ha pronunciato la presente

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1 N /2012REG.PROV.COLL. N /2012 REG.RIC. R E P U B B L I C A I T A L I A N A IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 1504 del 2012, proposto da: Rachpal Singh, rappresentato e difeso dagli avvocati Stefano Baciga e Paolo Stella Richter, presso quest ultimo elettivamente domiciliato in Roma, viale Giuseppe Mazzini, 11; contro Comune di Arzignano in persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dagli avvocati Orlando Sivieri e Dario Meneguzzo, presso il primo elettivamente domiciliato in Roma, via Cosseria, 5; per la riforma della sentenza del T.A.R. VENETO n. 1772/2011, resa tra le parti, concernente SANZIONE EDILIZIA. Visti il ricorso in appello e i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Arzignano; Visti tutti gli atti della causa;

2 Visti gli artt. 38 e 60 cod. proc. amm.; Relatore nella camera di consiglio del giorno 23 marzo 2012 il consigliere Roberta Vigotti e uditi per le parti gli avvocati Stella Richter e Sivieri per sé e per delega dell'avvocato Meneguzzo; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue. FATTO e DIRITTO Il signor Singh Rachpal chiede la riforma, previa sospensione dell efficacia, della sentenza con la quale il Tar del Veneto ha respinto il ricorso proposto avverso il provvedimento dirigenziale del Comune di Arzignano 30 giugno 2010, n , recante annullamento dei permessi di costruire e del certificato di agibilità già rilasciati e irrogazione della sanzione dell acquisizione al patrimonio del Comune del primo e del secondo piano dell edificio di proprietà del ricorrente in caso di mancata rimessione in ripristino. All odierna camera di consiglio le parti sono state avvertite dell intenzione del Collegio di decidere il merito della controversia, ai sensi dell art. 60 cod. proc. amm.. 1) L edificio di cui è causa era in origine costituito da un piano terra destinato ad attività commerciale, di altezza pari a 2,85 metri, da un primo piano destinato a residenza, di altezza pari a 2,80 metri e da un secondo piano destinato a soffitta, di altezza pari a 1,35 metri, per una altezza totale all intradosso di copertura di 7,60 metri. In seguito ad un sopralluogo effettuato nel marzo 2005 il Comune accertava l esecuzione di lavori di ristrutturazione interna, con riduzione dell altezza del primo piano e elevazione di quella del secondo piano, che veniva portata a 1,53 metri (la perimetrale) e da 1,95 a 2,31 metri (in colmo).

3 Ne era seguito il rilascio del permesso di costruire per ristrutturazione, ampliamento e sanatoria in data 9 gennaio 2006 e del permesso in variante del 13 agosto 2007: nel primo provvedimento era previsto il ripristino dell altezza interna del primo piano a 2,70 metri, l abbassamento del solaio di copertura del piano terra alla medesima altezza di 2,70 metri e il recupero della soffitta, con altezza media di 2,40 metri. Il permesso di variante autorizzava la trasformazione della soffitta in spazi residenziali. Eseguiti i lavori, il certificato di agibilità veniva rilasciato il 30 maggio A seguito di una successiva verifica il Comune accertava che il piano terra era rimasto a 2,85 metri di altezza, il primo piano a 2,53 e che il secondo piano era stato trasformato in residenza sulla base di una errata indicazione delle altezze originarie, che avrebbe consentito l elevazione della soffitta di circa 60 centimetri. Di conseguenza, il Comune, con provvedimento del 23 dicembre 2009, n , ha annullato i due permessi di costruire e il certificato di agibilità, per erronea rappresentazione della realtà da parte dell interessato, che ha proposto ricorso straordinario al Capo dello Stato. Il Comune, che si era prima opposto ai sensi dell art. 10 d.p.r. n del 1971, ha successivamente annullato il provvedimento, riproducendone il contenuto con l atto n del 30 giugno 2010, oggetto del presente giudizio, con il quale sono stati annullati i due permessi di costruire e il certificato di agibilità, è stato intimato il ripristino dell assetto originario del primo e del secondo piano dell edificio ed è stata minacciata, in caso di inottemperanza, l acquisizione delle due porzioni dell immobile al patrimonio comunale in applicazione dell art. 31, commi 2 e 3, d.p.r. n. 380 del 2001, sul presupposto che le opere realizzate costituiscano, ai sensi dell art. 32 d.p.r. n. 380 cit. e dell art. 92 legge reg. Veneto n. 61 del 1985, variazioni essenziali rispetto a quanto consentito. Il ricorrente ha prestato acquiescenza all ordine di demolizione, chiedendo la proroga del termine per l esecuzione (negata dall Amministrazione con

4 provvedimento del 13 ottobre 2010), e ha impugnato il provvedimento limitatamente alla qualificazione giuridica degli abusi, all irrogazione della sanzione dell acquisizione gratuita al patrimonio del Comune e all annullamento del certificato di agibilità. La sentenza impugnata ha accolto il ricorso nella parte avente ad oggetto l annullamento del certificato di agibilità relativo al piano terra, la cui altezza, rimasta invariata, soddisfa i parametri edilizi necessari per accogliere l attività commerciale in atto. 2) Con l appello in esame il ricorrente ripropone i vizi, già sollevati in primo grado, di difetto di motivazione dell ordinanza impugnata, che, nel definire le opere in termini di variazione essenziale, non ha precisato a quale delle fattispecie disciplinate dall art. 92 legge reg. n. 61 del 1985 l Amministrazione abbia fatto riferimento, né la natura e l entità delle difformità riscontrate; sostiene nuovamente l errore nella qualificazione degli abusi, che vanno considerati quali parziali difformità edilizie, e nella conseguenza dell acquisizione, in luogo della demolizione ai sensi dell art. 34 d.p.r. n. 380 del 2001, come sarebbe stato corretto. 3) Il Collegio ritiene opportuno premettere i termini e i confini della controversia, a cui è estraneo il sindacato di legittimità sia sull annullamento dei titoli edilizi già rilasciati per gli interventi di cui è causa (annullamento che non è stato contestato in primo grado), sia sull ingiunzione di ripristino, alla quale il ricorrente ha espressamente e dichiaratamente prestato acquiescenza. Fuoriesce anche dall ambito del giudizio qualsiasi considerazione circa la conseguenza demolitoria delle opere abusive in caso di inottemperanza all ordine di ripristino, dato che la demolizione d ufficio ex art. 34 d.p.r. n. 380 del 2001 viene invocata dallo stesso appellante quale conseguenza legittima, in luogo dell acquisizione al patrimonio comunale, della quale invece sostiene l illegittimità.

5 Estraneo al giudizio è, infine, il profilo attinente all annullamento dell agibilità per la parte (primo e secondo piano) per la quale il Tar ha respinto il ricorso: l appello non contiene argomentazioni al riguardo e, del resto, trattasi di conseguenza che l accettata e prevista riduzione in pristino priva di portata lesiva autonoma. 4) L esame dell appello si riduce, perciò, a quello circa la legittimità della acquisizione ex art. 31 d.p.r. n. 380 del 2001, che il provvedimento impugnato in primo grado ha previsto quale conseguenza del mancato ripristino dello stato originario dell edificio. Al riguardo, il Collegio ritiene di prescindere dall esaminare l ammissibilità o meno delle censure svolte in merito con l appello, data l infondatezza del gravame. L art. 31 d.p.r. citato prevede l acquisizione al patrimonio comunale nel caso sia riscontrata l esecuzione di un intervento edilizio con variazioni essenziali rispetto al permesso di costruire. Nelle Regione Veneto, la definizione di variazione essenziale (alla quale sono associate le conseguenze previste dalla normativa nazionale) è contenuta nell art. 92 della legge regionale 27 giugno 1985, n. 61, che include, alla lettera c), gli interventi comportanti l'alterazione della sagoma della costruzione o la sua localizzazione nell'area di pertinenza, in modo da violare i limiti di distanza, anche a diversi livelli di altezza. A tale definizione corrisponde l abuso riscontrato nella fattispecie in esame, nella quale è accaduto che il permesso del 9 gennaio 2006 è stato rilasciato sulla base di una rappresentazione dello stato di fatto non corrispondente alla realtà, come certificata nel verbale di sopralluogo dell ufficio tecnico comunale del 16 marzo 2005, in particolare per quel che riguarda l altezza del piano secondo (dichiarata pari a 1,90 metri a ridosso del muro perimetrale e a 2,90 metri al colmo, mentre dal verbale di accertamento risultava, prima dei lavori, rispettivamente di 1,53 e di 2,23 metri) e che l aumento dell altezza del primo piano, da 2,55 a 2,70 metri, prevista in

6 progetto, non è stata eseguita. L effetto di tali difformità è stato l aumento della cubatura del volume utile dell edificio, la variazione della sagoma dell immobile e la violazione delle distanze dal confine di proprietà e dal ciglio stradale fissate dall art. 17 delle norme tecniche di attuazione (NTA), oltre che l esubero dell indice fondiario massimo ammesso. Su tutte tali considerazioni, che non sono efficacemente contestate dal ricorrente, in particolare per quanto riguarda la modifica della sagoma e la violazione delle distanze, è basata la definizione di variazione essenziale rispetto al progetto precedentemente approvato, operata dal Comune con il provvedimento oggetto del ricorso di primo grado: e, poiché tale definizione corrisponde al paradigma normativo sopra ricordato, le censure svolte con l appello non possono essere condivise. 5) In conclusione, l appello è infondato e deve essere respinto, anche per quanto riguarda la condanna alle spese del giudizio, poste dal Tar a carico del soccombente, in ossequio alla regola generale. Per questo secondo grado del giudizio, tuttavia, le spese possono essere compensate tra le parti, per giustificati motivi. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull appello in epigrafe indicato, lo respinge. Spese compensate per il secondo grado del giudizio. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 23 marzo 2012 con l'intervento dei magistrati: Carmine Volpe, Presidente Roberto Giovagnoli, Consigliere

7 Gabriella De Michele, Consigliere Giulio Castriota Scanderbeg, Consigliere Roberta Vigotti, Consigliere, Estensore L'ESTENSORE IL PRESIDENTE DEPOSITATA IN SEGRETERIA Il 05/04/2012 IL SEGRETARIO (Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)