Giacobbe, figlio di Isacco, figlio di Abramo. Il racconto.

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1 Una Comunità degna di fede A.P Incontri di Quaresima.1 Giacobbe, figlio di Isacco, figlio di Abramo. Il racconto. Le storie dei Patriarchi nella Genesi Le storie dei Patriarchi di Israele - coloro nei quali ogni ebreo vede un vero e proprio padre - ruotano attorno alle vicende di Abramo, Isacco, Giacobbe e Giuseppe e coprono i capitoli del libro della Genesi che vanno dal 12 al 50. I racconti che leggiamo come una composizione armonica che, nel suo complesso, dimostra una certa coerenza e unità almeno dal punto di vista delle tematiche ricorrenti, sono il frutto di un sapiente lavoro di redazione svolto a più mani che ha assemblato materiali provenienti da tradizioni, epoche e ambiti differenti. Senza entrare nello specifico dello studio delle fonti a cui gli autori hanno attinto, ci basti aver presente che i nuclei più antichi di questi racconti risalgono al periodo della monarchia unica di Israele o poco prima, dunque una decina di secoli prima di Cristo; il processo di redazione delle fonti prosegue però fino a dopo l epoca dell esilio e post-esilio, periodo durante il quale le fonti originarie subiscono delle significative revisioni. Non è un caso che il percorso di Abramo da Ur a Canaan passando da Carran - che Giacobbe farà a ritroso per andare da Labano - sia proprio il percorso che in epoca esilica univa Israele alla Mesopotamia e che gli stessi profughi di ritorno da Babilonia a Gerusalemme certamente seguirono. Il procedimento seguito dai redattori per comporre il testo finale fu quello di porre delle affermazioni teologiche maturate nell esperienza di vita, di storia e di fede del popolo legandole alle tradizioni che li avevano preceduti e nelle quali riconoscevano le proprie origini. L affermazione fondamentale che si legge nei racconti patriarcali è un rapporto di carattere «teologico» tra Israele e la sua terra: Canaan è stata concessa per grazia da Dio in usufrutto ad Abramo e alla sua discendenza; e tutto questo in un periodo di molto precedente al periodo monarchico. L importanza di una simile confessione la si comprende bene se collocata nella cornice dell esilio e post-esilio: Israele si trova defraudato della propria terra e in un certo senso avverte come messo in crisi il patto di fedeltà che Dio aveva stipulato con il suo popolo, insieme al compimento stesso della promessa che dava consistenza storica al patto. Israele perciò, con la rilettura delle vicende patriarcali e del loro contenuto di alleanza, intende richiamare la verità della fedeltà divina che la vicenda esilica non doveva mettere in discussione. Considerata tutta questa elaborazione dei testi, si può affermare che alla base si trovino delle tradizioni di carattere storico? Si può affermare che i patriarchi siano stati dei personaggi realmente esistiti? Se con ciò intendiamo dire che sia esistito un Abramo vero e proprio così come ci viene raccontato, non possiamo affatto dare una risposta affermativa. Non abbiamo alcuna testimonianza storico-archeologica a riguardo. Gli autori sacri narrano le epopee dei patriarchi come vicende di migranti - non di tribù nomadi, attenzione! - e di fenomeni di questo tipo nell area mediorientale nel periodo precedente al 1000 a.c abbiamo certamente delle attestazioni storiche. Queste vicende hanno dunque una base storica che si è condensata in racconti di carattere teologico. Abramo e Isacco e l eredità lasciata a Giacobbe. Abramo è l uomo della fede per eccellenza, l uomo in cui la promessa di Dio trova piena e perfetta accoglienza. Si sente rivolgere da Dio per grazia l offerta di una terra, di un futuro e di una discendenza. Accetta senza remore e senza compromessi l offerta di Dio, obbedendo all invito di avviarsi verso quella terra a lui promessa. Anche quando la promessa tarda ad avverarsi Abramo non viene mai meno nella sua decisione di obbedienza piena al suo Signore. Ed è tale la fermezza della sua determinazione che risulta disponibile ad arrivare fino all estremo più radicale dell esperienza di fede: la riconsegna di tutto nelle mani di Colui al quale ci si è legati. Il sacrificio di Isacco è il segno con cui Abramo sigilla il suo essere integralmente consegnato nelle mani del suo Dio, dimostrando di non opporre il proprio agire, la propria sapienza, i propri progetti a quelli divini. Il premio di Abramo, prima ancora che la discendenza e la terra, consiste proprio nell appartenere a Dio, o osando di più, di riconoscere che in un certo senso Dio e la sua grazia gli appartengono come un eredità vera e propria. Giacobbe è il figlio diretto di Isacco. Potremmo dire che è il figlio di colui che è la testimonianza vivente tanto della fede di Abramo quanto del realizzarsi delle promesse divine. Isacco è il figlio della promessa, ma è anche il figlio della fede e nella fede. Nato da Abramo nella carne, nato nuovamente dalla grazia di Dio e per la fede di Abramo. L eredità che Giacobbe raccoglie è dunque un eredità enorme per splendore di fede, per ricchezza di grazia e per responsabilità che assegna a coloro che devono custodirla dandole seguito. Ci si aspetterebbe per la vicenda di Giacobbe uno sviluppo molto simile a quello del nonno e del padre, con un procedere del racconto patriarcale nella linea della limpidezza, dell accoglienza della chiamata divine e della fede nella grazia che muove ogni cosa. Così invece non sarà. La vicenda di Giacobbe, pur riaffermando alcune verità teologiche già stabilite 1

2 Una Comunità degna di fede A.P Incontri di Quaresima.1 dai racconti precedenti, rappresenta una sorta di discontinuità, almeno per il fatto che la sua storia di fede non presenta la linearità e la trasparenza di quella di Abramo. Dal punto di vista storico-letterario il motivo sta nel fatto che i racconti di Giacobbe nascono in un contesto differente rispetto a quelli di Abramo. Mentre la tradizione di quest ultimo è legata più probabilmente al sud di Israele e subisce le contaminazione degli ambienti di Gerusalemme, Giacobbe è figura sviluppata dalle tribù del nord a partire dalle tradizioni legate ad alcuni grandi santuari tra cui, in particolare, quello di Betel. Certamente l accostamento delle due vicende dà all esperienza della fede una maggior ampiezza di spettro e di ricchezza. Il racconto in cinque passaggi Per la comprensione della vicenda è ovviamente necessaria la lettura di tutta la narrazione, da 26,1 a 36, 43. Quelli riportati qui sotto sono solo cinque passaggi, le svolte fondamentali della narrazione. 1. Rebecca disse al figlio Giacobbe: "Ecco, ho sentito tuo padre dire a tuo fratello Esaù: "Portami della selvaggina e preparami un piatto, lo mangerò e poi ti benedirò alla presenza del Signore prima di morire". Ora, figlio mio, da' retta a quel che ti ordino. Va' subito al gregge e prendimi di là due bei capretti; io preparerò un piatto per tuo padre, secondo il suo gusto. Così tu lo porterai a tuo padre, che ne mangerà, perché ti benedica prima di morire". Rispose Giacobbe a Rebecca, sua madre: "Sai bene che mio fratello Esaù è peloso, mentre io ho la pelle liscia. Forse mio padre mi toccherà e si accorgerà che mi prendo gioco di lui e attirerò sopra di me una maledizione invece di una benedizione". Ma sua madre gli disse: "Ricada pure su di me la tua maledizione, figlio mio! Tu dammi retta e va' a prendermi i capretti". Allora egli andò a prenderli e li portò alla madre, così la madre ne fece un piatto secondo il gusto di suo padre. Rebecca prese i vestiti più belli del figlio maggiore, Esaù, che erano in casa presso di lei, e li fece indossare al figlio minore, Giacobbe; con le pelli dei capretti rivestì le sue braccia e la parte liscia del collo. Poi mise in mano a suo figlio Giacobbe il piatto e il pane che aveva preparato. Così egli venne dal padre e disse: "Padre mio". Rispose: "Eccomi; chi sei tu, figlio mio?". Giacobbe rispose al padre: "Io sono Esaù, il tuo primogenito. Ho fatto come tu mi hai ordinato. Àlzati, dunque, siediti e mangia la mia selvaggina, perché tu mi benedica". Isacco disse al figlio: "Come hai fatto presto a trovarla, figlio mio!". Rispose: "Il Signore tuo Dio me l'ha fatta capitare davanti". Ma Isacco gli disse: "Avvicìnati e lascia che ti tocchi, figlio mio, per sapere se tu sei proprio il mio figlio Esaù o no". Giacobbe si avvicinò a Isacco suo padre, il quale lo toccò e disse: "La voce è la voce di Giacobbe, ma le braccia sono le braccia di Esaù". Così non lo riconobbe, perché le sue braccia erano pelose come le braccia di suo fratello Esaù, e lo benedisse. Gli disse ancora: "Tu sei proprio il mio figlio Esaù?". Rispose: "Lo sono". Allora disse: "Servimi, perché possa mangiare della selvaggina di mio figlio, e ti benedica". Gliene servì ed egli mangiò, gli portò il vino ed egli bevve. Poi suo padre Isacco gli disse: "Avvicìnati e baciami, figlio mio!". Gli si avvicinò e lo baciò. Isacco aspirò l'odore degli abiti di lui e lo benedisse. 2. Giacobbe partì da Bersabea e si diresse verso Carran. Capitò così in un luogo, dove passò la notte, perché il sole era tramontato; prese là una pietra, se la pose come guanciale e si coricò in quel luogo. Fece un sogno: una scala poggiava sulla terra, mentre la sua cima raggiungeva il cielo; ed ecco, gli angeli di Dio salivano e scendevano su di essa. Ecco, il Signore gli stava davanti e disse: "Io sono il Signore, il Dio di Abramo, tuo padre, e il Dio di Isacco. A te e alla tua discendenza darò la terra sulla quale sei coricato. La tua discendenza sarà innumerevole come la polvere della terra; perciò ti espanderai a occidente e a oriente, a settentrione e a mezzogiorno. E si diranno benedette, in te e nella tua discendenza, tutte le famiglie della terra. Ecco, io sono con te e ti proteggerò dovunque tu andrai; poi ti farò ritornare in questa terra, perché non ti abbandonerò senza aver fatto tutto quello che ti ho detto". Giacobbe si svegliò dal sonno e disse: "Certo, il Signore è in questo luogo e io non lo sapevo". Ebbe timore e disse: "Quanto è terribile questo luogo! Questa è proprio la casa di Dio, questa è la porta del cielo". La mattina Giacobbe si alzò, prese la pietra che si era posta come guanciale, la eresse come una stele e versò olio sulla sua sommità. E chiamò quel luogo Betel, mentre prima di allora la città si chiamava Luz. Giacobbe fece questo voto: "Se Dio sarà con me e mi proteggerà in questo viaggio che sto facendo e mi darà pane da mangiare e vesti per coprirmi, se ritornerò sano e salvo alla casa di mio padre, il Signore sarà il mio Dio. Questa pietra, che io ho eretto come stele, sarà una casa di Dio; di quanto mi darai, io ti offrirò la decima". 3. Ora Làbano aveva due figlie; la maggiore si chiamava Lia e la più piccola si chiamava Rachele. Lia aveva gli occhi smorti, mentre Rachele era bella di forme e avvenente di aspetto, perciò Giacobbe s'innamorò di Rachele. Disse dunque: "Io ti servirò sette anni per Rachele, tua figlia minore". Rispose Làbano: "Preferisco darla a te piuttosto che a un estraneo. Rimani con me". Così Giacobbe servì sette anni per Rachele: gli sembrarono pochi giorni, tanto era il suo amore per lei. Poi Giacobbe disse a Làbano: "Dammi la mia sposa, perché i giorni sono terminati e voglio unirmi a lei". Allora Làbano radunò tutti gli uomini del luogo e diede un banchetto. Ma quando fu 2

3 Una Comunità degna di fede A.P Incontri di Quaresima.1 sera, egli prese la figlia Lia e la condusse da lui ed egli si unì a lei. Làbano diede come schiava, alla figlia Lia, la sua schiava Zilpa. Quando fu mattina... ecco, era Lia! Allora Giacobbe disse a Làbano: "Che cosa mi hai fatto? Non sono stato al tuo servizio per Rachele? Perché mi hai ingannato?". Rispose Làbano: "Non si usa far così dalle nostre parti, non si dà in sposa la figlia più piccola prima della primogenita. Finisci questa settimana nuziale, poi ti darò anche l'altra per il servizio che tu presterai presso di me per altri sette anni". E così fece Giacobbe: terminò la settimana nuziale e allora Làbano gli diede in moglie la figlia Rachele. Làbano diede come schiava, alla figlia Rachele, la sua schiava Bila. Giacobbe si unì anche a Rachele e amò Rachele più di Lia. Fu ancora al servizio di lui per altri sette anni. 4. Durante quella notte egli si alzò, prese le due mogli, le due schiave, i suoi undici bambini e passò il guado dello Iabbok. Li prese, fece loro passare il torrente e portò di là anche tutti i suoi averi. Giacobbe rimase solo e un uomo lottò con lui fino allo spuntare dell'aurora. Vedendo che non riusciva a vincerlo, lo colpì all'articolazione del femore e l'articolazione del femore di Giacobbe si slogò, mentre continuava a lottare con lui. Quello disse: "Lasciami andare, perché è spuntata l'aurora". Giacobbe rispose: "Non ti lascerò, se non mi avrai benedetto!". Gli domandò: "Come ti chiami?". Rispose: "Giacobbe". Riprese: "Non ti chiamerai più Giacobbe, ma Israele, perché hai combattuto con Dio e con gli uomini e hai vinto!". Giacobbe allora gli chiese: "Svelami il tuo nome". Gli rispose: "Perché mi chiedi il nome?". E qui lo benedisse. Allora Giacobbe chiamò quel luogo Penuèl: "Davvero - disse - ho visto Dio faccia a faccia, eppure la mia vita è rimasta salva". Spuntava il sole, quando Giacobbe passò Penuèl e zoppicava all'anca. Per questo gli Israeliti, fino ad oggi, non mangiano il nervo sciatico, che è sopra l'articolazione del femore, perché quell'uomo aveva colpito l'articolazione del femore di Giacobbe nel nervo sciatico. 5. Dio disse a Giacobbe: "Àlzati, sali a Betel e abita là; costruisci in quel luogo un altare al Dio che ti è apparso quando fuggivi lontano da Esaù, tuo fratello". Allora Giacobbe disse alla sua famiglia e a quanti erano con lui: "Eliminate gli dèi degli stranieri che avete con voi, purificatevi e cambiate gli abiti. Poi alziamoci e saliamo a Betel, dove io costruirò un altare al Dio che mi ha esaudito al tempo della mia angoscia ed è stato con me nel cammino che ho percorso". Essi consegnarono a Giacobbe tutti gli dèi degli stranieri che possedevano e i pendenti che avevano agli orecchi, e Giacobbe li sotterrò sotto la quercia presso Sichem. Poi partirono e un grande terrore assalì le città all'intorno, così che non inseguirono i figli di Giacobbe. Giacobbe e tutta la gente che era con lui arrivarono a Luz, cioè Betel, che è nella terra di Canaan. Qui egli costruì un altare e chiamò quel luogo El-Betel, perché là Dio gli si era rivelato, quando fuggiva lontano da suo fratello. Allora morì Dèbora, la nutrice di Rebecca, e fu sepolta al di sotto di Betel, ai piedi della quercia. Così essa prese il nome di Quercia del Pianto. Dio apparve un'altra volta a Giacobbe durante il ritorno da Paddan-Aram e lo benedisse. Dio gli disse: "Il tuo nome è Giacobbe. Ma non ti chiamerai più Giacobbe: Israele sarà il tuo nome". Così lo si chiamò Israele. Dio gli disse: "Io sono Dio l'onnipotente. Sii fecondo e diventa numeroso; deriveranno da te una nazione e un insieme di nazioni, e re usciranno dai tuoi fianchi. Darò a te la terra che ho concesso ad Abramo e a Isacco e, dopo di te, la darò alla tua stirpe". La struttura del racconto e i temi fondamentali Possiamo riconoscere nella vicenda di Giacobbe la seguente struttura: A. Isacco (cap 26) B. Conflitto con Esaù (25,19-34; 27,1-45; 27,46-28,9) C. Teofania a Betel (28, 10-22) D. Conflitto con Labano (29, 1-30) E. Nascite (29,31-30,24) D. Conflitto e Patto (30,25-31,55) C. Teofania a Peniel (32,22-32) B. Riconciliazione con Esaù (32-33,17) A. Conclusione e transizione (33,18-36,43) Tolta la cornice esterna, la narrazione è stata disposta in forma concentrica: il cerchio più esterno riguarda il conflitto con Esaù e la sua soluzione; il cerchio più interno descrive la vicenda, anch essa conflittuale, con Labano; a dividere i due cerchi si inserisce la vicenda di Giacobbe con Dio condensate nella teofania di Betel e nella lotta allo Jabbok; il nucleo del racconto sono le nascite della famiglia di Giacobbe. 3

4 Una Comunità degna di fede A.P Incontri di Quaresima.1 Una storia contrastata e dalla forte carica conflittuale. Proprio in mezzo a quella conflittualità, ai tranelli e alle disonestà sta il rivelarsi divino. Al cuore di tutto - questo sì in continuità con la promessa fatta ad Abramo - lo svilupparsi della discendenza di Giacobbe, segno del favore divino, della sua fedeltà e delle sua benevolenza. I temi fondamentali, che approfondiremo in seguito, sono i seguenti: - la Benedizione di Dio e il dono ad essa connesso. - L inganno e le trame degli uomini - Il conflitto umano e il confronto con il divino 4

5 Una Comunità degna di fede A.P Incontri di Quaresima.2 Luci e ombre. I conflitti di Giacobbe con Esaù e Labano. A noi, lettori moderni, la vicenda di Giacobbe suscita impressioni e sentimenti fortemente contrastanti. Ci appare certamente come una storia dalla forte impronta teologica, ma il succedersi di inganni e furberie che la caratterizza è causa di non poche perplessità. E un racconto fatto di chiaroscuri, di toni ironici e passaggi drammatici, di motivi nobili e cadute di stile. Forse è proprio questa ambivalenza l elemento più caratteristico e la possibile chiave di lettura di tutta la narrazione. Un elemento che ci pare in contrasto se misurato con la luminosa saga di Abramo, ma che, d altra parte, certamente troviamo familiare a confronto delle situazioni di vita di ciascuno di noi che ripercorrono più frequentemente la tortuosità della vita di Giacobbe che la linearità di quella di suo nonno. E un fatto di straordinaria bellezza e di grande consolazione vedere una vicenda dai tratti così umani e terreni intrecciarsi con l opera di salvezza di Dio che attraversa la storia dell umanità intera. Lo è in maniera particolare in questi tempi in cui anche la Chiesa sembra essere travolta e schiacciata da logiche di potere, da politiche di scarsa trasparenza, da motivi di interesse. L opera di Dio non teme il nostro limite, se ne fa carico e ne usa perché la Sua benedizione raggiunga le genti. Leggeremo la vicenda di Giacobbe partendo dai conflitti, utilizzando come chiave di lettura l alternarsi di luci e ombre. Descriviamo le caratteristiche dei due principali scontri; tratteggiamo la figura di Giacobbe per antitesi; concludiamo offrendo qualche spunto di riflessione generale. Il conflitto con Esaù Ora i figli si urtavano nel suo seno ed ella esclamò: "Se è così, che cosa mi sta accadendo?". Andò a consultare il Signore. Il Signore le rispose: "Due nazioni sono nel tuo seno e due popoli dal tuo grembo si divideranno; un popolo sarà più forte dell'altro e il maggiore servirà il più piccolo". I due fratelli fin dal seno materno sembrano destinati allo scontro. Un probabile procedimento eziologico che rendesse ragione della diversità tra pastori coltivatori e cacciatori, tra Edom e Israele va certamente ipotizzato come base della narrazione. Se non fosse per il rischio di cadere in una sorta di predestinazionismo, si potrebbe dire che il dissidio tra i due fratelli è scritto nel disegno stesso di Dio, come se le loro nature fossero in conflitto per Sua stessa volontà. Certo non si può affermare questo, ma dobbiamo leggervi l intenzione da parte dell autore di descrivere uno scontro radicale, atavico, che non dipende esclusivamente dalla libertà dei due. Il particolare del modo in cui i due escono dal seno materno dice che il conflitto è radicale e che, in ogni caso, la profezia udita da Rebecca troverà resistenze: se dovrà prevalere Giacobbe, è però Esaù a uscire per primo; seppur per secondo, Giacobbe già insidia il tallone del fratello, ha il nome da prediletto (Dio protegge) e allo stesso tempo di uno che si fa strada a calci. All accendersi dello scontro e ad accrescere l impressione di un concorrere di cause esterne contribuisce il ruolo dei genitori che non si sottraggono, fin da subito al gioco delle preferenze. I fanciulli crebbero ed Esaù divenne abile nella caccia, un uomo della steppa, mentre Giacobbe era un uomo tranquillo, che dimorava sotto le tende. Isacco prediligeva Esaù, perché la cacciagione era di suo gusto, mentre Rebecca prediligeva Giacobbe. Lo scontro tra i due non è solo uno scontro di civiltà ma anche di caratteristiche. Esaù appare insipiente e stolto, Giacobbe scaltro e capace di dar valore alle cose (sullo sfondo: il coltivatore e pastore è lo stadio sviluppato del cacciatore e appare come civiltà maggiormente evoluta, più ordinata e per bene ); il primo appare in preda agli istinti e alla fame ingorda, il secondo capace di soppesare le priorità e i valori e di dilatare i desideri; il primo più diretto e verace, il secondo pronto alla menzogna e al mascheramento. Si parte dal piatto di lenti che Esaù scambia forse per una minestra di sangue a causa del colore (perciò parlerà di duplice inganno) e si conclude col travestimento di Giacobbe e la menzogna al Padre, fatta addirittura chiamando in causa Dio (27,20 Il Signore tuo Dio me l ha fatta capitare davanti ) I due genitori sono complici rispecchiando le medesime caratteristiche dei figli: Rebecca e scaltra, bugiarda e stratega; Isacco credulone, istintivo e onesto: Rebecca disse al figlio Giacobbe: "Ecco, ho sentito tuo padre dire a tuo fratello Esaù: "Portami della selvaggina e preparami un piatto, lo mangerò e poi ti benedirò alla presenza del Signore prima di morire". Ora, figlio mio, da' retta a quel che ti ordino... Giacobbe si avvicinò a Isacco suo padre, il quale lo toccò e disse: "La voce è la voce di Giacobbe, ma le braccia sono le braccia di Esaù". Così non lo riconobbe, perché 5

6 Una Comunità degna di fede A.P Incontri di Quaresima.2 le sue braccia erano pelose come le braccia di suo fratello Esaù, e lo benedisse. Gli disse ancora: "Tu sei proprio il mio figlio Esaù?". Rispose: "Lo sono". L inganno è il centro dello scontro e la causa della rottura definitiva. In realtà il fatto della primogenitura non è classificabile come inganno vero e proprio ma come capacità contrattuale di Giacobbe che ne esce indubbiamente come il più forte tra i due. Ma la benedizione carpita è un delitto a tutti gli effetti. Ciò che Giacobbe compie, mentendo e bestemmiando, è in sostanza un omicidio del fratello non un semplice furto. Gli elementi comici del racconto non diminuiscono minimamente la drammaticità: la reazione di Isacco ed Esaù è quella di un lutto e l esito è una promessa di vendetta fratricida perché solo eliminando Giacobbe, Esaù potrà riprendersi la benedizione. Esce qui evidente la contraddittorietà del nome di Giacobbe che, pur nei panni di un protetto di Dio, schiaccia violentemente sotto i piedi il fratello. Ciò che colpisce è l assenza di ogni valutazione morale dentro la narrazione, ancor meno da parte di Dio stesso. Va detto che la benedizione in quel contesto veniva colta come una parola capace di determinare la realtà e di attuare delle trasformazioni esistenziali vere e proprie, perciò quel gesto di Giacobbe va effettivamente classificato come un furto di identità, per estensione un omicidio. Dunque la lotta tra i due fratelli può riassumersi in uno scontro di identità, in cui ne va dell esistenza di uno dei due. Ciò appare sconvolgente se fatto risalire a Dio, ma non lo è più nella misura in cui è proprio l agire di Dio a condurre i fratelli a ricomporre la frattura con un gesto che ha tutte le caratteristiche del riconoscimento dell identità reciproca: Ma Esaù gli corse incontro, lo abbracciò, gli si gettò al collo, lo baciò e piansero. Alzàti gli occhi, vide le donne e i bambini e domandò: "Chi sono questi con te?". Giacobbe rispose: "Sono i bambini che Dio si è compiaciuto di dare al tuo servo". Domandò ancora: "Che cosa vuoi fare di tutta questa carovana che ho incontrato?". Rispose: "È per trovar grazia agli occhi del mio signore". Esaù disse: "Ho beni in abbondanza, fratello mio, resti per te quello che è tuo!". Ma Giacobbe disse: "No, ti prego, se ho trovato grazia ai tuoi occhi, accetta dalla mia mano il mio dono, perché io sto alla tua presenza, come davanti a Dio, e tu mi hai gradito. Accetta il dono augurale che ti è stato presentato, perché Dio mi ha favorito e sono provvisto di tutto!". Il giogo è spezzato dal fatto che Giacobbe paragona la presenza del fratello a quella di Dio, chiamandolo anche mio signore. Il conflitto con Labano La faccenda di Labano, seppur collocata dentro l ambito familiare come quella tra Giacobbe e Esaù, ha radici e implicazioni differenti. Non c è in gioco qui nessun confronto di identità stavolta. Nemmeno la carica emotiva dello scontro è peraltro paragonabile a quello tra i due fratelli. Sono scintille e screzi legati più alla gestione dei rispettivi interessi principalmente, anche se non solo, di carattere economico. Se tra Giacobbe ed Esaù l inganno viene giocato una volta sola e da parte di uno dei due, stavolta è tutta una schermaglia di astuzie, sotterfugi ed inganni in un botta e risposta diretto al conseguimento di vantaggi personali. Tutti sono coinvolti: Labano e Giacobbe, Lia, Rachele, i figli, le schiave. In tutto questo gioco, Giacobbe si trova più volte ripagato della stessa moneta con cui ha ingannato in precedenza il fratello: da usurpatore del diritto alla benedizione, si trova a subire il diritto matrimoniale secondo le regole di Labano. Allora Giacobbe disse a Làbano: "Che cosa mi hai fatto? Non sono stato al tuo servizio per Rachele? Perché mi hai ingannato?". Rispose Làbano: "Non si usa far così dalle nostre parti, non si dà in sposa la figlia più piccola prima della primogenita. Finisci questa settimana nuziale, poi ti darò anche l'altra per il servizio che tu presterai presso di me per altri sette anni". E così fece Giacobbe: terminò la settimana nuziale e allora Làbano gli diede in moglie la figlia Rachele. Làbano diede come schiava, alla figlia Rachele, la sua schiava Bila. Giacobbe si unì anche a Rachele e amò Rachele più di Lia. Fu ancora al servizio di lui per altri sette anni. Entrambi i principali contendenti fanno la figura di chi sa bene cosa vuole ottenere e come ottenerlo. La cura del proprio benessere è il criterio dominante che fa da determinante per ogni decisione. Il clima e i traffici sono di carattere quasi esclusivamente profano. Seppur dentro un clima di ironia sottile, il quadretto non è per nulla edificante. Ma Giacobbe prese rami freschi di pioppo, di mandorlo e di platano, ne intagliò la corteccia a strisce bianche, mettendo a nudo il bianco dei rami. Mise i rami così scortecciati nei canaletti agli abbeveratoi 6

7 Una Comunità degna di fede A.P Incontri di Quaresima.2 dell'acqua, dove veniva a bere il bestiame, bene in vista per le bestie che andavano in calore quando venivano a bere. Così le bestie andarono in calore di fronte ai rami e le capre figliarono capretti striati, punteggiati e chiazzati. Anche da questo conflitto la figura di Giacobbe ne esce in modo ambiguo. Benchè abbia ricevuto la benedizione del padre Isacco e per quanto in sogno Dio gli abbia assicurato prosperità, egli si muove come se ogni cosa dovesse dipendere dai suoi mezzi e dalle sue capacità imprenditoriali. D altra parte, anche ciò che viene raccontato come espediente di sua invenzione, quale quello delle pecore e delle capre, è ricondotto da Giacobbe a una precisa volontà divina che viene in sua difesa contro le astuzie di Labano. I mezzi usati da Giacobbe sono il suo modo di affidarsi e di credere alla volontà divina oppure è la volontà di Dio che avviene nonostante i traffici di Giacobbe? Anche la conclusione del conflitto con Labano è differente dalla riconciliazione tra i due fratelli. Un trattato di non belligeranza tra due che si sono spartiti una torta: questo in buona sostanza è il concludersi dello scontro tra Labano e Giacobbe. Usurpatore o eletto? Una vita di conflitti quella di Giacobbe e la causa sembra essere il disegno divino che fa di lui un eletto, a prescindere dagli ordini costituiti e dalle abitudini di popolo. Non ci è dato ovviamente di sapere il motivo dell elezione divina, ma essa appare palese ed effettivamente motivo delle tribolazioni di Giacobbe. Il patriarca, come i suoi due predecessori, appare dunque oggetto di un dono immeritato e sorprendente che prescinde dai suoi meriti e dalle sue intenzioni. D altra parte, fin dal proprio nome, Giacobbe porta a questo riguardo un ambiguità: se è uno che Dio protegge è anche uno che deve farsi largo a colpi di calcagno perchè la promessa divina trovi corrispondenza effettiva e il suo ruolo di eletto si stabilisca a tutti gli effetti. Se dunque la benedizione divina è un dono, Giacobbe si trova a dover carpire quella paterna, segno della benevolenza divina, assumendo il ruolo strano di colui che deve rubare ciò che gli è dato in promessa. Paradossale è il fatto che il realizzarsi dei piani divini passi attraverso una effettiva violenza. Uomo volitivo e capace o astuto e disonesto? Giacobbe è certamente uomo volitivo. La forza con cui persegue gli obiettivi che si propone è esemplare. Appare così quanto, al di là del disegno divino, l elezione a patriarca sia stata da lui fortemente cercata e voluta. Ammirevole è il fatto che davanti agli ordini costituiti non si sia fermato. Anche di fronte a ciò che, in effetti, era la garanzia del quieto vivere dentro i clan familiari, come il diritto di primogenitura e il diritto matrimoniale. Sorprendente è invece il fatto che per ottenere ciò che ha voluto non ha affatto risparmiato i colpi bassi. Giacobbe è a tutti gli effetti bugiardo, truffatore e bestemmiatore. Tanto capace e determinato quanto astuto e disonesto. Un uomo dalla condotta discutibile è a tutti gli effetti portatore della promessa divina. Uomo della riconciliazione o della convenienza? I conflitti giungono a riconciliazione e senza dubbio anche per merito di Giacobbe che di fronte all avversario si pone, alla fine, in atteggiamento di disponibilità lasciando cadere ogni conflittualità. D altra parte è vero che la ricomposizione a cui arrivano le fratture familiari è frutto anche degli interventi divini che placano Labano e, dobbiamo presumere, muovono al perdono Esaù dopo la preghiera di Giacobbe. In tutto questo Giacobbe, pur essendo disponibile alla pace, non fa la figura di colui che la cerca sopra ogni cosa come bene in sè, piuttosto come uno che si sta muovendo secondo convenienza. La pace col fratello e con Labano, alla fine gli convengono, è lui quello che in tale situazione ha maggiormente da perdere. E dunque uomo che ricompone le fratture o che sa essere opportunista? Oltretutto, se Abramo e Isacco appaiono fortemente orientati dentro un esperienza di popolo il cui destino è strettamente legato al loro (così sarà anche per Giuseppe e Mosè), Giacobbe, se non fosse per gli interventi divini che lo collocano dentro il destino di Israele, appare in una prospettiva meno collettiva, se non nel momento in cui si trova ad affrontare Esaù e vede messi in pericolo i suoi figli e gli altri familiari. Se si può porre un alternativa tra bene comune e interesse personale, Giacobbe vede il primo come condizione per il secondo. Il che per un patriarca di popolo appare atteggiamento discutibile. Uomo di terra o di cielo? Se Abramo e Isacco appaiono come uomini verticali, la dimensione prevalente in Giacobbe è certamente quella orizzontale. I pensieri e le logiche di Giacobbe sono bassi e terreni. Le vicende che lo coinvolgono sono un 7

8 Una Comunità degna di fede A.P Incontri di Quaresima.2 cumulo di passioni e banalità umane. La presenza di Dio nelle scelte, nelle opere, nei criteri di Giacobbe appare assolutamente marginale. L unica preghiera che Giacobbe rivolge a Jahvè è nel momento di maggior difficoltà, quando si trova in pericolo di morte. Viceversa è sempre Dio ad avvicinarlo e, secondo le parole di Giacobbe nel racconto, a illuminarlo. Si potrebbe chiamarlo uomo di Dio? Si potrebbe definirlo uomo dedito alla realizzazione del progetto divino? D altra parte non si può negare che la sua vicenda sia elevata ad un altezza che Giacobbe non può raggiungere da sè. Inoltre nemmeno si può dire che gli interventi divini lo lascino indifferente o lo colgano distratto. Di fatto è un uomo segnato da Dio e la cui identità è fortemente caratterizzata da un disegno sovrumano. Questa identità si inserisce in vicende dal sapore e dalla caratteristica marcatamente mondana. Uomo di fede o uomo fidato? Da ultimo: si vede la fede di Giacobbe? Se non si può negare, non si può nemmeno dire che risplenda quanto quella di suo nonno. Se emerge, la sua fede lo fa attraverso la caparbietà con cui Giacobbe lotta per ottenere quell elezione che gli è dichiarata. E un relazionarsi a Dio nella forma di un confronto e di un battagliare più che un subire obbediente e passivo. Da questo emerge la sua immagine di uomo fidato. Si ha l impressione nettissima che più che una scommessa di Giacobbe sulle parole di Dio - Abramo... - questa è una scommessa di Dio su Giacobbe che viene in tutti i modi dichiarato degno di fede e di protezione da parte di Dio. Si trova qui, anche grazie a quest ambivalenza, una sorta di completamento dell esperienza di fede rispetto a quella raccontata in Abramo. SPUNTI DI RIFLESSIONE 1. L inutile pretesa di definire univocamente un esistenza. Non ci sono esistenze che non contengano elementi di ambiguità, persino le più sante e apparentemente irreprensibili. Il tentativo di una definizione univoca è solo una pretesa che rischia di far perdere anche la ricchezza di un esperienza. D altra parte non è nemmeno vero che la perfezione di fede consiste in una sorta di irreprensibilità assoluta in cui non esistano più zone d ombra e possibili ambiguità. Perciò l ansia di tracciare i confini delle esistenze è qualcosa da cui liberarsi. 2. Il confine tra ciò che attiene a Dio e ciò che compie l uomo non è così facilmente tracciabile. Il rapporto tra l operare Dio e il nostro va descritto nei termini di un intreccio più che di una giustapposizione. Ciò vale anche nei momenti in cui il nostro agire non è certo alla Sua altezza, ammesso che possa esserlo. Questo va letto come il segno più grande della misericordia e della pazienza di Dio. 3. L importanza di non classificare eccessivamente le esperienze di fede. Le forme in cui avviene la fede e in cui la si gioca sono molteplici e assolutamente sorprendenti. Se è vero che alcune caratteristiche ritornano in tutti, è altrettanto vero che c è una creatività divina da non spegnere e da assecondare. 8

9 Una Comunità degna di fede A.P Incontri di Quaresima.3 Il Dio di Giacobbe. L inaspettato. Dopo aver fatto una ricognizione narrativa della vicenda di Giacobbe, evidenziandone struttura e temi fondamentali e mostrandone da subito l eloquenza in termini teologici, abbiamo analizzato a fondo la figura del patriarca a partire dai due conflitti fondamentali che ne segnano il cammino. Ne è uscito il ritratto di un uomo dai forti chiaroscuri, con tratti marcatamente ambivalenti e dai comportamenti non così facilmente e univocamente definibili. Come ultimo passaggio ci dedichiamo alla lettura degli incontri di Giacobbe con il suo Dio. Lo faremo senza entrare nei dettagli tecnici e nelle interpretazioni esegetiche ma, applicando il metodo della lectio, ci chiederemo cosa ci dice il testo così com è per poi raccoglierne spunti utili alla nostra personale esperienza di fede. Il sogno di Giacobbe - 28,10-22 Giacobbe partì da Bersabea e si diresse verso Carran. Capitò così in un luogo, dove passò la notte, perché il sole era tramontato; prese là una pietra, se la pose come guanciale e si coricò in quel luogo. Fece un sogno: una scala poggiava sulla terra, mentre la sua cima raggiungeva il cielo; ed ecco, gli angeli di Dio salivano e scendevano su di essa. Ecco, il Signore gli stava davanti e disse: "Io sono il Signore, il Dio di Abramo, tuo padre, e il Dio di Isacco. A te e alla tua discendenza darò la terra sulla quale sei coricato. La tua discendenza sarà innumerevole come la polvere della terra; perciò ti espanderai a occidente e a oriente, a settentrione e a mezzogiorno. E si diranno benedette, in te e nella tua discendenza, tutte le famiglie della terra. Ecco, io sono con te e ti proteggerò dovunque tu andrai; poi ti farò ritornare in questa terra, perché non ti abbandonerò senza aver fatto tutto quello che ti ho detto". Giacobbe si svegliò dal sonno e disse: "Certo, il Signore è in questo luogo e io non lo sapevo". Ebbe timore e disse: "Quanto è terribile questo luogo! Questa è proprio la casa di Dio, questa è la porta del cielo". La mattina Giacobbe si alzò, prese la pietra che si era posta come guanciale, la eresse come una stele e versò olio sulla sua sommità. E chiamò quel luogo Betel, mentre prima di allora la città si chiamava Luz. Giacobbe fece questo voto: "Se Dio sarà con me e mi proteggerà in questo viaggio che sto facendo e mi darà pane da mangiare e vesti per coprirmi, se ritornerò sano e salvo alla casa di mio padre, il Signore sarà il mio Dio. Questa pietra, che io ho eretto come stele, sarà una casa di Dio; di quanto mi darai, io ti offrirò la decima". Lettura 1. Quello che Giacobbe intraprende non è un viaggio da ridere. Si tratta, restando alle indicazioni geografiche del testo, di 1600 km da fare a piedi. E il percorso che fece suo nonno Abramo partendo da Ur dei Caldei per giungere alla terra che Jahvé gli promise e sulla quale ora Giacobbe si trovava. E un viaggio a ritroso lungo la strada della promessa. E un cammino che lo inserisce ancor più a pieno titolo dentro l alleanza stipulata da Dio con suo nonno. Diversamente da Abramo però, Giacobbe, si trova a dover partire per forza di cose, più che per affidamento a una promessa. Egli, che ha rubato la benedizione di Isacco, ha bisogno di un percorso di purificazione, in cui comprendere che la promessa di Dio è qualcosa che si può solamente ricevere e accogliere e che, nonostante gli sforzi umani, nessuno può carpire con la frode: Dio è indisponibile. Tant è che l immagine è quella di un fuggiasco senza dimora, non certo quella di un uomo che ha trovato la sua stabilità nell alleanza con Dio. Nel tornare a Carran, Giacobbe viene ricondotto all origine della storia, la promessa di Dio: da lì deve ripartire. Il sogno, infatti, mette a tema proprio l alleanza divina con i suoi padri. L esito sarà una stabilità, ma ricevuta in dono. 2. Dove Giacobbe crede di trovarsi? In quale tipo di situazione possiamo inquadrarlo? Anzitutto un «luogo-non luogo», uno spazio che non ha nome, che Giacobbe non conosce e non sa definire se non a partire dall esperienza che vi si trova a vivere. Un luogo che non ha legami con il suo passato e nemmeno con il futuro se non per il fatto di stare tra l uno e l altro. Possiamo definirla una condizione di disorientamentp e di perdita dei punti di riferimento e non solo da un punto di vista geografico: Giacobbe vive una situazione di frattura familiare. Il fratello vuole ucciderlo, il padre lo ha allontanato, la madre non sa più difenderlo. Oltretutto la sua condizione morale non è serena e difficilmente potrà sentire il favore di Dio al suo fianco. Infine, anche da un punto di vista finanziario, si trova come uno che ha perduto ogni ricchezza. In sostanza, considerando le coordinate visibili, una situazione senza più alcun tipo di garanzie né sicurezze, con l unica prospettiva di doversi affidare alla fortuna. 3. Dove invece si trova effettivamente Giacobbe? 9

10 Una Comunità degna di fede A.P Incontri di Quaresima.3 Il sogno della scala angelica e le parole che Dio gli rivolge rivelano a Giacobbe tutt altra verità. Sotto la scorza di una realtà di precarietà, solitudine e assenza di prospettive c è ben altro e a rivelarcelo sono il simbolo della scala, l auto-presentazione di Dio e la sua promessa a Giacobbe. Il simbolo della scala da cui gli angeli salgono e scendono è immediato: il cielo è unito alla terra e Dio si interessa di noi. Là dove Giacobbe crede di essere senza più alcun punto di riferimento in realtà è presente la coordinata assoluta della sua e della nostra vita: la Provvidenza di Dio, il Mistero della sua presenza e vicinanza. Pure laddove ci sentiamo sconfitti, abbandonati e isolati siamo oggetto della cura di Dio. E quella percezione profonda che ciascun uomo ha di fronte alla vita anche nelle condizioni più drammatiche e che lo porta a riconoscere che non è tutto fatica, sofferenza o disgrazia ma c è qualcosa di più grande che regge la nostra esistenza. La dichiarazione di Dio «Io sono il Signore Dio di Abramo tuo padre e il Dio di Isacco» stabilisce un amicizia e una familiarità con Giacobbe affermando che quei legami non sono perduti definitivamente ma tenuti in mano da Dio stesso. E come se Dio dicesse a Giacobbe: conosco bene chi sei, da dove vieni, cosa hai fatto, dove stai andando, perchè... Dio si rivela amico di Giacobbe, amico dell uomo, delle sue luci e delle sue ombre. Questo Dio familiare e amichevole pronuncia immediatamente una promessa. Anzitutto conferma la promessa precedentemente fatta ad Abramo inserendovi il nipote, poi riprende tutte le coordinate della vita di Giacobbe ricollocandole e dando ad esse un futuro: la terra, una discendenza, l abbondanza che supera i confini della vicenda del singolo e si allarga alle nazioni della terra. La sostanza di questa nuova coordinata di vita sta tutta nel «Io sarò con te»: questa dichiarazione è «il luogo di vita di Giacobbe». 4. Il sogno per Giacobbe è anzitutto una presa di consapevolezza, o almeno il suo inizio: Giacobbe scopre di essere tutt altro da ciò che credeva e inaspettatamente si trova non ai margini della storia ma nel suo nucleo più incandescente. Così inizia in Giacobbe il vero viaggio, quello che lo porterà alla scelta dell appartenenza definitiva a quel Dio che gli ha appena dichiarato a sua volta di appartenergli. Il primo passo è il nome dato al luogo, il segno che Giacobbe intende far proprio quel luogo e quell esperienza. Questo gesto è un riconoscimento preciso e una presa di posizione: nasce qualcosa di inedito la cui realtà e forza è pari a quella della roccia. La stele eretta è il segno di un legame permanente stabilito da Giacobbe con l evento e con quel Dio rivelatosi. Eppure se Dio si è già dichiarato come Dio di Giacobbe, il voto che quest ultimo fa, mostra come ancora ci sia della strada da compiere perchè l affidamento definitivo a Jahvè si compia anche in lui come in Abramo. In Giacobbe c è un andare e tornare che deve accadere e lungo cui vedere la fedeltà di Dio perchè sia davvero il suo Dio. Se per Abramo questa appare una condizione presente fin dall inizio - anche se pure nella sua vicenda è riscontrabile un affidamento progressivo - in Giacobbe l appartenenza definitiva è annunciata come l esito ultimo. In tutto questo, per ora, Giacobbe si muove con lo stesso atteggiamento volitivo con cui ha carpito al Isacco la benedizione. La lotta di Giacobbe - 32, Durante quella notte egli si alzò, prese le due mogli, le due schiave, i suoi undici bambini e passò il guado dello Iabbok. Li prese, fece loro passare il torrente e portò di là anche tutti i suoi averi. Giacobbe rimase solo e un uomo lottò con lui fino allo spuntare dell'aurora. Vedendo che non riusciva a vincerlo, lo colpì all'articolazione del femore e l'articolazione del femore di Giacobbe si slogò, mentre continuava a lottare con lui. Quello disse: "Lasciami andare, perché è spuntata l'aurora". Giacobbe rispose: "Non ti lascerò, se non mi avrai benedetto!". Gli domandò: "Come ti chiami?". Rispose: "Giacobbe". Riprese: "Non ti chiamerai più Giacobbe, ma Israele, perché hai combattuto con Dio e con gli uomini e hai vinto!". Giacobbe allora gli chiese: "Svelami il tuo nome". Gli rispose: "Perché mi chiedi il nome?". E qui lo benedisse. Allora Giacobbe chiamò quel luogo Penuèl: "Davvero - disse - ho visto Dio faccia a faccia, eppure la mia vita è rimasta salva". Spuntava il sole, quando Giacobbe passò Penuèl e zoppicava all'anca. Per questo gli Israeliti, fino ad oggi, non mangiano il nervo sciatico, che è sopra l'articolazione del femore, perché quell'uomo aveva colpito l'articolazione del femore di Giacobbe nel nervo sciatico. Lettura 1. La condizione in cui Giacobbe si trova ora è paradossale e contraddittoria: si trova in possesso di ingenti ricchezze, ha una famiglia numerosa e stabile, ha stipulato con il suocero un patto di alleanza uscendone rafforzato ma la resa dei conti con il fratello lo mette in enorme soggezione e pare mettere in pericolo tutto ciò che Giacobbe ha faticosamente costruito. Da forte e ricco, si scopre debole e a rischio di povertà. Per la prima volta nella sua vicenda si rivolge direttamente a Dio, riconoscendo di non poter essere il garante del proprio futuro ma di avere la necessita di affidarsi a Lui. La preghiera di Giacobbe chiama in causa Jahvé a partire dalla stessa promessa udita in sogno: se tu sei quel che hai detto di essere - sembra dire Giacobbe a Dio - è il momento di dimostrarlo; io sto tornando come Tu mi hai ordinato, ora anche Tu però mantieni la tua promessa. E una 10

11 Una Comunità degna di fede A.P Incontri di Quaresima.3 preghiera umile che sorge da una condizione di fragilità, ma in cui si manifesta comunque il carattere combattivo tipico del personaggio. 2. Mentre ci si aspetterebbe un intervento di Dio rasserenante, incoraggiante e pacificante, Giacobbe viene coinvolto in un vero e proprio scontro: anche in questa situazione Dio appare come un «inatteso», nel modo e nel contenuto. Il primo elemento sorprendente è proprio il misurarsi di Dio con un uomo: la lotta ha la caratteristica di un confronto di forze più che di uno scontro mortale, come di due contendenti che si misurano, si rispettano e pur cercando di prevalere non tendono ad eliminare l altro. Come se quella lotta fosse, più che un conflitto, una forma di relazione e di coesistenza. Ne esce un immagine di fede come relazione dinamica con Dio che coinvolge tutta la persona. Dal confronto il debole Giacobbe emerge con tutta la sua forza: ha tenuto testa a Dio, oppure in Dio trova la sua forza. L esperienza della fede ha questa caratteristica a volta: mentre si lotta nella fede, si scopre la forza della fede. Il fatto che nessuno dei due prevalga è l altro elemento sorprendente: il rapportarsi di Dio all uomo non è certo nella forma di una violenza schiacciante, ma di un retrocedere della sua onnipotenza perchè la libertà dell uomo trovi spazio. Si può spingere la riflessione ulteriormente dicendo che l onnipotenza di Dio è a servizio dell uomo perchè le sue forze e la sua ricchezza si possano esprimere pienamente. 3. La vittoria di Dio avviene con un colpo invalidante. Non va interpretato però come la necessità della vittoria di Dio, piuttosto come il fatto che l incontro con Dio lascia il segno. Giacobbe fa l esperienza che il legame con Dio non è a buon mercato ma è a caro prezzo. Non certo nel senso che la Grazia va meritata o acquistata in qualche modo, ma che l appartenenza a Lui cambia inevitabilmente e indelebilmente, costringendo - sì, proprio costringendo qualora ci si conceda - a lasciare un certo modo di essere per intraprenderne un altro. Nel caso di Giacobbe il segno è invalidante: dal confronto con Dio ne esce ferito, più debole e meno autosufficiente. La ferita permanente è memoria per Giacobbe del fatto che gli è stata fatta grazia e dallo scontro con Dio stesso avrebbe potuto uscirne in modo ben peggiore. Giacobbe lotta, si misura, dimostra grande forza, si riscopre uomo forte, ma dentro la lotta comprende che il suo accaparrare e soppiantare era garantito da un altra forza che aveva stabilito in anticipo tutto ciò come un dono. 4. Al termine dell incontro Dio dà il nome a Giacobbe legandosi a lui e facendone sua proprietà, negando però il proprio nome: se Giacobbe appartiene a Dio, l appartenere di Dio al suo eletto resta qualcosa di indisponibile e ingovernabile, da accogliere continuamente nella forma della promessa a cui affidarsi e mai di un possesso pieno. La scelta di Giacobbe - 35, 1-15 Dio disse a Giacobbe: "Àlzati, sali a Betel e abita là; costruisci in quel luogo un altare al Dio che ti è apparso quando fuggivi lontano da Esaù, tuo fratello". Allora Giacobbe disse alla sua famiglia e a quanti erano con lui: "Eliminate gli dèi degli stranieri che avete con voi, purificatevi e cambiate gli abiti. Poi alziamoci e saliamo a Betel, dove io costruirò un altare al Dio che mi ha esaudito al tempo della mia angoscia ed è stato con me nel cammino che ho percorso". Essi consegnarono a Giacobbe tutti gli dèi degli stranieri che possedevano e i pendenti che avevano agli orecchi, e Giacobbe li sotterrò sotto la quercia presso Sichem. Poi partirono e un grande terrore assalì le città all'intorno, così che non inseguirono i figli di Giacobbe. Giacobbe e tutta la gente che era con lui arrivarono a Luz, cioè Betel, che è nella terra di Canaan. Qui egli costruì un altare e chiamò quel luogo El-Betel, perché là Dio gli si era rivelato, quando fuggiva lontano da suo fratello. Allora morì Dèbora, la nutrice di Rebecca, e fu sepolta al di sotto di Betel, ai piedi della quercia. Così essa prese il nome di Quercia del Pianto. Dio apparve un'altra volta a Giacobbe durante il ritorno da Paddan-Aram e lo benedisse. Dio gli disse: "Il tuo nome è Giacobbe. Ma non ti chiamerai più Giacobbe: Israele sarà il tuo nome". Così lo si chiamò Israele. Dio gli disse: "Io sono Dio l'onnipotente. Sii fecondo e diventa numeroso; deriveranno da te una nazione e un insieme di nazioni, e re usciranno dai tuoi fianchi. Darò a te la terra che ho concesso ad Abramo e a Isacco e, dopo di te, la darò alla tua stirpe". Dio disparve da lui, dal luogo dove gli aveva parlato. Allora Giacobbe eresse una stele dove gli aveva parlato, una stele di pietra, e su di essa fece una libagione e versò olio. Giacobbe chiamò Betel il luogo dove Dio gli aveva parlato. Lettura Il viaggio di Giacobbe si compie. Egli riconosce che Dio ha mantenuto fede alla propria promessa e, a sua volta, rispetta il voto fatto: da ora in avanti Jahvè è il Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe. Il gesto della consegna degli amuleti e degli idoli è esplicativo della scelta dell appartenenza definitiva. L andare e tornare è stato un percorso di progressiva purificazione e di introduzione graduale nella relazione d alleanza con Dio. La purificazione non va intesa in senso morale, perché il racconto non rende conto di un percorso di crescita di Giacobbe in tal senso. Piuttosto come un cammino in cui Giacobbe si è inserito dentro quell esperienza di dono 11

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