Cotabo. Auguri. ANNO 36, N 152- dicembre 2012. è stato un 2012 difficile. nuova edizione una cotabo sempre più tecnologica

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ANNO 36, N 152- dicembre 2012 nuova edizione intervista a marco benni una cotabo sempre più tecnologica riccardo carboni è stato un 2012 difficile Periodico di informazione e dibattito della COTABO, Cooperativa Tassisti Bolognesi. Sede sociale in Bologna, Via Stalingrado 65/13 Auguri Cotabo da

sommario 3 8 10 12 18 22 24 27 28 31 editoriale intervista CARBONI intervista benni informazione ai soci la parola ai soci bologna un po per volta racconti notturni solidarietà racconto bertagnin gruppo preghiera Realizzazione Il Socio Cotabo a cura di CO.TA.BO. Direttore Responsabile GABRIELE ORSI Segretaria di Redazione Chiara Marzadori Redazione SALVATORE VRENNA, TIBERIO BASALTI, ELIO GUBELLINI, MARCO VECCHIATTINI, DANIELE BERTAGNIN, FABRIZIO ZAGNONI. Direzione, Amministrazione, Redazione: Via Stalingrado 65/13 - Bologna Tel. 051 374300 Progetto grafico Via Stalingrado, 65/13 40128 Bologna Tel. 051.375235 Periodico d informazione e dibattito della CO.TA.BO distribuito gratuitamente ai propri soci. Gli articoli pubblicati su il Socio impegnano esclusivamente chi li firma e sono a titolo gratuito. I soci CO.TA.BO. e non sono liberi di esprimere il loro pensiero nei limiti stabiliti dal codice penale e dalla legislazione vigente. Autorizzazione Tribunale di Bologna 4355 del 14/06/1974 2 il socio cotabo dicembre 2012

editoriale Ciclisti: polpacci grossi, cervello fin(t)o di Gabriele Orsi Dai finestrini del nostro taxi virtuale la visuale è molto chiara, e finalmente siamo riusciti a capire chi sono i veri padroni di Bologna. Nossignori, non sono più i cittadini nella loro totalità (ammesso che lo siano mai stati), e nemmeno il sindaco, gli assessori, i commercianti, i tassisti, gli artigiani, gli industriali, le cooperative di consumo, le banche, le assicurazioni, i partiti politici, i mendicanti o Beppe Maniglia. Sono i ciclisti: si tratta di una nuova razza composta da individui un tempo appartenenti in pieno alla specie umana, ma che in seguito hanno scelto di seguire una diversa via evolutiva, e che si contraddistinguono per una caratteristica somatica invariabile, quella dei polpacci grossi. Esistono, pur tuttavia, diversi generi e categorie di ciclisti. I primi sono i ciclisti competitivi: dotati di attrezzature dernier cri e inguainati in aderentissime tute, non esiste giorno in terra in cui non facciano la loro tradizionale gara cronometrica, nella quale spendono tali e tante energie che nemmeno Felice Gimondi o Beppe Saronni ai bei tempi. Qualcuno passerà al professionismo, qualcun altro diventerà presidente della Commissione Europea, i più continueranno a sfidarsi l un l altro fino alla fine dei loro giorni. Poi, ci sono i ciclisti superiori: sono quelli convinti intimamente della superiorità del mezzo-bicicletta su qualsiasi altro mezzo di trasporto, pubblico o privato, esistente o ancora da inventare. Per loro la bicicletta è un culto, un passepartout, e chi usa solo le piste ciclabili soffre di complessi di inferiorità. Devo andare a fare la spesa? In bici è comodissimo. C è il ragazzino da prendere all uscita da scuola? Ci vado in bici, in due è molto divertente (non per il cinno, che siede sul cannone e si frantuma le natiche). C è il sole? Vado in bici. Piove? Vado in bici. Nevica? Vado in bici. Crolla il mondo? Vado in bici. Devo andare in Groenlandia? Che vuoi che sia, in bici sono giusto due pedalate. Sono irrecuperabili. La terza fascia è quella dei ciclisti perché si deve, fa bene : vittime della propaganda salutista, si insellano alla prima bici che trovano senza averne né la voglia né tantomeno l attitudine psicofisica. Sono inconfondibili: abbigliati in guisa totalmente inadeguata, con pantaloni di velluto a coste che si impigliano costantemente nella catena, ansimano come equini con la pertosse, sbandano paurosamente, la minima distrazione può risultare loro fatale. Spiace dirlo, ma, lungi dal fare loro del bene, con ogni probabilità la bicicletta sarà causa del loro decesso. Seguono i ciclisti categoria Frecciarossa (o Italo se preferiscono i treni di Montezemolo): non si sa perché si issano in sella alla bici, i motivi sono i più svariati, fatto sta che ora ci sono, nessuno ve li può più schiodare, e sfrecciano a tutta velocità in ogni dove, travolgendo e falciando tutto ciò che incontrano. Inutile offenderli e prenderli a male parole, ora che ci si riprende e si urla loro l improperio più adatto, loro sono già a chilometri di distanza. E infine ci sono i ciclisti per amore: sono quelli il cui lui o la cui lei sono adepti della bicicletta e che in nome della vita di coppia si adeguano di buon grado. Salvo poi franare, fra le risa di scherno del lui/lei ciclista, nella prima pozza di fango, rialzarsi e trovarsi davanti alla drammatica scelta se mollare una pizza in faccia al partner ridens o proseguire lasciando nel fango la propria dignità. Tante categorie, quindi, ma un comune denominatore: i ciclisti, padroni di Bologna, sono un pericolo. Lo sono per gli altri ma anche, sovente, per se stessi. Abbiamo già concionato di come costoro sfreccino sotto portici affollati di gente, taglino la strada agli incroci e ai passaggi pedonali rischiando di falciare innocenti astanti e vecchiette con l artrite, brucino semafori rossi come se per loro il codice della strada fosse un documento astruso, inutile, riservato a poveri cristi di altra genia. È rosso per i pedoni? Loro si mettono su strada e seguono la corrente del traffico rallentandolo senza rimedio. Il rosso è per i mezzi? Nessun problema, si passa sulle strisce pedonali, sul marciapiedi, sui piedi di qualche disgraziato. Ma questi figuri sono pericolosi anche per la loro stessa incolumità: tutto questo sfrecciare, tagliare, zigzagare, andare contromano li espone ineluttabilmente, prima o poi, a un frontale con il 19 barrato piuttosto che con il camion dell immondizia. E non è tanto per la loro formale sopravvivenza che me ne metto, ma perché non è giusto che il peso psicologico di una vita spezzata, sia pure accidentalmente, ricada sul poveraccio di turno solo per colpa di qualche ciclista un po esuberante. Non parliamo poi dell insopportabile superbia con cui guardano pedoni e automobilisti, la spocchia di chi la sa lunga, di chi si crede perfetto, l alterigia del salutista che vuole convertire il resto del mondo sulla retta via e che si concretizza in manifestazioni come il Bike Pride dello scorso 13 maggio, quasi che i ciclisti fossero emarginati sociali, perseguitati bisognosi di una giornata in cui rivendicare i loro naturali e inalienabili diritti. E non provate a criticarli, a proporre (come ho già fatto) un patentino ottenibile a seguito di relativo esame (e passibile di multe e ritiro) per quei ciclisti che non si accontentano di stare sulle piste ciclabili o nei vialetti dei parchi. Verreste accusati di lesa maestà, di attentato ai diritti umani (dei ciclisti, degli altri non se ne cura nessuno), di essere dei fautori dell auto privata e pertanto dell inquinamento atmosferico, nemici dell ambiente, dei bambini, degli animali, dell umanità e di Gesù Bambino. E invece no, non è eticamente corretto che pochi eletti, dall alto dei loro sellini, giudichino noi poveri normali con tanta arroganza, perché la verità è che c è, ci deve essere, spazio per tutti. Basterebbe, come al solito, usare solo un po di cervello, ma purtroppo a questo giro il cervello è finto. Quello vero deve essere nei polpacci. Ecco perché sono grossi il socio cotabo dicembre 2012 3

editoriale C è ancora un buon ristorante a Bologna? Che dilemma! O forse no atto secondo di Gabriele Orsi Nello scorso numero di questa rivista abbiamo parlato della ristorazione a Bologna, cercando di capire il perché (se ma ve n è uno) la cucina petroniana venga snobbata in maniera così palese e ostinata dalla critica culinaria, tanto nella sua versione tradizionale quanto in quella creativa. All uopo abbiamo interpellato importanti esponenti del mondo della ristorazione bolognese e, tanto per non stare con le mani in mano, anche della produzione enologica locale, ricavandone opinioni divergenti ma tutte concordi su almeno un punto: sparare ad alzo zero sulla ristorazione a Bologna, a torto o a ragione, sembra essere diventato uno sport nazionale, se non altro perché fa sensazione, fa notizia e trasforma lo sparatore di turno in una sorta di guru. E, come se non bastasse, pare proprio che certa ristorazione, a Bologna, in tempi nemmeno così lontani abbia battuto la fiacca, tirato i remi in barca approfittando dell afflusso di clienti garantito (un tempo) da fiere e convegni, danneggiando l intero settore. Quindi, non paghi di occuparci si siffatte materie, abbiamo interpellato altri due autentici personaggi del milieu culinario che prospera all ombra delle Due Torri (e provincia), il primo celebre per avere lanciato, in tempi non sospetti, una cucina più fantasiosa e di ricerca per poi essere ritornato, in tempi altrettanto non sospetti, alla tradizione più stretta; il secondo per essere stato il primo in assoluto a giocare con le reliquie sacre della cucina petroniana, il tortellino e la lasagna, dandone interpretazioni che a loro volta hanno fatto e continuano a fare epoca. E come sempre, augurandovi buona lettura, vi auguriamo anche buon appetito. La cucina a Bologna? Ha perso la sua identità cristallina Parla Massimo Ratti, chef-patron del Ristorante «Ponte Rosso» di Monteveglio di Gabriele Orsi Chef, poeta, appassionato ed esperto di astrologia: Massimo Ratti è molto di più di un semplice personaggio nel panorama della ristorazione bolognese. È l uomo che, in tempi non sospetti, nel suo ristorante «Ponte Rosso», alle porte di Monteveglio, ha osato per primo contaminare i must della cucina bolognese secondo i dettami della creatività: i risultati sono stati piatti immaginifici che qualcuno potrebbe guardare, ingiustamente, con sospetto come i celeberrimi tortellini in salsa di fragole con spolverata di caffè, le lasagne cocco e pinoli, i tortelloni di ricotta con scorza di cedro o i cordon bleu ai frutti di bosco. Un omone nel senso letterale della parola, dato che fino a pochi anni fa organizzava il concorso per soggetti dal quintale in su, con tanto di pesata pubblica che sicuramente può a buon diritto dire la propria sullo stato attuale della ristorazione nel bolognese, anche in considerazione della collocazione del suo locale, decentrato nella provincia ma frequentatissimo da persone che arrivano anche da lontano. E noi siamo andati a chiederglielo. 4 il socio cotabo dicembre 2012

Qualcuno dice anche che la ristorazione bolognese si è adagiata, ha tirato i remi in barca e in un certo senso si è anche approfittata di certe situazioni «Verissimo, specie alcuni anni fa. Prendiamo l esempio delle fiere, che una volta riempivano alberghi e ristoranti. I clienti che ci portava la fiera erano poco attenti, generalmente stanchi morti, che mangiavano poco e che pagavaeditoriale Massimo, perché la critica e le guide snobbano la ristorazione di Bologna e provincia? Davvero si mangia così male? «Non è una questione di mangiar male nel senso peggiore del termine, il fatto è che la cucina bolognese ha perso la sua identità. Se vai in Piemonte o in Romagna trovi una cucina che è ancora legata in qualche modo all identità locale, al territorio, qui invece ormai manca l entusiasmo, nessuno più si ricorda le ricette originali di una volta, addirittura quasi non esistono più cuochi bolognesi. Ed è questo il punto: anziché perdere tempo sulla codificazione delle ricette bisogna contare quanti cuochi veramente bolognesi sono sopravvissuti e andare nelle scuole alberghiere per fabbricarne di nuovi. In più anche la famiglia si sta sfaldando, nessuno tramanda più le tradizioni in cucina. Non esistono più le nonne, le zie o le dade che insegnano a tirare la sfoglia e fare i tortellini. Mancano punti di riferimento, e inevitabilmente le tradizioni si perdono». Ma la ristorazione a Bologna, e tu l hai dimostrato, non è solo tradizione stretta. Perché le guide snobbano l intero settore? «Io ti rispondo con un altra domanda. Perché una volta, secoli fa, la cucina bolognese era celebre? Perché a Bologna, a partire dal XIV secolo, inizia lo studio della medicina, che allora comportava il trasporto, la dissezione e l analisi dei cadaveri, una cosa certo non divertente per chi se ne occupava. Occorreva quindi una cucina che tirasse su di morale, che facesse dimenticare le brutture della giornata appena trascorsa. Oggi questa idea di alleggerire lo spirito attraverso la cucina si è persa. Perché esce di casa il bolognese medio? Per farsi vedere come se fosse in vetrina, per stare in balotta con gli amici oppure per cercare dei piatti migliori di quelli che faceva sua nonna, cosa che sarà sempre impossibile. Non ci sono incentivi». no con soldi non loro, tanto c era l azienda a rimborsare. Facile, con clienti simili, lesinare sulle materie prime per lucrare sui guadagni e molti, purtroppo, l hanno fatto danneggiando anche quei loro colleghi che invece hanno sempre lavorato onestamente e creando il pregiudizio secondo cui a Bologna si paga molto e si mangia male. Quando poi, con la crisi, anche le aziende si sono accorte che rimborsavano cene a caro prezzo allora è stata la fine». Quindi scomparsa dei valori e approfittarsi dei clienti delle fiere sono le cause della decadenza? «Non solo, io ci metto anche un mancato ricambio generazionale degli chef, cosa che sta avvenendo solo in tempi recenti e con fortissimo ritardo rispetto a quando sarebbe dovuto accadere. E scarsa volontà politica : ormai la difesa della cucina bolognese salta fuori solo in situazioni emotive, quando qualcuno la attacca da fuori, ma in casi normali nessuno la sostiene, come se i primi a vergognarsene fossero proprio i bolognesi». Forse, ci fosse stato un vero turismo consolidato come sta nascendo ora, sarebbe stato diverso «Ma i turisti a Bologna non li ha mai voluti nessuno per ragioni politiche, e quindi non c è stato modo di usare il turismo come leva per valorizzare la nostra ristorazione. Ora, che le fiere stanno una a una lasciando Bologna, stiamo cercando di spingere sul turismo, specie su quello gastronomico, ma temo che ormai sia tardi perché non siamo più capaci di mantenere questa nostra identità antica, cristallina. Spero di sbagliarmi». E da qui l ostracismo delle grandi guide? «Esatto. Le guide non vogliono dare spazio a Bologna perché la cucina a Bologna ha perso identità. In più esiste un serissimo problema, che riguarda anche i vini, sul rapporto qualità-prezzo: sono tantissimi i locali tra Bologna e provincia dove quello che mangi, pur se passabile, non vale assolutamente il prezzo pagato. Anche i prodotti tipici hanno perso identità: abbiamo un paniere di prodotti eccezionali, ma non li seguiamo con il dovuto interesse, i giovani se ne disinteressano. E anche le grandi scuole di cucina stanno lentamente prendendo le distanze da Bologna mentre proprio a Bologna l insegnamento della cucina dovrebbe essere un istituzione». il socio cotabo dicembre 2012 5

editoriale Non conta quel che si fa, ma come lo si fa: e la cucina va fatta col cuore Intervista a Daniele Dandy Minarelli, titolare dell «Osteria Bottega» di Bologna di Gabriele Orsi Daniele Minarelli per tutti è Dandy, soprannome che lo accomuna automaticamente al mitico ristorante da lui aperto era la seconda metà degli anni 80 nella campagna appena fuori Minerbio, un luogo dove il nostro fece conoscere ai bolognesi una cucina diversa, lontana dal leitmotiv tortellini-tagliatelle-crescentine ma anche dagli edonismi caratteristici dell epoca lontana. Oggi invece Daniele, un personaggio nel senso biblico del termine che con gli amici si autodefinisce il dado, è ritornato da qualche anno alla tradizione bolognese più stretta, proponendo, grazie al giovane chef Daniele Bendanti e a uno staff di grande armonia, nella sua gettonatissima «Osteria Bottega» il meglio della cucina petroniana realizzato con materie prime sceltissime. È da lui che siamo andati a fare quattro chiacchiere sulla presunta decadenza della ristorazione a Bologna. Daniele, guardando il pienone del tuo locale non verrebbe da pensare che la cucina bolognese sia caduta in disgrazia. Eppure molti lo sostengono «Una volta, parlando della mia osteria, Enzo Vizzari disse che l importanza di una cucina è che sia fatta bene, e col cuore: questo vuol dire che proporre una cucina tradizionale non significa obbligatoriamente proporre una cucina di serie B, tutto sta nel come la si propone. Quello che servono sono gli ingredienti buoni, che possono essere o non essere a chilometro zero come va spesso di moda oggi, e la voglia di fare le cose per bene, senza lesinare su nulla». Quindi, implicitamente, stai dicendo che qualcuno, in passato, ha cercato di fare il furbo? «Sicuramente c è stato qualcuno che, in epoche passate, ha lucrato sulla tradizione e su nomi altisonanti proponendo cose che non erano all altezza della loro fama. Ma per l appunto la colpa non è della tradizione, ma di certe persone che non sempre l hanno onorata come meritava dandole la giusta credibilità e grandezza, e così facendo hanno portato un grandissimo danno all intero settore. C è stato indubbiamente un periodo di ribasso perché si sono persi gli entusiasmi e si è persa la memoria di quei piatti che a Bologna, nei secoli passati, finivano sulle tavole delle corti dei nobili, dei principi e dei vescovi». Anche i prodotti tipici non sembrano più essere quelli di una volta «Qui a Bologna abbiamo un territorio che offre prodotti di grandissima qualità, ed è certo un ottima base di partenza, ma se poi non si allacciano le cinture di sicurezza non sono da soli garanzia di riuscita. A maggior ragione, se si lesina sui prodotti, puoi essere anche bravo ma non riuscirai mai a dare al cliente dei piatti indimenticabili. Qui da noi non ci limitiamo a esaltare la cucina tradizionale e i vini del territorio, ma lo facciamo con le materie prime migliori: per la cotoletta alla bolognese usiamo solo carne di Fassona piemontese, prosciutto crudo di Parma stagionato 24 mesi di Lupi, Parmigiano- Reggiano di 30 mesi e vero brodo di carne. E poi abbiamo il culatello di Spigaroli, la mortadella di Pasquini, in poche parole il meglio del meglio». 6 il socio cotabo dicembre 2012

editoriale Che non costerà poco. Qualcuno dice che a Bologna spesso si paga troppo per quello che si mangia «È naturale che quando si usano materie prime d eccellenza questo si rifletta sui prezzi, ma credo che la gente sia disposta anche a spendere due soldi in più, senza esagerare, ma avere in cambio dei piatti che meritino la spesa, piuttosto che farsi rapinare e turlupinare da quei finti osti, in verità ormai pochi, che a Bologna in passato hanno anche fatto fortuna». Quei finti osti contro cui tu ti sei sempre battuto sin da quando apristi il «Dandy» a Minerbio. Ma è una battaglia ancora attuale? «Quando aprii il «Dandy» a Minerbio era il 1987 e nessuno si interessava veramente di enogastronomia, per cui si può dire che sono stato un pioniere. La gente andava a mangiare, se poteva permetterselo, nei locali alla moda dove contava di più farsi vedere rispetto a ciò che avevi nel piatto, oppure si andava in trattoria a mangiare le crescentine. Di qualità, materie prime, cucina creativa, nessuno sapeva nulla di nulla e sono stato io, in tempi non sospetti, a farlo scoprire al pubblico tanto che ci hanno dato la Stella Michelin. Quando poi questa formula ha iniziato a proliferare con tanti soggetti validi ma anche tanti che erano più fumo che arrosto, è stato sempre il dado a voltare pagina e a rilanciare un genere che sembrava morto, quello dell osteria bolognese con piatti della tradizione e ingredienti di prima. Certo che è una battaglia attuale, oserei dire senza fine, per la salvaguardia del buon nome della ristorazione a Bologna». in cui tutti o quasi badano alla linea. Può essere vero? «Obiezione respinta, almeno per quanto mi riguarda. È vero, la cucina bolognese per tradizione è grassa e pesante, come si addice alle cucine tipiche della Pianura Padana. Ma negli anni, pur senza perdere il contatto con il passato, ha saputo alleggerirsi, adattarsi ai tempi come è giusto che sia. Qui all «Osteria Bottega» rispettiamo la tradizione ma con grande attenzione alle cotture, alla digeribilità dei piatti, senza per questo rinunciare a fare le cose a regola d arte. Non è una cosa impossibile, si può fare e non vedo perché non lo debbano fare tutti». E infine c è la cucina creativa. Anche lei, oltre a quella tradizionale, è snobbata dalle grandi guide. Ma allora a Bologna non c è nulla che vada bene? «Qualcuno una volta ha detto che non si può creare senza ricordare, che in cucina significa che non ci si può lanciare nell estasi della creatività senza prendere le mosse, in qualche maniera, dal territorio, dalla tradizione. Qualcuno in passato a Bologna ha voluto fare proprio questo, staccarsi completamente dalla tradizione per volare lontano, e i risultati sono stati pessimi. Oggi è diverso, a Bologna abbiamo tanti grandi nomi che, partendo da qualche elemento locale, fanno un eccellente cucina di ricerca. Probabilmente, però, vige ancora una sorta di pregiudizio di fondo che bisogna sfatare». E come? «Come ho detto all inizio: lavorando bene e con tutti i crismi, senza lasciarsi né spaventare né tentare dalle vie più facili, ma al tempo stesso meno nobili. E questo vale sia per chi fa la tradizione sia per chi viaggia sulla creatività, non bisogna avere paura. E modestamente il dado non ha paura di niente e di nessuno». Un altra accusa che si muove alla ristorazione bolognese è di essere pesante, grassa, poco adatta a tempi il socio cotabo dicembre 2012 7

E stato un 2012 difficile, ora speriamo nella ripresa Intervista a Riccardo Carboni Presidente di Cotabo di Gabriele Orsi 8 il socio cotabo dicembre 2012

intervista Un anno difficile che si avvia alla conclusione, un nuovo anno sul quale riversare speranze e progetti di rilancio ma nel quale trascinarsi anche la pesante eredità della crisi economica ancora in corso. Di come Cotabo ha intenzione di affrontare il futuro prossimo e di gestire un presente ancora da prendere con le molle abbiamo parlato con il suo presidente Riccardo Carboni. Presidente, finalmente termina il 2012, vero e proprio annus horribilis «Indubbiamente per Cotabo il 2012 è stato un anno particolarmente complicato: la crisi economica, che aveva già colpito a macchia d olio i diversi comparti della nostra economia, ha iniziato a farsi sentire pesantemente anche nel nostro settore, obbligandoci in un certo senso a prendere le necessarie contromisure per resistere. Ovviamente ci auguriamo che il 2013 sia effettivamente l anno della ripresa, ma i dubbi permangono: la gestione politica del Paese non ha certo aiutato le imprese, di qualunque natura, a resistere alla bufera, anzi in molti casi ha finito per indebolirle irrimediabilmente. Nel bolognese sono tantissime sia le saracinesche che si sono abbassate in maniera definitiva che le aziende a rischio, e la preoccupazione naturalmente è forte, ciononostante noi facciamo il possibile per rimanere un punto di riferimento nel settore della mobilità». Qual è stata la vostra strategia in un anno di crisi? «Pur nelle difficoltà ci siamo sforzati di investire sugli accordi con enti e amministrazioni pubbliche, come i comuni di Anzola Emilia e San Lazzaro, per garantire i collegamenti in zone dove i mezzi pubblici sono carenti. Inoltre continuiamo a lavorare con le aziende del territorio, grandi e piccole, che ci garantiscono sempre una stabilità della domanda. Abbiamo lavorato per incrementare la clientela fidelizzata, sia mediante trattative che abbiamo in essere con la Pubblica Amministrazione qui a Bologna sia con le associazioni di categoria. Per inciso Bologna parteciperà al progetto europeo delle Smart Cities e può darsi che anche il settore dei taxi possa trarre qualche vantaggio così come è possibile che altri vantaggi arrivino dalla nascita della città metropolitana, altro progetto che stiamo seguendo con grande attenzione». C è poi la faccenda della nuova sede, come state affrontando questa novità? «Sarà senza dubbio la questione centrale da gestire per il 2013. Devo però dire che sono numerose, forse troppe, le questioni ancora pendenti in questa fine d anno delle quali saremo costretti a occuparci l anno prossimo. Ecco perché il nostro obiettivo è arrivare a una quadratura del cerchio su questi argomenti sperando che anche il contesto generale, nel frattempo, possa migliorare». Ma migliorerà? Quali sono le prospettive? «Bisogna in ogni caso rimanere speranzosi e lavorare intensamente. Nel 2013 avremo anche il rinnovo delle cariche sociali, un evento che per noi del mondo cooperativo fa parte di un ordinario processo democratico, ma secondo me prima di parlare di elezioni è necessario affrontare i problemi più urgenti, poi avremo tempo e modo di fare tutte le valutazioni del caso. D altronde la vita della nostra cooperativa non è fatta solo di corse in taxi, ma include una ricerca costante per migliorare la qualità dei servizi tanto al cliente quanto ai soci, e ovviamente l ottimizzazione dei costi, che in questi anni ci ha consentito di affrontare la crisi meglio di tanti altri». Quest anno, per Natale, avete promosso una bella iniziativa benefica, il calendario dei tassisti: in cosa consiste? «E un iniziativa di cui andiamo estremamente orgogliosi. La nostra categoria ha delle particolarità uniche, che include anche il fatto che tra di noi si nascondano degli autentici talenti, artisti che coltivano la propria arte solo privatamente e che invece, per questa occasione, hanno scelto di mettere a disposizione questa arte per la realizzazione di un calendario il ricavato della cui vendita sarà interamente devoluto all Unicef». il socio cotabo dicembre 2012 9

Una Cotabo sempre più tecnologica per affrontare un anno difficile Intervista a Marco Benni Direttore Generale di Cotabo di Gabriele Orsi 10 il socio cotabo dicembre 2012

intervista L anno si avvia alla sua conclusione e fatalmente è tempo di bilanci. Anche per Cotabo quindi è giunto il momento di valutare quanto di buono è stato fatto e quale sia la situazione al termine di un annata a dir poco difficile come è stata quella che volge al termine. La crisi economica, le difficoltà poste dalla burocrazia e alcune importanti novità che riguardano la vita della cooperativa sono stati i segni distintivi di questo 2012 sicuramente controverso. Ne abbiamo parlato con il direttore Marco Benni. Che 2012 è stato complessivamente per Cotabo? «In questo 2012 a Cotabo sono accadute tali e tante cose che si rischia di non ricordarle tutte, a cominciare dalle liberalizzazioni del Governo Monti e va detto che la questione ci ha impegnato per parecchi mesi. Il Bilancio 2011 è stato chiuso in maniera dignitosa, dopodiché ci siamo dedicati alla questione della nuova sede, questione di cui si è discusso e su cui si è votato nell assemblea di qualche settimana fa». Una nuova sede per Cotabo: dove e perché? «Piccola premessa: quando avevamo investito sull area dove si trova la sede attuale le nostre prospettive erano a lungo termine, come per esempio la realizzazione di una nuova officina. Poi però ci siamo incontrati/scontrati con la volontà di Bologna Fiere di espandere il quartiere fieristico, espansione che includerebbe anche la nostra zona, e alla fine siamo giunti alla conclusione che il rapporto con la Fiera per noi è strategico e non avrebbe avuto senso irrigidirsi in battaglie epocali. Così abbiamo deliberato di accettare la soluzione offerta di Bologna Fiere, ovvero la permuta tra la nostra area e una di pari livello lungo via Stalingrado: sono ancora in via di definizione alcuni dettagli economici dell accordo ma ormai dovremmo esserci». Come è stata accolta questa novità dai soci? «Circa il 70 per cento dei soci ha votato a favore della nuova sede. Naturalmente alcune cose su cui avevamo impostato il nuovo corso aziendale dovranno subire delle modifiche: per esempio la nuova officina verrebbe realizzata a carico di Bologna Fiere e in questo modo Cotabo e officina, contrariamente a quanto previsto in origine, vedrebbero le loro strade separarsi anche se solo formalmente e per pochi centimetri di distanza. Un altra questione centrale dell anno che volge al termine è stata quella dell aggiornamento tecnologico del sistema radiotaxi, l ultimo dei quali risaliva al 2009, il che, nell era di smartphone e tablet, equivale a un era geologica». Quali novità sono in vista? «In accordo con TaxiTronic, Ingenico e Telecom Italia abbiamo implementato una soluzione che garantisce una maggiore efficienza di servizio a costi notevolmente ridotti, e che in prospettiva può venire estesa a tutti i tassisti italiani con ricadute positive anche sulla nostra cooperativa. In luogo dell attuale hardware i taxi verrebbero dotati di un tablet Samsung HD da sette pollici collegato a un tassametro esterno e a un sistema Pos Bluetooth con lettore di banda magnetica e di chip card che potrà venire utilizzato per pagamenti elettronici mediante Bancomat, carta di credito o la nostra taxi card. Sono certo che questa innovazione ci metterà in condizione di offrire ai nostri clienti un servizio ancora migliore, e il risparmio che ne deriverà consentirà di mantenere tariffe accettabili per i servizi ai soci. In più, sempre grazie a Telecom, la centrale radiotaxi potrebbe essere passata in cloud, garantendo un ulteriore risparmio e un investimento a costi molto contenuti». Una Cotabo sempre più tecnologica quindi? «Senza dubbio. Tra le cose che stiamo pensando di sperimentare ci sarà un servizio di wi-fi gratuito a bordo dei taxi grazie a una chiavetta che consente fino a cinque connessioni. Penso debba essere l inizio di un percorso di proiezione pubblicitaria a bordo macchina che dovrà coinvolgere anche i nostri partner e clienti pubblicitari tradizionali così come la Cineteca, il Bologna Calcio, e in generale l economia bolognese. Allo stesso modo si pone la nuova App per smartphone Taxiclick, che consente di prenotare un taxi Cotabo e di sapere in tempo reale quanto manca all arrivo del taxi controllando sulla mappa dove si trova in ogni momento. Il comune denominatore di tutte queste innovazioni è un incremento della qualità del nostro servizio, l essere sempre un passo avanti al cliente, e quando tra qualche anno ci sarà l esplosione dei tablet allora si vedrà veramente la differenza tra un servizio pseudo automatico e un servizio automatico assistito come è il nostro». Quindi il 2012 non è stato poi così terribile? «Al contrario, sono ancora tantissime le cose di cui non siamo riusciti a occuparci e che ci trascineremo come eredità nel 2013. Però sostanzialmente le riduzioni dei costi che abbiamo apportato in questi anni ci hanno consentito anche in un anno difficile come questo di garantire un reddito dignitoso ai 600 tra soci e dipendenti. Questo percorso andrà avanti anche nell anno nuovo, che tra l altro vedrà il rinnovo del CdA e nel quale speriamo di incontrare una maggiore collaborazione da parte delle Istituzioni. Noi la nostra buona volontà ce la mettiamo tutta e ostinatamente continuiamo a sperare che si capisca che anche in tempi di crisi si può, anzi si deve, investire». il socio cotabo dicembre 2012 11

12 il socio cotabo dicembre 2012 INFORMAZIONE AI SOCI

informazione ai soci «Spesometro» nullo se il bene è acquistato con denaro dei genitori di Salvatore Vrenna - vicepresidente Cotabo L art. 38 del DPR 600/73 consente di accertare in maniera sintetica il reddito delle persone fisiche sulla base delle spese da queste sostenute nel corso del periodo d imposta. È però ferma la prova contraria, quindi il contribuente può dimostrare che l acquisto non è, in realtà, un indice di capacità contributiva, siccome i fondi per effettuarlo provengono da redditi esenti, soggetti a imposizione alla fonte o, comunque, legalmente esclusi dalla formazione della base imponibile. Tra le prove contrarie a disposizione del contribuente rientra senz altro la circostanza che il denaro per l acquisto dell immobile proviene in realtà da terzi. Con la sentenza 17805 depositata ieri, la Suprema Corte si è interessata della questione, affermando, in sostanza, che nel caso di acquisto di immobile effettuato dal figlio, ove il genitore, comparso in atto, ha di fatto elargito il denaro, si è in presenza di una donazione indiretta non del denaro ma dell immobile, con tutto ciò che ne può conseguire in merito alla prova contraria sull accertamento fondato sulla spesa patrimoniale. Tale principio è mutuato, in realtà, dal diritto civile, ove molte volte la Corte ha stabilito che nell ipotesi di acquisto di immobile con denaro proprio del disponente ed intestazione ad altro soggetto, che il disponente intenda in tal modo beneficiare, si configura la donazione indiretta dell immobile e non del denaro impiegato per l acquisto (Cass. 20638 del 2005, richiamata dalla sentenza in commento). Allora, se il figlio pone in essere un acquisto di un immobile e uno dei genitori, in atto compare dichiarando di elargire il denaro, a prescindere dalle problematiche civilistiche che ciò può comportare, va da sé che, ove l effettivo esborso del denaro da parte del genitore abbia un dovuto riscontro probatorio, l accertamento sintetico a carico del figlio/contribuente è destituito di fondamento, siccome è integrata la prova contraria. I giudici richiamano anche propri precedenti sulla rilevanza della simulazione nell accertamento sintetico, ove era stato sostenuto che, qualora la rettifica sia fondata su indici quali l acquisto di un immobile, il contribuente può confutare ciò sostenendo, se del caso, che la vendita, in realtà, dissimulava una donazione. Nulla muta con il nuovo redditometro. A fronte di ciò, la giurisprudenza ha precisato che non vale, in sede tributaria, il disposto di cui all art. 1415, comma 1 c.c., in base al quale la simulazione non può essere opposta ai terzi (Cass. 17 marzo 2006 n. 5991). Tanto premesso, ogniqualvolta si presenti una sorta di disallineamento tra soggetto che acquista formalmente il bene e soggetto che materialmente eroga i fondi, se vi sono riscontri probatori è da ritenersi integrata la prova contraria, a prescindere dal fatto che il soggetto erogante il denaro compaia o meno in atto, anche se tale fatto può giovare al contribuente sotto il profilo dell accertamento sintetico. Chiaramente, nulla vieta al Fisco, successivamente all annullamento giudiziale o in autotutela, di attivare il controllo nei confronti del soggetto che ha elargito i soldi, e di notificare apposito accertamento, in quanto è in capo a questi la capacità contributiva presunta desumibile dal sostenimento della spesa. Appare pleonastico rammentare che, per accertare il soggetto che ha elargito il denaro, occorre sempre il rispetto dei termini decadenziali ex art. 43 del DPR 600/73, a prescindere dal momento in cui sono state reperite dal Fisco le prove. il socio cotabo dicembre 2012 13

Una campagna promossa dalla Fondazione del Monte in collaborazione con Associazione Orlando Per Cotabo Il progetto e i suoi promotori Ogni tre giorni in Italia un uomo uccide una donna. E sono molti di più gli uomini che quotidianamente infliggono gravi violenze alle loro mogli, ex compagne, figlie Per contrastare un fenomeno così diffuso è necessario spostare lo sguardo dalle vittime agli autori della violenza. E puntare alla prevenzione. Questo è il punto di partenza della nuova campagna di comunicazione contro le violenze maschili sulle donne, promossa dalla Fondazione del Monte in collaborazione con l Associazione Orlando. NoiNo.org - uomini contro la violenza sulle donne Contro la violenza che colpisce le donne, un progetto che tocca gli uomini. Noi.No.org è una campagna che si rivolge al pubblico maschile per informarlo e sensibilizzarlo. E soprattutto per chiedere agli uomini di aderire a una community di uomini contrari alla violenza di genere. Uomini consapevoli che si impegnano in prima persona a dire Noi No 14 il socio cotabo dicembre 2012

Non prosciugatevi per un pieno andate su YouPetrol.it Siamo onesti, fare rifornimento senza svenarsi è sempre più complicato. Ogni gestore fa il proprio prezzo, anche quelli che espongono lo stesso marchio fanno prezzi diversi fra loro e le tariffe cambiano ogni giorno. In una situazione sempre più confusa diventa, così, di fondamentale importanza essere bene informati e sapere, già uscendo di casa o comunque prima di fare rifornimento, qual è il prezzo medio, quindi corretto, di benzina e gasolio nella propria regione. Gli automobilisti più esperti, quelli che percorrono centinaia di chilometri ogni giorno, hanno modo e tempo di guardarsi intorno e di individuare i distributori più economici (per quel giorno!), ma tutti gli altri come possono fare? Da oggi basta avere poche e semplici informazioni per essere sicuri di non pagare prezzi esagerati per la stessa quantità di carburante, ed è proprio questo l obiettivo del servizio fornito da un nuovo sito www.youpetrol.it. Nel sito, mediante un sistema di rilevazione che si aggiorna quotidianamente, vengono elaborati i prezzi medi a livello nazionale ed in numerose regioni italiane di benzina e gasolio. Questo significa sapere, ogni giorno, qual è il prezzo medio di mercato acquisendo, di conseguenza, gli strumenti giusti per giudicare se il prezzo che ci viene proposto da un distributore èconveniente o meno. Utilizzare YouPetrol.it è semplicissimo e gratuito. Basta collegarsi al sito www. youpetrol.it, selezionare la propria regione ed il tipo carburante (benzina o gasolio) per poter vedere il prezzo medio corrispondente unitamente ad un indicazione di maggior costo o risparmio medio su un pieno presso i maggiori distributori. YouPetrol.it non pretende di guidarvi dal distributore più economico in assoluto e, con la frenesia di questi tempi, non varrebbe nemmeno la pena avventurarsi in ricerche così minuziose. Semplicemente, il servizio permette di capire se il distributore che avete davanti, o quello dove vi fa comodo fare rifornimento, offre un prezzo conveniente o meno. Quindi, cari automobilisti, non prosciugate le vostre tasche inutilmente al primo distributore che trovate date un occhiata a YouPetrol.it prima di fare il pieno! il socio cotabo dicembre 2012 15

In taxi a Teheran Un viaggiatore inglese racconta l Iran caotico ed esuberante di oggi. di Nicola Trivisonno (PD03) Teheran nel complesso dà l impressione di una città caotica. La popolazione sembra sempre andare di fretta, i volti della gente potrebbero essere mediterranei, ma la vita nelle strade è diversa. Il gusto dello svago sembra assente, e la fretta trasmette un senso d ansia: è come se tutti s affannassero a sbrigare i doveri quotidiani nel minor tempo possibile. I marciapiedi, anziché dai tavoli dei caffè all aperto, sono occupati da folle concitate e sembra che solo gli stranieri abbiano il tempo di passeggiare con calma. Nella parte nord della città il clamore tende a rarefarsi; verso sud, invece, la povertà aumenta gradualmente, le vie si fanno sempre più anguste e gremite, si avanza a fatica, schiacciati tra la folla. Calore, polvere, grandi distanze e inquinamento cospirano ai danni del visitatore viziato: i taxi offrono un rifugio irresistibile. Tuttavia persino il banale atto di prendere un auto pubblica è un impresa considerevole, e all eccitazione della novità subentra ben presto un senso di sfinimento. I taxi non si fermano, scivolano vicino al possibile cliente, che urla la propria destinazione attraverso il finestrino spalancato; il taxista decide, secondo il proprio comodo, se fermarsi o proseguire. La maggior parte dei taxi sono collettivi, stipano nell abitacolo fino a sei passeggeri e fanno la spola fra le piazze e gli incroci principali della città. Le donne non si siedono in mezzo agli uomini, perciò quasi tutti i tragitti sono un continuo scambio di posti, come se si dovessero far combaciare i pezzi di un rompicapo. Non esistono tas- sametri; la tariffa è pattuita in anticipo. La contrattazione avviene sgolandosi in mezzo al traffico, mentre veicolo e potenziale passeggero procedono affiancati, a passo d uomo. Di solito, quando si rifiuta il primo prezzo della corsa, l autista si allontana simulando disappunto, poi blocca l auto pochi passi più avanti e con ostinazione incoraggia tacitamente a proseguire la trattativa. Il cliente può cedere sul prezzo, o ricominciare da capo l intera procedura. In realtà la maggior parte delle macchine che si fermano non sono taxi, ma veicoli privati guidati dai proprietari che hanno bisogno di arrotondare lo stipendio: è buona norma dimezzare il primo prezzo che propongono. Volevo raggiungere il Museo Nazionale. Al mio primo tentativo rimediai un autista giovane e allegro, posseduto da una fretta indiavolata e da una immensa passione per il calcio. Partì a tutto gas, tuffando la macchina nel traffico. «Ha visto la partita ieri sera?». Risposi che me l ero persa. L autista rimediò con un appassionata cronaca dell incontro. Mentre guidava pareva che lo rivivesse: ai passaggi di testa guizzavamo da un lato e ci tuffavamo in un altra corsia; ai calci di punizione seguivano repentine accelerazioni in avanti. L autista ricordava i nomi di ogni giocatore del mio paese, i nomi di mogli, figli e amanti, e i loro luoghi di villeggiatura prediletti. Ero indeciso se fosse più sorprendente la sua conoscenza calcistica o la sua tecnica di guida. Anni di pratica gli avevano dato un incrollabile sicurezza in entrambi i campi, anche se riman- 16 il socio cotabo dicembre 2012

informazione ai soci gono indelebili ricordi degli incidenti mortali evitati per un soffio in quel taxi a Teheran. Le cinture di sicurezza è come se non esistano: al massimo vengono appoggiate a malavoglia su una spalla all approssimarsi di una macchina della polizia. I semafori vengono rispettati raramente. L arrivo di un auto contromano in un senso unico non desta sorpresa, ma fastidio. Agli incroci, dove otto corsie gremite di traffico convergono in un punto solo, i guidatori si scambiano lunghi sguardi corrucciati: in apparenza si direbbe che non nutrano alcuna speranza di uscire dall ingorgo; hanno immancabilmente un espressione dolente ed esausta e, non avendo energie sufficienti a ingaggiare una lite, esprimono la loro frustrazione scambiandosi occhiate di sconfinato disprezzo. A un certo punto tutti si ritrovano sul lato sbagliato della strada, ma dieci minuti di sapiente lavoro di paraurti e una certa fede comune nel buon esito della vicenda risolvono l anarchia iniziale. La polizia stradale non interviene, e nessuno si aspetta che lo faccia. L enorme numero di veicoli che affollano il centro di Teheran riduce la minaccia di scontri ad alta velocità; sulle strade che collegano i sobborghi della città, invece, il traffico ricorda l universo violento e frenetico di un videogame. Le macchine passano a velocità infernale da una corsia all altra e scartano di lato per evitare il disastro con la sveltezza di una libellula a mezz aria. I guidatori si avventano l uno sull altro come piloti da caccia, arrivano a sfiorare i paraurti dei rivali a cento chilometri all ora, sospingono i meno intrepidi nelle corsie più intasate con raffiche di clacson e lampeggiamento di fari. Poi ingaggiano immediatamente battaglia con l auto successiva, mentre i passeggeri continuano ad assistere ai duelli terrorizzati e impotenti. Al crepuscolo, quando milioni di veicoli si dirigono verso casa nello stesso momento, una specie di psicosi collettiva imperversa nelle strade della città. Le auto sfrecciano con una fretta che fa pensare a un apocalisse incombente, e le strade traboccano di fari ondeggianti offuscati dalla coltre di gas di scarico. È un atmosfera vagamente desolata, che comunica un senso di furia repressa. Mi sono spesso chiesto se sia stato sempre così. Non sono ancora riuscito a capirlo, ma non mi ha stupito scoprire che l Iran ha il più alto numero d incidenti stradali del mondo. Le statistiche parlano di 250.000 incidenti all anno, con un bilancio intorno ai 20.000 morti. Le autogru comunali pattugliano giorno e notte le autostrade, come avvoltoi in attesa di avventarsi sulla prima carogna di metallo sfasciato. Attorno a ogni città iraniana si stende una fatiscente cintura di officine meccaniche, dove i corpi metallici ammaccati e contusi vengono riportati a martellate alla forma originale, e da lì rispediti al fronte, come fossero carne da cannone per le insaziabili divinità della strada. Non meno straordinaria è la noncuranza con cui i pedoni guadano gli impetuosi torrenti di metallo: ogni giorno scampano per un soffio a una fine tragica. Osservare lo spettacolo è un esperienza penosa; esservi coinvolti è a dir poco atroce. A ogni istante corpi umani si tuffano placidamente nella bolgia letale, dando a malapena un occhiata distratta di lato, ed evitando del tutto di rivolgere agli autisti un gesto di avvertimento o, idea assolutamente inconcepibile, di gratitudine. Il modo d agire dei pedoni non è frutto di spavalderia o sconsideratezza: semplicemente non esiste alternativa. Gli attraversamenti pedonali sono del tutto ignoti, nel centro della città ci sono alcuni sottopassaggi, e lungo le strade più grandi può capitare raramente d imbattersi in un cavalcavia. In Iran riescono a infilarsi tre file di veicoli nello spazio che altrove sarebbe destinato a una sola corsia, perciò tutte le grandi arterie si trasformano in grovigli caotici di sei, e in certi casi di dieci corsie. Il flusso del traffico è incessante, e se si aspetta l apertura di un varco simultaneo in tutte le corsie si è condannati a un attesa di ore sul marciapiede. Non resta che attraversare una corsia per volta, e attendere fra torrenti impetuosi di veicoli; il marciapiede opposto si raggiunge dopo una penosa serie di soste in mezzo al traffico. Spesso appare una corsia esterna miracolosamente sgombra, che sembra promettere qualche attimo di tregua. Sono gli spazi riservati ai bus, che marciano in direzione opposta al flusso degli altri veicoli. Dopo essere stati sfiorati alcune volte da qualche mostro ruggente, s impara a diffidare di simili ingannevoli lusinghe. Milioni di persone sono costrette ad affrontare quotidianamente questa sfida terrificante. Intere famiglie, bambini, uomini e donne carichi di pacchi, vecchi che si trascinano penosamente: tutti devono sottoporsi allo stesso rituale. E, anche se alquanto bizzarra, esiste una tecnica ben precisa per affrontarlo. «Il trucco» mi venne spiegato molto tempo dopo «è di non lasciare mai credere all autista che lo hai visto, altrimenti quello non rallenta mai. Se pensa che non l hai visto è costretto a rallentare per lasciarti passare. Ecco il segreto. L autista non vuole investirti». Ovvio, feci notare al mio informatore. A nessuno piace avere un morto sulla coscienza. «Non è la possibilità di uccidere qualcuno che spaventa il guidatore. Sono le grane burocratiche». Eravamo arrivati in un tratto di strada particolarmente trafficato. «Guardi quello» sbottò disgustato il mio taxista, mentre una macchina davanti a noi faceva una pericolosa inversione di marcia. «Niente freccia, e le luci dei freni che non funzionano. Quella macchina dovrebbe essere chiusa in un garage, altro che per strada». All improvviso uno stridio di freni, seguito da uno scossone: eravamo finiti contro la macchina davanti a noi. Il taxista scese, scambiò qualche parola con l altro guidatore in modo distaccato, poi si chinò a raccogliere i frammenti di un fanale della sua auto. Dopo neanche un minuto era già al posto di guida, pronto a rituffarsi nel flusso del traffico. Alla fine ci fermammo con un violento sussulto. Scesi a terra, il taxista mi salutò: Bene, ci vediamo, concluse allegramente, e pensai alla assurdità di quelle parole. Testo tratto dal libro di Jason Elliot, Specchi dell invisibile. il socio cotabo dicembre 2012 17

18 il socio cotabo dicembre 2012 La parola ai soci

INOSSIDABILI 150 DICEMBRE 2012 INOSSIDABILI 20 ANNI Bergamaschi Pietro Bertuzzi Ivan co02 ce18 Puglioli Marco Sarto Loris Sorghi Luciano FI12 LU18 ro11 Cavina Oriano Ferrari Fiorenzo Gallerani Giordano Marchetta Maurizio Paganelli Valerio LO12 co18 ge19 PR18 ge11 30 ANNI Serra Salvatore Gruppi Ido Ferrari Bruni co10 ud07 PV03 Pasquini Villiam Pullica Ivan Rimondi Pietro Salvatori Andrea Sterpi Luca Tampellini Gianni Turchi Guido Zamboni Anzio 25 ANNI Arbizzani Denis Fantini Fabio Gamberini Davide PI08 PI02 PD07 ce20 tr08 ce15 PM10 PV15 mz07 ra11 PV16 35 ANNI Bella Filippo Bernardoni Romano Margiacchi Giuseppe Rimondi Rino Rossi Elio Scaramelli Onorato 40 ANNI Lucchini Otello Lupi Giorgio Piastrelli Mauro FE03 ro09 ce11 PI19 BO02 FI08 NA08 mo11 PI20 Legnani Massimo to06

C è sempre tempo per la poesia Riccardo Venturi in arte LODI 4 Cari colleghi, mi presento. Mi chiamo Riccardo Venturi, ho 36 anni, la mia sigla è LODI 4 e sono in piazza da 15 anni. Nel mese di novembre pubblicherò il mio primo libro di poesie, che si intitolerà C È SEMPRE TEMPO PER LA POESIA, Cicogna editore. Si tratta di una raccolta che racchiude vari argomenti, dall Amore, alla Vita, alle Stagioni. Sono in tutto 50, perciò non si tratta di un mattone, ma di un libricino che può trovare facile lettura, magari tra un cliente e l altro. Il titolo, C È SEMPRE TEMPO PER LA POESIA infatti, ha anche questo significato: nella nostra vita la poesia si può sempre trovare, nelle piccole cose quotidiane, nel lavoro, in una carezza, mentre si sogna o leggendo il giornale. È il linguaggio più semplice perché non va capito, ma arriva direttamente al cuore e crea emozioni. Ebbene sì, anche nel nostro lavoro! L esempio vivente è l editore, un nostro collega, con la passione per i libri e le parole Bastano solo la voglia e il piacere di riconoscerla, e un pizzico di buoni sentimenti. Vi allego dei piccoli stralci, nella speranza che vi incuriosiscano. Saltimbanchi o dottori nei corpi rinchiusi noi alla bisogna pronti al debutto nello show.... persone e cose immerse nel grigio dei dintorni come barche disperse: non ci sono ritorni. Infine, d incanto l unica certezza: il sole dorato trafiggerà gli occhi. Buona lettura. 20 il socio cotabo dicembre 2012