che il pane è un cibo sacro, sprecarlo equivaleva commettere un peccato da confessare. Ricordo i soffici e profumati gramolini di Livio, esposti ancora fumanti, fra bignè e cannoncini, in grandi vassoi nella luminosa vetrina. Una vera delizia a cui difficilmente si poteva resistere. Ricordo, ad onor del vero, che proprio il gramolino spesso era l ambito premio che la mamma mi riconosceva in presenza di qualche mio apprezzabile voto rimediato alle elementari.

20 Rosanna ed il consorte Livio, raggiunto il pensionamento, diversi anni dopo, cessarono la loro florida attività. I due loro figli maschi, Egidio e Davide, alle teglie da forno e ai prosciutti, hanno preferito intraprendere rispettivamente le professioni di medico chirurgo e ingegnere civile. In quell antica bottega, opportunamente ristrutturata, nel frattempo, si sono alternati negozi di vario genere, ma attualmente non ospita alcuna attività. Il vecchio forno, dopo opportuni adattamenti, fu trasformato in un moderno studio medico dove, il caro amico dottor Egidio Camagni, da diversi anni, quale medico di base, riceve i suoi numerosi pazienti. Quando mi capita di ripercorrere la mia vecchia contrada, passando davanti allo studio medico di Egidio, ancor mi par di assaporare l aroma del pane appena sfornato che, dalle finestre dell antico prestino, la mattina presto si diffondeva per l intera via, riuscendo, talvolta, ad intrufolarsi nelle stanze di casa mia. EL ZŪCAREL (16) Al termine della Via Renzo si apre lo slargo denominato Zuccarello, una specie di Piazzetta dominata da un antica casa padronale un tempo abitata da una nobile famiglia, imparentata col casato di Alessandro Manzoni, i cui simboli nobiliari figurano, ancora oggi, sopra l arco dell antico portale e sulla trave del grande camino conservato all interno dell attuale Bar Paradise, di cui parlerò poco più avanti. Verso la fine dell 800, come si evince da un antica fotografia, la piazzetta era ingentilita dalla presenza di una grande fontana in granito posta sotto i rami di un imponente gelso. Oggi i pochi spazi offerti dallo dello Zuccarello sono ostaggio di qualche auto che in questa striminzita area hanno trovato un parcheggio di (s)fortuna. Sul finire degli anni 40 - tra la merceria delle sorelle Bolis e il negozio della Giuvanala in un angolo della piazzetta, stazionava un carrettino di fruttivendolo, prima quello del Ciapanìn (poi passato a gestire un negozio di frutta e verdura a Maggianico) sostituito, qualche tempo dopo, dal Pierino Scartegia che ben presto si dotò di un motocarrino Ape col quale si prestava anche per dei piccoli trasporti di materiali vari, specialmente attraverso gli stretti e tortuosi vicoli del quartiere. LA MERCERIA DI BOLISE (17) Bottoni di ogni genere, passamanerie, una miriade di cassetti con coloratissimi rocchetti di refe Tre cerchi, lana in gomitoli, aghi, spille e mollette per capelli, mutande e reggipetti, canotte e calze di cotone o nylon, ombrelli e sciarpe, fazzoletti e foulard, creme, colonie e saponette. In quella minuscola bottega delle sorelle Bolis, affacciata sullo Zuccarello, si poteva trovare buona parte di quanto necessario per l igiene del corpo e la manutenzione di quanto lo ricopriva; il tutto ordinatamente disposto nelle vetrinette e sugli alti scaffali del piccolo ma curato negozio di mercerie cui si accedeva scendendo alcuni gradini.