IL SISTEMA DELLE GARANZIE DEI DIRITTI DEL PRESTATORE DI LAVORO: LA COMPRESSIONE DELLA FACOLTÀ DI DISPOSIZIONE DEI DIRITTI DEL PRESTATORE DI LAVORO.

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1 IL SISTEMA DELLE GARANZIE DEI DIRITTI DEL LAVORATORE: RINUNCE E TRANSAZIONI PROF. GIAMPIETRO PIROZZI

2 Indice 1 IL SISTEMA DELLE GARANZIE DEI DIRITTI DEL PRESTATORE DI LAVORO: LA COMPRESSIONE DELLA FACOLTÀ DI DISPOSIZIONE DEI DIRITTI DEL PRESTATORE DI LAVORO. 3 2 L INVALIDITÀ DELLE RINUNCE E TRANSAZIONI DEL LAVORATORE L INDEROGABILITÀ DELLE NORME DI LEGGE E DEI CONTRATTI COLLETTIVI ED I LIMITI ALL AUTONOMIA DISPOSITIVA DEL LAVORATORE IL NEGOZIO DI RINUNCIA ED IL CONTRATTO DI TRANSAZIONE LA CERTIFICAZIONE BIBLIOGRAFIA di 14

3 1 Il sistema delle garanzie dei diritti del prestatore di lavoro: la compressione della facoltà di disposizione dei diritti del prestatore di lavoro. Prima di definire in maniera puntuale gli istituti in esame, è necessario chiarire cosa si intende per diritti indisponibili, ossia quei diritti che non rientrano nella piena potestà dispositiva del prestatore di lavoro. Per comodità espositiva, l individuazione di tali diritti può essere così sintetizzata: diritti riconosciuti dalla Costituzione (es. tutela della salute e sicurezza, diritto alle ferie, diritto al riposo settimanale, ecc..); diritti riconosciuti dalle norme di legislazione sociale (es. orario di lavoro, tutela dei minori, ecc..); diritti derivanti dai contratti collettivi (es. retribuzione, qualifica, mansioni, ecc..). Sulla base di tale elencazione sembrerebbe che tutti i diritti derivanti dalla legislazione giuslavoristica e dalla contrattazione collettiva siano totalmente sottratti alla disponibilità delle parti. Così non è, altrimenti non vi sarebbe spazio per alcuna forma di definitoria di natura conciliativa. Dire che un diritto è indisponibile, infatti, non significa necessariamente concludere che non si possano trovare soluzioni in ordine alle sole conseguenze patrimoniali derivanti dal mancato riconoscimento (totale o parziale) di tale diritto da parte del datore di lavoro. Esemplificando, il diritto alle ferie è sicuramente un diritto costituzionalmente garantito, a cui è impossibile rinunciare, tuttavia, appare legittimo disporne ai soli effetti economici derivanti dalla mancata fruizione di tale istituto, da parte del lavoratore, a titolo risarcitorio. Soltanto alcune residuali ipotesi danno vita a diritti che nascono ab origine come derogabili e quindi disponibili dalle parti, ma si tratta di ipotesi estremamente limitate, in quanto dalla giurisprudenza sono stati riconosciuti tali solo quei diritti di natura patrimoniale derivanti da un accordo diretto tra datore di lavoro e lavoratore e che pongono 3 di 14

4 condizioni migliorative rispetto ai minimi contrattuali nonché quei diritti derivanti da normative legali o contrattuali che esplicitamente fanno riferimento alla loro derogabilità su accordo tra le parti. Ulteriore condizione per la disponibilità del diritto è che questo sia stato maturato dal lavoratore e che quindi sia entrato nella sfera giuridica dello stesso, in virtù dell attività lavorativa prestata. Non è possibile infatti negoziare eventuali rinunce alla fruizione di particolari diritti o garanzie scaturenti dalla disciplina lavoristica prima della instaurazione del rapporto di lavoro. In conclusione occorre distinguere tra inderogabilità della norma ed disponibilità del diritto. L inderogabilità è legata alla norma giuridica, nel senso che non si può scrivere una regola diversa; la disponibilità del diritto invece ha a che fare con quanto già entrato nel patrimonio del soggetto. Fatta questa premessa, un aspetto del sistema delle garanzie dei diritti del prestatore di lavoro subordinato è certamente quello che si riferisce all esercizio della facoltà di diposizione. In origine, il problema della limitazione della facoltà di disposizione dei diritti soggettivi attribuiti dalla legge al prestatore di lavoro è stato impostato dalla giurisprudenza facendo ricorso ad una fictio iuris, ossia argomentando dalla presunzione dell esistenza di un vizio del consenso. Tale indirizzo giurisprudenziale si è andato progressivamente consolidando, fino ad introdurre stabilmente la distinzione tra i negozi di disposizione e precisamente le rinunzie e le transazioni antecedenti e susseguenti all estinzione del rapporto, i primi annullabili e i secondi validi. Tale impostazione è stata accolta dal legislatore nel Codice Civile. L art c.c., infatti, nella sua originaria formulazione, da un lato equiparava, agli effetti della invalidità, i negozi dispositivi intervenuti successivamente alla estinzione del rapporto a quelli intercorsi durante lo svolgimento dello stesso, dall altro delimitava rigorosamente nel tempo la portata di tale equiparazione, fissando un breve termine di decadenza (tre mesi dalla data di cessazione del rapporto o da quella del negozio) per la impugnazione giudiziale, e quindi per la domanda di annullamento, del negozio di disposizione. 4 di 14

5 Il testo dell art c.c. è stato successivamente novellato dall art. 6 della L. n. 553 del 1973, il quale ha introdotto nella precedente disciplina varie innovazioni. La prima è rappresentata dalla estensione del campo di applicazione della norma ai prestatori di lavoro autonomo. La seconda ha riguardato il regime dell impugnazione della rinunzia o transazione, ovvero il prolungamento del termine da tre a sei mesi e la trasformazione dell atto di impugnazione da giudiziale a stragiudiziale. 5 di 14

6 2 L invalidità delle del lavoratore. L art. 2113, co. 1, c.c., stabilisce che non sono valide le rinunzie e le transazioni aventi ad oggetto diritti del prestatore di lavoro derivanti da disposizioni inderogabili della legge e dei contratti o accordi collettivi concernenti i rapporti di lavoro subordinato, oppure, autonomo ed associato. L invalidità deve essere fatta valere dal lavoratore mediante impugnazione, la quale può essere effettuata con qualsiasi atto scritto, anche stragiudiziale, del lavoratore, idoneo a renderne nota la volontà e che essa deve essere proposta a pena di decadenza entro sei mesi dalla data di cessazione del rapporto di lavoro ove la rinuncia o la transazione siano avvenute nel corso del rapporto medesimo, ovvero entro sei mesi dalla data della rinuncia o della transazione, qualora esse siano intervenute successivamente alla cessazione di quest ultimo. Effetto dell impugnazione è la contestazione della validità del negozio di rinunzia o transazione e l instaurazione nei confronti del datore della controversia finalizzata all accertamento dell invalidità del negozio dispositivo ed al soddisfacimento delle pretese derivanti dai diritti che hanno formato oggetto della disposizione. 6 di 14

7 3 L inderogabilità delle norme di legge e dei contratti collettivi ed i limiti all autonomia dispositiva del lavoratore. In tema di contestazione delle irregolarità e di potere di diffida, con la l. n. 183/2004, sono state operate delle innovazioni. Passando a considerare la causa dell invalidità del negozio dispositivo, l invalidità disposta dall art c.c. è sempre da riportare al principio dell inderogabilità del regolamento contrattuale collettivo. Per mezzo dell effetto dell annullabilità, infatti, all autonomia negoziale del prestatore di lavoro viene imposto un limite rappresentato dal minimo inderogabile di trattamento economico e normativo. Di conseguenza, si ha una limitazione non totale, ma soltanto parziale, e precisamente entro i limiti minimali imposti dalla disciplina inderogabile legale e del contratto collettivo, della facoltà di disposizione dei diritti soggettivi attribuiti alla titolarità del lavoratore. In tal senso, la norma dell art c.c. funge da garanzia di livelli minimi imposti a pena di nullità dalle norme imperative. L invalidità delle rinunzie e delle transazioni si prospetta come un limite imposto all autonomia negoziale in funzione dell effettivo soddisfacimento di interessi la cui realizzazione può essere impedita dalla posizione di debolezza contrattuale nel quale il lavoratore si trova tanto nel corso del rapporto, quanto successivamente all estinzione dello stesso. Va evidenziato, inoltre, che sono valide e perciò non impugnabili, le rinunzie e le transazioni intervenute in sede di conciliazione delle controversie individuali. In tale sede che può essere sia giudiziale sia amministrativa o sindacale la disposizione dei diritti avviene con l assistenza dell organo conciliatore. 7 di 14

8 4 Il negozio di rinuncia ed il contratto di transazione. Restano da considerare le caratteristiche proprie delle rinunzie e delle transazioni sotto il profilo della loro funzione di negozi dispositivi. In generale, la rinunzia è l atto (negozio unilaterale recettizio: cfr. art c.c.) tendente alla dismissione di un diritto soggettivo da parte del titolare, mentre la transazione è il contratto mediante il quale le parti, facendosi reciproche concessioni (aliquid datum, aliquid retentum), rimuovono una lite esistente prevengono una lite eventuale. Nell art c.c., tuttavia, l assimilazione della rinunzia alla transazione trova giustificazione nella eventualità che la seconda sia un mascheramento della prima. Inoltre, i confini tra volontà abdicativa e volontà transattiva si presentano notevolmente sfumati nella controversie di lavoro, in cui la transazione, ancor più della rinunzia, si configura come un negozio socialmente tipico di composizione della lite. Tale situazione di incertezza viene spesso sopravanzata dallo squilibrio di forza contrattuale tra le parti: per cui la disposizione dei diritti controversi del lavoratore si presenta inficiata dalla precedente inerzia del titolare, anziché giustificata dall incertezza soggettiva dello stesso. Il lavoratore può sottoscrivere accordi transattivi o rinunciare a diritti che sono già entrati nel suo patrimonio, tutti i diritti, invece, che ancora non sono entrati a far parte del suo patrimonio non sono disponibili e la transazione o la rinuncia su questi diritti è da considerarsi assolutamente nulla. In esecuzione di questo principio, assolutamente pacifico in dottrina e in giurisprudenza, sono da considerarsi colpiti da nullità assoluta tra: - l'accordo con il quale è il lavoratore esonera il datore di lavoro dall'obbligo di corrispondergli la retribuzione prevista dal contratto collettivo di lavoro e i vari istituti tipici del rapporto di lavoro subordinato (tredicesima, quattordicesima, ferie, trattamento di fine rapporto, inquadramento, permessi, riduzione dell'orario, ecc.); 8 di 14

9 - la dichiarazione con la quale il lavoratore riconosce che la sua prestazione lavorativa ha carattere autonomo anziché subordinato; - la rinuncia a futuri aumenti previsti dalla contrattazione collettiva; - la rinuncia di un socio lavoratore di cooperativa a far valere la natura subordinata della sua prestazione; - la rinuncia ad impugnare eventuali atti di trasferimento del lavoratore da una sede a un'altra; - la rinuncia a far valere la nullità del patto di prova; - la rinuncia a far valere la nullità del rapporto di apprendistato. La volontà del lavoratore negli atti di rinunzia e nella transazione. Condizione essenziale della validità dell'atto di rinunzia e la transazione è che la volontà del lavoratore nel compiere questi atti deve risultare in modo assolutamente chiara e inequivocabile. Il lavoratore deve avere piena consapevolezza e coscienza dell'atto che compie. L'atto di transazione e di rinuncia, pertanto, deve essere redatto in modo completo, dando esatta cognizione della materia del contendere, nei suoi elementi specifici, con la conseguente dichiarazione esplicita che su questi diritti maturati il lavoratore intende transigere e conciliare. In altri termini le dichiarazioni generiche non hanno valore. Le quietanze a saldo. Vanno, altresì, considerate le quietanze a saldo o quietanze liberatorie, cioè dichiarazioni rilasciate dal lavoratore con cui lo stesso dichiara di ricevere dal datore di lavoro tutto quanto di sua spettanza. Esse sono prive di contenuto abdicativo e pertanto non possono ricondursi allo schema negoziale di una rinuncia o transazione, ai sensi dell art c.c. (Trib. Pistoia 4/3/99, pres. ed est. 9 di 14

10 Amato, in D&L 1999, 648, n. Balli, Quietanze a saldo e onere della prova del mancato pagamento della somma indicata). La giurisprudenza ne circoscrive l efficacia entro i limiti rigorosi del riconoscimento dell avvenuto pagamento di determinati crediti e, quindi, soltanto dell adempimento e non già del fondamento delle obbligazioni del datore di lavoro, salvo la possibilità di dimostrare sul piano dell interpretazione della volontà dichiarata alla luce di un comportamento precedente e susseguente delle parti, una volontà dispositiva del diritto. Più precisamente, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito la dichiarazione con cui il lavoratore dà atto di aver ricevuto una determinata somma a totale soddisfacimento di ogni sua spettanza e di non aver null altro a pretendere dal proprio datore di lavoro rappresenta, di regola, una semplice manifestazione del convincimento dell interessato di essere stato soddisfatto di tutti i suoi diritti e, risolvendosi in un giudizio soggettivo, concreta una mera dichiarazione di scienza priva di ogni efficacia negoziale che, come tale, se è successivamente riscontrata erronea, non preclude al dichiarante di agire per il soddisfacimento giudiziale dei propri diritti non ancora soddisfatti. Soltanto quando la dichiarazione sia accompagnata da altre speciali circostanze, essa può assumere il valore di rinuncia o transazione, ai sensi dell art c.c., sempreché di tali negozi ricorrano i requisiti legali e, in particolare, risulti inequivocabilmente accertato che il lavoratore abbia avuto, nel rilasciarla, la chiara consapevolezza degli specifici diritti determinati, o almeno obiettivamente determinabili, che gli sarebbero spettati e ai quali, appunto, egli abbia coscientemente inteso rinunciare totalmente o parzialmente (Cass. 13/6/98 n. 5930, pres. Rapone, est. Figurelli, in D&L 1998, 1003). La rinuncia tacita. A delicati problemi dà luogo la c.d. rinunzia tacita, cioè la possibilità di ravvisare nel comportamento del lavoratore una manifestazione indiretta della volontà negoziale di dismettere un proprio diritto. 10 di 14

11 La rinuncia tacita, però, deve essere desunta da comportamenti significativi e inequivocabili del lavoratore. La giurisprudenza, infatti, non ha mai attribuito significato di rinuncia tacita all'impugnazione del licenziamento, la circostanza che il lavoratore abbia accettato la corresponsione del trattamento di fine rapporto, così come non ha mai riconosciuto l esistenza della rinuncia tacita nel comportamento del lavoratore che non ha reagito adeguatamente e tempestivamente alla riduzione della sua retribuzione unilateralmente disposta dal datore di lavoro. Secondo la dottrina, la rinuncia tacita debba essere esclusa per i negozi successivi alla cessazione del rapporto di lavoro, per i quali l art c.c. fa decorrere il termine di decadenza dalla data del negozio, con ciò richiedendo implicitamente la prova scritta della rinuncia. c.c.. Per la transazione la forma scritta ad probationem è espressamente richiesta dall art In ogni caso, gli atti di rinuncia e transazione sottoscritti dal lavoratore e dal datore di lavoro non hanno alcuna efficacia nei confronti dei terzi. 11 di 14

12 5 La certificazione. La certificazione è una procedura volontaria introdotta dal Decreto legislativo 10 settembre 2003, n.276, mediante la quale le parti possono chiedere ed ottenere dalle Commissioni di certificazione, un accertamento sulla qualificazione del contratto, volto a dare alle parti una maggiore certezza sulla natura e sulle caratteristiche del modello contrattuale da loro adottato, nonché, a seguito dell entrata in vigore della legge n. 183/2010, un accertamento circa la reale volontà delle parti nell inserire singole clausole all interno di contratti in cui sia dedotta una prestazione di lavoro Si tratta cioè di una certificazione dei contratti di lavoro, che nelle intenzioni del legislatore dovrebbe rappresentare uno strumento per rendere trasparente la zona grigia tra il lavoro subordinato e il lavoro autonomo. Il potenziamento delle funzioni dell istituto nella prospettiva del legislatore del 2010 ha la finalità di ridurre il contenzioso in materia di lavoro. Le parti possono ottenere anzitutto la certificazione dei contratti in cui sia dedotta, direttamente o indirettamente, una prestazione di lavoro, secondo la procedura volontaria stabilita dal legislatore. La certificazione, per espressa indicazione legislativa, è altresì finalizzata all identificazione degli effetti del contratto: le parti hanno l onere di indicare nella istanza gli effetti civili, amministrativi, previdenziali o fiscali in relazione ai quali viene richiesta la certificazione del contratto. Le parti possano, in sede di certificazione del contratto, tipizzare determinate condotte del prestatore di lavoro ai fini della valutazione di giusta causa e di giustificato motivo del licenziamento, condotte di cui il Giudice dovrà tenere conto nel giudizio sull impugnazione avverso tale provvedimento. Un ulteriore aspetto da segnalare è che nelle controversie relative alla qualificazione del rapporto o alla interpretazione del contratto, il giudice non può discostarsi dalle valutazioni delle parti espresse in sede di certificazione, salvo il caso di erronea qualificazione del contratto, di vizi del consenso o di difformità tra il programma negoziale certificato e la sua successiva attuazione. 12 di 14

13 Gli organi abilitati alla certificazione dei contratti di lavoro sono le Commissioni istituite presso le Direzioni provinciali del lavoro, le Province, le Università, gli enti bilaterali, i consigli provinciali dei consulenti, nonché la Direzione generale della tutela delle condizioni di lavoro del Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Presso gli organi di certificazione possono essere istituite camere arbitrali stabili per la definizione delle controversie di lavoro nella materia di cui all art. 409 c.p.c.; inoltre, la stessa norma dispone che presso le sedi di certificazione può essere esperito il tentativo facoltativo di conciliazione di cui all art. 410 c.p.c.. La commissione non è vincolata al nomen iuris indicato dai contraenti, ma deve certificare la qualificazione in conformità al tipo o modello legale adeguato al rapporto effettivamente voluto dalle parti. Il provvedimento di certificazione, che ha natura di atto amministrativo, può essere impugnato sia avanti il Giudice del Lavoro, in caso di erronea qualificazione del contratto, di vizi del consenso o di difformità tra il programma negoziale certificato e la sua successiva attuazione, sia avanti il TAR, in caso di violazione della procedura o eccesso di potere. 13 di 14

14 Bibliografia E. Ghera, Diritto del lavoro, Cacucci Ed., A. Balli, Quietanze a saldo e onere della prova del mancato pagamento della somma indicata, D&L M.Tiraboschi, Collegato Lavoro. Commento alla legge 4 novembre 2010, n. 183, Gruppo Sole 24 ore. 14 di 14

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