L UOMO CHE UCCISE LIBERO VALLE Un romanzo di Federico Conti

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1 L UOMO CHE UCCISE LIBERO VALLE Un romanzo di Federico Conti

2 Venite pure avanti, voi con il naso corto, signori imbellettati, io più non vi sopporto, infilerò la penna ben dentro al vostro orgoglio perché con questa spada vi uccido quando voglio. Cirano Francesco Guccini. Chamonix Mont Blanc, 7 gennaio Sono rimasto in casa, fuori nevica, il camino è acceso. Dicono che saper accendere il fuoco sia come far l amore. Io da bambino, nella casa di campagna, usavo decine di fogli di carta e l alcol, poi il camino si accendeva. Adesso è una cosa che non faccio quasi mai, se capita e proprio devo, non uso additivi, con pazienza mi siedo davanti e non mi alzo finchè la fiamma non è alta. Sophie è in negozio con il padre. La madre è in ufficio. Stasera arrivano i bambini. La cosa buffa è che i genitori hanno l'abitudine di chiamarli bambini anche quando crescono, così come si continua a chiamare ragazzi i propri coetanei anche a cinquant anni. Qualcuno li chiama cuccioli, lo detesto, è un odioso termine che usa Monica. Ogni volta che qualcuno la nomina, oppure io penso a lei, subisco quella reazione di catalessi che aveva Roberto Benigni nell edipico Johnny Stecchino quando nominava la madre. Ogni qualvolta mi fermo a riflettere sul mio trascorso credo di aver vissuto due vite. Guardando fuori dalla finestra di questa lussuosa baita, l'aiguille du Midi sembra la punta di un iceberg che le divide. E un muro di ghiaccio che separa le mie due esistenze terrene. Gli eventi che mi hanno portato qui sono stati rapidi, ma imponenti quanto il Mer de Glace. Vivere dall'altra parte del Bianco è come guardare tutto all'incontrario. Mi piace ogni tanto andare sulla cima francese, è una sensazione strana. L'Italia la guardi all'ingiù o, perlomeno, se non la guardi, la immagini rivoltata che sgambetta verso il vuoto diversa

3 dallo stivale sicuro che poggia nella cartina appesa nelle aule delle scuole elementari. Ho sempre avuto questa abitudine di localizzarmi in un punto geografico preciso, come fossi una trasmittente gps, forse questa sensazione di vivere dentro alla cartina geografica è dovuta alle ore passate a guardare l'atlante De Agostini regalatomi alla prima comunione. Lucrezia e Ludovica hanno sei anni, sono gemelle o meglio, come direbbero in Spagna, sono mezillas, infatti sono nate da due ovuli differenti, però in Italia si chiamano comunque gemelle, per sempre. Edoardo ha undici anni. Arrivano in auto. La prima discussione ci sarà al momento di salire nell auto di mamma: chi dovrà sedere davanti, al posto del morto! Anche se usare questo termine pensando che lì ci sieda una delle bimbe mi fa venire una morsa allo stomaco. Fin da bambino ho sempre avuto il terrore degli incidenti d auto, ma non era una paura diretta, adoravo e adoro viaggiare, quando sedevo al fianco di mio padre senza cinture né seggiolini, mi sentivo come il protagonista di un film cui non può succedere nulla di brutto. L ansia era solo per i viaggi dei miei cari, quando mi trovavo ad aspettarli a casa guardando le lancette dell orologio. Ricordo che stavo con mia sorella nel lettone con mamma aspettando mio papà che frequentava le scuole serali a Carrara. Usciva dalla banca e con il cinquino turchese,era l epoca della non globalizzazione delle vernici per auto, partiva alle cinque per ritornare dopo le dieci. Ricordo un film francese dove il protagonista moriva in un incidente stradale. Lo stendevano vicino all'auto in un prato in bianco e nero e gli mettevano una coperta addosso come se sentisse freddo. Quest uomo immaginava di nuotare vicino alla sua barca, a bordo c'erano i suoi familiari, lo chiamavano.lui andava sott'acqua in una sorta di apnea non voluta e tutto si ovattava. Era una sorta di flashback onirico ampiamente usato nelle convenzionali regie. Si capiva poi che sarebbe morto quando, con abile taglio di montaggio, i familiari comparivano davanti a qualcuno che restituiva loro gli effetti personali. Ero un precoce malato d ansia, una malattia che generalmente colpisce le persone adulte. Già all età di nove anni temevo per l'incolumità del mio papà che, inscatolato nella sua fiat turchina, slalomava fra i tir dell'a12. Adesso che tutti i miei parenti e vecchi amici vivono al di là del confine è un ansia di tipo differente. Ora poi ci sono i videotelefoni, i portatili e le auto con mille dispositivi di sicurezza. Ora la mia ansia si è evoluta verso una diligente patofobia per tutti quelli che mi circondano. La cosa ridicola è che la madre dei bimbi quando c'è qualsiasi problema chiama in Francia per chiedermi un parere. Sono sempre rimasto il medico di famiglia. Non è raro che le notizie riguardanti la salute dei miei cari viaggino nell'etere: tra Parma,e Chamonix facendo tappa alla Spezia per tornare a Chamonix dove viene rispedita di nuovo in quel di Parma in forma di diagnosi. Tutto rigorosamente telefonico, preceduto da un dibattito fra me e Gino su tumori, virus africani, sclerosi varie e tutte le malattie infantili mortali. Il mio amico Gino abita in una casa colonica sull Aurelia a pochi km da Spezia, i miei bambini vivono felicemente nella villetta di Varano. Io vivo a Chamonix dal La parentesi parigina è stata breve, non tanto da impedirmi di incontrare Sophie.

4 Vivevo ancora in albergo ed ero occupato ancora nel far perdere le mie tracce a parenti e amici, l'hotel era in zona Bastiglia, Parigi era una città che avevo avuto occasione di conoscere bene in gioventù, di sera uscivo e andavo a bere qualcosa nel solito locale buio e fumoso in Rue de Rivoli. Fu lì che seduto al bancone vidi vicino a me una ragazza di colore ma con lineamenti piuttosto delicati. Aveva le labbra carnose ma il naso era alla francese. Ricordo ancora com'era vestita. L abbigliamento è uno dei particolari a cui presto attenzione mio malgrado, delle persone che per me contano qualcosa ricordo sempre i vestiti indossati nel momento in cui le ho conosciute. E come se la mia memoria tendesse a scartare informazioni importanti quale sguardi, sorrisi e dinamiche espressive per lasciar posto a cose effimere e senza importanza. Ricordo bene che aveva dei jeans stretti e degli stivali bassi o comunque erano stivali che mi piacevano, perché mi diede l'impressione di essere un tipo alla moda o se non altro catalogabile nel genere non troppo antico e non troppo francese. Ebbi la strana convinzione che stesse parlando italiano con l'amica vicino. Le chiesi se fosse italiana avvicinando la mia bocca verso il suo orecchio, la musica era a quel volume dove si legge solo il labiale. Lei sorrise e scosse il capo, rispose qualcosa in francese, all'epoca di francese sapevo poco e anche adesso stranamente non amo parlarlo e talvolta faccio pure finta di non capire. In verità quando mi parlano velocemente non è una grande prova di recitazione. Rispose sorridendo, le chiesi poi se avesse una sigaretta da offrirmi, mi porse il pacchetto di Marlboro Light, uscimmo a fumare, e prima di avviarci verso la porta il barista le chiese "ca va bien Sophie?" lei annui, per un attimo pensai che fosse il suo ragazzo. Non era così. Ad ogni modo avevo capito che Sophie era una cliente abituale. Scambiammo qualche parola in inglese, lei viveva a Parigi in zona hotel de ville, mi domandò se fossi lì per turismo e risposi laconicamente di no. Mi piacque subito perché, nonostante un evidente interesse, non fece altre domande, e nella mia situazione le domande, erano piuttosto scomode. Rientrammo nel locale e la persi di vista. Erano giorni difficili, ero solo, ma non una solitudine normale, dietro avevo come quella scia piatta che lasciano gli open quando con i loro motori da 500 hp ti superano sul tuo gozzetto, quella scia che presto si trasforma in onde anomale che devi giocoforza prendere di prua. L'unico contatto personale lo avevo con un giornalista free lance specializzato in cronaca nera. Egli non aveva creduto a nulla di quello che avevano scritto i giornali ed era riuscito a contattarmi via dopo la rivendicazione avvenuta con degli indirizzi, a detta di Giovanni, più che anonimi e non rintracciabili. Il rapporto con questo mio connazionale mi aiutava a recidere il cordone ombelicale che mi legava ancora alla famiglia e all Italia, malgrado lui tentasse solo di capire meglio quello che era successo quel giorno di dicembre a Brunico. Era l unica persona con cui avevo un qualcosa che si possa chiamare dialogo. I miei compagni di avventura, soci, se non semplicemente amici, erano non so dove, e non so neppure se a quel punto erano o erano stati. Del resto dopo l'operazione sapevamo di doverci separare e se ci fossimo rivisti insieme, sarebbe stato dentro l'aula di un tribunale ingabbiati come i brigatisti negli anni ottanta. Ma il nostro non fu mai neppure per un secondo un progetto politico, solo un disperato gesto di rifiuto verso un'ingiustizia che, alla luce delle informazioni che a mano a mano recuperavamo, non ci dava pace.

5 La settimana successiva tornai nel locale dove avevo conosciuto Sophie.Dopo la seconda birra la vidi avvicinarsi verso di me, era sola, si sedette al mio fianco, ricordo ancora la sensazione delle sue labbra morbide e carnose, è l'unica donna in vita mia che mi abbia mai baciato di sua iniziativa. Da quella sera non dormii più in albergo. Furono mesi trascorsi in un atmosfera rohmeriana, leggeri e insostenibili come l'essere di Kundera, pomeriggi passati al parco di Monceau, nei locali a mangiare crepes con coltello e forchetta bagnati da una kronenburg da 20 cl. Mi ritrovai in un aula della Sorbona ad applaudire la tesi di laurea di Sophie, e dopo due mesi ero il sommelier del negozio di enogastronomia più in voga a Chamonix. Il lavoro era bellissimo, quanto la clientela. D estate andavamo alla ricerca delle etichette più strane nelle colline dello Champagne. Passavamo giorni in Borgogna alla ricerca del più perfetto dei perfetti pinot neri che avrebbe riscaldato la cena degli sciatori parigini. Sembrava una sorta di paradiso terreno, ma sapevo che era fasullo, perché le mie radici io le avevo eccome, i bambini erano in Italia, tutta la mia vita passata era in Italia. Ero una sorta di fantasma che campava alla giornata, con la sofferenza di avere rinunciato alle persone che amava di più al mondo. La rinuncia ai sentimenti cari era una frustrazione che conoscevo bene, vissuta nel corso degli anni in cui la mia amante lavorava nel corridoio adiacente al mio... Monica e i baci rubati nell'antibagno dell'ufficio, Monica e la fatica del fingere, del contenersi, nel recitare indifferenza. Continua a nevicare, fra poco andrò in negozio, sorrido perché penso che tutto sia assolutamente casuale. E ridicolo, se solo quella sera di luglio non avessi cambiato canale adesso probabilmente sarei ancora a fare il funzionario alla provincia di Parma. Non riesco proprio a capire come io possa essere qui, adesso, in questo momento, con il mio piumino monastero di Clermont, i guanti e la voglia di raccontare perché il Bollinger Vieilles Vignes Françoises sia l'unico champagne rimasto francese.

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7 Capitolo 1. La studentessa. Mi piacerebbe conoscere qualcuno che stia studiando legge o scienze politiche, potrebbe essere il punto di vista importante di una generazione differente dalla nostra. Mi piacerebbe anche capire che atmosfera politica si respira negli atenei adesso. Voglio sapere se esiste ancora qualcuno disposto a sacrificare tutto per un progetto come il nostro, sapere se e cosa ricordano i giovani di oggi della strage. Potremo arruolare nel gruppo una persona che non desti sospetto quando consulta certe cose, quando fa insistenti ricerche sul web su determinati argomenti, nulla deve essere lasciato al caso. Bisogna usare la massima precauzione, l ideale sarebbe trovare una laureanda in fase di tesi, chissà perché immagino sempre che sia di sesso femminile, e la tesi dovrebbe riguardare qualcosa che abbia a che fare con i presidenti della repubblica, in modo da fare senza problemi ricerche sul primo ministro dell'epoca. Il Fugazza forse conosce qualche professore universitario o forse è in grado di trovare un contatto utile. Certo se l ingegnere fosse quello di qualche mese fa, sarebbe molto più facile, ma se fosse ancora l'amministratore delegato di un importante società non starebbe con noi a giocare alla roulette russa facendo il finto terrorista. E già perché il Fugazza non l'ha ancora capito che differenza c'è... gliel ho spiegato subito: questo non è un progetto politico, qui non si costruisce nulla, qui semmai si disfa. 11 luglio 2007 Ore 15. Sms to Giuliano. che fai? a che ora aprite? Voglio capire cosa ne pensa lui riguardo alla possibilità di cercare adepti in una facoltà universitaria. Ma di luglio alla Feltrinelli fanno orario continuato? Boh... forse no. Non mi ricordo mai nulla. Il problema è che quando faccio le domande non sto mai ad ascoltare la risposta, e mentre il mio interlocutore sta lì a spiegarmi questo e quello io sono già partito per la mia tangente di pensieri su chissà cosa. Abitudine che fa sempre andare in bestia il mio amico Pigi. Anche Chiara me lo dice sempre, anzi, mia moglie mi dice spesso che le cose me le ha appena dette... secondo me ne trae pure vantaggio. Conosce questo mio difetto del distrarmi in un batter d occhio, quindi è facile che si approfitti del fatto che io non ricordi assolutamente se le cose le abbia ascoltate o meno. Mi servirebbero due o tre teste, una sorta di co-processori che siano in grado nello stesso istante di...

8 Vibrazione. Giuliano sms. CHIAMAMI STASERA STO ANDANDO IN LIBERIA. Ovviamente Giuli non sta partendo per il golfo di Guinea. Non sa usare il t9 e adopera sempre il maiuscolo. Conoscendolo da quando eravamo bambini è già un miracolo che sappia usare il cell, anzi, è un miracolo che lo abbia, il cell! La cosa bella è che almeno gli sms li legge. Non sopporto quelli che non leggono gli sms, che poi li dici ti ho mandato un sms e questi rispondono sempre "ah... non li leggo mai... ". Si! E dove caspita vanno a finire dico io. Questi soggetti sono quasi allo stesso livello di quelli che non rispondono alle chiamate... quelli veramente andrebbero fucilati o attaccati al posto del cellulare in carica alla presa elettrica di Randy Taguchi. E difficile capire se siano i 15 centesimi o un po di ginnastica delle dita il problema. Poi esistono quelli che rispondono tre ore dopo, quelli che se non conservi il messaggio speditogli, non ti ricordi un beato nulla di quello che avevi chiesto loro... così le risposte diventano una specie di esercizio enigmistico. Sera. Casa di Varano. «Chiara vado di sopra a telefonare a Giuli». Siamo a tavola. Edoardo sopporta con siddhartiana pazienza (aspettare... che finisca, digiunare... perché fa schifo quello che c'è nel piatto... pensare... beatamente agli affari suoi) il palinsesto di Disney Channel dove le gemelle stanno guardando qualcosa di colorato che mi passa davanti agli occhi come se non ne sentissi l'audio. Sono sempre un po avulso all'ambiente che mi circonda. Mia moglie sta leggendo un giornale, anzi, il giornale dei programmi di Sky, come se poi avesse una reale possibilità di decidere cosa guardare... Cell. Squilli. «Pronto»... quando risponde al telefono giuliano sembra sempre stia dormendo (cosa di cui spesso anche io sono accusato). «Giuli sono Fede» «Allora?» «A che ora avete chiuso?» «Alle otto come tutte le sere»... sembra stia mangiando... ma pare non sia in casa, forse è in fase aperitivo/buffet milanese.

9 «Ho pensato che ci volevo andare un po, all'università» «Ti vuoi ri-iscrivere?...stai bene?» «Vabbè dai ne parliamo di persona, vengo su a Milano in settimana. Ciao» «Ah...» pausa. «Ho capito fede... cioè, non ho capito un cazzo dell'università, ma ho capito che se ne vuoi parlare di persona riguarda» ride. «Ciao Fede...» «Ci vediamo presto, ciao». Quando riscendo le scale e vado in sala da pranzo la situazione è la medesima di prima: forse sono stato vittima di una parentesi extratemporale perché giurerei che Chiara sia sempre sulla stessa pagina e la tv trasmetta le solite immagini. Edoardo sembra guardare la il televisore perduto nei suoi pensieri... e già mi somiglia le gemelle masticano non so cosa, ipnotizzate dallo schermo lcd da 28"...

10 Capitolo luglio. Giovedì. Arrivo in ufficio, sono le nove. Chiudo la porta e mi appresto al solito rito: appoggio occhiali da sole, portafoglio e chiavi... detesto marsupi e borselli vari, infilo tutto in tasca senza ordini particolari, ma quando ci sono 30 gradi, come oggi, vorrei levarmi anche i pantaloni. Prendo la chiavetta gialla del distributore di bevande che qualche giorno fa mi ha regalato Monica dopo la mia ennesima richiesta di spiccioli. Vado al distributore e quando inserisco la di plastica cosetta vedo che il credito è insufficiente a comprare la mia quotidiana e prima bottiglietta d acqua da 50 cl. Lode al signore. Torno in ufficio e guardo dentro il portafoglio... ovviamente ho solo delle monete di rame e dei pezzi da 50 euro. Come faccio a caricare questa maledetta chiavetta gialla di marcia plastica? Ho l'impulso di andare da Monica e chiederle altri spiccioli, ma per vergogna mi dirigo verso l'ufficio dell'economo che ha una bella cassettina di monete. L economo non è ancora arrivato. Apro la cassettiera dove c'è una chiavetta che apre un altro cassetto. Lì c è il "salvadanaio": trattasi di un contenitore di plastica non a forma di porcellino. Prendo 50 centesimi. Scrivo su un post-it 0,50 Federico e lo caccio nel porcellino a forma di contenitore di plastica. Breve riflessione su cosa contenesse quel di recipiente in origine. Il distributore, dotato come tutte le macchine d intelligenza artificiale, è situato nei pressi dell'ufficio di Monica... così ci scappa un salutino dal corridoio e uno sguardo che dice "quando scopiamo? L'occhiata di rimando risponde "tesoro anche subito ma dove?". Una volta presi da delirio sessuale mattutino ci stavamo chiudendo nella stanza del server, e mentre stavamo per farlo entrarono dei colleghi... e non se ne fece nulla. Sono davanti all Hal9000 delle colazioni prêt-à-porter... comincia la battaglia: infilo la chiavetta (che sia una metafora?...monica è un genio!), butto giù la monetina con la speranza che il display lcd incrementi il credito. Rumore metallico interrotto ( anche questa una metafora sessuale?) credito sempre a 0,20: la bottiglietta è un lontano miraggio. Passo alle maniere forti. Trattasi di spostare inclinando a chissà quali gradi il parallelepipedo ostile, lasciandolo poi cadere per inerzia secondo la forza di gravità. Bel tonfo. Scendono due succhi di passion fruit e agrumi. Una sorta di ricetta infallibile per stimolare i succhi gastrici. L'acqua resta un miraggio. Torno all'ufficio con i due succhini in tetrapak, c'è stato un guadagno ma Hal ha vinto come sempre ed io non ho la mia bottiglietta d'acqua. Apro Outlook. Un della CartaSì all interno un link che mi vorrebbe trasportare su Explorer, ma non ho ancora aperto il collegamento ad internet così il proxy server mi propone la richiesta password per dieci volte finché a colpi di escape torno sulla posta da leggere. Nessun messaggio. Scrivo a Monica. *****@provincia.pr.it to p******@provincia.pr.it Oggetto: bg

11 Bg Sei bellissima... almeno per la parte sopra la scrivania... beh anche i sandali non sono male... Alle 14 che fai? Alle 10 ho una conferenza di servizi con il Direttore Generale, grandissimo rompi scatole. Porterò il cell e starò a messaggiare quasi per tutta la durata. Nella barra si è accesa la bustina di Outlook. Sicuramente è Monica. Leggo. Monica to Federico Oggetto: re bg Ciao bellissimo... che cos'è quell'aria corrucciata? Hai fatto brutti sogni? Tesoro alle 13,30 scappo e porto i bimbi a salso. Ti voglio tanto... ieri sera ti ho "pensato"... bacissimi Moni Anche oggi non si tromba. Suona l'interno... segretaria del direttore generale... Tutti nella sala giunta. La nomina dei direttori generali, secondo la legge Bassanini, è diventata per le amministrazioni pubbliche un favore di lusso. La cosa triste è che i soldi che si spendono sono quelli dei cittadini, come si dice spesso o meglio come dicono gli omofobi son tutti finocchi con il culo degli altri. E un'ora che sono seduto con i miei colleghi, il dg e il presidente. Giocherello con il cell. Mi sovviene una riunione condominiale che si tenne al secondo piano del palazzo dove abitano i miei genitori a Spezia. Era qualche anno fa, ma eravamo già nell'epoca degli sms. Mio padre aveva l'influenza e mi aveva pregato di andare all assemblea delegandomi a partecipare al suo posto. Morivo dalla felicità: da Varano a Spezia per una noiosissima riunione condominiale, sembrava una scusa per una sortita nei night club versiliani. Persino Chiara faceva spallucce come se mi dicesse: E vai a divertirti, ma smettila di trovare patetiche scuse. Invece era la triste verità. Fu un'assemblea molto più interessante delle conferenze dei servizi a cui sono obbligato a partecipare in provincia: mentre facevo finta di ascoltare mi soffermavo ad analizzare il campionario di cariatidi presenti al tavolo del geom.felice Torinesi. Egli aveva avuto il buon cuore di mettere a disposizione il suo salone arredato in perfetto stile anni sessanta. In realtà il fatto di ospitare una riunione di quel genere mette un po a disagio i partecipanti: chi si sente poi di contraddire il padrone di casa? Il personaggio più interessante fu l'ingegnere che abitava all'ultimo piano il quale,

12 mentre relazionava come tecnico in previsione di modifiche e manutenzioni strutturali e annuendo alle più improbabili osservazioni dei convenuti, continuava a mandare sms con una maschera di inespressività che rivelava l'importanza degli short messagges.quella mancanza di dinamica facciale che nasconde il riverso di un sorriso mentale spacca labbra. Io mi domandavo Strano che un ingegnere gaudente e cinquantenne mandi messaggi alla moglie che sta tre piani sopra, strano pure che alle undici di sera messaggi per lavoro in modo assiduo. Sentenziai che l'inge aveva una tresca. Alla cena di famiglia per Santo Stefano, successiva alla riunione, seppi che il di fatto gaudente ingegnere aveva sganciato moglie e prole per andare altrove... mi sentii una sorta di Nostradamus. sms to chiara. oggi vado a milano con l'arch.fini. ritorno per le otto.ci sentiamo sms to giuliano. alle 16 sono da te in negozio.beviamo qualcosa.organizzati. bmw x5 3.0d, df xxx mp autostrada a1.casello di Parma. Biiiip. Non so perché ma non riesco mai a godermi pienamente il mio telepass: è un sorta di telepass interruptus. Prima del beep iniziale ho un attimo in cui rallento e dopo aver sentito il segnale di aggancio ho sempre l'impressione della barra che non si voglia aprire. Invidio quello davanti che ci passa ai 60 km/h come ho sempre invidiato la capacità di rottura che hanno i protagonisti dei romanzi di De Carlo. Ho una lieve pulsazione alla tempia sinistra, segno che la conferenza dei servizi di due ore fa ha lasciato il segno. Sono diventato un topo da riunione. C'è una specie di decalogo che impari dopo anni,in realtà non so se i postulati siano dieci,però alcune regole sono semplici. Primo. La riunione è fissata con una mezz'ora di anticipo rispetto a quando comincerà ad arrivare il primo malcapitato. Secondo. I primi due che arrivano vanno a fumare sulla terrazza(uno dei due fuma sicuramente)e cominciano una conversazione di forma, parlano del tempo: ci si lamenta sempre, o è troppo caldo, o piove o c'è freddo o c'è nebbia se c'è poca nebbia è troppo che non piove. Si rimpiangono i tempi nebbiosi degli anni settanta come se fossero i Led Zeppelin disciolti. Poi, arriva il terzo e se c è la necessaria confidenza si comincia a parlare

13 di colleghe di bell aspetto. Io non arrivo né primo né secondo né terzo niente podio sono troppo esperto. Sono passati 45 minuti ed io sono sempre nel mio ufficio. Telefonano per chiedere se arrivo. Risposta: Arrivo imme-di-a-ta-mente, ma ho una persona e non posso buttarla fuori dall'ufficio. Terzo. Presentarsi quando già gran parte dei partecipanti è seduta al tavolo, scegli dove stare e tatticamente è importante. Eviti quelli con l'alito cattivo. Nel frattempo gli argomenti, visto la promiscuità di sesso, sono passati a: malattie dei bambini, se è autunno/ inverno, malattie dei bambini esantematiche, se è primavera, vacanze al mare o settimana bianca, calcio e televisione o politica. Accoppiamenti rigorosi, i dispari per un po ascoltano e annuiscono. Quando si accorgono, dopo qualche minuto, che sono tagliati fuori, cominciano a far finta di mandare messaggi anche se nemmeno la loro moglie risponderebbe. Io arrivo per penultimo o terzultimo. Scusandomi dopo aver seguito i dettami sopraesposti. L'ultimo è sempre qualcuno dell'ufficio tecnico. Viene comunque accolto con simpatiche rimostranze, in pratica fa sempre la parte dell idiota, però, visto che le conversazioni sono piacevoli, tutto sommato non importa a nessuno. Si cominicia. Il segreto è far finta di essere distratti, soprattutto funzionava quando facevo trattativa sindacale, ora sono passato dall altra parte della barricata. In realtà non guardando i "commensali" ci si concentra su ciò che dicono e facendo finta di messaggiare con il cell, di fare disegnini o di prendere appunti, si evita di distrarsi guardando l'improbabile abbigliamento dei funzionari, l'occhio strabico della verbalizzante o le unghie sporche del dirimpettaio. Peggio ancora se si guarda sotto il tavolo, dove vicino alle Hogan stazionano dei mocassini da bancarella della fiera con i calzini corti in dicembre. Pochi interventi, ma al punto giusto, per far capire ai convenuti che anche a testa china li ascolto e li posso fregare. Nel caso della riunione di oggi devo ammettere che la mia testa era al progetto e non avrei potuto nuocere davvero a nessuno. Tempo di queste riflessioni e sono già a Melegnano. Tangenziale e uscita. Lascio l'auto in garage e consegno le chiavi ad un uomo in tuta. Dieci minuti e sono alla Feltrinelli Duomo. Giuliano sta parlando con una cliente. Muovo in aria il dito indice come fosse un tergicristallo di un immaginario parabrezza mimando con le labbra un fischiettio. Sorriso di Giuliano. Lo aspetto una decina di minuti passeggiando e curiosando fra gli scaffali. Usciamo. Caffè in galleria. Lo sai che non fumo, ma mi offri una siga?". Ho l'accendino e do l'impressione del malefico scroccatore, Sennonché con Giuli siamo cresciuti insieme e di impressioni non ce ne diamo più, ci conosciamo e basta; lui sa bene che per me comprare un pacchetto di siga è più una sconfitta morale che un esborso vero e proprio. Del resto il papà di Chiara è il classico industrialotto del fornovese e i soldi è un po che non so neppure cosa siano. Non che il vecchio foraggi direttamente i miei vizi, ma fa fare alla sua bimba e ai nipoti una vita da principi monegaschi; per quanto mi riguarda il mio stipendio è ampiamente sufficiente a coprire vizi e stravizi.

14 "Ti dicevo dell'università..." "Mmm si, eh si "...oddio il Giuli non è sintonizzato. "Giuli abbiamo bisogno di qualcuno che faccia ricerche senza dare nell'occhio, non mi pare il caso di avere la polizia postale che ci fa domande e..." "Ho capito Fede..." il Giuli si è temporaneamente riavuto. "Vai tu a Parma e vedi un po... tanto con la tua aria da trentenne eterno, dai nell'occhio il giusto" il Giuli sogghigna. "Si, avevo pensato in effetti di andare qualche mattina vestito in maschera ma a Parma rischio di incontrare figli di miei colleghi o comunque gente conosciuta a sto punto vado direttamente a Bologna che è anche più attinente al progetto e politicamente più interessante. Tieni presente che il Fugazza a Bologna conosce di fisso qualche pezzo importante, mentre a Parma zero, buio assoluto." "Mi sembra una cosa divertente e quasi quasi al lunedì vengo pure io..." ecco che il Giuli si è già fatto il film di scoparsi qualche studentella. "Giuli se parti da Spezia alla mattina e alle 15 devi essere in negozio beh lascia stare va'" il Giuli lavora alla Feltrinelli in galleria duomo e abita sui navigli in una casa che ha ereditato dai suoi parenti. I grandissimi pezzi di merda erano anni che non avevano a che fare con lui e la sua famiglia, però zio e cugino se ne sono dipartiti in un bel frontale sulla nebbia e la mamma era già morta anni prima. Paradossalmente la casa l'ha ereditata la madre del Giuli... punizione divina per degli esseri spregevoli e velenosi. Ora il Giuli se ne sta a Milano dal lunedì al venerdì ben pagato dalla Feltrinelli con la sua casetta a la page sul naviglio. Torna a Spezia il venerdì sera per odorare un po di salmastro e per portare fuori il suo cane Che Guevara, spezzino doc. Io Chiara e i bimbi torniamo a Spezia nei week end d'estate o comunque saltuariamente. Io torno per quella forma che Kundera definisce nel suo romanzo L'Ignoranza, "nostalgia", dal greco nostos "ritorno" e algos "sofferenza". Per quanto riguarda i bimbi, che hanno pure la erre strascicata e sembrano una sorta di francesi della val di vara, la sofferenza è nello stare inscatolati nella bmw per circa un'ora. La mia saudade si manifesta soprattutto quando mi faccio 200 km per vedere tutte le partite dello Spezia e per questo non mi sento l' Ulisse che torna a casa, anche perché grazie ai kw della x5 in pratica impiego a raggiungere lo stadio Picco quanto ad andare al Tardini. Il Giuli concorda che l'inviato sul set dell'ateneo bolognese sarò io travestito da studente lavoratore fuori corso, del resto con il mio capello lungo e con l'aria e lo sguardo da tossicomane, sarò certo più credibile che nelle stanze del palazzo della provincia.

15 Capitolo 3 13 luglio venerdì ore 15.Sarzana (Sp). Ho posteggiato la x5 davanti alla stazione, ovviamente è in divieto. Bisogna solo fare attenzione che non sia in una zona rimozione. Le multe da divieto di sosta quando hai poche spese te le puoi proprio permettere, viceversa, il tempo ha un prezzo difficilmente quantificabile. Entro nell'atrio del palazzo della psichiatra. Basta suonare il campanello a fianco di un anonima targhetta che recita un "studio medico" non meglio specificato.un portone di ferro si apre automaticamente con uno spettrale rumore-movimento. Ovviamente al primo appuntamento la doc ti spiega tutto, è come se ci fosse una parola d'ordine e ti senti l'eletto che partecipa ad un misterioso ed irraggiungibile rave party, in realtà stai banalmente andando da un medico. Questo dottore ti dovrebbe curare i nervi e la psiche e comunque aiutarti a fare una vita normale. Anche questo ha a che fare con il tenore di vita come il cell o la 4x4 una volta lo psichiatra era una prerogativa dei matti, adesso ci vanno pure quelli che si fanno le cosiddette seghe mentali. Devo ammettere che la prima volta se non fosse stato per Gino e mia moglie Chiara non sarei mai venuto da questa Barbara Chiesa psichiatra. La diagnosi che attribuì al mio caso fu quella di sofferente di attacchi di panico con polarizzazioni ipocondriache (il fatto di avere delle polarizzazioni già mi riempì di orgoglio). Ad oggi vorrei tanto sapere cosa sono diventato, ormai ciclicamente ci vediamo e io le vomito addosso i miei problemi. E tante volte più che di problemi mentali sono crucci che in "osteria" verrebbero definiti problemi di figa.comunque sia la Barbara mi aiuta, fra un messaggio e una chiamata al suo cellulare. Praticamente la signora vive in simbiosi con il suo cellulare, la cosa ridicola è che ne ha uno solo che fa da privato e da lavoro immaginatevi voi il ritmo: considerando che il numero lo hanno a loro disposizione gli schizofrenici,i lievemente depressi passando per le amiche arrivando al fidanzato(da tutti i pazienti maschi e lesbiche invidiato). L'ambiente è arredato con gran gusto e con cose economiche che talvolta ritrovi nel catalogo Ikea. Una forma di educazione quasi imbarazzante e sofisticata ti fa trovare portaceneri in ogni dove, quando è noto che la doc sia evidentemente non fumatrice. Mentre te ne stai in sala d'aspetto una musica anonimissima jazz viene diffusa da due microscopiche casse che se ne stanno tipo guardie svizzere davanti alla porta dello studio e ti fanno solo percepire la presenza di un altro paziente. La porta si apre ed esce lei che stringe la mano al "cliente" dell'ora prima. In modo inquietante lei si divide tipo campo da tennis in precisissime ore, talvolta i più logorroici ti strappano dieci minuti che la Barbara recupera abilmente per evitare di andare a casa fuori orario. La cosa buffa è che questa doc è abbastanza carina e più giovane di me ed io, per quanto mi sia d'aiuto, non riesco a non assumere un atteggiamento da flirt o da competizione. Talvolta la sfido, pure vincendo, raccontandole di patologie che per lei sono solo una reminiscenza di studi pisani. La ragazza mi cura sempre a suon di scatole di paroxetina, io mi impegno sempre a

16 spiegarle gli effetti collaterali sulla sfera sessuale, ma con delle parafrasi arzigogolate è difficile far capire che la sostanza ritarda o meglio mi ritarda l'orgasmo in un modo atroce, facendomi fare maratone sessuali pericolose per il cuore. Quando esco dallo studio sono rinfrancato; ho pochi soldi in meno e una nuova terapia, autorizzato a bere quel poco di vino in più e a farmi le canne. Comunque sia e a parte tutto, quando mi trovavo sommerso nella melma delle miei sinapsi la Barbara mi ha tirato fuori e per me resta sempre la dottoressa che tutti invidiano e che mi tengo stretto.

17 Capitolo 4. L antefatto. 2 luglio lunedì Nella vita di ciascuno di noi ci sono degli eventi esiziali. Sono sostanzialmente casuali. Sono a volte piccole cose, a volte più grandi, ma sono quelle cose che determinano un brusco cambiamento, un angolo di 90 gradi sul percorso che stiamo facendo. Nel mio caso, probabilmente, qualcosa covava sotto. C erano delle braci accese, una combustione lenta che durava da chissà quando, sopita, aspettava dell ossigeno per divampare in fiamme. O forse l esempio più calzante è quello del detonatore. Ero una sorta di tritolo biologico che aspettava la scintilla per esplodere. E il paradosso fu che le immagini di un esplosione reale fecero da miccia ai miei pensieri sovversivi e cominciò tutto Stavamo a tavola come tutte le sere: Chiara con il suo immancabile giornale dei programmi di Sky, le due gemelle con il loro Disney Channel mentre Edoardo leggeva un fumetto che, mi vergogno ad ammetterlo, non saprei cosa fosse, ma di certo non Lando né Il Montatore e né L'oltretomba, quei fumetti che hanno accompagnato la mia scoperta del sesso negli anni settanta. Non era neppure un manga, altrimenti l'avrei poi letto io stesso. Alle 21,30 accompagnai Lucrezia e Ludovica nella loro camera, le aiutai a mettersi in pigiama e rimboccai loro il lenzuolo. Le bimbe vogliono sempre, che racconti loro la favola dei tre porcellini. Ovviamente la conoscono a memoria, ma io credo che si divertano a vedere ogni sera cosa invento e cosa distorco rispetto alla sera precedente. Il gioco sta ovviamente nell'aggiungere buffi particolari anacronistici tipo orologi o telefoni cellulari o cose e animali che per la loro naturale origine non dovrebbero stare nel contesto fiabesco. In questo denotano un' intelligenza ed uno spirito non proprio della loro giovane età e, sarò patetico, ma io mi diverto moltissimo. Quando scendo nella sala da pranzo Chiara mi chiede sempre se si sono addormentate facilmente o se abbiano faticato a prendere sonno. Io non le confesso mai che, quando ritardo, è perché la favola mi ha portato chissà dove con la fantasia. Quella sera non ricordo quali furono le variazioni al tema però tornai a tavola alle 10 e qualche minuto (ora lo posso dire con precisione perché ricordo l'esatto punto del documentario che cominciava alle dieci; non si sa perché, ma i format e i programmi di ogni genere del palinsesto satellitare di Murdoch durano o mezz'ora o un'ora con una precisione svizzera, frutto di abili tagli e pause pubblicitarie). Visto l'assenza di Chiara ed Edoardo, assenza mentale che si palesava nell aver lasciato la tv su Disney Channel, mi impadronii del telecomando e dopo una rapida occhiata al menù mi fermai su History Channel. Trasmettevano la prima del documentario girato da due giovani cameraman dell'epoca, pochi minuti dopo lo scoppio della bomba alla stazione di Rimini. Era il luglio 1980 capii solo dopo che era il 27 anniversario della strage. Il ricordo che ho di quella giornata era solo legato alla mia villeggiatura nella casa di campagna di Fosdinovo, ricordo lo sdegno dei miei nonni e dei miei genitori e ricordo che guardavo i telegiornali con quella curiosità morbosa che si ha davanti agli eventi nefasti, la

18 stessa strana forma di attenzione che tutti rivolgemmo, adulti e bambini, al dramma di Alfredino e del pozzo artesiano di Vermicino, la stessa forma di innata curiosità che ci spinge a fermarci quando vediamo un incidente, la stessa sensazione che genera noia inconfessabile, dopo la partenza senza incidenti in una gara di formula uno. Ricordo i servizi sui giornali dell'epoca, le foto dei sopravvissuti che rilasciavano interviste sul settimanale Gente, qualcuno che al telegiornale diceva di aver sentito un grande vento. I miei genitori che mi spiegavano che di una bomba uccide anche lo spostamento d'aria. Io che non capivo come una ventata d'aria potesse uccidere 100 persone, ma quando sei un bambino è più probabile che tu rimanga impressionato dal fantasma del Louvre che da una serie di corpi anonimi ricoperti da lenzuoli bianchi. Il documentario attirò l'attenzione di Chiara ed Edoardo. Per un'ora nessuno fiatò, è difficile descriverlo anche perché vi giuro che l'ho visto solo quella sera e malgrado tutto il materiale che stiamo mettendo insieme noi del... gruppo di studio (ma si per adesso lo chiameremo così) non abbiamo ancora avuto occasione di vederlo tutti insieme. Io so solo che quella strage ogni tanto me la trovo davanti quando meno me l'aspetto: o citata nel film del rocker diventato abile regista o inserita nel film sulla banda della Magliana. Ogni volta mi provoca una sensazione strana. Ogni volta mi vergogno. Ma la sera del 2 luglio è stata differente. C'è uno strano silenzio nel documentario, le interviste sono fatte a persone di varie regioni, tutti dicono la loro, ma tutti capiscono subito che non si tratta di un incidente. Il silenzio e la mancanza di una colonna sonora di sottofondo conferiscono al documentario una sorta di realismo che ti riporta indietro negli anni e ti fa sentire presente, vorresti entrare nel video, vorresti scavare le macerie con le tua mani. Aiutare quei portantini vestiti di bianco con quelle improbabili ambulanze che sembrano uscite da un film con Maurizio Merli. Io mi sono emozionato come non succedeva da anni. Mi sono vergognato di essere italiano Noi sappiamo bene che quella, allo stato attuale, fu una strage senza colpevoli. Alla fine del filmato come in Schindler s list, dove gli ebrei sopravvissuti portano una pietra sulla tomba di Oskar, senza musica né rumore compare la lista dei nomi con a fianco l'età delle vittime. Avevo le lacrime agli occhi e ancora adesso a pensarci mi commuovo. Immagini le famiglie in vacanza, l'unico sopravvissuto con la vita segnata per sempre, i genitori che non hanno più il loro unico figlio, il bambino che non ha più i genitori, un paese colpito nel cuore delle vacanze, nel cuore della famiglia in quell'attimo di felicità che precede il viaggio delle sospirate ferie, la felicità e la serenità di un ritorno a casa eh si, chi lo architettò fu davvero un genio del terrorismo. Perché quello fu il gesto terroristico per antonomasia, fatto da italiani contro italiani, fatto da chi sa dove colpire e come colpire nel cuore della gente. Una cosa che genera terrore nella vita di tutti i giorni. Sorrido amaramente alla luce della strage di Rimini quando sento parlare di terrorismo nel commentare le azioni della lotta armata degli anni settanta o degli omicidi delle nuove o vecchie brigate rosse. Il terrorismo è la politica del terrore e si genera colpendo le persone normali nella loro quotidianità. Forse è terrorismo quello dei palestinesi e forse lo è quello dei musulmani di Al-Quaida, le radici comunque sono differenti ci sono delle diversità di etnie e delle guerre religiose che malgrado non giustifichino tali atti possono persino essere comprese, ma la strage di Rimini

19 e le altre stragi definite di stato", sono un paradosso che difficilmente potrete trovare nei paesi occidentali. Mi vergognai di essere italiano. Avrei voluto prendere tutto e andarmene, consapevole dell'impotenza di cambiare questo paese. Consapevole di essere in mano ad una classe politica che, qualunque colore rappresenti, continua a comportarsi nel modo medesimo da anni con il succedersi dei vari governi. Almeno negli anni settanta gli ideali della sinistra politica erano davvero una specie di utopia forse realizzabile, erano un sogno che si poteva perseguire e sostenere, si manifestava e si pensava che qualcosa potesse cambiare, proprio attraverso una parte di classe politica. Oggi no. Oggi lo sappiamo. Oggi siamo impotenti e ci hanno tolto anche i sogni di fantapolitichese. Il giorno dopo chiamai Giuliano. Chiesi se ci potevamo vedere. Mandai una anche a Giovanni.

20 Capitolo 5. Giovanni. Conobbi Giovanni durante il servizio militare di leva negli alpini a cavallo fra l'anno 91 e non si può raccontare il servizio negli alpini, sarebbe come quando sottoponi alla tortura del film delle vacanze i malcapitati ospiti di turno o quando fai vedere agli amici che non c'erano il filmino del matrimonio che dura solo 90 minuti. Forse parafrasando quel gioco che settimanalmente viene pubblicato nella settimana enigmistica con una serie di parole concatenate, si possono generare delle sensazioni che potrebbero far capire qualche stato d'animo dei malcapitati con il capello con su la penna. Divisa-uniforme-regole-sveglia-mattino-paura-libera uscita- cena-rientro-silenzio. Eravamo al poligono di Punta Tamerla e avevamo steso gli zaini tattici allineati come fossero soldati in plotone, era un boschetto simpatico per andare a funghi, ma diventava l'odiato boschetto del poligono nella fattispecie. Vidi un ragazzo con la faccia simpatica, appartenente ad uno scaglione più anziano, non che ci fosse scritto da qualche parte ma si percepiva da come si muoveva e dal fatto che quelli del tuo scaglione li conosci già tutti. Sfogliava nella pausa post pranzo un fumetto di Dylan Dog, il caso vuole che poco prima di partire nella mia cerchia di amici intimi il giornaletto andava molto forte e si soleva aspettare con ansia e trepidazione l'uscita del nuovo numero mensile commentando nell'attesa i vecchi numeri. Il solo fatto che avesse per le mani quelle familiari pagine, in un instante, faceva diventare lo sconosciuto una specie di amico intimo in mezzo a quella accozzaglia di provenienze, dialetti e storie di vita di differenti. Mi avvicinai e cominciai a discutere dei vari disegnatori dell indagatore dell incubo. Da quel giorno io e Giovanni fummo amici inseparabili. Dopo il servizio, che lui fini alcuni mesi prima di me essendo, in gergo naja, più anziano, continuammo a sentirci e,, qualche anno fa durante una sua gita alle Cinque Terre potemmo riabbracciarci. Alcuni giorni dopo andai insieme a lui ed alla sua compagna ad una conferenza di Emergency e capii che avevamo una sintonia di fondo che andava oltre alle inevitabili amicizie che si allacciano durante il servizio militare. Ancora oggi ci scambiamo periodicamente ed è come se il discorso tra di noi proseguisse senza soluzione di continuità anche se stiamo dei mesi senza sentirci. La mattina del 3 luglio dopo il documentario gli scrissi una , il caso volle che anche lui vide la medesima cosa alla stessa ora.. come migliaia di italiani. Ma il nostro legame era particolare e... 3 luglio martedì. ore 8:45 f***@provincia.parma.it to g******@datasystem.com

21 ciao g ieri sera su hc ho visto un doc girato da dei cameramen poco più che ventenni accorsi sul posto subito dopo la strage di Rimini dell'80. se penso che degli italiani hanno fatto quello ad altri italiani...cioè io g mi sono vergognato per la prima volta (o forse non per la prima) di essere italiano. Mi fa schifo abitare in questo paese. Io me ne voglio andare.io nn voglio che i miei bimbi crescano in un posto dove sono successe queste cose...io voglio capire meglio..fare qualcosa... ciao f ore 10:31 gio****@libero.it to f***@provincia.parma.it ciao fede ho visto pure io no comment senti ti va un aperitivo in centro da me? ti chiamo fammi sapere quando hai un po di tempo ciau bello Giovanni lavora come sistemista in una cooperativa di ristorazione di Reggio Emilia. E di Torino, ma il lavoro ha portato pure lui in terra emiliana. Ha partecipato alle terribili giornate genovesi del g8, e talvolta sembra essere un'attivista di Green Peace, nel senso che non ho mai capito ne ho mai indagato a fondo se la sua è una posizione partizan nel senso di prendere le parti e sponsorizzare la causa facendo circolare per le mailing list qualche messaggio o se ogni tanto, quatto quatto, partecipa ad azioni "operative". Tutto sommato è la persona più schierata che conosco, ma è un bravo figliuolo e ha davvero dei valori etici importanti. Si potrebbe definire uno che è di sinistra e si comporta da tale. La prima volta che venne a Spezia a trovarmi aveva la 127 scassata del padre.durante una missione di servizio da Cuneo a Torino, malgrado ci conoscessimo da pochi giorni, mi portò in casa sua a mangiare (roba che in Liguria fai con il tuo amico d'infanzia) e mi portò in casa di una sua amica (peraltro pure una bella ragazza) quando eravamo vestiti con la divisa di ordinanza e io mi vergognavo come un cane. Malgrado ciò, il calore della sua famiglia e dei suoi amici, fecero diventare quel giorno di naja un giorno memorabile. Giovanni è di Torino ma è di origine calabrese, del resto era difficile stringere dei rapporti con i gidri, gli indigeni della provincia granda o con i torinesi doc...anche noi liguri a Cuneo eravamo una specie di terroni del nord.

22

23 Capitolo 6. 6 luglio venerdì. Seguendo un po l'istinto e vista la mia stima per Giovanni, pensai di far incontrare il mio "amico del militare" con Giuliano. Erano passati tre giorni dalla trasmissione del documentario, il Giuli come tutti i fine settimana scendeva da Milano e passava da casa mia a Varano verso le 21,30. Io mettevo a letto le gemelle e mi dileguavo salutando Chiara ed Edoardo per il solito venerdì in riviera. Arrivavamo a Sarzana con le macchine incolonnate, dopodiché parcheggiavamo a porta Parma e dopo la consueta birra più focaccina da Simon Boccanegra, era già quasi mezzanotte, tempo di una cannetta e del solito puttangiro. Rientravo verso le quattro, dopo il caffè all'autogrill Tugo, quando i cartelli dei viadotti cominciavano ad animarsi con lo sbattere delle palpebre in forme improbabili di folletti e gatti che volevano attraversare la carreggiata. Il sabato non ero mai in ufficio prima delle dieci e spesso la bocca era asciutta e la gola bruciava. Uno di quei folletti autostradali mi martellava su una tempia come un picchio sul leccio. Al pomeriggio dei giorni feriali approfittavo sempre di qualche riunione fra dirigenti per recuperare le ore perdute al lavoro nei postumi del venerdì sera. Alcuni sabati non andavo nemmeno e comunque, anche quando ero presente, dopo il mitico venerdì rivierasco, non ero affatto in condizione, ma nessuno poteva sospettare che un dirigente pubblico con prole felicemente sposato della provinciadiparmabene avesse tali vizi malgrado il capello lungo e l'occhio inespressivo. Quel venerdì il Giuli si presentò su mia insistenza all'ora dell'aperitivo. Le gemelle rinunciarono ai tre porcellini e il mio migliore amico per essere a Varano alle sette prese un pomeriggio di ferie gli assicurai che ne sarebbe valsa la pena... Invece che la solita galoppata sull'autocamionale Cisa, ci dirigemmo verso Reggio Emilia. In pianura mi perdo facilmente, nello spezzino è facile trovare le strade perché ci sono dei riferimenti certi e facilmente visibili: da una parte i monti, dall'altra il mare, o comunque le splendide torri dell'enel (torre forse ne è rimasta solo una ma prometto di contarle la prossima volta che arrivo dall'autostrada) o le gru del porto che mi ricordano il video dei Police every little things she does is magic. Purtroppo bastano le stradine all'interno del lungomare versiliano, percorse per evitare le code ed i semafori, per metterci in difficoltà intendo di notte, perché di giorno la Versilia, con le Apuane sullo sfondo, risulta facile quanto il territorio ligure. In pianura, dove l'odore del salmastro è sostituito dal profumo del letame e quando i raccoglitori d'acqua (quando mai capissimo a cosa servono e cosa sono) sembrano essere tutti uguali; o c'è san navigatore o si continua a girare in tondo tipo i topi ballerini della fiera di San Giuseppe. Per noi le frazioni e i panorami della padana sembrano tutti uguali come i cinesi che vendono nei banchi del mercatino e i peruviani che suonano Careless Whisper al flauto di pan. Arriviamo a casa del Giovanni senza accendere il navigatore, dopo il panegirico sulla difficoltà di orientamento nella bassa, va detto che il Giovanni abita a Reggio in centro,

24 precisamente vicino allo stadio Mirabello, beffardi spalti per un tifoso spezzino, per cui avendo indirizzo e riferimenti da cittadino e non da contadino, ci si arriva in poco tempo. Suono e Giov risponde che scende. Sale sulla x5, gli presento Giuliano. Si va in un locale alternativo dove Giov sembra essere di casa. Stranamente fuori c'è una specie di buttafuori. Il posto si chiama Tropico Mediterraneo e sembra che, al contrario delle normali selezioni di clientela, qui il gigante nero davanti all'entrata faccia entrare solo schioppati, freak, negri, lesbiche, finocchi e comunque persone che all'apparenza hanno una certa allergia al sapone. Di per se il posto mi è subito simpatico se nonché sono un po rabbuiato perché, per non dare nell'occhio, sarebbe meglio un normalissimo pub stile irlandese tarocco. Giuliano sembra un intellettuale finto povero, Giovanni sembra quello che è, ed è davvero fantasticamente anonimo, io ho il capello lungo raccolto e la barba a macchia di leopardo che vanno sempre bene. Basta qualche capo di abbigliamento giusto al posto giusto e, visto che stasera ho dei jeans che non conoscono lavatrice da mesi e scarpe usate per andare in moto da casa al circuito per decine di volte, il buttadentro apre il cordone. La cosa buffa è che in un locale così il cordone stile serata degli oscar stona quanto un informatore scientifico vestito da informatore scientifico ad un concerto dei Ramones. Mentre stiamo in coda, una coda peraltro corta, penso alla canzone "Sexy" di Luca Carboni e a "Freak" di Bersani... così entro distratto mentre canticchio "ciao ciao belle tettine" e in effetti di belle ragazze ce ne sono eccome e tutt altro che freak. Ci sediamo in un tavolino vicino ad un muro zebrato, le seggioline sono leopardate. La musica è quella dei Clash e in pista la gente balla con stili diversi come si confà al tipo di locale. Abbondano le Corona con il limone rigorosamente bevute alla bottiglia. C'è pure un dehors dove si può fumare senza passare dalla frontiera dove ci sta il doganiere del look. Credo che se il runner dei 49's selezionatore della clientela avesse come cane un pastore dell'antidroga, il canide arriverebbe alla branda per il sonnellino, senza voce e con le nari da trapiantare. Nel chiosco il fumo è denso come la nebbia dei mattini di gennaio e il profumo che si sente è inconfondibilmente di resina. Le mie palle girano come le pale dell'elicottero perché sono convinto che qui ci siano anche quei pulotti in borghese che quando passano nell'auto civetta ti metti la mano al portafoglio. Non abbiamo bisogno di pubblicità e in questa fase di progettazione meno persone ci vedono insieme e meglio è, e comunque non ci devono vedere né in centri sociali né in locali dove la clientela è monocorde. Credo che a differenza di delinquenti abituali e invasati politici, noi potremo avere quella dose di furbizia, cultura, intelligenza e cinismo che ci permetterà di fare le cose in modo da portare a termine il nostro studio. Abbiamo tre birre davanti. Tre corona senza bicchiere e tutto sommato non diamo nell'occhio. "Giuli, ieri io e il Giov abbiamo visto una specie di documentario sulla strage di Rimini". Sorsetto alla Corona. Ma il limone sarà biologico? Non è che mi sto ciucciando quei cavolo di anticrittogamici e antiparassitari che fanno venire gli agrumi da concorso fotografico per

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