Francesco ALGAROTTI. e il Saggio sopra l imperio degl Incas



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Francesco ALGAROTTI e il Saggio sopra l imperio degl Incas

Algarotti e i Lumi 1. Ritornato in Italia dopo sette anni, nel 1753 Francesco Algarotti pubblica la breve dissertazione Saggio sopra l imperio degl Incas 1, dedicata Al reverendissimo padre / Iacopo Stellini C.R.S. / lettore di morale nella Università / di Padova, appartenente all ordine dei padri somaschi, erudito e letterato, autore nel 1740 di un saggio in latino, Sull origine e il progresso dei costumi e delle opinioni relative ai costumi. Dal 1746 Algarotti aveva soggiornato presso Federico II di Prussia (dove si era già recato dal 1740 al 1742), ottenendo il titolo ereditario di conte. Nel Saggio sopra l imperio degl Incas vediamo all opera diversi paradigmi proprii del secolo dei Lumi, quanto all atteggiamento degli intellettuali verso gli abitanti degli altri continenti. In Algarotti agisce in sovrappiù uno schema particolarmente caro alla cultura italiana, quello classicista. Il filtro che il nostro autore applica allo studio degli altri popoli è la storia di Roma antica, Tito Livio e Plutarco, ma, in apertura della trattazione, Algarotti fa professione di antiaccademismo, rifiutando il pregiudizio di coloro che si danno unicamente alle lettere che solo i Greci e i Romani abbiano espresso un sapere degno di studio. Al contrario, i viaggiatori (quindi quelli come lui) hanno appreso a trarre insegnamenti per la vita civile ed esempi utilissimi 2 anche da quelle genti che noi, popoli civili, chiamiamo barbare. 2. Qui vediamo all opera una premessa metodologica, quella del relativismo culturale: non solo la vecchia Europa è depositaria del sapere universale. La scienza della legislazione e della morale potrebbero trarre esempi proprio dalla storia dei popoli americani. Ma prima di passare a trattare gli Incas, Algarotti richiama i caratteri del popolo nordamericano degli Irochesi: fieri di sé e delle proprie conquiste, essi sono animati da amore caldissimo per la libertà e da una sete inestinguibile di gloria 3. Questo popolo nutre grande dispregio [ ] delle ricchezze, mentre l onore e la vergogna stanno a fondamento dei premi e dei castighi che regolano la vita sociale. Grande ragionevolezza regola le loro decisioni politiche, insieme a senso della giustizia e rispetto della pubblica fede 4. Inoltre, come per gli antichi Greci e Romani, ne idealizza la virtù della Fortezza: la costanza che dimostrano nel fare e nel patire le cose più dure, li uguaglia se non gli rende superiori, ai Romani. 5 3. Quanto alle forze fisiche, il selvaggio si caratterizza per il grande coraggio mostrato in guerra, non mai spinto però da brama di conquista (propria piuttosto degli Europei), ma da una sorta di virtus, che assomiglia a quella degli antichi Romani, soprattutto per difendere la propria libertà, dice Montaigne 6 ; J.-F. de Lafitau 1 Si fa riferimento alla seguente edizione del testo: Francesco Algarotti, Saggio sopra l Imperio degl Incas, Sellerio editore, Palermo, 1987, pp. 11-45 + XVIII. 2 F. Algarotti, op. cit., p.13. 3 F. Algarotti, op. cit., p.14. 4 F. Algarotti, op. cit., id. 5 F. Algarotti, op. cit., p.15. 6 M. de Montaigne, Essais, Des cannibales, p. 210, cit. in L. Sozzi, Immagini del selvaggio. Mito e realtà nel primitivismo europeo, «Quaderni di cultura francese», a cura della Fondazione Primoli, 33, Roma, Edizioni di storia e letteratura, 2002, p. 50.

attiribuisce ai selvaggi eroismo, fierezza, senso dell onore 7. Anche qui non resta che rimandare a Plutarco. Modelli e paradigmi classicisti 1. Tra i modelli greci, nelle Vite parallele di Plutarco leggiamo che la virtù, come un robusto sempreverde, mette radici ovunque, purché trovi una natura generosa e un animo capace di sopportare la sofferenza 8. E nella Vita di Coriolano spiega che la Roma di quei tempi teneva in massima stima la parte di virtù relativa alle azioni belliche e militari, e lo testimonia l'unico equivalente latino della parola virtù che significa in realtà valore: in questo nome particolare, con cui designano il coraggio virile, racchiudono l'intera gamma della virtù 9. Algarotti rovescia l ottica eurocentrica: come la decadenza dei Romani ebbe inizio dal lusso asiatico, così quei popoli, tutt'altro che primitivi e incivili, hanno visto corrompere la loro virtù dalla intemperanza europea, che è entrata in loro 10. 2. Sono queste anche le tesi dello storico Sallustio, per il quale la lotta delle fazioni, prima causa della discordia e quindi della decadenza della res publica, va ricercata, dopo la conclusione delle guerre puniche, tanto nella cessazione della paura di un nemico esterno (metus hostilis in bonis artibus civitatem retinebat) 11, quanto nell avidità e nel lusso sfrenato, come cause interne (luxuria atque avaritia) 12. I buoni fondamenti dello stato romano risalgono proprio all amore per la gloria, che animò i padri fondatori (cives cum civibus de virtute certabant [ ] domi parci, in amicos fideles erant) 13. In particolare, di ritorno dall Asia, l esercito di Silla, dove li aveva scoperti, importò a Roma lussi e raffinatezze mai prima visti, che corruppero specialmente i giovani: l avidità smodata svilì e rese effeminati gli animi e i corpi (Loca amoena, voluptaria facile in otio ferocis militum animos molliverant. Ibi primum insuevit exercitus populi Romani amare, potare, signa, tabulas pictas, vasa caelata mirari, ea privatim et publice rapere, delubra spoliare, sacra profanaque omnia polluere) 14. 3. Nel 1734 Montesquieu aveva pubblicato il suo saggio Considérations sur les causes de la grandeur des Romains et de leur décadence. I Romani furono grandi e prosperi finché furono governati dall amore della libertà, della patria, da una severa 7 J.-F. de Lafitau, Mœrs eds sauvages Ameriquains comparées aux moeurs des premiers temps, 1.a ediz. 1723, in L. Sozzi, op. cit. p. 51. 8 Plutarco, Vite parallele, Demostene, 1, 3. 9 Plutarco, op. cit., Coriolano, 1, 4. 10 F. Algarotti, op. cit., p.15. 11 Sallustio, B.I., 41: il timore dei nemici ispirava ai cittadini una giusta condotta. 12 Sallustio, op. cit., B.C., 5: lusso e avidità. 13 Sallustio, op. cit., B.C., 9: i cittadini non contendevano tra loro la gloria [ ] in casa erano parsimoniosi, fedeli con gli amici. 14 Sallustio, op. cit., B.C., 11: Luoghi ameni e godimenti avevano facilmente ammorbidito nell ozio l animo fiero dei soldati. Lì, per la prima volta, l esercito del popolo romano si abituò ad amare, a bere, ad ammirare statue, quadri, vasi cesellati, a portarli via ai privati cittadini o dai luoghi pubblici, a spogliare i templi, a violare sacro e profano.

disciplina militare e da una saggia politica del senato verso i popoli vinti; ma essi decaddero quando i confini dell Impero si estesero smisuratamente, e il loro dominio universale li obbligò a mutare metodo di governo sostituendo agli antichi nuovi princìpi. Lo spirito repubblicano venne meno e il potere cadde nelle mani di despoti 15. Dagli Amerindi agli Incas: gli Europei alle prese con i popoli americani 1. Nel XVIII secolo l interesse per le vicende americane tocca il suo apice, specialmente intorno all antico Perù: l impero incaico è descritto come luogo governato da saggi sovrani, una sorta di età dell oro, civiltà che invece in Europa è venuta decadendo. Non mancano anche coloro che invece indicano in quelle contrade e in quei tempi remoti, un età incolta e primitiva (tra questi Cornelius de Pauw, Recherches philosophiques sur les Américains, del 1769). Come i popoli dell America settentrionale sono degni di ammirazione e di imitazione da parte di noi Europei, non sono da meno quelli dell America meridionale, tra i quali i Peruviani e i loro fondatori, gli Incas 16. 2. In questa rivalutazione dell antichità peruviana troviamola tragedia di Voltaire Alzire ou les Américains, del 1736, dove Alvares afferma: Vos yeux ne sont-ils pas assouvis des ravages qui de ce continent dépeuplent les rivages? Des bords de l orient, n étois-je donc venu dans un monde idolâtre, à l Europe inconnu, que pour voir abhorrer sous ce brûlant tropique et le nom de l Europe et le nom catholique! Ah! Dieu nous envoyoit, par un contraire choix, pour annoncer son nom, pour faire aimer ses loix: et nous de ces climats, destructeurs implacables, nous et d or et de sang toujours insatiables, deserteurs de ces loix qu il falloit enseigner, nous égorgeons ce peuple au-lieu de le gagner ; par nous tout est en sang, par nous tout est en poudre, et nous n avons du ciel imité que la foudre. Notre nom, je l avoue, inspire la terreur, les espagnols sont craints, mais ils sont en horreur: fleaux du nouveau monde, injustes, vains, avares, nous seuls en ces climats, nous sommes les barbares; (A. I, sc. I) 17 15 Au XVIII e siècle, Rome est encore l horizon le plus familier de la culture française. [ ] La force de Rome au XVIII e siècle est de vivre dans le cœr des ecoliers comme dans l esprit des régents de college in Jean Ehrard, Preface a Montesquieu, Considérations sur les causes de la grandeur des Romains et leur décadence, Paris, Garnier Flammarion, 1968, p.7. 16 F. Algarotti, op. cit., p.15: degnissimi di considerazione e di discorso sono i fatti degl Incas, principi di quella nazione.

L ultimo verso qui citato (nous seuls en ces climats, nous sommes les barbares) è posto da Algarotti in esergo al suo saggio, dove viene enfatizzato il sottotitolo voltairiano, Les Américains, con il chiaro intento di evidenziare antifrasticamente il suo ripensamento della conquista del Nuovo Mondo ad opera degli Europei: quelli che abbiamo finora chiamato barbari non sono altro che le vittime innocenti dell inesorabile opera di colonizzazione di un popolo che un tempo fu saggio e civile, ma ora appare istupidito dalla civiltà europea. Al massimo, come spiega poco oltre Algarotti, l America meridionale è reputata degna di fornir materia a nostri romanzieri 18. Qui allude probabilmente al romanzo epistolare di Madame de Graffigny, Lettres d une Péruvienne, del 1746, tradotto in inglese (1748) e in italiano (1754), da cui Goldoni trasse una commedia, nel 1754, La Peruviana. Nel romanzo, sulla falsariga delle Lettere persiane di Montesquieu, la protagonista, la giovane peruviana Zilia, rapita dai conquistadores spagnoli, viene trasportata in Europa dalla quale invia accorate lettere d amore al suo amato, descrivendogli usi e costumi dei luoghi in cui si era venuta a trovarsi. 3. L opera da cui Algarotti trae le informazioni sulla storia del Perù incaico è quella dei Comentarios Reales, di Garcilaso de la Vega, dove si racconta la storia degli Incas a partire dai primi leggendari sovrani, figli del Sole, fino all uccisione di Atahualpa e dell ultimo ribelle Tupac Amaru, descrivendo le tradizioni religiose, l organizzazione sociale, la vita quotidiana e le opere artigianali e architettoniche del suo popolo 19. Tra le fonti contemporanee, Algarotti può aver tenuto presente l opera del padre Joseph-François Lafiteau, Moeurs des sauvages Amériquains comparées aux moeurs des premiers temps, del 1724, gesuita francese che visitò personalmente le tribù degli Uroni e degli Irochesi 20 e, inoltre, Cadwallader Colden (1668-1776), The History of the five Indian Nations of Canada 21. 17 Voltaire, Alzire, ou Les américains, in http://visualiseur.bnf.fr (I vostri occhi non sono sazi delle devastazioni / che di questo continente spopolano le rive? / Dalle sponde dell oriente, non son dunque giunto / in un mondo idolatra, all Europa sconosciuto, / che per vedere aborrire sotto questo ardente tropico / il nome d Europa e il nome di cattolico! / Ah! Dio ci ha inviati per una scelta contraria, / per annunciare il suo nome, per far amare le sue leggi: / e noi da queste rive, distruttori implacabili, / noi d oro e di sangue sempre insaziabili, / disertori di quelle leggi che bisognava insegnare, / noi sgozziamo questo popolo invece di guadagnarcelo; / a causa nostra ovunque c è sangue, a causa nostra tutto è in polvere, / e non abbiamo del cielo imitato che il fulmine. / Il nostro nome, lo ammetto, ispira il terrore, / gli spagnoli sono timorosi, ma lo sono nell orrore: / flagelli del nuovo mondo, ingiusti, inutili, avari, / noi soli in queste rive, noi siamo i barbari.) 18 F. Algarotti, op.cit., p. 15. 19 L Inca Garcilaso de la Vega nacque a Cuzco nel 1539, antica capitale incaica. Era figlio di Garci Lasso de la Vega, (cugino del famoso drammaturgo) e di una principessa incaica, Isabel Chimpu Ocllo, cugina di Atahualpa. Morì a Cordoba nel 1616. Pubblicò a Lisbona la prima parte dei Comentarios Reales que tratan del origen de los Incas nel 1609; la seconda parte nel 1616, con il titolo Historia del Perú. Tra le altre opere che raccontano l antico Perù indichiamo ancora: Pedro de Cieza de León (1518-1554), il quale descrive nella Crónica del Perú i costumi e le tradizioni incaiche e la caduta di Cajamarca denunciando sia le crudeltà degli Inca, che dei conquistadores; Juan de Betanzos (1510-1576), autore della Suma y narración de los Incas, che tenta di ricostruire la cronologia dei sovrani del Perú. 20 Secondo quanto sostiene Ettore Bonora nella Prefazione a Francesco Algarotti, Dialoghi sopra l ottica neutoniana, Einaudi, Torino, 1977, p.178. 21 Citata da Angelo Morino in F. Algarotti, op. cit., p. 38.

Grandezza e decadenza: i Romani come archetipo della storia incaica 1. Per Algarotti, il confronto con l impero incaico sottintende in realtà quello con l impero romano, vero termine di paragone del saggio. Raccontare il Perù degli Incas per parlare di Roma antica: Manco Apac, fondatore degli Incas, corrisponde al Romolo, fondatore dei Romani, ma mentre Romolo era figlio di Marte, dio della guerra, capo di una banda di malfattori, Manco Apac era discendente del Sole, come Orfeo, mandato a ritrarre gli uomini dalla vita che menavano simile alle fiere. Così facendo li incivilì, ammansendoli e assoggettandoli. Infine, attirò a sé numerosi popoli barbari e fondò una città, Cozco la quale in brevissimo tempo arrivò ad esser la Roma di quel vasto dominio 22. La prudenza degli uomini, l occasione e la fortuna concorsero tutte ad un fine 23. Virtù e saggezza di quei savi principi era quella di una giustizia diffusa in una società in cui ciascun individuo aveva assegnato un ruolo utile: punivano l ozio come un furto sul comune ; i sovrani Incas provvedevano alla sicurezza d ognuno e al sostentamento dell universale 24. E trasparente il confronto con l Europa, dove la nobiltà trascorre l esistenza nell ozio e nella noia, di peso alle forze sociali attive e industriose. 2. Grande attenzione presta Algarotti al rapporto tra imperio e religione: presso gli Incas, si adorava il Sole, dal quale essi si dicono discendenti, e a tale culto avevano consacrato delle vergini soggette a leggi così severe forse anche più che non furono altre volte in Roma le Vestali 25. Non solo saggi e giusti, ma anche previdenti i sovrani incaici, poiché non trascuravano di visitare di tempo in tempo le province dell imperio e [ ] mantenere continuamente in vita la giustizia e le leggi. Lo stato degli antichi peruviani diventa una sintesi politico-istituzionale tra Oriente e Occidente, avendo essi associato il sacerdozio con l imperio, il lusso dei monarchi orientali con la popolarità degli europei : in poche parole essi possedevano eminentemente l arte de principi più accorti 26, sapendo moderare la durezza della legge con la temperanza, che è il sommo dell accortezza. Approfittando delle discordie tra i vicini, favorivano ora gli uni ora gli altri, assoggettandoli tutti, contendandosi bene spesso di vincere senza trionfare 27. 22 Cfr. Garcilaso de la Vega, op. cit.: la ciudad del Cuzco, que fue otra Roma en aquel imperio (Proemio al lector); El Inca Manco Cápac fue el fundador de la ciudad del Cozco [...] Cozco en su imperio fue otra Roma en el suyo (cap. XX); Nuestros príncipes, viendo la mucha gente que se les allegaba, dieron orden que unos se ocupasen en proveer de su comida campestre para todos, porque la hambre no los volviese a derramar por los montes; mandó que otros trabajasen en hacer chozas y casas, dando el Inca la traza cómo las habían de hacer. De esta manera se principió a poblar nuestra imperial ciudad [ ] En suma, ninguna cosa de las que pertenecen a la vida humana dejaron nuestros príncipes de enseñar a sus primeros vasallos, haciéndose el Inca rey maestro de los varones, y la Coya reina maestra de las mujeres. (cap. IV). 23 F. Algarotti, op.cit., p. 16. 24 F. Algarotti, op.cit., pp. 17-18. 25 F. Algarotti, op.cit., p. 18. Cfr. Garcilaso de la Vega, op. cit.: Vivían en perpetua clausura hasta acabar la vida con guarda de perpetua virginidad; no tenían locutorio ni torno, ni otra parte alguna por donde pudiesen hablar ni ver hombres ni mujer, sino eran ellas mismas unas con otras; porque decían que las mujeres del Sol no habían de ser tan comunes que las viese nadie; y esta clausura era tan grande, que aun el propio Inca no quería gozar del privilegio que como rey podía tener de las ver y hablar, porque nadie se atreviese a pedir semejante privilegio. Sola la Coya, que es la reina y sus hijas, tenían licencia de entrar en la casa y hablar con las encerradas así mozas como viejas (cap. XXIV). 26 F. Algarotti, op.cit., p. 19. 27 F. Algarotti, op.cit., p. 20.

Questa la missione degli Incas, la felicità dei popoli soggetti al loro dominio, che sembra riecheggiare il virgiliano tu regere imperio populos, Romane, memento / hae tibi erunt artes, pacisque imponere morem, / parcere subiectis et debellare superbos 28 e una terminologia politica tratta da Machiavelli 29. Sulla scia delle riflessioni del segretario fiorentino, Algarotti spiega che fulcro dello stato incaico è stata la grande disciplina militare 30. Un impero che, alla maniera della Roma antica (e degli Spartani?), addestra i suoi concittadini alla guerra per mantenere la pace (secondo il motto si vis pacem, para bellum): la pace era in certo modo una continua esercitazion della guerra 31. 3. La decadenza del Perù cominciò con le discordie interne: alla morte di Huayana Cápac, il Perù cadde preda della guerra tra Huáscar e Atahualpa, figli del sovrano. Quest ultimo, sconfitto il fratello, fece sterminare tutti i nemici, compreso lo stesso Huáscar. Era l anno 1533, quando Pizarro, già sbarcato in Perù, fece a sua volta processare e uccidere Atahualpa. Mentre i primi dodici sovrani del Perù, afferma Algarotti, possiamo paragonarli a Traiano, per saggezza e magnanimità, il tredicesimo, Atahualpa, si mostrò in ogni suo atto [ ] un altro Caligola. Sotto quei sovrani che regnarono illuminatamente, vide il Perù per lo spazio di più di dugento anni risplendere sopra il suo cielo il secol d oro, non già immaginario e poetico, ma istorico sì bene e reale. Il principe era la mente di quell organismo, le cui membra agivano secondo i suoi dettami, dove si era legiferato saggiamente contro all ozio che snerva gli stati 32. Pertanto fu facile a Pizarro conquistare un regno così prospero, proprio a causa delle fazioni, per essere sul trono di quello imperio Atahualpa, principe alla più sana parte di quella nazione odiosissimo che in breve tempo mandò in malora quanto [ ] avevano saputo fondar di migliore la virtù e la sapienza del nuovo mondo 33. Algarotti e Muratori: alla ricerca della pubblica felicità 1. Nel saggio Della pubblica felicità, del 1749, L. A. Muratori afferma che la felicità consiste nel goder molti Beni quaggiù, onde possono avvenire assaissimo comodi al possidente ma anche nell esenzione dai Mali e che deve diventare oggetto giornaliero, e più caro di chiunque è scelto dalla Divina Provvidenza al trono. E la tranquillità dell'animo e del Corpo. Anche un povero Bifolco, anche un basso Artigiano, se prova pace in amendue i componenti dell'essere suo può 28 Verg. Aen. 6, 851-853 (tu ricorda, o Romano di governare le genti: / questa sarà l arte tua, dar costumanze di pace, usar clemenza chi cede, ma sgominare i superbi [trad. R.Calzecchi Onesti]). 29 Cfr., a titolo d esempio, N. Machiavelli, Il Principe: Ma consideriamo Ciro e li altri che hanno acquistato o fondato regni: [ ] Et esaminando le azioni e vita loro, non si vede che quelli avessino altro dalla fortuna che la occasione (cap. VI); ecc. 30 F. Algarotti, op.cit., p. 23. 31 F. Algarotti, op.cit., p. 24. 32 F. Algarotti, op.cit., p. 32. 33 F. Algarotti, op.cit., p. 34.

ragionevolmente, e dovrebbe anche chiamar se stesso Felice, e dello Stato suo rendere grazie alla Divina Provvidenza. 2. Un saggio ed amoroso Principe o ministro cerca di prevenire ed allontanare i disordini temuti, e rimediare a i già succeduti [ ] Perciò i buoni Principi sono stati appellati Pastori e Padri del Popolo ed hanno il dovere quindi di procurare la felicità al popolo con la giustizia, liberandolo dal male e accrescendogli i beni. Per questo è necessario che il principe si circondi di ministri competenti, preparando la gioventù e proteggendo tutti i Collegj, Seminarj, e Conservatorj della Gioventù tanto Nobile, che Civile, e Plebea dell uno e dell altro sesso. Cieco sarebbe, chi non conoscesse, quanto sia lodevole, quanto giovevole in ogni Popolazione e Città l istituzione di sì fatti Luoghi, dove è tenuta in educazione la Gioventù. Bisogna allevare persone capaci di sostenere i pubblici impieghi ed Uffizj, istituendo allo scopo anche delle Accademie. La società è paragonata dal Muratori ad un grande organismo, per cui felicità del principe e del popolo coincidono: Il pubblico Bene è bene del Principe; e rinunzia al dovere e alla gloria sua quel Regnante, che unicamente pensa all interesse proprio, con dimenticar quello de Sudditi suoi. 34 3. La seconda metà del secolo XVIII vide l istruzione pubblica divenire, in gran parte d Europa, una funzione dello Stato, caratterizzata da uniformità di ispirazione e di intenti e finalizzata alla felicità del popolo, da ricercarsi nell armonia fra le varie classi sociali. E nel Saggio Algarotti dà al tema dell istruzione notevole importanza: la cosa per la quale i Peruani meritano di esser posti al di sopra di qualunque nazione, è un bellissimo provvedimento da essi fatto nel loro imperio, da cui dipende il privato come il pubblico bene. E questo è intorno all educazione de figliuoli. Gli Incas avevano fatto in modo che se un giovanetto commetteva una mancanza, ne veniva lui sì punito lievemente, ma assai più gravemente il di lui padre, che evidentemente non aveva saputo recare a bene, fin dalla più tenera età, le inclinazioni del figliuolo, essendo l eccessiva accondiscendenza dei padri verso i figli causa di mali e delitti 35. Conclusioni provvisorie: il pensiero antropologico 1. Se proviamo ad applicare categorie del pensiero antropologico alle tesi del Saggio, vediamo che Algarotti interpreta l «altro» con le categorie di un altro più prossimo, presente nel nostro passato. Assimilare l altro a qualcosa di familiare, consente di conoscere l altro, riducendone l alterità. Algarotti individua una differenza sul piano antropologico tra moderni e antichi, Romani o Incas che essi 34 Ludovico Antonio Muratori (1672-1750) fu precettore di prìncipi e bibliotecario all Ambrosiana di Milano, laureato in filosofia e in diritto, archivista estense a Modena, storico, polemista e letterato, animatore di imprese culturali importanti, come i Rerum Italicarum Scriptores (1723-38), o le Antiquitates italicae Medii Aevi (1738-42). 35 F. Algarotti, op.cit., p. 31.

siano? Noi moderni Europei, eredi degli antichi Romani, siamo diversi dagli altri, abbiamo caratteristiche che ci permettono di spiegare chi sono gli altri (per esempio la nostra storia)? 2. Il destino degli altri è quindi segnato nel momento in cui essi sono entrati in contatto con lo sfruttamento coloniale capitalistico europeo, vale a dire quando sono stati inseriti in quel processo storico universalizzante che caratterizza l espansione europea nel mondo, cioè la modernità. Quando Algarotti paragona gli Incas agli antichi Romani (storia carica di una vocazione destinale per le vicende europee e perciò mondiali), intende conferire un senso a quella società, che lasciata alla sua propria storia, non farebbe altro che riprodursi fiaccamente o fors anche cadere nell oblio.