Anna Lia Ermeti. Un mondezzaro dei secoli XVI-XVII nel Palazzo Comunale di Cagli. BOJANI, 1997a. 2

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1 Anna Lia Ermeti Un mondezzaro dei secoli XVI-XVII nel Palazzo Comunale di Cagli L importanza del materiale recuperato tuttavia dipende soprattutto dalla metodologia di lavoro che ci siamo data all inizio e che via via abbiamo cercato di perfezionare. Infatti si parla di un recupero, un operazione para-archeologica senza quei dati dello scavo stratigrafico in grado di fornire tutta una serie di notizie illuminanti di contesto: ma il naufragio della storia, spesso, non permette di ricostruirla se non per mezzo dei suoi lacerti, dei suoi frammenti per l appunto erranti. G.C.B. Queste le parole di G.C. Bojani nella sua prefazione ad un volume 1 cui teneva moltissimo e al quale ha lavorato per anni, dedicato ad un rinvenimento di migliaia di frammenti ceramici operato nel 1967 da parte di Giuseppe Liverani a Faenza: Per una storia della ceramica di Faenza. Materiali dalle mura del Portello. Pur da storico dell arte aveva adottato in pieno i metodi dell archeologia per lo studio della ceramica postclassica e proprio seguendo metodi prettamente archeologici con questo volume è riuscito a dare significato a migliaia di frammenti depositati nei magazzini del Museo delle Ceramiche di Faenza, creando un importante griglia di riferimento per la produzione ceramica faentina. E come allora lui volle chiedermi una nota a margine, proprio a introduzione metodologica di quel volume in qualche modo archeologico, così mi sento oggi di rispondere pubblicando un recupero che, in mancanza di dati stratigrafici, è quello che lui stesso definiva un operazione para-archeologica, ma che può comunque offrire dati importanti per la ricostruzione storica di un contesto: la ceramica recuperata in un butto del Palazzo Pubblico di Cagli, ora in parte esposta nel Museo Archeologico. Alla fine del mese di dicembre del 1994, a seguito dei lavori di ristrutturazione del Palazzo Comunale di Cagli, venne scoperto e ripulito in pochi giorni dagli operai che operavano al consolidamento del Palazzo, un piccolo ambiente, situato sotto il piano di calpestìo moderno, lungo il locale di ingresso dell odierno Museo Archeologico. Il fabbricato in cui è compreso questo ambiente (e il Museo Archeologico) fa parte del corpo edilizio che intorno alla metà del XV secolo venne congiunto alla parte anteriore originaria del Palazzo Pubblico 2, coprendo la via che staccava i due corpi di fabbrica. Questo palazzo era anche l unica residenza dei Montefeltro fino al 1476, quando il Comune donò al Duca Federico da Montefeltro il Palazzo Maggiore, sede della magistratura, che poi venne appunto unito al Palazzo del Podestà, dove si esercitava la giustizia ed era ancora formalmente la sede dei Montefeltro. L ambiente si trova nell ala sud-orientale del Palazzo, immediatamente al di sotto della rampa di scale che porta al primo piano, e a livello interrato rispetto al cortile centrale ed al lungo vestibolo che costituisce l ingresso del Museo. Si tratta di un luogo di modeste dimensioni, privo di aperture e, fino al momento della ristrutturazione del Palazzo nel 1994, completamente sconosciuto. Al momento della scoperta, a seguito dello sfondamento di una parte della pavimentazione del locale dell ingresso del Museo, il vano si presentava parzialmente interrato. Lo sterro, che per altro non è arrivato a toccare lo strato vergine, ha messo in luce un piccolo ambiente rettangolare (circa m 6 x 4), con pareti in filari di mattoni e pietra bianca intercalati e copertura con volta a botte in mattoni (fig. 1). Su una delle pareti più lunghe si trovano due archi a volta ribassata davanti ad uno dei quali si notava un grosso accumulo di materiali, accumulo derivato dalla bocca di una canaletta (una caditoia), ricavata in un intercapedine interna del muro stesso; la parete più corta è tutta in conci di pietra. Le caratteristiche della struttura, la presenza della caditoia e soprattutto il cumulo di rifiuti, inducono a pensare ad un immondezzaio, un butto, cioè un luogo chiuso dove 1 BOJANI, 1997a. 2 Sul Palazzo del Comune o Palazzo Pubblico di Cagli si veda MAZZACCHERA, 2006, pp

2 venivano gettati i rifiuti. Non sono pochi gli esempi, soprattutto in Palazzi di pregio, di vani sotterranei utilizzati come discariche. 3 Abbiamo molti esempi in Emilia Romagna: nel Palazzo del Monte a Forlì 4, nella Rocca di Montefiore Conca, dove sono state trovate quattro camere sotterranee dotate di caditoie per lo scarico dei rifiuti 5, a Ferrara; 6 26 sono i butti scavati a Fig. 1 - Il mondezzaio Faenza 7. Tutti questi esempi dimostrano che esistevano luoghi costruiti ad hoc, più o meno delle dimensioni del nostro ambiente, e che talvolta venivano svuotati con regolarità: gli immondezzari appunto. 8 A Ferrara ne sono stati scavati 12 e sono tutti di forma rettangolare e di grandezza compresa tra i 4 m di lunghezza e i 2 m di larghezza; sono realizzati al di sotto del piano di calpestìo e coperti con volta a botte; presentano due o tre caditoie situate lungo il lato più lungo. Queste strutture compaiono intorno alla fine del XIV secolo e continuano ad essere documentate fino al XVII secolo e sono attestate soprattutto in monasteri e palazzi importanti, ma anche nelle città era fatto divieto di gettare rifiuti nelle strade e quindi venivano costruiti dei pozzi adibiti proprio a tale uso. Già nello statuto di Todi del 1275 e nella carta del Popolo di Orvieto del c è il divieto di gettare immondizie. Le normative igieniche del 500 facevano ancor di più divieto di gittar bruttura nella strada ne acqua brutta (...) che non si gitti spazatura si non nelli luoghi deputati, come si ricorda nello statuto cinquecentesco di Valentano 10. La struttura rinvenuta a Cagli è da mettere in relazione con quella parte del Palazzo che, dopo il 1476, anno in cui la famiglia Montefeltro si trasferì nella parte anteriore del Palazzo Pubblico (l odierno Palazzo del Comune), fu la sede del Podestà con carceri annesse. 11 Il butto, attraverso tutti i materiali in esso contenuti, testimonia quindi degli usi e dei costumi di chi abitò in questo Palazzo. Esso conserva materiali vari come ceramica (la più abbondante), ossa animali (anch essi molto abbondanti), ma anche vetri e metalli (una fibbia, una borchia da vestiario, una catenella, chiodi). Anche se quello che viene rinvenuto in una discarica non può essere considerato completamente lo specchio fedele degli usi degli abitanti, viste le variabili della sua formazione, è comunque uno strumento importante attraverso cui è possibile indagare le abitudini, il regime alimentare, l economia di una comunità, tenendo sempre conto dei tempi di deposizione dei rifiuti e della tipologia del contenitore. 12 Innanzi tutto dobbiamo notare che non è questa l unica discarica rinvenuta nel complesso del Palazzo Pubblico di Cagli. Un altra, con materiali più interi e diversi, si trova proprio sotto all ingresso della facciata, in quelle che sono state definite le segrete del Palazzo. 13 Lo sterro del mondezzaro del Museo Archeologico ha restituito numerosi materiali ceramici (286 frammenti) e altrettanti frammenti ossei (280), insieme a pochi resti vitrei e metallici, dall esame dei quali possiamo affermare che l ambiente era adibito a scarico, un mondezzaro appunto, in cui venivano gettati resti di cucina, ma anche eventuali utensili rotti o in disuso. Al momento della scoperta, in un angolo dell ambiente, ordinatamente accatastati, sono stati trovati numerosi 3 GUARNIERI, 2009, pp , GUARNIERI, 2009b. 5 Sotto le tavole dei Malatesta. Testimonianze archeologiche dalla Rocca di Montefiore Conca (Mostra Montefiore Conca ). 6 GUARNIERI-CESARETTI, GUARNIERI, GUARNIERI, 2012, p BIETOLETTI-DE CAROLIS et alii, 1991, p LUZI, 1993, p MAZZACCHERA, 1997, pp ; MAZZACCHERA, 2006, pp GELICHI, 1992a; GELICHI, 1992b. 13 Lo sterro di questo ambiente, che si trova al piano inferiore, rispetto al piano di calpestìo dell ingresso del Palazzo Pubblico, è stato eseguito nell aprile del Dentro questo locale, restaurato, sono oggi esposti alcuni dei materiali rinvenuti durante i lavori. 50

3 Fig. 2 - La data impressa sul coperchio grandi coperchi piani di olle (olle olearie?), fra cui un frammento che reca a rilievo una data: 1538 (fig. 2). E, accatastati vicino a questi coperchi, frammenti di tegole piane e numerosi tubuli 14 interi, usati per la canalizzazione delle acque. Ma l ambiente non era un semplice magazzino, come potrebbero far pensare questi oggetti diligentemente accatastati; la presenza della caditoia indica che fin dall origine il luogo fu concepito per contenere rifiuti e in particolare rifiuti al consumo, 15 cioè in pratica i rifiuti derivanti dalle attività quotidiane, soprattutto resti di pasto e oggetti rotti o inservibili. La data impressa sul coperchio, 1538, ci offre un buon punto fermo da un punto di vista cronologico per il deposito, che è risultato abbastanza omogeneo, perchè gran parte dei materiali ritrovati è relativa ad un periodo compreso tra XVI e XVII secolo. Solo alcuni frammenti, forse frammenti infiltrati, vista la scarsità dei pezzi, è databile nel XIX secolo: si tratta di alcuni frammenti di piatti prodotti nella Fornace Benincasa di Cagli (fig. 3), ubicata nel Pian del Vescovo, poco lontano dal Palazzo del Comune, che chiuse i battenti in maniera definitiva alla fine del I piatti sono ben riconoscibili per la tipica decorazione a tre punti azzurri sotto linee concentriche, che è una decorazione tipica della fornace che si richiama vagamente allo stemma del comune. Stemma che è stato trovato nel butto anche su un frammento di parete di un orcio in ceramica priva di rivestimento, eseguito a rilievo sotto vetrina marrone (fig. 4). Si tratta dello stemma stilizzato del Comune di Cagli, caratterizzato da tre sfere divise da una V rovesciata. Le tre sfere alludono ai Medici quando Lorenzo fu duca di Urbino dal 1516 al 1519 e da allora furono acquisite nello stemma del Comune. I materiali ceramici rinvenuti sotto la caditoia sono tutti Fig. 4 - Frammento di parete di orcio con lo stemma del comune di Cagli Fig. 3 - Frammento di piatto della fornace Benincasa frammentari, segno evidente che si tratta di oggetti d uso corrente rottisi e, data l inservibilità, gettati nell immondezzaio. Insieme ai frammenti ceramici, come si è detto, sono stati rinvenuti anche materiali vitrei, metallici e soprattutto resti di pasto: valve di vongole di mare, lumache, e soprattutto numerose ossa animali che, in gran parte analizzate, 17 forniscono buone indicazioni circa l alimentazione di chi abitava nel Palazzo. Si tratta di resti di ovini o caprini, di taglia medio-piccola, ma non mancano galline e suini, anche questi giovani o molto giovani, i cui tagli sulle ossa mostrano trattarsi di carni macellate e quindi destinate al pasto. Non solo, ma alcune ossa lunghe sono anche annerite dal fuoco e dunque cotte. Il genere Bos (bovini) è rappresentato anch esso, ma si tratta di pochi frammenti appartenenti ad adulti di taglia medio-grande; questo indica che si tratta di soggetti da lavoro e non allevati per l alimenta- 14 Tubuli uguali sono stati rinvenuti nel maschio del torrione sempre a Cagli. 15 GUARNIERI, 2012, p Nei locali della fornace si conservano ancor oggi intatti tutti i prodotti ceramici da ultimare accatastati all interno della camera di cottura, dopo che per motivi fiscali il proprietario fu costretto a chiuderla improvvisamente. 17 L analisi dei reperti ossei rinvenuti nel butto è stata eseguita dal prof. Paolo Del Grande, dell Università di Urbino. 51

4 zione. La presenza di ossa molto piccole dimostra altresì che il luogo rimase a lungo interdetto all accesso anche di animali domestici come cani o gatti, che avrebbero potuto mangiare le ossa più piccole, mentre la presenza di segni di denti di topi o ratti conferma la chiusura all esterno di quest ambiente. Lo scavo di un deposito di rifiuti presenta problematiche particolari; in più in questo caso si è trattato di un recupero di materiali, non di uno scavo stratigrafico, e quindi non è stato possibile rilevare la cronologia relativa di deposizione dei vari oggetti, e questo ci impedisce di trarre informazioni certe sugli usi e sulle abitudini alimentari nei vari momenti della deposizione. Abbiamo insomma materiali di risulta, che comunque sono testimonianza importante della vita che si è svolta nel Palazzo tra l inizio del XVI e il XVII secolo 18. Si da qui di seguito un elenco di alcuni dei materiali in maiolica rinvenuti, che sono quelli più integri, considerando che invece la quasi totalità del rinvenimento è costituita da frammenti. 1. Boccale (n. inv. 502) Alt. conservata cm 15; diam. max. cm 13; diam. piede cm 9,3; spess. parete cm 0,5. Boccale di forma arrotondata, conservato per circa due terzi, decorato con serto d olivo che riquadra uno spazio centrale all interno del quale, su un cartiglio rettangolare, è la scritta (mutila) in lettere capitali: VIN(O). Colori: blu, verde, giallo. Dataz.: seconda metà del XVI secolo. 2. Boccale (n. inv. 501) Alt. conservata cm 13; diam. max. cm 11,3; Diam. piede cm 7,5; spess. parete cm 0,4. Boccale di forma ovoide, conservato quasi interamente tranne la parte superiore del collo e della bocca. Decorazione a ghirlande e frutti con grande mela (?) al centro inquadrata da nastri ondulati. Colori: blu, verde, giallo e arancio. Dataz.: seconda metà del XVI secolo. Bibl.: FIOCCO - GHERARDI 1991, pp , schede 164,165, per i colori e la tipologia dei frutti (Casteldurante?); FIOCCO - GHERARDI 1995, pp ; ERMETI 1997, fig Tazza (n. inv. 498) Alt. cm 4; largh.alla bocca cm 10; diam. piede cm 3,5; spess. parete cm 0,5. Parte di piccola tazza a parete svasata e piede a disco incavato, con una piccola ansa a sezione circolare con attacco all orlo. La decorazione, sviluppata solo nella parte interna, è costituita dalla figura di un volatile con racemi stilizzati entro barre parallele sull orlo in monocromia. Esterno bianco. Colori: azzurro, blu. Dataz.: seconda metà XVII secolo. Bibl.: CIPRIANI - MANACORDA 1984, p. 65, fig. 17 (Roma); RICCI 1985, p. 412, n.203a (Roma); FIOCCO - GHERARDI 1991, p. 171 (Deruta); BOJANI (a cura di), 2000, n.101, p.122 (Deruta). 18 Il locale che ospita il mondezzaro, si trova oggi, come si è detto, nell ingresso del Museo Archeologico ed è parzialmente visibile dal pavimento dello stesso attraverso un vetro. 52

5 4. Tazzina (n. inv. 496) Alt. cm 5; largh.alla bocca cm 9,5; diam. piede cm 5; spess. parete cm 0,5. Parte di tazzina a parete e orlo diritto con piccola ansa con motivo a farfalla all attacco sul bordo e arricciata nella parte bassa; piede a disco a fondo piano. La decorazione rimasta consiste in una sirena da grottesca entro infiorescenze tra filettature parallele sul fondo e sul bordo. Di questo servizio si conserva un altra tazzina più frammentaria. Colori: blu, azzurro, arancio, giallo, bruno. Dataz.: metà XVII secolo. 5. Coppetta (n. inv.503) Alt. cm 4; diam. all orlo cm 11,2; diam. piede cm 5,2; spess. parete cm 0,3-0,5. Piccola coppa a calotta su basso piede, con un ansa orizzontale sagomata a forma di foglia. Decorazione fitomorfa stilizzata nella parte centrale entro filetti di colore alternato giallo e verde. Colori: verde, giallo e bruno. Dataz.: XVII secolo. Bibl.: RICCI 1985, p. 321, n.455; FIOCCO - GHERARDI 1991, p. 168 (Deruta). 6. Piattello (n. inv.500) Alt. cm 4,7; largh. cm 11,5; diam. piede cm 4,5; diam. alla bocca cm 9. Piattello su alto piede con largo labbro estroflesso pendulo. La decorazione, che si svolge solo nella parte interna, è costituita da un motivo geometrico quadripartito al centro e bande alternate grosse e sottili sul bordo. Colori: blù. Dataz.: seconda metà XVII secolo 7. Tazzina (n. inv.499) Alt. cm 4,5; largh.alla bocca cm 10,5; diam. piede cm 4,7; spess. parete cm 0,5. Parte di tazzina con parete leggermente svasata e orlo diritto, piccolissimo piede a disco piano e piccola ansa a sezione circolare con ingrossamento nella parte alta. La decorazione si esplica solo all interno ed è costituita da grossi fiori con piccolo stelo e foglie stilizzati. Colori: blù, arancio. Dataz.: seconda metà XVII secolo Bibl: ROMOLI 1994, tav. V,6. 8. Frammento di coppetta o piattino (n. inv.2506) Lungh. cm 15,8, largh. cm 10,5. Frammento di fondo di coppetta o piattino in maiolica policroma decorato con fiore stilizzato centrale racchiuso da filettature. Colori: arancio, giallo, marrone, verde e azzurro. Dataz.: seconda metà XVI secolo. 53

6 9. Frammento di piatto (n. inv. 2497) Lungh. cm 14,9; largh. cm 7,8. Frammento di piatto con piede ad anello con la tesa decorata a serto di olivo e la parte centrale a prezzemolo. Colori: azzurro e verde. Dataz.: seconda metà XVI secolo. Bibl.: ERMETI 1997, fig Frammento di orlo (n. inv.2495) Lungh. cm 12,7; largh. cm 5,5 Frammento di parete e orlo di crespina (?) decorata a compendiario con un leggero tralcio di frutti. Colori: azzurro, arancio e giallo. Dataz.: seconda metà del XVI secolo. Bibl.: ERMETI 1997, fig Frammento di orlo di piatto (n. inv. 2500) Lungh. cm 12,1; largh. cm 7. Frammento di parete e orlo di piatto in maiolica policroma decorato sull orlo da linee concentriche che inquadrano linee perpendicolari brune. Colori: azzurro, giallo e bruno. Dataz.: seconda metà XVI secolo. Per quanto riguarda la provenienza di queste ceramiche, tutte presentano tipologie formali e decorative che sono quelle note in area romagnola e nord-marchigiana: boccali a fiori e frutta, piattelli e coppette al serto d olivo e foglie di prezzemolo, decorazioni in stile compendiario. Motivi e colori che richiamano molto da vicino la produzione durantina, 19 o forse dovremmo meglio dire la maniera durantina, 20 cioè tutte quelle attribuzioni che per analogia e fama sono state date ai ceramisti durantini, ma che è difficile dire se siano veritiere, visto che la ceramica veramente prodotta a Casteldurante è in pratica pressocchè sconosciuta 21. D altra parte non sono stati fatti ritrovamenti importanti di ceramica rinascimentale a Cagli e soprattutto non sono state trovate fornaci e scarti di fornace che facciano pensare ad una produzione locale tra XVI e XVII secolo. Non sono neppure abbastanza conosciute le produzioni dei centri limitrofi, e questo ha contribuito non poco ad attribuire a Casteldurante tutto quello che è stato trovato nel territorio. Ma non possiamo non riconoscere il fatto che il rinvenimento sia da riferire ad un Palazzo che era sotto la proprietà del Duca di Urbino; questo permette di ipotizzare che gran parte delle forniture per i servizi da mensa e da cucina potesse venire proprio da quel centro di Casteldurante che era anche quello da cui si riforniva, almeno in parte, la corte di 19 Purtroppo gran parte dei materiali durantini recuperati negli scavi sono ancora inediti. Cenni sulla ceramica di Casteldurante in ERMETI, 1997; FIOCCO-GHERARDI, FIOCCO-GHERARDI, 1997, p Sono ancora inedite le migliaia di frammenti ceramici rinvenuti nello scavo del 1994 sotto le mura della città a Porta del Molino, che potrebbero fornire numerosi dati sulla produzione durantina. Meglio conosciuti i documenti d archivio riferibili alle produzioni ceramiche e ai ceramisti di Casteldurante: BIGANTI,

7 urbinate. Anche i materiali rinvenuti nell altro butto, quello delle segrete del Palazzo Comunale, 22 presentano le stesse tipologie formali e decorative, e molto probabilmente provengono in gran parte dalla vicina Casteldurante; nel complesso si tratta di materiali più fini, con frammenti che recano anche lo stemma della famiglia Montefeltro, sicuramente perché dal 1476 questa parte del Palazzo costituiva la loro residenza. Le ceramiche smaltate rappresentate nel butto sono in gran parte da riferire al XVI-XVII secolo, ma sono stati trovati anche alcuni frammenti residui, relativi ad oggetti ancora databili intorno alla fine del XV secolo fra cui due piccoli frammenti di forma aperta in maiolica arcaica azzurra (inv. 547) (fig. 5) e due frammenti di piatto con decorazione fitomorfa (inv. 541) (fig. 6). La mancanza di ceramiche databili ancora nel XV secolo può costituire un buon elemento cronologico a favore della costruzione delle caditoie e dell ambiente destinato proprio ai rifiuti alla fine del XV secolo, in concomitanza con il passaggio della famiglia Montefeltro da questa ala del Palazzo alla parte anteriore. Se un buon numero di frammenti recuperati appartiene a ceramiche smaltate decorate, non mancano però altre caategorie: ceramica invetriata da cucina e soprattutto ceramica da mensa in smaltata bianca, sia forme aperte, sia forme chiuse. 23 Non mancano neppure i frammenti vitrei che, se pur presenti in piccola quantità, data la fragilità del materiale, mostrano oggetti di un certo pregio. 24 I materiali da cucina, non troppo abbondanti per la verità, sono riferibili alla produzione di invetriata decorata ad ingobbio databile tra la fine del 1500 e il 1600: 25 tegami, pignatte e coperchi (figg. 7-8). Le smaltate bianche invece sono moltissime, soprattutto piatti: Fig. 5 - Frammenti in maiolica arcaica Fig. 6 - Frammenti di piatto con decorazione fitomorfa piatti fondi, caratterizzati da larga tesa, cavetto emisferico e piede ad anello; piatti piani, caratterizzati da cavetto poco profondo, piede a disco o a ventosa e larghe tese. La tipologia formale riporta anche queste ad una cronologia tra XVI e XVII secolo; si tratta quasi sempre di piatti di medie dimensioni, il cui diametro è compreso tra i 20 e 25 cm, oggetti che fanno supporre l esistenza di un servito, cioè un servizio completo per la mensa. 26 Fra gli altri frammenti si segnala una parte di piatto piano a larga tesa che conserva sul fondo interno due iniziali: le lettere capitali M e G (o forse una G corretta in C?) (fig. 9), dipinte in azzurro. Forse la sigla del proprietario del piatto. 27 Un piatto simile, che reca le iniziali M e C è stato trovato tra i materiali delle segrete del Palazzo Pubblico di cui si è detto. La presenza massiccia di queste smaltate bianche lascia supporre che la maggior parte del vasellame da mensa di XVI-XVII secolo nel Palazzo del Podestà di Cagli fosse costituita da semplici smaltate bianche. L uso di stovi- 22 I materiali rinvenuti in questa parte del Palazzo sono ancora inediti. 23 Le smaltate bianche costituiscono più della metà dei rinvenimenti ceramici del butto. 24 I reperti vitrei, che per le loro caratteristiche di fragilità si sono conservati solo in minima parte, mostrano anche alcuni frammenti di bicchieri a calice per i quali sono possibili confronti con materiali del XVI e XVII secolo: CINI, 1985, p. 540, nn ; STIAFFINI, 1999, pp DE LUCA-RICCI-SERLORENZI, 2010, pp , fig La tipologia formale più completa riguardo questi materiali è ancora quella pubblicata in RICCI, 1985 (Roma); BOJANI, 1997a, fig. 24 (Faenza); GELICHI-LIBRENTI, 1997, fig. 8; BERTI, 1999, tavv. I-II (Firenze); TROIA- NO-VERROCCHIO, 2002, fig (produzioni del XVI-XVII secolo). 27 Sono numerose le scritte, di proprietà o meno, dipinte sui piatti. Cfr. ad esempio GELICHI-LIBRENTI, 1998, fig

8 Fig. 7 - Frammento di tegame glie così semplici voleva forse rappresentare sobrietà e decoro all interno di un luogo in cui si amministrava la giustizia e dove erano ubicati anche i locali delle prigioni. Mentre a fronte di questa sobrietà decorativa, la presenza delle ossa animali ci racconta invece che in questo stesso luogo si mangiavano agnelli e suini da latte, galline, vongole di mare e lumache di terra, insomma un alimentazione molto curata e in parte sicuramente costosa. Insomma il butto ci racconta che Fig. 9 - Frammento di piatto con iniziali Fig. 8 - Frammento di coperchio nel Palazzo del Podestà, al momento della sua costituzione e nel secolo successivo, si mangiava carne di pregio su stoviglie severamente bianche. D altra parte questa predilezione per esemplari bianchi nel servizio da mensa si inquadra anche in un fenomeno più generale di cambiamento del gusto, che avviene proprio intorno alla fine del , dopo che l avvio della produzione dei bianchi faentini aveva almeno in parte rivoluzionato il mercato in termini di gusto. E l eleganza e la sobrietà del servizio da mensa bianco sarà apprezzata anche in altri Palazzi importanti, ad esempio nella Rocca Farnese di Valentano il servizio da mensa era in gran parte composto da piatti smaltati bianchi, decorati al massimo con un piccolo stemma di famiglia 29 nella parte centrale. E chiaro che i materiali presenti nello scavo di questo butto del Palazzo del Podestà presentano particolarità proprie rispecchiando le consuetudini degli abitanti del Palazzo stesso e non riflettono usi e costumi della città. E dunque informano solo in parte di quello che poteva essere il consumo urbano, ma offrono comunque uno spaccato di vita tra XVI e XVII secolo, almeno delle classi più agiate della città. Ma questo recupero è anche un esempio di come lo studio di un contesto archeologico o para-archeologico possa portare dati importanti per la ricostruzione di un passato, più o meno recente, recuperando anche dati importanti per la ricostruzione della storia architettonica del luogo in cui sono stati rinvenuti e più in generale dati sull economia e sulla società del tempo. Il passo seguente per la storicizzazione di questi oggetti è l esposizione nel Museo 30 per rendere tutto questo ancora più comprensibile e fruibile da parte del pubblico. Perché non basta studiare il passato, ma questo passato deve essere fruito e conosciuto. E così la storia si ricompone e i frammenti erranti, come diceva Gian Carlo Bojani, assumono un significato pregnante per la storia di un luogo. 28 GELICHI-LIBRENTI, 1998, p. 204; DE LUCA-RICCI-SERLORENZI, 2010, p LUZI-RAVANELLI GUIDOTTI, 1993, p Come si è detto il luogo del rinvenimento è stato evidenziato nel percorso del Museo Archeologico di Cagli e due vetrine accanto al butto segnalano i rinvenimenti più interessanti, che sono in parte quelli riportati in questo lavoro. 56

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