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7 25 giugno 2015 EDILIZIA E TERRITORIO Pagina 1 di 2 Lavori Pubblici White list, scade oggi il regime transitorio: rischio caos sui controlli delle imprese Laura Savelli Prima di stipulare i contratti le Pa devono controllare l'iscrizione delle imprese dei settori a rischio infiltrazione negli elenchi delle prefetture, ma non è ancora chiaro se l'iscrizione è obbligatoria o facoltativa Il momento della verità è arrivato. A partire da oggi, dovrebbe essere infatti chiaro se l'iscrizione nelle white list è divenuta effettivamente obbligatoria, o è rimasta soltanto una facoltà dell'impresa. E ciò perché, alla data del 24 giugno, si è concluso il periodo transitorio fissato dall'articolo 29, comma 2, del decreto legge n. 90/2014, convertito dalla legge n. 114/2014, che ha consentito alle stazioni appaltanti, a seguito dell'introduzione dell'obbligo di consultazione delle white list posto dalla legge n. 190/2012, di stipulare contratti o autorizzare subappalti, anche sulla base della sola presentazione della domanda di iscrizione negli elenchi prefettizi da parte delle imprese. Ma, il condizionale è ancora d'obbligo perché, di fatto, l'attuale quadro normativo è rimasto immobilizzato alle incertezze d'origine. Lo stato normativo Con l'articolo 29 del decreto legge n. 90/2014, è stato modificato l'articolo 1, comma 52, della legge n. 190/2012, che ha posto a carico delle stazioni appaltanti un vero e proprio obbligo di acquisire sia la comunicazione, sia l'informazione antimafia attraverso la consultazione, anche in via telematica, delle white list, ossia degli elenchi, istituiti presso ogni sede prefettizia, di soggetti imprenditoriali operanti in determinati settori di attività, considerati particolarmente esposti al rischio di infiltrazione mafiosa ed indicati dal successivo comma 53. Nel dettaglio, dunque, l'iscrizione viene normalmente richiesta dalle imprese che esercitano attività di trasporto di materiali a discarica per conto di terzi; trasporto, anche transfrontaliero, e smaltimento di rifiuti per conto di terzi; estrazione, fornitura e trasporto di terra e materiali inerti; confezionamento, fornitura e trasporto di calcestruzzo e di bitume; noli a freddo di macchinari; fornitura di ferro lavorato; noli a caldo; autotrasporto per conto di terzi; ed infine, guardiania dei cantieri. Anche se, con la contestuale introduzione del comma 52-bis, è stato precisato che l'iscrizione può essere utilizzata in via ulteriore dalle stazioni appaltanti per la stipula di contratti o per l'autorizzazione di subcontratti relativi ad attività diverse da quelle per le quali è stata disposta. In altri termini, dunque, il riscontro della presenza di un'impresa all'interno degli elenchi prefettizi esonera la stazione appaltante dal dover effettuare le verifiche antimafia, essendo stati i controlli superati con l'avvenuta iscrizione, considerato peraltro che, in base a quanto disposto dallo stesso comma 1 dell'articolo 52, le Prefetture sono tenute ad effettuare controlli periodici sulla perdurante insussistenza dei sintomi di mafiosità e, in caso di esito negativo, a disporre la cancellazione dell'impresa dall'elenco.

8 25 giugno 2015 EDILIZIA E TERRITORIO Pagina 2 di 2 L'interpretazione in favore dell'obbligatorietà L'introduzione dell'obbligo per le stazioni appaltanti di adottare questa forma di verifica è stata tuttavia interpretata anche come obbligo per le imprese di iscrizione nelle liste prefettizie. Tale lettura è stata determinata proprio dal contenuto della norma transitoria contenuta nell'articolo 29, comma 2, del decreto legge n. 90/2014, la quale ha stabilito che, in fase di prima applicazione, e comunque per un periodo non superiore a dodici mesi dall'entrata in vigore dello stesso decreto (cioè, fino al 24 giugno 2015), le stazioni appaltanti avrebbero potuto procedere alla stipula dei contratti o all'autorizzazione dei subappalti relativi alle attività maggiormente esposte al rischio di infiltrazione mafiosa, anche accertando semplicemente l'avvenuta presentazione, da parte del soggetto affidatario, della domanda di iscrizione nella white list. Tutto, ad una sola condizione: in tali casi, la Pa era infatti obbligata ad informare la Prefettura competente di essere comunque in attesa del provvedimento definitivo, pur avendo già stipulato il contratto o autorizzato il subappalto. Seguendo questa scia, pertanto, anche la Prefettura di Milano ha precisato, con una nota del 19 marzo scorso, che, a far data dal 25 giugno 2015, «condizione per l'aggiudicazione definitiva e la sottoscrizione dei contratti nei citati settori sarà l'effettiva iscrizione nelle white lists». Di conseguenza - si legge nella comunicazione dell'ufficio territoriale del Governo - per effetto di tali iscrizioni, le stazioni appaltanti non dovranno più presentare da oggi istanze di comunicazioni o informazioni antimafia secondo la procedura ordinaria prevista dagli articoli 87 e 91 del d.lgs. n. 159/2011, ma potranno procedere alla stipula, approvazione o autorizzazione di contratti o subcontratti, anche se inerenti ad attività diverse da quelle elencate dal comma 53 dell'articolo 1 della legge n. 190/2012. L'interpretazione in favore della facoltatività L'opzione interpretativa che si è espressa in favore dell'obbligatorietà di iscrizione nelle white list non sembra però tenere in considerazione l'ulteriore dato normativo rappresentato dall'articolo 2, comma 2, del Dpcm 18 aprile 2013, vale a dire del provvedimento che ha dettato proprio le regole relative alle modalità di funzionamento delle liste prefettizie. La disposizione citata afferma infatti, ancora oggi, che l'iscrizione negli elenchi è volontaria, per cui, allo stato normativo attuale, l'impresa è ancora libera di aderire a tale forma di controllo preventivo. Tanto è vero che, sin dall'epoca dell'introduzione dell'obbligo di verifica per le Pa tramite le white list, si è palesato il rischio che tale meccanismo di verifica fosse vanificato dalla consultazione di elenchi che, a causa del loro carattere facoltativo, potuto avrebbero potuto rivelarsi prive di contenuti nominativi. Sotto tale profilo, dunque, non v'è dubbio sul fatto che il meccanismo delle white list non possa funzionare a pieno regime, almeno fino a quando nell'ordinamento permarrà questo elemento normativo di contrasto. Non a caso, anche l'anac, con l'atto di segnalazione n. 1 del 21 gennaio scorso, ha esposto al Governo la necessità di una modifica della norma del Dpcm e della legge n. 190/2012, nel senso di prevedere espressamente l'obbligatorietà dell'iscrizione negli elenchi, quasi avvalorando dunque, in questo modo, l'ipotesi della facoltatività. In ogni caso, un fatto è certo. Dinanzi ad una disciplina priva di alcuna chiarezza e che ancora attende una migliore definizione, restano pur sempre le regole tradizionali dei controlli fissate dal Codice antimafia. E quindi, dinanzi alla confusione generata dalla legge anticorruzione sull'effettivo funzionamento delle white list, non rimane altro che continuare a svolgere le verifiche alla vecchia maniera. In caso contrario, l'effetto diverrebbe paradossale, poiché la stazione appaltante sarebbe costretta a non procedere alla stipula dei contratti o a negare l'autorizzazione dei subappalti per il fatto meramente formale di una mancata presenza del nominativo dell'impresa nelle white list, pur avendo al proprio cospetto un appaltatore o un subappaltatore che magari è in possesso di tutti i requisiti del caso e che, ciò nonostante, viene privato dell'affidamento. Come se fosse mafioso.

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