LA COSTANZA DEGLI ISTINTI. Frida Kahlo de Rivera, Ciò che vedo nell'acqua e ciò che l'acqua mi dà olio su tela - collezione N.

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1 LA COSTANZA DEGLI ISTINTI Frida Kahlo de Rivera, Ciò che vedo nell'acqua e ciò che l'acqua mi dà olio su tela - collezione N. Muray

2 CAPITOLO I Si fermava spesso a chiedersi quando fosse iniziata quella serie matematica e costante di eventi. Aveva trentotto anni e i lineamenti marcati di una donna del sud, sfocati da un impronta genetica nordica come in una pessima fotografia. Quel giorno Laura si aggirava per le stanze della sua casa alla ricerca di una risposta, come se questa potesse fuoriuscire dalle pareti che costituivano il suo universo già da troppo tempo. Quello era il giorno in cui varcare la soglia della follia, era la fine e l inizio, era il liquido amniotico che la nutriva e che la annegava, era un giorno di crudeltà come tanti altri. Contava le mattonelline di cotto siciliano con i colori del sole; le aveva preservate dall usura del tempo come non era riuscita a fare con la propria mente, sentiva la follia bussare alla porta in tutte le sue forme e desiderava aprirle, voleva sentirla entrare in circolo ed invaderle i neurorecettori fino a farle credere che niente fosse mai davvero iniziato, fino a fare tacere quella domanda, costante come un istinto di morte. Ogni cellula del suo corpo si ribellava alla vita, ogni singolo frammento del suo DNA si srotolava al passaggio di quella domanda: Dov era l inizio? Dov era? Non poteva definirli ricordi, erano ologrammi dotati di vita propria che sorgevano dal disegno delle pareti. Voleva cancellare la memoria, ma erano reali, vivevano al di fuori della mente, le rubavano l aria, la sfioravano al passaggio, ripetevano quell unica, ossessionante domanda: Dov era iniziato? Al centro del corridoio, in corrispondenza di quelle antiche lampade a parete, si delineava l immagine del padre seduto a quel tavolino di un bar coperto da un improbabile tovaglia plastificata sotto una gialla luce al neon. Era iniziato lì? Il padre era stato un bell uomo, un camaleonte che mutava con il mutare delle passioni. Lo ricordava nel massimo splendore di una maturità vissuta da giovane hippy: una maglia esistenzialista marrone sotto una barba bionda si sovrapponeva all ologramma seduto al bar in giacca e cravatta. La vita si presentava come la collezione di fotografie dentro l armadio a muro nel corridoio: l anta un po staccata che cigolava all apertura e gli album in ordine per anno ad accompagnare il tempo che scorre. Il padre non aveva un nome, era solo il padre, nonostante il fatto che sarebbe stato più giusto definirlo per negazione il non padre. Sul volto il tempo si era divertito a materializzarsi scavando in mezzo ai lineamenti solchi conformi alla sua vita. Potevi leggere il suo viso come una chiromante legge la mano, potevi conoscere il passato e predire il futuro, potevi riconoscere l evoluzione della specie vivendola al contrario nel suo lento passaggio dall uomo all animale. Il timbro della sua voce si innalza mentre echeggia nel corridoio-bar, spalmandosi sulla plastica della tovaglia, infilandosi dentro la tazza di camomilla ed esplodendo all interno del suo infelice whisky: I figli sono come i cani L ologramma tace, si spegne nel mezzo della frase non è stato quello l inizio una voce dentro la scatola cranica rimbomba ossessiva: Non impazzire non impazzire non impazzire. Eccolo, a quattro piedi nella cucina, lo spettro della zia Teresa strofina il pavimento per cancellare un anno di sporcizia. Così era vissuta e così era morta, accumulando

3 densi strati di untuosi ricordi e delusioni e cancellandoli tutti a quattro piedi come un animale, rimovendo indiscriminatamente ogni cosa in quell ammasso maleodorante. Lei era bella, la sua genialità emanava una luce intorno al suo corpo e nascondeva le brutture del suo egoismo. Lo sguardo era limpido e onesto, il vestire impeccabile, il trucco perfetto. Una sola cosa tradiva all esterno il denso stratificarsi delle delusioni: le unghie un po mangiate, lunghe per volontà ma rosicchiate come da un tarlo nervoso e sempre attivo. Bionda per scelta da giovane, lo era rimasta fino alla morte per merito o colpa? di chi la manteneva imbalsamata con la stessa apparenza di prima. Era stata lei a insegnare a Laura a truccarsi, non sua madre, erano state molte le cose per cui sua madre aveva delegato qualcun altro. Forse era quello l inizio? Una delle tante deleghe, uno dei tanti rifiuti inconsci di tutto ciò che non fosse espressamente un dovere nei confronti dei figli? Stranamente nessun ologramma della madre appariva nelle stanze, non riusciva a materializzarsi in un azione precisa, non viveva di vita propria come gli altri. Il ricordo di sua madre era mutevole e sotto il controllo del cervello e delle emozioni di Laura: a volte la ricordava sulla soglia con una minigonna anni 70, un delizioso vestito turchese con il colletto di perline. Quel giorno rideva, erano pochi i ricordi di una madre sorridente e spensierata: per lo più sfoggiava il sorriso malinconico di chi vive per dovere e non per desiderio. Altre volte la ricordava a letto, il volto pallido e sconvolto, la voce flebile in una delle sue strane malattie: un po nevralgie, un po intossicazioni, un po crisi psicologiche, erano state da sempre un arma impropria. Ricordava di essere stata sempre condizionata in ogni sua azione dalla frase tu così uccidi tua madre che aleggiava sulla bocca della madre e su quelle di tutti i parenti, ben felici di approfittare di quell arma sottile. Laura pensava che loro provocassero intenzionalmente le crisi per esercitare un controllo sul suo nucleo familiare: non aveva mai sentito nessuno consigliare alla madre di consultare uno psicologo né, a pensarci bene, un medico. Non credeva fosse iniziato da lì, ma da lì era sicuramente scaturita la sua ribellione per ogni forma di coercizione psicologica e, al contempo, la sua attitudine a ripercorrere con costanza la stessa strada di angoscia con tutti gli uomini che aveva avuto. L inesorabile costanza degli istinti. Le ritornava spesso in mente quella frase letta in una mail di un uomo che non era mai esistito; era apparso nella sua vita per pronunciare quest unica frase, per aprire nel suo universo un buco nero che stava divorando lentamente ogni neurone e poi era scomparso dentro un essere insignificante che ingoiava voracemente ogni cellula del corpo. Laura non aveva reagito, si era prestata ad essere il pasto di quelle due bocche fameliche quasi fosse un ineluttabile fato verso cui tutta la sua vita era stata diretta. Ma questa era la fine e lei, invece, cercava l inizio per tornare indietro nel tempo e bloccare la follia quando era nata, quando le ruote celesti avevano preso a girare in modo da disegnare questo destino. Lo vedeva come una matassa che si srotolava, il filo delle Parche che non si spezzava con la morte, ma con la follia. Quella strana voce dentro continuava a ripetere Non impazzire non impazzire non impazzire Senza accorgersene si era alzata e si era versata un bicchiere di gin e coca: l alcool era sempre un buon rimedio contro gli ologrammi e contro le insidiose domande. Si ricordava bene quando aveva iniziato a nascondersi dietro una bottiglia, era stato quasi tredici anni prima, per fare sesso con l uomo che amava. - 2

4 Sapeva di non piacergli, ma l alcool confondeva i lineamenti di Andrea e lei poteva fingere. Lo stratagemma aveva funzionato e l unica cosa che alla fine li univa era proprio quello. Poi Laura ricordava di aver usato quel metodo a poco a poco per ogni cosa: un esame all università, una brutta giornata al lavoro, una prova difficile, un occasione mondana e, soprattutto, per districarsi nella foresta dei suoi pensieri. Il dolore stava incominciando a placarsi, aveva sete, lentamente un sorriso si disegnava sulle sue labbra e lei sentiva premere l onda sotto cui era destinata a soccombere. La zia Teresa era tornata, stavolta in piedi, con un sorriso luminoso, i gioielli e la pelliccia. Laura conosceva lo svolgersi della commedia: era venuta per farsi ammirare prima di una delle sue comparse in società. Avrebbe reagito con un sorriso ai complimenti, le avrebbe carezzato la guancia e le avrebbe promesso un bel vestitino nuovo. Sua madre, quasi trasparente, osservava la scena sullo sfondo con il solito sorriso malinconico: la sua presenza dimessa era l affermazione della prepotente immagine della zia Teresa più di qualsiasi complimento. A volte la zia portava con sé la madre che rientrava a casa ogni volta più trasparente. Laura si immaginava che un giorno l avrebbe vista dissolversi. Invece, dopo la malattia della zia Teresa, la madre aveva ripreso consistenza e, come una belva risvegliata da un lunghissimo letargo, si era gettata affamata su chi le stava vicino. In lei agivano due anime: una piovra che bloccava le sue vittime con ventose rese potenti da anni di allenamento silenzioso e un attento ed immobile felino che attendeva il momento giusto per bloccare la preda con la zampa, ferirla e poi liberarla per continuare a giocarci. La voce era tornata, Non impazzire non impazzire non impazzire, sentiva le mascelle dei due uomini virtuali lavorare sul suo corpo e sgretolarla; tutto sarebbe finito in quel buco nero. Laura aveva pensato di uccidersi per farli smettere, ma doveva sapere quando era iniziato, quando era stato deciso che lei dovesse essere distrutta quel giorno, qual era stato l attimo in cui avrebbe potuto prendere in mano il suo destino e non l aveva fatto. Andrea era lì, in camera da letto, la viuzza dove si incontravano sullo sfondo, un bidone della spazzatura, una faccia crudele. Laura era per terra con il suo bambino in grembo, un paio di lividi sul corpo ed una mascella slogata. Qualche giorno dopo la scena era la stessa, sull altro lato della camera da letto, ma mancava il bambino. Era il 13 dicembre del 1990 quando la terra aveva tremato e Laura aveva sentito di essere lei a muovere con l odio tutto l universo. Laura credeva ancora dentro di sé che fosse l amore a muovere il mondo, ma sapeva che è solo l odio a non poter essere fermato e lei aveva odiato quella volta soltanto, poi non aveva più saputo farlo. Non ne avevano più parlato lei e la madre, né una domanda né una risposta e Laura non sapeva dire se fosse un bene o un male. Aveva vissuto da allora in uno spazio virtuale all interno della realtà: un sentimento simile al rimorso si era insediato come un virus in ogni cellula ed il suo corpo aveva iniziato a vivere diversamente. Laura si era spostata lentamente verso il salone, il mare era una cornice splendida oggi. Si lasciò cadere sulla vecchia poltrona girata ad aspettare l alba e si accorse che erano spariti i soliti ologrammi: pensare al bambino cancellava sempre tutto il passato e la riportava bruscamente alla vita. O alla morte? pensò Laura. Il telefono squillava già da un po : pronto sì mamma tutto bene, certo sì, no, mi fa piacere sentirti d accordo, ciao. Il tenore delle loro conversazioni, telefoniche e - 3

5 non, era ormai questo da tempo; ogni altro tentativo di dialogo nella sua famiglia si risolveva in sofistiche dissertazioni sul sesso degli angeli che generavano settimane di silenzio. Laura rifletteva sul terrore di aver torto che contraddistingueva tutte le persone con cui lei veniva in contatto: le apparivano davanti agli occhi, proiettate sullo scenario blu del mare, caotiche scene di interminabili pranzi in famiglia in cui tutti i convitati si aggrappavano ferocemente alle loro banali affermazioni, impelagandosi, per difenderle a tutti i costi, in dimostrazioni per assurdo in cui perdevano per strada assiomi e premesse e, attorcigliandosi nei loro stessi ragionamenti, finivano per adoperare urla, strepiti, insulti personali ed ogni altro mezzo. Ma neanche questo era l inizio, solo uno dei sintomi. Si mise la giacca, era irrequieta, controllò metodicamente che tutti gli infissi fossero chiusi, prese le sigarette e le chiavi e uscì. Aveva bisogno di un caffè e di vedere Esther. Mentre si fermava al bar, a compiere uno dei mille riti quotidiani che scandivano il tempo della sua vita, pensava ad Esther: ogni volta lei appariva all orizzonte della sua mente come un sorriso. Esther brillava di luce propria: possedeva una intensa luminosità interiore che, filtrata da un corpo etereo, non abbagliava, ma si diffondeva intorno a lei stemperandosi nei colori dell arcobaleno. Portava con sé un male di vivere, inattaccabile e monolitico, aggraziata come un ballerino che solleva la sua compagna in un passo a due: chi la incontrava scivolare per la vita sentiva il proprio dolore danzare improvvisamente leggero al ritmo della sua musica. Esther era stata per Laura un occasione e Laura la amava come si può amare un fiore o la luce, per il solo fatto che rendono più bella l esistenza. Laura aveva a lungo pensato che la sensazione di benessere che provava fosse dovuta al fatto che Esther non la giudicava, ma anche altre persone non lo facevano; poi aveva capito che era l insolita miscela fra la sua capacità di dare vita e la sua delicata disposizione all ascolto innocente a rendere Esther unica e indispensabile. Laura sapeva che, solitamente, chi non giudicava gli altri lo faceva per evitare di giudicare se stesso ed il proprio abbandono, mentre chi procedeva verso la vita lo faceva con la spietatezza di chi solo è nel giusto. Per questo motivo, fino all incontro con Esther, chi non la giudicava la spegneva con il peso di un dolore immobilizzante e chi la accendeva con la propria vitalità la uccideva con l incomprensione delle mille sfumature di cui Laura era fatta. Sull etereo corpo di Esther la realtà si rifletteva diffondendosi lieve senza distorcersi e Laura sentiva di aver bisogno di lei in quel momento se non voleva impazzire. Entrò in macchina con decisione ed accese una sigaretta, ma subito il pensiero di lui ritornò a tormentarla; stavolta vinceva quella parte che le rosicchiava inesorabilmente il corpo e Laura sentiva il lancinante desiderio di aderire a lui totalmente, centimetro per centimetro. Il braccio sinistro le faceva male, Laura sapeva che era l inizio di una crisi di panico e sperava di arrivare in ufficio in tempo, prima che arrivassero le scosse, ma non riusciva a muoversi da lì e a girare la chiave nel quadro. Forza, trova un pensiero che muova il tuo corpo e fermi il tarlo Riprese da Esther, lei era stata un occasione: si ripeteva spesso questa frase come una musica conosciuta che torna alla mente senza coordinate spazio-temporali, ma perché? Nel frattempo la macchina era in moto e il braccio non dava segni di cedimento, ma era meglio non pensarci. - 4

6 Perché Esther un occasione? Non si frequentavano, non c era niente di materiale fra di loro, forse un che di fisico, una vicinanza familiare loro si definivano sorelline siamesi ma non un identità di bisogni primari e secondari. Ma Esther era la prima persona nella sua vita che non avesse iniziato un rapporto con lei esaltando la sua bellezza o l intelligenza o la classe o la simpatia o qualsiasi altra cosa senza mai realmente vederla. La colpa era di Laura, che fosse iniziato lì? aveva la capacità del camaleonte ereditata dal padre e poteva assumere la forma voluta da chi la circondava; non che lo facesse appositamente, ma c era sempre qualcosa in lei che poteva richiamare l essere che gli altri volevano, qualche appiglio su cui attaccare le loro raffigurazioni della donna ideale. Laura era abituata a salire e a scendere dai piedistalli e aveva smesso di reagire. Loro costruivano lo scenario immaginario su cui inserirla e inscenavano la rappresentazione teatrale ad uno, due, tre o infiniti atti; ma nessuno vedeva davvero Laura a prescindere dallo sfondo che aveva creatoe quando lei aveva tentato di uscire di scena per essere persona e non personaggio le conseguenze erano state esiziali. Fuori dal personaggio lei non esisteva più. Esther era la prima persona che le aveva permesso di vivere fuori dalla rappresentazione, era il fascio di luce di un riflettore che la illuminava su uno sfondo bianco che Laura stessa poteva dipingere. Esther le aveva permesso per la prima volta di essere e non di essere qualcosa. Ed a Laura era piaciuto. All inizio era disorientata e non riusciva a costruire sopra tutto quel bianco. Chi era? Si piaceva? Cosa desiderava? Qual era lo scopo di quella rappresentazione? Era stato difficile: nell inesorabile costanza degli istinti il cerchio doveva essere chiuso come sempre, ma Esther le aveva aperto un cerchio con un raggio infinito ed aveva rotto la catena. Laura era nata adesso ed aveva sentito la leggerezza e il peso delle infinite possibilità, l ipertesto, la percezione di una vita unica costruita da lei in luogo delle mille vite concatenate con le mille diapositive di una Laura sempre diversa. Laura aveva recitato troppi ruoli ed aveva troppe scelte, sarebbe stato difficile anche essere diversa da tutto ciò che era stata: non avrebbe saputo cosa inventare. Forse doveva essere tutto, ma non era questa pretesa ad averla distrutta? Poteva morirne, ma sarebbe stata felice di morire così, di essere lei a decidere di cadere a terra sulla scena, regista di se stessa, piuttosto che morire di volta in volta senza dignità, guidata da scadenti registi come un attrice da quattro soldi. Il semaforo all incrocio con il viale le sparò addosso un insopportabile luce gialla lampeggiante: aveva sbagliato strada. Ritornò indietro verso l ufficio, il braccio le faceva di nuovo male, il tarlo rosicchiava ancora, il buco nero dentro di lei si ostinava ad assorbire tutta l energia che era riuscita a creare: la sceneggiatura che si era costruita era finita lì dentro e Laura non credeva più di riuscire a riscrivere tutto, ma non poteva più tornare alle sceneggiature altrui. Il telefonino emise due bip ravvicinati. Laura lo osservò con attenzione, tenendolo in mano con rispetto e paura, doveva premere solo un tasto per leggere quel messaggio. E se non fosse lui? E se fosse lui? - 5

7 CAPITOLO II Mauro aveva vent anni, era altissimo, bruno, mani bellissime e affusolate e un grande fascino da bambino precoce. Era diverso da tutti gli uomini che lei aveva conosciuto molti nonostante i suoi diciotto anni possedeva un passato ed un futuro come nessun altro della sua generazione, appiattita su un presente da benestanti figli di papà. L aveva attratta con quel fascino sottile dell indipendenza e conquistata facendola ridere. Laura ricordava la prima volta che avevano fatto l amore: la gioia di ridere e di gustare golosamente ogni attimo. Lei non aveva mai vissuto il sesso in un modo così spensierato: era sempre stato un tabù da esorcizzare con pratiche sempre più audaci, una sfida a se stessi e alla società, un gioco contorto il cui godimento maggiore erano i sensi di colpa. Con Mauro il sesso era carne e sangue, era un risveglio dell appetito, un gioco da bambini, un estasi fisica breve ed intensa contro la consueta, lunga e contorta esaltazione psicologica dei sensi. Mauro era stato, come Esther vent anni dopo, un occasione felice: aveva cambiato lo scenario della sua vita ponendola davanti a molte forme di esistenza di cui lei non aveva sospetto, l aveva presa con sé senza chiedersi chi fosse e senza darle un ruolo, per il puro piacere di averla. Laura non l aveva mai amato, né lui amato lei: non era necessario per assorbire l uno dall altro la gioia dello stare insieme senza domande. La prima volta che erano usciti assieme lui l aveva portata nel quartiere popolare dove era nato, orgoglioso di farle conoscere la strada che aveva percorso. Indossava una giacca a quadri sportiva di dubbia qualità ma di grande gusto e si muoveva con l eleganza di un antilope in tutti i posti più mondani della città. Le aveva parlato di libri e di filosofia, della Svezia, delle infinite sfumature che illuminavano le anime e dei colori infiniti che lui vedeva in lei. Mauro le aveva tagliato il cordone ombelicale, le aveva nettato il corpo dai residui del liquido amniotico e le aveva fatto emettere il primo respiro da adulta in quel letto senza spalliera, dentro una stanza da single, in un epoca ed in una città per cui l essere amorfo e conforme alla massa era la più grande aspirazione della nostra brillante gioventù. Mauro era senz altro stato uno degli inizi e lei aveva avuto paura. La storia era finita con un attacco di bulimia dietro il quale Laura si era nascosta per non vederlo mai più. Venti chili in un mese, l ago della bilancia impazzito come la sua bilancia interiore: Laura aveva paura dell ignoto che lui aveva tentato di portare alla luce dentro di lei e, per la prima volta in un rapporto esterno alla famiglia, aveva scoperto come fuggire per non dover ammettere il fatto che non poteva e non voleva controllare ogni cosa della sua vita. Si erano incontrati altre volte lei e Mauro: due anni dopo lei era stata persino nascosta nel suo armadio come nelle migliori commedie, all arrivo della legittima fidanzata e, dopo, avevano fatto l amore con la stessa gioia della prima volta; ma era una gioia a termine, una rievocazione nostalgica, prima di continuare su strade complicate e diverse. L ultima volta che si erano incontrati, dieci anni dopo, Laura aveva provato una grande tenerezza ed una grande tristezza nei suoi confronti: lei era cresciuta, fra - 6

8 dolori ed esperienze, fra ricerche e rifiuti, senza mai arrendersi, seguendo la strada che lui le aveva fatto intravedere e Mauro, invece, era lì, un bambino invecchiato in cui la gioiosa libertà e l orgogliosa autonomia si erano trasformate, secondo la migliore tradizione siciliana, nell ostentazione di una singletudine che si esauriva nella briscola in cinque con gli amici al tavolino del lido. Mauro si era arreso al mondo in cui era entrato con energia dirompente alla ricerca di affermazione, aveva dimenticato la sua strada e la gioia di esistere e di pensare. La sua energia era stata assorbita dal sistema, il suo pericolo era stato neutralizzato: Mauro non avrebbe potuto procurare più nessun altra perdita alla società come aveva fatto rendendo Laura consapevole. Nonostante ciò si stagliava spesso sullo sfondo dei pensieri di Laura come un leggera scia ad indicarle la strada: Mauro conosceva la via, il non prenderla era stato solo destino, o scelta, ma la via era lì, ricoperta da erbacce, ma salda sotto i piedi di Laura. Si accorse di essere già sotto le finestre dell ufficio, forse da un quarto d ora, ma ancora non voleva smettere di pensare. Aveva la sensazione di aver afferrato un filo importante della matassa. Esther aveva forse 34 anni Laura non ricordava mai le età reali ma solo quelle che lei assegnava alle persone ma non si era ancora arresa. Forse le donne erano più forti? O forse preferivano morire piuttosto che distruggere ciò che avevano edificato con impegno? Laura l aveva recentemente soprannominata l anarchica per descriverla all uomo che aveva scelto come cima a cui legarsi nella scalata intrapresa da qualche giorno. Nicola era il prototipo del borghese con pretese di interiorità ed il termine anarchico era per lui una definizione familiare e quasi rassicurante, visto il pericolo che Esther costituiva per la sua visione della vita. Inquadrarla così gli permetteva di fotografarla nella sua mente e presumere di averne il controllo attraverso l incasellamento in una definizione netta ed a lui conosciuta. Laura aveva imparato da tempo a creare quelle istantanee esatte ma non esaustive per rendere familiari ed accettabili le cose alle persone con cui dialogava. Forse per questo motivo era una discreta insegnante pensò mentre scendeva dall auto forse tutti i cambi di scena e di regia avevano un fine ed una spiegazione nella costruzione del suo presente. Si trovò con una certa sensazione di disgusto davanti al portone dell ufficio: lì dentro la sceneggiatura prevedeva che lei diventasse efficiente e schematica come da libro di testo in un corso di marketing avanzato. Laura aveva sempre temuto la contaminazione ed, effettivamente, in alcuni aspetti c era stata una perdita di isotopi radioattivi che Laura stentava a neutralizzare. Esther era lì, seduta al computer, alla scrivania che era stata quella di Laura. Laura le aveva lasciato quasi tutto quello che aveva realizzato in quell ufficio, persino il posto, come non aveva mai pensato di fare con nessuno: aveva sempre prevalso in lei la volontà di far sentire la sua mancanza sull affetto per qualcuno dei suoi colleghi. Ma Esther era diversa e rispettava la sua presenza: aveva una sensibilità delicata e poco formale che rendeva la convivenza sempre possibile, nonostante il nervosismo di Laura. Adesso doveva parlarle. Era importante per lei raccontarle delle presenze che aveva avvertito quel giorno e della presenza del buco nero che la stava divorando. Esther avrebbe capito ed avrebbe rallentato tutti i fenomeni con la sua innegabile grazia. - 7

9 Il suo interno squillava ripetutamente, c era molto lavoro arretrato; Laura decise di rimandare la conversazione con Esther ad un momento più propizio e si mise all opera velocemente come al solito. Era incredibile come il lavoro occupasse l ottanta per cento della sua vita e fosse così poco importante per lei. Forse per questo motivo non si era mai realizzata e aveva cambiato decine di volte attività. Certo era brava e stimata e, come al solito, attenta a non perdere mai il controllo della situazione, ma la parte che più la affascinava della sua attività era quella iniziale, quando si doveva organizzare un sistema di lavoro, comprendere i meccanismi occulti che spingevano il carrozzone del nuovo ufficio e trovare il bandolo della matassa per iniziare a tessere la tela. Insegnare le piaceva di più perché i ragazzi cambiavano continuamente: i sistemi erano soggetti a mutamenti di ogni genere e Laura si riteneva il meccanismo indispensabile per il mantenimento dell entropia. Tutti sono utili e nessuno è indispensabile disse la voce del padre dalla parete alla sua destra. Laura si girò con ansia, era sola nella stanza e nessuno passava da lì. Il padre brandiva il suo bicchiere di whisky come una granata pronta ad esplodere e la sua voce era freddamente manageriale. I figli sono come i cani. Laura agguantò la cornetta del telefono e chiamò l interno di Esther; la voce del padre scomparve insieme alla sua immagine appena Esther rispose. C era un messaggio nella sua casella di posta elettronica e la regola di smistamento di Outlook la depositò nella cartella di Paolo. Laura sentiva il buco nero che accelerava l assorbimento della materia grigia: cosa poteva volere ancora da lei? Non aveva già preso abbastanza? Esther appena puoi passi da me? Una sorda ribellione si impossessò di lei, sul suo viso si alternavano sorrisi e contrazioni violente, il braccio le fece più male e un ondata di calore salì lungo il collo, si diffuse nella testa e le fece perdere la cognizione del luogo e del tempo in cui si trovava. Fuori era già buio ma Laura non aveva acceso le luci, lo schermo emanava radiazioni azzurrine, Esther era di là e girava come una trottola impazzita anche questa era un eredità di Laura Laura si alzò dalla sedia e si trascinò fino al bagno. Si sciacquò il viso e si esaminò freddamente allo specchio: non era più lei ma l altra Laura, quella che lei e Gina avevano soprannominato Morticia per diluire la sua virulenza con un umorismo macabro da Famiglia Addams. Morticia aveva un aggressività incontrollabile e sostituiva Laura quando gli esseri umani tentavano di impadronirsi della sua anima divorandola come belve feroci. Morticia era tutto ciò che Laura non riusciva ad essere, era una spietata esecutrice delle sentenze che Laura avrebbe desiderato emettere. Morticia uscì dal bagno e si diresse verso il computer, si fermò un attimo, indecisa se leggere la mail o cancellarla e optò per la prima soluzione. In ogni caso la sua risposta sarebbe stata la stessa. La mail conteneva l ennesimo ripensamento e Morticia pensò che Paolo avesse uno scadenziario con il calcolo dei tempi di ripresa di Laura e che inviasse dei messaggi, confezionati e surgelati in precedenza, con lo scopo di interrompere il suo cammino e riportarla indietro. Decise di condannarlo a morte. - 8

10 CAPITOLO III Morticia si rese conto improvvisamente di aver manifestato una volontà propria: non eseguiva un ordine di Laura, ma aveva preso il controllo della situazione ed era diventata forte. Il suo primo gesto da persona autonoma fu quello di cambiarsi il nome. L avevano mortificata con quel ridicolo nome da serie televisiva, quasi lei fosse una caricatura, un personaggio comodo ma ininfluente nello svolgimento della storia, ma adesso lei avrebbe cambiato la propria vita e quella di Laura secondo nuove regole, con un nuovo nome ed un nuovo volto. Ci vollero due ore per scegliere un nome adeguato a lei e, del resto, Morticia non era ancora completamente consapevole di se stessa. Era stata Laura a preoccuparsi sino ad ora di definirla e classificarla e Morticia aveva subito la cosa convinta che non ci fosse altro modo di esistere se non attraverso Laura. Le luci della sua stanza erano ancora spente quando Morticia scelse il suo nuovo nome e, con esso, la strada che avrebbe percorso fra breve. Grazie a Laura nessuno l aveva disturbata entrando le luci spente erano un chiaro segnale per i colleghi e Barbara nacque in quella penombra resa mistica dalla fosforescente luce del video. Barbara si alzò. Sentiva la consapevolezza di sé crescere come un onda violenta che modificava anche la sua fisicità: i lineamenti del viso si alterarono in una smorfia dura e sprezzante, il corpo era una corda di violino tesa e sensibile ad ogni spostamento intorno a lei ed in lei, gli occhi si accesero di una luce impietosa. Barbara si rendeva conto della prepotenza con cui la sua nascita spingeva Laura verso l oblio e provava un incontenibile gioia accorgendosi che, con una certa concentrazione, poteva relegarla in un angolo del cervello dove le sue grida di aiuto non si udivano. Rifletteva sul fatto che a Laura ciò non era stato consentito perché pesavano su di lei i condizionamenti dei sentimenti e della pietà e, quindi, non avrebbe mai potuto metterla a tacere. Barbara provava una forte sensazione di disprezzo nei confronti di Laura, odiava la debolezza e provava per il proprio corpo un attaccamento feroce: Laura doveva essere punita perché non aveva rispettato se stessa concedendo agli altri il lusso di divorarla. Drizzò le spalle, alzò fieramente la testa e, con un passo elegante e deciso si diresse verso la stanza di Esther. Ho deciso di ucciderlo. Esther la osservò attonita e sentì profondamente il rancore di Barbara. Non riconosco più Laura pensò. E tu mi devi aiutare continuò la voce di Barbara non è più come prima e tu devi sapere quello che succede. Esther conosceva già lo sguardo di Laura quando la sua parte cattiva prendeva il sopravvento ma stavolta sentiva che l intera struttura di Laura era modificata, poteva percepire la forza di un animalesco istinto di sopravvivenza che emanava dal suo corpo. Esther aveva già parlato con Laura di questo pericolo qualche settimana prima: i segnali di una forte presenza erano più che evidenti e Laura stava forzando se stessa ad accettare una realtà che la distruggeva. La sua parte occulta, un concentrato di assenza di scrupoli, di desiderio di marcare il proprio territorio ed aggredire qualunque invasore, si manifestava a sua insaputa e Laura sveniva sempre più - 9

11 frequentemente notando, al risveglio, indizi di una propria attività di cui non serbava nessun ricordo. Laura era convinta che l avere soppresso per tanto tempo i suoi istinti di sopravvivenza per non essere costretta ad interrompere la relazione con Paolo, avesse provocato una scissione netta fra i due estremi della sua personalità. Nel tentativo di non perderlo era sempre più arrendevole e afflitta da lancinanti dolori e da crisi di panico che la terrorizzavano e Paolo approfittava di questa situazione pretendendo da lei l annullamento totale e continuando ad accusarla di ogni genere di atrocità. Esther si rese conto che il punto di rottura era stato superato e che aveva davanti l altra parte di Laura. Chi sei? le chiese. Sono Barbara, ho bisogno del tuo aiuto per distruggere chi ha tentato di uccidermi. Esther rabbrividì, doveva riuscire a parlare ancora con Laura perché riemergesse e fermare l odio. Se non si fossero riunificate sarebbero morte entrambe perché Barbara non conosceva gli effetti del contraccolpo dell odio e non si rendeva conto del peso che continuava ad avere Laura nelle sue capacità di sopravvivenza. Barbara era convinta di averla eliminata, ma Laura continuava ad esistere e la sua sofferenza poteva ancora distruggere tutto: se Barbara avesse davvero eliminato Paolo, Laura ne sarebbe morta e con lei sarebbe morta anche Barbara. Esther sorrise forzatamente e le chiese di spiegarle i suoi piani: in ogni caso il pensiero di dare una lezione a quell uomo non le dispiaceva: aveva a lungo sofferto vedendo Laura consumarsi per una persona che la usava come cavia per i suoi esperimenti. Ho in mente qualcosa che gli distruggerà la vita per sempre. Non potrà più fare del male a nessuno con il suo animalesco istinto di sopraffazione. Le due donne sorrisero. - 10

12 CAPITOLO IV Paolo era seduto davanti alla sua scrivania e osservava assente lo schermo del computer. Pensava a Laura e la cosa lo infastidiva perché aveva molto da fare in ufficio e non sopportava il fatto che lei riuscisse ad inserirsi in tutti i momenti della giornata e si ostinasse a voler uscire fuori dagli spazi che le erano stati assegnati da lui. Aveva tentato in tutti i modi di farla andare via per non dover fare i conti con quella strana storia, ma Laura continuava a resistere nonostante tutto, nonostante lui manifestasse senza ritegno il suo disinteresse, la sua disistima, la sua mancanza di qualsiasi forma di affetto nei suoi confronti. Non la vedeva da un mese, ma sapeva che alla prima occasione sarebbe bastato anche un semplice sms per riavvicinarsi a lei. Quando si erano incontrati lui era in una situazione psicologica difficile: 47 anni, figli, un passato che si ostinava a volersi credere ancora presente, desiderava qualcosa di più di quello che aveva faticosamente costruito fino a quel momento. Aveva grandi ambizioni e, per sopravvivere, si era modellato negli anni un immagine di sé diversa da quella dello squallido uomo d affari: avrebbe desiderato parlare di arte, musica, libri, filosofia, ermeneutica e desiderava una donna con cui farlo, una donna che gli desse lo slancio per fare il grande salto. Si sentiva chiuso in una gabbia circolare in cui non c erano porte e condannato al costante ripetersi degli eventi a causa della sua incapacità di diventare realmente ciò che avrebbe voluto essere. Laura era un soggetto ideale per stimolarlo e permettergli di costruirsi un isola di desiderio, fisico e intellettuale, all interno della sua esistenza. Sembrava perfetta per mantenere in lui l illusione di essere diverso : la dipendenza psicologica che si era creata gli permetteva di usarla come gli specchi deformanti di un luna park e Paolo, di volta in volta, sceglieva come rappresentarsi e se rappresentarsi Gli incontri con lei lo esaltavano a tal punto da aver provocato un evento imprevisto in quella che lui chiamava la costanza degli istinti: l incomprensibile fiducia di Laura aveva allentato di qualche millimetro le sue catene e si era ritrovato ad essere se pure per brevi istanti ciò che avrebbe sempre voluto. Si era sorpreso a sentire la differenza fra l essere qualcosa e l immaginarsi di essere qualcosa e la profondità e la vastità del cambiamento lo avevano attratto e spaventato: si era sentito felice ed in pericolo, aveva intravisto un varco nella sua gabbia ma non sapeva ancora come raggiungerlo e se raggiungerlo. Paolo adesso lottava disperatamente per conquistare un equilibrio, per capire se voleva davvero tirarsi fuori da quella gabbia che, in fondo, era stata la sua protezione fino a quel momento. Conosceva già gli effetti della ribellione alla società e al proprio destino e non era mai stato un uomo impavido: aveva sempre trovato surrogati che gli permettessero di dipingere scenari da far scomparire al momento opportuno, ma adesso erano insufficienti. Non era preparato a tutto ciò e nutriva per Laura un amore ed un odio egualmente profondi. Aveva commesso l errore di lanciarsi nella nuova avventura come in un videogioco, pensando che fosse possibile giocare senza impegno e ritornare indenni al primo livello per ricominciare: aveva smantellato ad una ad una tutte le difese di Laura promettendole amore eterno ed una vera vita assieme. Lo aveva fatto perché non riusciva a sopportare che una parte di lei gli resistesse e sentiva di doverla totalmente possedere per mantenere viva la sua illusione. Ma i risultati erano stati tragici perché - 11

13 il mondo di Laura era troppo complesso per lui e quello che era stato portato alla luce dalla sua egoistica fame di conferme era un fiume in piena che li aveva sommersi con un acqua torbida e densa di malumori e lagrime. Nella sua sete di conoscenze aveva letto diverse volte della sindrome da videogioco, dello sfasamento fra la percezione dell immaginato e il reale, ma, come tutti, si era ritenuto immune: adesso era tardi, la realtà continuava e le ferite non erano scomparse con il restart, il bivio era sempre lì ed ogni giorno la situazione era più complessa e la sua capacità di resistenza inferiore. Bisognava riconoscere che Laura gli concedeva sempre molte possibilità, ma anche lei adesso era stanca e lui non riusciva ad accettare il suo cambiamento: a volte gli appariva come una soffocante sabbia mobile che lo inghiottiva sempre di più. Rilesse l ultima mail che lei gli aveva scritto, le aspettative di Laura erano diventate davvero troppe e, da specchio in cui rimirarsi, lei si era trasformata in una donna che pretendeva amore in cambio di amore. La sensazione di fastidio cominciò ad aumentare: Paolo non sopportava di perdere e lei doveva scomparire dalla sua vita senza lasciare nessuna traccia se non quella di una romantica storia d amore tragicamente conclusa, un triste racconto con cui incantare altre donne. Qualcosa non funziona pensò Paolo mi manca l aria se penso di non vederla mai più. Il telefono squillava senza sosta e Paolo lo osservava con indifferenza; sentiva ancora una volta salire dentro di sé l acqua stagnante della depressione e si crogiolava dentro il freddo involucro di gelatina che incominciava a ricoprigli la pelle e tutti gli organi quasi a volerli preservare da ogni forma di vita e di sentimento. Doveva combattere, doveva cercare quell uscita che aveva intravisto nella gabbia, doveva ritrovare il volto di Laura e togliere tutte le incrostazioni da dubbi, tutte le piaghe da abbandono, doveva riaprire quegli occhi chiusi dal denso dolore e seguire la luce del suo amore e della sua fiducia. Ma come fare ormai? Non era così sicuro che fosse per colpa sua se lei ormai era diversa e, anche se così fosse stato, chi gli garantiva che non sarebbe cambiata ancora di più per la delusione di non trovarlo come aveva immaginato, forse abbagliata dall amore? Doveva smettere di pensare, la gabbia si chiudeva sempre di più intorno a lui e si stava facendo del male, non doveva permettere che risalisse quell angosciante sensazione di indifferenza infinita, quell avvolgente e rassicurante istinto di morte. Il telefono squillò ancora e Paolo vide il numero di Laura sul display; osservò l apparecchio a lungo, indeciso se rispondere o meno: sentiva di odiare Laura, avvertiva crescere dentro di sé un astio bruciante nei suoi confronti per averlo messo in quella situazione, per averlo costretto a guardarsi dentro e non più allo specchio. Dall altra parte del filo Barbara sorrideva senza nessuna emozione e si diceva: Non rispondere caro, se non vuoi, dovrai farlo prima o poi. Paolo sollevò la cornetta con astio. - 12

14 CAPITOLO V Laura osservava Barbara comporre il numero e ne avvertiva chiaramente i pensieri e le intenzioni. Decise in quello stesso attimo di disinteressarsene e di approfittare di quella assurda situazione per continuare la sua ricerca. Si guardò intorno: la sua era una posizione un po oscura, ma da lì aveva la visione quasi completa di molti episodi della sua vita, anche di quelli che non ricordava affatto fino al giorno prima. Si accorse che Barbara aveva collezionato istantanee dei momenti eccessivamente infelici, ma anche di quelli eccessivamente felici, per contrasto con Laura che aveva sempre ricondotto tutto alla normalità per non farsi male, per non soffrire. Il luogo che fino a quel giorno era stato di Barbara era affascinante nella sua caotica sovrabbondanza: era evidente che Barbara non possedeva il senso della misura e che gli oggetti erano adagiati su quelle circonvoluzioni grigiastre secondo nessi logici improbabili. Tuttavia lo scenario era affascinante: dalle foto con colori brillanti e violenti, miracolosamente appese per un angolo ai cordoncini venosi che rivestivano la nuova casa di Laura, si passava per una raccolta di nastri religiosamente archiviati ed, evidentemente, continuamente spolverati e rivisti Laura cominciò a sospettare che Barbara avesse avuto già da tempo iniziative autonome e che le avesse inviato gli ologrammi per indebolirla alle ampolline da cui esalavano odori che Laura aveva dimenticato e che la investirono con la forza di centomila elettroshock L odore dell aria in quel pomeriggio d autunno mentre lei parlava al suo bambino e gli prometteva la vita, gli prometteva che anche lui avrebbe visto quelle nuvole rosse, viola, rosa, che si inseguivano in un cielo terso e sprigionavano un magnifico profumo, quel travolgente odore di Mediterraneo che si avvia verso l inverno; l odore d incenso nella chiesa alla morte del nonno; l odore di morte dei corpi giallastri che aveva salutato per l ultima volta; l odore di sapone nella casa dei nonni; l odore della terra bagnata nei giorni di ottobre ad Acitrezza, quando il padre l accompagnava a scuola con la cartella nuova; l odore del mare in quel giorno d inverno, quando la morte sembrava camminare sulla cresta delle onde... Laura si tirò indietro e fece uno sforzo immenso per restituire al cuore il ritmo giusto, aveva un occasione unica di guardare dentro se stessa e non doveva commettere errori. Comprendeva profondamente Barbara e la sua rabbia ed era certa di non poter fare nulla per fermarla se non costituire dal suo angolino un piccolo fastidio, se non essere la voce di un grillo parlante che non puoi schiacciare. Adesso era lei a possedere le chiavi della sua anima anche se era Barbara ad avere la libertà d azione. Ma anche la responsabilità pensava Laura mentre lei cercava il punto smagliato da cui partiva la ferita profonda che lacerava la sua esistenza. Probabilmente Barbara avrebbe davvero ucciso Paolo, ma Laura, dal suo angolino umido e buio, era diventata fatalista e non aveva più nessun desiderio di assumersi responsabilità che non le spettavano. - 13

15 Si sedette un attimo a pensare da dove iniziare: la telefonata di Barbara a Paolo la spingeva verso momenti più recenti della sua vita e si disse doveva calmare il dolore attuale se desiderava davvero esplorare il passato in modo imparziale. Paolo era stato per lei un illuminazione. Ricordava ancora il giorno in cui l aveva visto per la prima volta: avevano un normale appuntamento di lavoro dopo lunghe conversazioni telefoniche. Si era presentata nel suo ufficio completamente inzuppata perché pioveva a dirotto, sciatta, qualche chilo di troppo, il trucco disfatto e nessun interesse per eventuali incontri; era entrata nella stanza e due luci azzurre l avevano illuminata con attenzione e curiosità sconvenienti in un incontro formale. Aveva sentito il sangue affluirle al viso, la testa confondersi ed era riuscita a balbettare soltanto un paio di parole. Il rossore aumentava e lui continuava a fissarla quasi divertito, le sue mani erano deliziosamente affusolate, lei ascoltava la sua voce e pensava vorrei tornare a casa a cambiarmi, a truccarmi, vorrei tornare a casa. Era andata via con la sensazione di un occasione perduta e sicura che Paolo stesse ridendo di lei e, a pensarci bene, già questo era strano perché a Laura non era mai importato che si ridesse di lei quando non aveva scelto di esporsi. Poi nella posta il suo nome e lì, come la sorpresa di un giorno di sole nel cuore dell inverno, una frase piccola su un fondo bianco: È stato un piacere conoscerla. Laura era nuovamente arrossita ed aveva capito di non avere desiderato altro da quando aveva lasciato quell ufficio. Non era mai stata una persona romantica e non si riteneva capace di provare devastanti sentimenti, ma quel giorno sentiva che c era un senso, un destino che l aspettava e si sentiva attratta inesorabilmente verso quegli occhi magnetici. Ripensava ancora oggi a quel giorno che aveva cambiato il suo destino e quello di Paolo, trasformando due esseri in cerca di se stessi in due bombe ad orologeria che adesso dovevano essere disinnescate. La scelta era terribile per entrambi: tagliare il filo giusto portava alla serena felicità che cercavano, quello sbagliato era la morte di tutte le illusioni. Laura riaprì gli occhi. La voce di Paolo al telefono con Barbara era sempre più sprezzante e Laura si sentì felice di non essere lei alla cornetta. Ebbe per una attimo paura che Barbara la rimandasse indietro nel mondo per non dover più ascoltare Paolo, ma Barbara sembrava sopportare magnificamente quell arroganza perché faceva parte del suo piano far crescere la rabbia di Paolo fino a farlo soffocare. Laura desiderava il silenzio e si addentrò sempre di più nel labirinto in cui si trovava. Si accorse che i cunicoli si facevano sempre più stretti e bui e sulle pareti, sotto uno spesso strato, si trovavano infiniti ritagli di fotografie con i bordi lacerati come se Barbara avesse voluto creare un puzzle con la sua vita e avesse poi incollato tutti i pezzi alla rinfusa per creare un caos da contrapporre al mondo schematico e razionale di Laura. Proseguì fino alla fine della caverna e vide sul fondo un paio di rigonfiamenti accoglienti su cui potersi sedere; intorno c era un silenzio rotto solo dal pulsare ritmico del cuore e dalla volta pendevano lunghi e sottili negativi attorcigliati come stelle filanti e alcuni rotolini di carta sottilissimi scritti con una calligrafia minuta e appuntita. Si lasciò cadere mollemente a terra e sentì ogni osso dolerle. Si chiese se Barbara avesse sentito dolore anche lei: in fondo il corpo era un bene comune ad entrambe. Comprese il potere che adesso aveva su Barbara e che Barbara aveva avuto su di lei: poteva fermarla in un attimo e farle male attraverso il corpo. Si disse che doveva ricordarlo nel momento in cui avesse desiderato di ritornare indietro. - 14

16 Allungò il braccio verso una stella filante, la strappò dal soffitto, la mise controluce e si accinse a riprendere il suo viaggio nel passato. La prima immagine non le diceva nulla: era una donna di mezza età, robusta ma non grassa, con le fattezze di una tedesca; teneva in mano un bricco di porcellana bianco e blu e si stagliava su uno sfondo di una casa dall aspetto accogliente ma sconosciuta. Passando alla seconda il negativo cambiò forma arrotolandosi come una pellicola e incominciò a muoversi su un proiettore immaginario. Sulla parete della caverna apparve la scena di un film. Erano probabilmente in Austria, oppure in Jugoslavia non ricordava bene lei, il padre, la madre e la sorella in una casa pensione e la signora era la proprietaria. In quel momento versava il latte nelle loro tazze e sul tavolo troneggiavano vassoi con fette biscottate, marmellata, burro e dolci simili a cornetti. Era stata felice in quei giorni, aveva forse dieci anni e il viaggio era il momento più atteso dell anno: partivano in macchina e il padre guidava splendidamente, quasi un unica forma con l auto che conduceva. La madre aveva, come sempre, l espressione consona alla situazione e, lontana dalla sua famiglia, era apparentemente un altra: al di fuori del momento della scelta obbligata dei regali, seguiva suo marito come lui aveva sempre desiderato. Lei e sua sorella ripetevano ossessivamente le scritte sui cartelloni e, nei paesi stranieri, i numeri delle targhe. Laura pensava che avrebbe potuto fermare il mondo a quell attimo: dopo non c era stato niente se non una feroce scalata verso una vetta inesistente. Forse tutto iniziava da quelle tazze di porcellana, l ultimo momento di pace, l ultimo momento di gioiosa normalità. Fece scorrere diverse volte la pellicola crogiolandosi nel dolore della perdita: per tutta la sua vita, dopo quei giorni, non aveva compiuto altra azione se non quella di elaborare il lutto. Anche nei momenti più felici aveva solo cercato il modo di perdere per poter fare ciò in cui unicamente era sicura di riuscire: sopravvivere al dolore, al distacco, alla privazione. Persino oggi, se ne rendeva conto, si sforzava di dimostrare a se stessa che la sua nuova casa era la migliore delle fortune perché aveva la possibilità di pensare, di vivere senza responsabilità, senza dolore. Ma davvero lei voleva vivere così? Barbara aveva condannato a morte Paolo, ma era davvero un idea sua? O era stata Laura ad instillarla in lei nascostamente per poter piangere sulla sua ennesima perdita piuttosto che compiere quel salto di qualità che porta dall istinto di morte all istinto di vita? C era ancora molta strada da percorrere per Laura in quel mare di stalattiti che pendevano dal soffitto e che reclamavano giustizia; c erano percorsi infiniti di infinita pazienza e solo la spinta che sentiva verso Paolo poteva darle la forza di continuare. Rivide la stessa scena con la solita porcellana e notò alcuni nuovi particolari: le tazze erano un po sbocconcellate sul bordo, la madre aveva, sotto il sorriso della viaggiatrice, una piega amara agli angoli della bocca, il padre sembrava chiedersi perché la madre non fosse mai contenta, la sorella piangeva a minuti alterni, quasi a recitare un copione che prevedeva azioni di disturbo con cadenza regolare. Lei odiava la marmellata e i cornetti e il caffè con latte. La madre detestava la guida del padre e manifestava un evidente disprezzo per le sue automobili nuove e per la sua disinvolta velocità. Si dirigevano in quattro verso la fine della sceneggiatura con la piena e incosciente volontà di aderire alla loro parte per semplificarsi la vita. Ma Laura sapeva che questa era solo la pars destruens: resistette a lungo alla tentazione di bruciare quella pellicola perché doveva costruire, doveva capire cosa per - 15

17 lei era davvero importante in quel viaggio e comprese che era lo stesso viaggio, la scoperta di quel sentiero lastricato di pietre che assumevano il colore del sole a Dubrovnik, il divanetto rosso nell ascensore in Austria, il Prater a Vienna con le Montagne Russe dove lei non sarebbe mai potuta andare e dove il padre scendeva e saliva con un espressione estatica, il mare verde e azzurro della Jugoslavia, l isola al centro di Budapest, la fontana di mille colori, la Torre degli Asinelli, l autostrada, il padre che guidava felice. Anche adesso Laura viaggiava nel tempo, indietro ed avanti, alla ricerca di qualcosa ed era la ricerca che muoveva il suo mondo, era il piacere della scoperta, era un raggio di sole che illuminava quegli antri bui dove ora si trovava e li colorava dei più insoliti colori. Era l ignoto a condurla verso la vita. Laura era stanca, vide improvvisamente Paolo come il più entusiasmante dei viaggi, ma era ancora troppo presto per loro e si addormentò stremata. - 16

18 CAPITOLO VI Barbara abbassò la cornetta e si lasciò cadere sulla sedia. Le faceva male ogni singola parte del corpo e sapeva che era colpa di Laura. Molte volte aveva compiuto volontariamente queste azioni di disturbo, ma Laura era ancora troppo inesperta per sapere come fare senza provocare veri danni. Immaginava Laura all interno di quello che era stato fino ad allora il suo mondo e sperava che si sarebbe distratta in mezzo a tutti quei ricordi che lei aveva immagazzinato sotto le forme più disparate. Le serviva tempo per il suo progetto di vendetta. Già da qualche anno, ricordava Barbara, la sua volontà cresceva e, più Laura si ostinava a reprimere in sé ogni istinto vitale, più la forza di Barbara aumentava. C era stato un periodo della loro vita in cui erano state sempre in consonanza: non esistevano Laura e Barbara, ma un unica e completa entità in cui ogni parte era in armonia, poi era successo qualcosa, lei non ricordava che cosa fosse ma doveva essere sicuramente archiviato in mezzo a tutte quelle cianfrusaglie disposte artisticamente per confondere Laura. Poi anche lei aveva finito per cadere nella sua stessa trappola e non aveva più saputo ricomporre organicamente la sua vita. Non che le interessasse in realtà, era Laura ad avere la mania dell analisi, per lei era sufficiente vivere pienamente ogni istante presente ed eliminare qualsiasi ostacolo alla sua felicità. Laura rimuoveva e lei eliminava, ma fino a quando era stata Laura ad avere il possesso della sua fisicità lei aveva dovuto sottostare alle sue regole; l unico gioco che le era permesso era confondere le acque, ritagliare i ricordi, mescolare odori, immagini e suoni per farli riapparire all insaputa di Laura, fino a farla cedere, fino a farla impazzire, fino a condurla a scegliere la dimensione della coscienza e a lasciarle quella della tanto agognata fisicità. Poi si era aperto quell enorme buco nero che stava risucchiando tutto il suo lavoro e anche lei si era sentita trascinare nel vuoto, nell assenza, nel nulla. Non poteva permettere a Laura di farle questo, doveva agire adesso anche se non era pronta per avere la certezza della vittoria perché Laura era ancora forte e già le stava creando problemi: quando aveva sentito Paolo aveva avvertito in sé dei segni di cedimento perchè la sua voce, per quanto arrogante e sgradevole, nascondeva un forte sentimento e Barbara era irrimediabilmente attratta dalla forza. Pensò agli occhi azzurri di Paolo che fissavano Laura in quel bar di fronte al mare e desiderò di essere guardata allo stesso modo. Ma no, non doveva cedere, doveva portare avanti il suo piano con determinazione, doveva far scomparire quell aberrazione spazio-temporale che stava inghiottendo lei e Laura. Non poteva aspettare che Paolo scegliesse la strada che voleva percorrere. La vendetta era l unica soluzione: lo avrebbe portato con l inganno a scegliere una strada senza convinzione, gli avrebbe creato il vuoto intorno e poi lo avrebbe fatto impazzire allo stesso modo in cui lui aveva fatto impazzire Laura, dopo averla resa debole e sola. Era la legge del taglione, la più antica legge del mondo e Laura, con le sue idee sulla qualità della natura umana e sulla coscienza, non avrebbe mai saputo portare a termine la vendetta: Laura desiderava più di ogni altra cosa l amore di Paolo, mentre lei desiderava solo vendicarsi, anche a costo di perdere un occasione unica nel caso che Paolo avesse davvero deciso consapevolmente di optare per l amore, per la vita, per Laura. - 17

19 Sì, forse sarebbe stato il caso di unire le sue forze a quelle di Laura per non distruggere tutto pensava agli occhi di Paolo ma Laura si era tanto staccata da lei per paura di non essere all altezza di controllare tutto, che non era più possibile rischiare. Pensò che Laura doveva essersi assopita, stanca di pensare, con quella sua assurda mania di cercare sempre il perché, il filo rosso che segna un cammino, la visione d insieme, l orizzonte di senso, la parola esatta che definisce e delimita la realtà. Sentì il disprezzo farsi strada dentro di lei: provava un fastidio profondo e rabbioso nei confronti di chi si complicava la vita credendo di comprendere verità sovraumane e poi non si rendeva conto del significato di un semplice minuscolo gesto perché lo affogava in un mare di significati esistenziali. Più di una volta Barbara era stata costretta ad inviare a Laura messaggi chiarificatori attraverso i sogni, indicandole la strada da percorrere prima che la filosofa come spesso la definiva sprezzante potesse distruggere se stessa e lei con le sue perversioni mentali. Barbara si spogliò, aprì il rubinetto della vasca e si mise sulla bilancia: tre chili in più in un giorno, Laura riusciva ad autodistruggersi anche confinata nella parte più recondita del cervello, stava tentando di impedirle la realizzazione del suo piano rendendola nuovamente grassa e brutta. Barbara strinse le labbra in un accesso di rabbia e desiderò farle del male, farla scomparire per sempre e far cessare la sua orribile influenza, il suo insopprimibile istinto di morte, di autopunizione per chissà quali peccati. Si infilò nella vasca e azionò l idromassaggio. Paolo era ancora seduto alla scrivania e ripensava alla conversazione con Laura: aveva la strana sensazione di aver parlato con un altra persona che lo intrigava, facendo venir meno il suo proposito di scomparire senza lasciare traccia. Laura lo stupiva sempre con reazioni impreviste. Non riusciva a classificarla e la cosa provocava in lui attrazione e repulsione. Guardò attentamente le foto dei suoi figli per riportare se stesso alla sua realtà precostituita, ma l effetto non fu quello voluto. Ogni affetto era diventato per lui un insopportabile peso, una catena opprimente e rumorosa che gli impediva qualsiasi movimento. Scalciava come un cavallo in un recinto troppo stretto e colpiva indiscriminatamente chiunque gli stesse accanto. Riportò la sua attenzione alle carte davanti a lui e per cinque minuti finse di essere un attento manager, fece due telefonate di lavoro e sfogò tutta la sua acredine sul dipendente di turno, ma fu tutto inutile. Paolo era solito scansare gli ostacoli e liberarsi di qualsiasi cosa potesse provocargli fastidi o disagi materiali. Era una persona in cui la fisicità era preponderante, ma qualcosa dentro di lui si era modificato: Laura aveva acceso il fuoco delle domande e Paolo non riusciva più a spegnerlo, pur non essendo in grado di reggere all interrogatorio con se stesso. Le stava facendo male, lo sapeva, ma in fondo Laura era adulta e si era volontariamente inserita in una situazione difficile, anche se i presupposti di partenza non erano quelli di oggi. E poi in lui c era il corrosivo acido del dubbio: ma come poteva lei amarlo così intensamente in così poco tempo? Forse lui era la sua ultima spiaggia? Forse nessuno la voleva? Del resto la storia di Laura era una storia di abbandoni e di delusioni ed era difficile che una parte di colpa non fosse anche sua. - 18

20 E quella mania di parlare, di scavare, di analizzare era davvero destabilizzante. Lui aveva ben altro da fare nella vita ed una donna così complicata era un impegno eccessivo per lui che non aveva il tempo e la voglia di pensare. All inizio era stato interessante parlare con lei, scriversi lunghe lettere che nutrivano una parte prima disattivata in lui, aveva pensato di poterla gestire come un qualsiasi affare e come aveva gestito il proprio destino fino a quel momento, usandola nei momenti in cui desiderava essere migliore; ma qualcosa era andato storto e da quel momento sembrava che la sua proverbiale fortuna fosse cambiata in tutti i campi della sua vita. Laura era innamorata e docile e Paolo oscillava fra la tenerezza e l impulso alla sopraffazione: avere una persona su cui provare il proprio potere senza limiti è un occasione unica nella vita di un uomo ed ogni volta Paolo si stupiva che lei resistesse ancora. Aveva subito capito che doveva far leva sui sensi di colpa ed inventava ogni giorno nuove ragioni per accusarla di essere la causa dei suoi ripensamenti. Era interessante vedere Laura ribellarsi e ritornare indietro ogni volta con il capo cosparso di cenere; riusciva sempre a trovargli una giustificazione, meglio di quanto sapesse fare lui stesso, che già era un maestro in questa pratica. Paolo sapeva di giocare con il fuoco, stava deliberatamente approfittando di un essere umano che credeva in lui; l aveva vista lentamente consumarsi, perdere allegria e voglia di vivere, piangere, cadere in quelle assurde e incomprensibili crisi di panico come le chiamava lei minacciare e chiedere perdono e adesso lui si era stancato di quel gioco, aveva capito che stava perdendo qualcosa di introvabile e che forse era già troppo tardi. Aveva messo in moto una macchina inarrestabile e non poteva più tornare indietro: l ultimo atto della tragedia da lui diretta prevedeva l uscita definitiva di Laura dalla scena, ma lui adesso non voleva più che questo accadesse, adesso lui la voleva accanto perché, viste con i suoi occhi, le cose avevano colori diversi che lui non aveva mai notato, perché lui stesso era profondamente diverso accanto a lei e la sua anima aveva ripreso un volo intrapreso tanti anni prima e da cui era tornato con le ali spezzate e con il fantasma della depressione perennemente dietro le spalle. Laura aveva già capito tutto, lui lo sapeva perché in uno dei suoi momenti di ribellione gli aveva scritto descrivendogli tutto quello che lui avrebbe fatto in seguito. Poi si era pentita delle accuse forse ingiuste che gli faceva e aveva chiesto perdono, ma Paolo sapeva che all accadere degli eventi ormai scritti nel loro destino lui l avrebbe persa e aveva cercato di dimostrare a se stesso che Laura lo opprimeva con un legame troppo stretto. Ma dopo la telefonata di oggi i suoi pensieri avevano ripreso a muoversi vorticosamente e non riusciva a reggere più quella situazione. Si alzò dalla sedia, indossò la giacca e, con uno dei suoi movimenti per cui Laura lo definiva incontenibile, si diresse verso la porta e uscì diretto al porto per andare a pensare sulla sua barca. Barbara era ancora immersa nell acqua e pensava a Paolo e all amore per il mare che accomunava lui, lei e Laura. Si sentiva elettrizzata al pensiero di andare da lui: fino al momento del suo colpo di mano era stata Laura ad avere il contatto fisico con le cose e Barbara ne aveva sentito solo il riflesso, adesso sarebbe stata lei a salire su quella barca e a stringere il corpo di Paolo. Sicuramente non avrebbe messo su quelle stupide scene di paura di Laura al momento di salire a bordo e non avrebbe rinunciato a fare l amore solo perché forse Paolo non l amava abbastanza: Barbara non comprendeva quelle sciocche autopunizioni e desiderava strappare ogni emozione alla vita, indipendentemente dalle intenzioni altrui. - 19

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