Le stelle sono sfere di gas ionizzato, che producono energia al loro interno e la riemettono nello spazio circostante

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1 INDICE Introduzione Il mezzo interstellare Stelle di bassa luminosità Nane bianche (approfondimento) Stelle di grande luminosità Distanze spettrofotometriche Relazione massa-luminosità Perché evolvono le stelle? Come evolvono le stelle? Evoluzione del Sole (approfondimento) Evoluzione delle stelle di massa intermedia Evoluzione di stelle di grande massa Evoluzione delle stelle binarie Supernovae ed ipernovae Stelle compatte: nane bianche, stelle di neutroni e buchi neri Candidati buchi neri Formazione degli elementi Il problema dei neutrini solari Le stelle: introduzione Le stelle sono sfere autogravitanti (1) di gas ionizzato ad alta temperatura, che emettono energia, la cui fonte risiede nelle reazioni nucleari, che avvengono nella regione centrale, detta nucleo, e che consistono nella fusione di idrogeno in elio, di gran lunga la più importante, ed in seguito in altri elementi più pesanti. Le stelle sono sfere di gas ionizzato, che producono energia al loro interno e la riemettono nello spazio circostante Le stelle sono fucine termonucleari autoregolate, nel senso che possiedono meccanismi per controllare la velocità di produzione dell'energia, in modo da produrne in quantità non superiore a quella che riescono ad irraggiare nello spazio. Almeno nella stragrande maggioranza dei casi, in qualche caso infatti i meccanismi non si rivelano sufficienti e si verifica un'esplosione. I meccanismi di produzione dell'energia garantiscono alle stelle condizioni di stabilità su tempi che vanno dai milioni ai miliardi di anni Solo nel secolo scorso i progressi della scienza hanno consentito di comprendere appieno i meccanismi ed i fenomeni che regolano l'evoluzione delle stelle dalla formazione sino agli stadi finali della loro vita. Il concetto di evoluzione prima poteva essere unicamente supposto, dal momento che in natura non esistono serbatoi infiniti di energia. Fu necessario attendere lo sviluppo della termodinamica nel XIX secolo per rendersi conto che calore ed energia erano la medesima cosa e che l'irraggiamento era una forma di trasporto dell'energia, ma si dovette attendere lo sviluppo della fisica nucleare nel XX per comprendere che la fonte dell'energia stellare risiedeva nella fusione nucleare dell'idrogeno. La fonte dell'energia delle stelle è costituita dalla fusione nucleare di idrogeno in elio e poi in altri elementi più pesanti 1

2 (1)Tenute assieme dalla forza di gravità. L'immagine rappresenta la Nebulosa Tarantula nella banda visuale (Telescopio Spaziale Hubble) a sinistra ed in quella infrarossa a destra (Telescopio Spitzer). [Cortesia NASA] 2

3 Il mezzo interstellare Natura e composizione All'interno della nostra galassia le stelle sono separate da distanze enormi paragonate alle loro dimensioni, il che significa che il volume occupato dalle stelle, che costituiscono la componente visibile della galassia, rispetto al volume totale è veramente piccolo. A prima vista parrebbe di poter dire che per gran parte del suo volume la nostra galassia, come del resto tutte le altre, è vuota. Ma così non è: infatti gli immensi spazi interstellari sono riempiti da un mezzo tenue e freddo, che va sotto il nome di mezzo interstellare. La sua distribuzione è altamente disuniforme (Figura 1) con andamenti a grande ed a piccola scala. La densità del mezzo interstellare è più alta all'interno del disco galattico che nell'alone. Inoltre, scendendo ad una scala inferiore, si possono notare zone in cui il mezzo interstellare è più tenue ed altre in cui si concentra, al punto da formare vere e proprie nubi oscure, in grado di assorbire tutta la luce delle stelle retrostanti. Composizione del mezzo interstellare Per la sua stessa natura tenue e diffusa non è facile indagare le proprietà del mezzo interstellare, si pensa che esso raggiunga il 10%-15% dell'intera massa della galassia. La sua composizione non è statica, ma muta continuamente nel tempo: infatti parte di esso si tramuta in stelle e gran parte della materia che costituisce le stelle viene ceduta nuovamente al mezzo interstellare nel corso della loro evoluzione. Il mezzo interstellare è composto quasi essenzialmente da gas (99% della massa), tra cui abbonda l'idrogeno, e da grani di polvere (1% della massa) La polvere La presenza di polvere, anche se in modesta quantità produce comunque effetti molto importanti nella trasmissione della luce e nel processo che porta alla formazione delle stelle e dei pianeti. Si tratta di una polvere finissima, molto più del talco, composta da grani di dimensioni pari ad un decimo di milionesimo di metro (0.1 micrometri = 100 nanometri). La figura 2 mostra la composizione tipica di un grano di polvere, sotto una crosta pellicolare costituita da materiali volatili ghiacciati, si trova un denso miscuglio amorfo di graffite, sali di silicio e tracce di altri elementi, tenuti assieme da deboli legami molecolari. Si tratta di una struttura non particolarmente solida e robusta, che tuttavia ha la straordinaria capacità di instaurare velocemente legami chimici con una grande varietà di specie atomiche e molecolari. In pratica è sufficiente che un atomo od una molecola urti un grano di polvere perchè si instaurino rapidamente saldi legami chimici e la molecola rimanga legata al grano (assorbita). Tale processo gioca un ruolo fondamentale nella formazione planetaria. Estinzione ed arrossamento Gli effetti prodotti dalla polvere sulla trasmissione della luce proveniente da una sorgente sono noti come estinzione ed arrossamento. Il primo ad accorgersi che qualche cosa di strano accadeva alla luce delle stelle lontane fu R.J. Trumpler, che nel 1930, nel pieno del dibattito sulle dimensioni ed il centro della nostra galassia tentò di stimare le dimensioni angolari degli ammassi aperti, divisi in classi di luminosità, avendone dedotta la luminosità con metodi fotometrici, basandosi solo sulla legge dell'inverso della distanza. La prima conclusione cui pervenne fu che le dimensioni angolari degli ammassi crescevano al crescere della distanza. E poiché l'assunto appariva del tutto irragionevole, dedusse di avere sovrastimato la distanza degli ammassi. In definitiva gli ammassi lontani apparivano tanto più deboli quanto maggiore era la loro distanza. La spiegazione più ovvia, cui pervenne immediatamente Trumpler, fu che la luminosità di una sorgente non dipende solo dall'inverso del quadrato della distanza, ma anche da un altro termine proporzionale alla distanza. Egli aveva scoperto l'estinzione della luce da parte del mezzo interstellare. Supponiamo che lungo il cammino tra la sorgente e l'osservatore sia presente una tenue banda di polvere interstellare. 3

4 Fig. 2 - Estinzione ed arrossamento della luce Ciò che si osserva è la combinazione di due effetti: 1. la sorgente appare più debole perchè la banda di polvere assorbe parte della luce, 2. la sorgente appare più rossa perchè la luce blu viene diffusa mentre quella rossa no; tale effetto è noto come arrossamento dovuto al mezzo interstellare, ma il termine è impreciso: infatti più che di arrossamento bisognerebbe parlare di deficienza di trasmissione della luce blu, che viene diffusa (scattering) in altre direzioni. Gli effetti sopraddetti dipendono dallo spessore e dalla densità della banda di polvere, che al limite può provocare, come avviene nelle nubi oscure, l'oscuramento totale della sorgente. L'estinzione dovuta alla polvere interstellare rende necessaria una correzione alla relazione che lega la magnitudine apparente a quella assoluta, poiché bisogna tener conto non solo del fatto che la luminosità di un stella non dipende solo dall'inverso del quadrato della distanza (teorema del flusso), ma occorre considerare anche il contributo dell'estinzione, che a sua volta dipende dalla distanza. Pertanto la relazione che fornisce il modulo di distanza di una sorgente diviene: m - M = Log(R) + γ R dove γ R è il termine che tiene conto dell'estinzione. La quantità m-m-γr rappresenta il modulo di distanza ridotto, cioè al netto dell'assorbimento. L'estinzione di una sorgente, cioè γr, dipende dalla distanza e dalla quantità γ, che può assumere valori molto differenti in funzione della direzione verso cui si osserva: si va da γ=0 in corrispondenza delle alte latitudini galattiche, a γ=0,5, 1.0 ed anche 2.0 magnitudini per kiloparsec in corrispondenza di alcune direzioni nel piano galattico. L'ultimo valore di γ corrisponde ad una estinzione totale delle stelle, che non siano molto vicine. Valori tipici di γ sul piano galattico, non in corrispondenza di nubi oscure, sono compresi tra 0.2 e 0.4 magnitudini per kiloparsec. Misure spettrofotometriche hanno mostrato che nella banda visuale dello spettro elettromagnetico la dipendenza di γ dalla lunghezza d'onda λ della luce è del tipo γ =cost/λ, dipende cioè dall'inverso della lunghezza d'onda. In particolare nel sistema fotometrico UBV di Johnson le magnitudine B e V di una stella vengono influenzate differentemente dall'assorbimento interstellare e la magnitudine V subisce un'estinzione 4

5 maggiore di B, per cui l'indice di colore (B-V) osservato risulta maggiore di quello intrinseco (B-V) 0, che avrebbe la stella senza l'estinzione. Si definisce eccesso di colore la quantità [1] E(B-V) = (B-V) - (B-V) 0 L'estinzione nella banda V, A V si può calcolare con la relazione empirica [2] A V 3.0 E(B-V) Misurando quindi le magnitudini B e V di una sorgente, se per altra via se ne conosce l'indice di colore intrinseco (B-V) 0, ad esempio dalla classificazione spettrale, allora con la [1] e la [2] si può determinare l'estinzione della sorgente e mediante questa correggere il valore della magnitudine V. Il gas Il gas rappresenta la componente predominante del mezzo interstellare. La sua composizione è per larga parte determinata dai prodotti della nucleosintesi primordiale, avvenuta alla nascita dell'universo poco dopo il Big Bang. Circa ilo 90% degli atomi del mezzo interstellare sono costituiti da idrogeno, la rimanente parte è essenzialmente elio. Gli altri elementi, indicati comunemente con il termine generico metalli, sono presenti in tracce; tra essi sono importanti l'ossigeno, il carbonio, l'azoto, il calcio, il potassio ed il silicio. Al di fuori dell'idrogeno e della quantità di elio generata dalla nucleosintesi primordiale, gli altri elementi sono stati sintetizzati nei nuclei delle stelle (si veda La formazione degli elementi). L'idrogeno neutro e la riga da 21 cm L'idrogeno neutro, comunemente indicato con HI, riempie l'intera nostra galassia con una distribuzione non uniforme e con una densità media di 1 atomo per centimetro cubo, peri a circa kg/cm 3. Si tratta di una densità molto bassa di un componente neutro difficile da evidenziare. Il mezzo interstellare in genere è troppo freddo per poter eccitare transizioni transizioni nell'ultravioletto o nella banda ottica dell'idrogeno, per tale motivo sfuggiva alle osservazioni e non se ne potevano indagare le caratteristiche, sino a quando C. van de Hulst calcolò che tra i due livelli di struttura iperfine dello stato fondamentale dell'atomo di idrogeno esisteva una differenza di energia tale che la transizione dall'uno all'altro avrebbe comportato l'emissione di un fotone con lunghezza d'onda λ 0 = 21.1 cm che corrisponde ad una frequenza ν 0 = MHz L'atomo di idrogeno è costituito da un protone e da un elettrone, che sono entrambi distribuzioni di carica in rotazione, le quali creano due deboli campi magnetici. Tali campi magnetici, detti spin, possono essere paralleli od antiparalleli. Lo stato a più bassa energia, quindi stabile è quello con gli spin antiparalleli. Nonostante la bassa densità del gas è possibile che in media ogni 500 anni due atomi di idrogeno collidano ed uno dei due acquisisca dall'urto l'energia necessaria a passare dallo stato fondamentale a quello con gli spin paralleli. Tale atomo ritorna poi allo stato fondamentale, con l'emissione del fotone a 21 cm, in un tempo medio di circa 30 milioni di anni. Nonostante tali eventi siano rari a causa della bassa densità del gas, l'immensità degli spazi galattici fa sì che in ogni momento in qualunque direzione si guardi esista un segnale rilevabile dovuto alle transizioni dell'atomo di idrogeno. L'osservazione dell'idrogeno neutro interstellare diveniva così possibile mediante un radiotelescopio, che operasse alla frequenza opportuna. Le prime osservazioni, svolte ad Harvard, Leida e Sidney nel 1951, diedero risultati positivi e segnarono l'avvio dello sviluppo della radioastronomia, che da quel momento ebbe tra i suoi obiettivi primari ed esclusivi, quello di realizzare la mappatura dell'idrogeno nella nostra galassia. 5

6 La mappa dell'idrogeno neutro, figura 1, mostra che il gas non è uniformemente distribuito, ma si addensa in nubi, la cui densità può variare da 10 a 100 atomi/cm 3, od in lunghi filamenti. La temperatura del gas è molto bassa, circa 100 K. Nubi molecolari Sono chiamate così quelle dense nubi oscure, che occultano completamente la luce delle stelle, all'interno delle quali gli atomi si uniscono per formare delle molecole di idrogeno, H 2. La densità qui è più alta, sino a 1000 molecole/cm 3 e la temperatura molto bassa, 10 Kelviin. Le nubi molecolari sono vere e proprie incubatrici di giovani stelle, che nascono singole, ma più spesso a grappoli all'interno di grandi associazioni. Si tratta di processi molto complessi e non del tutto conosciuti, poiché le nubi restano oscure e celano le giovani stelle, sino a quando la loro luce non spazza via il gas. Le uniche informazioni che si possono ottenere sono quelle che ci provengono dalla luce infrarossa, l'unica a non essere completamente estinta. Le molecole di idrogeno non emettono alcun segnale, ma vi sono altre molecole, come CO, NH 3, CH, OH, CS ed altre più complesse, che possiedono bande di emissione nell'infrarosso e ci consentono di descrivere le proprietà delle nubi oscure. Nella nostra galassia esistono nubi molecolari giganti (GMC),come la nota nebulosa Testa di Cavallo, estesa per oltre 150 anni luce e con una massa pari a 10 6 masse solari. Nella parte più interna della nube, in una regione ampia 2-3 anni luce, ove la densità delle molecole raggiunge le molecole/cm 3 e la temperatura è di 100 K, è localizzata una ragione ove è in atto un processo di formazione stellare. Si contano centinaia di queste nubi molecolari giganti nella nostra galassia, per la maggior parte nelle braccia a spirale con una evidente concentrazione in direzione del centro galattico. Regioni HII Sono chiamate regioni HII quelle nubi all'interno delle quali gli atomi di idrogeno ionizzato, H +, riscaldato dalla luce ultravioletta di giovani stelle calde emette. Si trovano in corrispondenza di zone in cui si è avuto un processo di formazione stellare ed è proprio il gas rimasto, non incorporato nelle stelle, che costituisce queste regioni. Si tratta di nubi altamente spettacolari, il processo di emissione è dovuto ai fotoni ultravioletti emessi da giovani stelle calde, come quelle del Trapezio in Orione, con lunghezza l'onda inferiore a 91.2 nanometri ed energia superiore a 13.6 ev, che rappresenta il potenziale di ionizzazione dell'idrogeno. Questi fotoni strappano gli elettroni agli atomi di idrogeno e successive collisioni tra questi elettroni fanno loro raggiungere una temperatura di Kelvin. Essi poi vengono a collidere con gli altri ioni presenti nel gas della nebulosa, come l'ossigeno ionizzato una volta, O +, l'ossigeno ionizzato due volte O ++, ed anche l'azoto, N +, e lo zolfo, S +, eccitandoli. Tali ioni poi riemettono le loro caratteristiche frequenze ritornando al loro stato fondamentale. Nebulose a riflessione Queste nebulose sono completamente differenti dalle regioni HII, in esse il ruolo fondamentale è giocato dalla polvere del gas rimasto dalla formazione di giovani e calde stelle, che ne diffonde la luce. E' il caso delle Pleiadi, ove la polvere presente attorno al giovane ammasso di stelle B, ne riflette la luce blu in direzione della Terra, o della nube a riflessione in Orione (Fig. 6). Il mezzo interstellare Fig. 1 Distribuzione del gas nella galassia Distribuzione della massa nella galassia: 6

7 90% nelle stelle 10% mezzo interstellare Composizione del mezzo interstellare: 99% gas 1% polvere Fig. 2 - Struttura dei grani di polvere Fig. 3 - La Nebulosa Laguna in direzione del centro galattico. Telescopio Spitzer [Cortesia NASA] R.J Trumpler scopre l'estinzione dovuta al mezzo interstellare Domande & Risposte Perchè i grani di polvere determinano un arrossamento della luce delle stelle? L'effetto dell'estinzione selettiva, più nel blu che nel rosso, della luce stellare è dovuto al fatto che le dimensioni dei grani di polvere sono paragonabili alla lunghezza d'onda della luce blu, che quindi interagisce con i grani molto di più di quanto non avvenga per la luce rossa. Tale effetto si manifesta anche per la luce del Sole, quando essa attraversa la nostra atmosfera. La luce blu è completamente diffusa ed il cielo appare di questo colore per tale motivo. Mentre quando il Sole è basso sull'orizzonte (e la quantità di atmosfera che la luce deve attraversare è maggiore, oltre a quella blu vengono assorbite anche radiazioni con lunghezza d'onda maggiore e solamente quelle arancioni e rosse arrivano al nostro occhio. 7

8 Fig. 4 - Emissione della riga da 21 cm di struttura iperfine dell'atomo di idrogeno Fig. 5a - La nebulosa Testa di Cavallo in Orione - particolare.telescopio Spaziale Hubble [Cortesia NASA]] 8

9 Fig. 5b - Regione HII in Orione. HST [Cortesia ESA] Un tipico spettro di una regione HII mostra le righe di emissione dell'idrogeno (serie di Balmer), dell'ossigeno e dell'azoto. 9

10 Fig. 6 - Nebulosa a riflessione in Orione [Cortesia ESA] Stelle di bassa luminosità Le nane rosse Le nane rose sono stelle di bassa luminosità, sono le più numerose in cielo e sono posizionate nella parte inferiore della sequenza principale (vedi figura in basso) Una tipica nana rossa ha una temperatura di 2700 K, un raggio ed una massa di circa 1/10 di quelli del Sole, mentre la luminosità è appena 5/10000 di quella solare. Ne risulta che queste stelle hanno una densità media decisamente più alta di quella del Sole di circa un fattore 100. Come vedremo meglio in seguito, queste stelle a causa della loro bassissima luminosità consumano molto lentamente il loro combustibile ed hanno tempi di evoluzione estremamente lunghi. La posizione delle Nane rosse nel diagramma HR Le nane brune Le stelle di minor massa che si conoscano sono le nane brune. Esse hanno una luminosità estremamente bassa e quindi sfuggono alla rilevazione, se ne conoscono circa 150, tutte poste a distanza non molto grande dal Sole. In base alla definizione che abbiamo assunto per le stelle, le nane brune non sono da considerarsi stelle a tutti gli effetti: infatti non riescono mai ad innescare la combustione dell'idrogeno nel loro nucleo, dal momento che il calore prodotto dalla contrazione non è sufficiente a far sì che nel nucleo venga raggiunta la temperatura di innesco della fusione nucleare dell'idrogeno. Le nane brune non si inseriscono mai nella sequenza principale e costituiscono una classe di oggetti, che si pone a cavallo tra le stelle ed i pianeti 10

11 giganti, i cosiddetti hot jupiters, pianeti gassosi giganti che emettono una quantità di energia maggiore di quella che ricevono dalla loro stella madre, come è il caso di Giove. Tale energia è prodotta da meccanismi non del tutto compresi, tra cui giocano un ruolo la contrazione gravitazionale e la conversione in calore dell'attrito generato da una sorta di pioggia di idrogeno liquido, che per condensazione cade dall'atmosfera verso gli strati più bassi. Una tipica nana bruna è la stella Gliese 229B, che appartiene ad un sistema binario, la cui stella principale è la nana rossa Gliese 229A, in primo piano a sinistra nell'immagine. Gliese 229B ha una massa stimata tra le 30 e le 40 volte la massa di Giove, il cui valore viene assunto come unità di massa per i pianeti giganti e le nane brune. La sua temperatura superficiale è di appena 1000 K. Le nane bianche Un'altra classe di stelle di bassa luminosità è quella delle nane bianche. Queste sono stelle sostanzialmente differenti dalle nane rosse e brune: infatti si tratta di oggetti nella fase finale dell'evoluzione, che verranno trattate a parte. Le nane bianche La nana bianca più nota è Sirius B, la compagna di Sirius A, α Canis Maioris, la stella più brillante del cielo boreale. Fu F. W. Bessel verso la metà del diciannovesimo secolo ad accorgersi per primo che il sistema Sirio era binario e nel 1862 A. G. Clark riuscì ad osservare la compagna della grande e luminosa Sirio: essa era difficile da osservare poiché era molto più debole della compagna, 9 magnitudini, e distava da essa sempre assai poco, al massimo 11.5 secondi d'arco. Sirio B, questo il nome della stella, fu in seguito molto studiata e W. S. Adams nel 1917 dal valore della luminosità e della temperatura dedusse che il raggio della stella era di soli km, circa 2.5 volte quello della Terra! Poiché la stella aveva una massa pari a 1 M o la sua densità media doveva essere altissima, circa gr/cm 3. Sirio B era il prototipo di una nuova classe di stelle: all'inizio del XX secolo se ne conoscevano tre di stelle di questo tipo: esse furono denominate nane bianche. Fu il grande astrofisico Subrahmanyan Chandrasekhar nel 1939 a rivelare la costituzione delle nane bianche, egli calcolò che l'intera gravità della stella era controbilanciata dalla pressione degli elettroni, che negli strati centrali si trovavano in uno stato degenerato, uno stato della materia in cui per il principio di esclusione di Pauli gli elettroni occupano tutti i livelli di energia disponibili. Quando ciò avviene il materiale degli strati centrali è in grado di sopportare pressioni elevatissime, come quelle generate dalle densità delle nane bianche, purché la massa della stella non superi un determinato limite. Chandrasekhar fissò tale limite in 1.44 masse solari. Nella discussione degli stadi finali dell'evoluzione stellare verrà chiarito il processo che porta alla formazione di una nana bianca e cosa accade nel caso in cui il limite suddetto venga superato. Analizziamo le caratteristiche principali delle nane bianche: 11

12 Dimensioni Le nane bianche possiedono dimensioni simili a quelle di un pianeta di tipo terrestre: Sirio B ha un diametro di km, e la Stella di Van Maanen, che si trova nella costellazione dei Pesci, circa km. Vi sono anche nane bianche più piccole, come la Wolf 219, il cui diametro forse non supera i km. Esistono probabilmente anche nane bianche più piccole, con diametri dell ordine di 1/1.000 di quello del Sole. Luminosità La differenza di magnitudine tra Sirio B e Sirio A è circa 10, la nana bianca è circa volte meno splendente della sua compagna. Con una magnitudine assoluta pari ad 11.4, Sirio B risulta oltre 400 volte meno splendente del Sole (magnitudine assoluta 4.5). Temperatura Le nane bianche appartengono ai primi tipi spettrali (O,B,A), con temperature che vanno dagli ai K. Sono invece abbastanza scarse quelle di tipo F, come Ross 627 e Ross 640. Assai rare sono quelle degli ultimi tipi spettrali, come Van Maanen, di tipo G, e W 489, di tipo K. Massa La massa tipica delle nane bianche è circa uguale od inferiore a quella del Sole, come Sirio B. Procione B è più piccola, solamente 0,65masse solari. Esiste una relazione teorica che lega il raggio alla massa e che è generalmente rispettata: tanto maggiore è la massa, quanto inferiore è il raggio. Il limite inferiore per la massa delle nane bianche è pari circa a 0.2 masse solari, mentre il limite superiore è di 1.4 masse solari (limite di Chandrasekhar). Al di sopra di tale limite la stella compatta non è più una nana bianca: infatti la pressione offerta dai gas degenerati dell'interno non è più in grado di reggere il peso degli strati sovrastanti e la stella collassa per divenire una stella di neutroni od un buco nero. Densità Le nane bianche costituiscono il primo esempio di oggetti collassati studiati dagli astrofisici. La densità della materia, che comunque varia procedendo dalla superficie verso il centro, assume valori al di fuori della nostra esperienza comune. Ad esempio Sirio B ha una densità media pari a circa 4 milioni di volte quella dell' acqua. Un cucchiaio di caffè di questa sostanza peserebbe circa 120 quintali. Ma la Stella di Van Maanen é circa 10 volte più densa, e Wolf 219 ancora di più. Sirio A e la sua compagna Sirio B 12

13 La posizione delle Nane bianche e della Nane Rosse nel digramma HR Massa (masse solari) 1.1 Raggio (raggio del Sole) (5100 km) 24 Watt) Luminosità (lumi. del Sole) ( Temperatura su. (K) Densità media (kg/m 3) Tabella 1 - Caratteristiche di Sirio B Stelle di grande luminosità Giganti azzurre Le stelle più luminose che esistono sono le giganti azzurre, appartengono alle classi spettrali O e B e si trovano nella parte alta a sinistra del diagramma HR. Sono stelle dell'alta sequenza principale, la cui massa raggiunge in qualche caso il valore di 100 M o e possiedono una magnitudine assoluta che varia da -6 a -8, raggiungendo in qualche caso il valore di -10, circa un milione di volte il valore della luminosità solare. Un esempio di gigante azzurre è la stella Rigel, circa volte più luminosa del Sole. Un'altra categoria di stelle molto luminose è costituita dalle giganti e supergiganti rosse, che si trovano nella parte superiore destra del diagramma HR. Considerato che la loro temperatura superficiale è relativamente bassa, queste stelle devono avere un'immensa superficie raggiante e quindi raggio molto grande. Una tipica gigante rossa, con temperatura superficiale di 3000 K, è volte più luminosa del Sole, con un raggio 400 volte superiore. Se una tale stella fosse posta nel sistema solare, la sua atmosfera esterna si estenderebbe oltre l'orbita di Marte. Quando tratteremo l'evoluzione stellare, apparirà chiaro che le giganti rosse non rappresentano altro che una fase della vita delle stelle normali: anche il Sole diverrà una gigante rossa, dopo essere stato una stella di sequenza principale. 13

14 Giganti rosse Aldebaran e Capella sono giganti rosse, Antares e Betelgeuse supergiganti rosse. L'immagine mostra l'estesa atmosfera della stella Betelgeuse, la seconda più brillante della costellazione di Orione, anche se è indicata come alpha Orionis. La stella più brillante della costellazione è invece Rigel (beta-orionis). Betelgeuse dista 600 anni luce, ha una massa pari a 20 masse solari, mentre il diametro è circa 1000 volte quello del sole e la sua luminosità volte maggiore. A tutti gli effetti è senza dubbio una supergigante rossa. (Cortesia Prof. Filho e Prof. Saraiva ) Gli strati esterni delle giganti e supergiganti rosse sono estremamente rarefatti, nel caso della supergigante rossa Betelgeuse ad una massa pari a 20 masse solari corrisponde un raggio mille volte superiore. Calcoliamo la densità media della stella cioè il rapporto tra massa e volume, rispetto a quella del Sole. Quindi si ottiene un valore di densità 20 miliardi di volte inferiore. Tale risultato ci conferma che la densità media di queste stelle è veramente molto bassa. Nel caso delle giganti rosse tale valore è pari a Le distanze spettrofotometriche Una delle applicazioni più utilizzate del diagramma HR è la misura della distanza di una stella. La distanza di un astro è una quantità che viene sempre dedotta in modo indiretto mediante la misura di altre quantità. Gli astronomi hanno messo a punto differenti metodi per misurare con vari gradi di approssimazione la distanza di una stella, di un ammasso di stelle o di un'intera galassia. Uno di essi, largamente usato è detto metodo delle distanze spettroscopiche o spettrofotometriche, perchè implica la misura dello spettro della stella e della sua magnitudine apparente. Supponiamo di aver acquisito lo spettro di una stella ed in base ad esso di aver classificato ad esempio la stella come appartenente al tipo spettrale G2 con classe di luminosità V (per la definizione del tipo spettrale e della classe di luminosità si rimanda alla pagina della classificazione spettrale). 14

15 In base alla classificazione fatta,la stella appartiene alla sequenza principale, ed è di tipo G2: si tratta quindi di una nana gialla. Collocandola nel diagramma HR, deduciamo che la sua luminosità è pari 1 L o e quindi che la sua magnitudine assoluta nell'intorno di M=5. Inoltre se oltre allo spettro abbiamo effettuato anche una misura fotometrica e ne conosciamo il valore della magnitudine apparente m, allora la relazione del modulo di distanza m - M = Log(d) ci fornisce immediatamente il valore della distanza della stella, d, d=10 (m-m+5)/5 Il metodo delle distanze spettrofotometriche è risultato utilissimo, poiché ha consentito di conoscere la distanza di moltissime stelle sulla base del tipo spettrale e con una misura della magnitudine apparente. Appare chiaro che la misura del tipo spettrale da sola non è sufficiente a stimare la magnitudine di una stella, occorre conoscere anche la sua classe di luminosità. Infatti se la stella precedente di tipo spettrale G2 fosse appartenuta alla classe di luminosità III (giganti) od I (supergiganti), la sua magnitudine assoluta sarebbe stata nell'intorno di M=0 od M=-5. Il metodo delle distanze spettrofotometriche utilizza una misura fotometrica (magnitudine) ed una classificazione spettrale di una stella. Posizionando il punto rappresentativo della stella nel diagramma HR, si ottiene una stima della magnitudine assoluta e quindi della Relazione massa luminosità La relazione massa luminosità deve la sua origine al fatto che gli astronomi avevano bisogno di un metodo facile e veloce per ottenere il valore della massa di una stella, che è un parametro fondamentale per conoscerne l'evoluzione. Abbiamo visto, studiando il diagramma HR, che con una misura del tipo spettrale e della classe di luminosità si può stimare con buona approssimazione la luminosità di una stella. Se si fosse trovata una relazione per legare la luminosità di una stella alla sua massa, si poteva pensare di ottenere una stima della massa della maggior parte delle stelle. 15

16 Utilizzando le stelle binarie, che fortunatamente sono numerose, e la terza legge di Keplero gli astronomi hanno determinato empiricamente una relazione che lega la massa e luminosità di una stella. Se L ed M rappresentano rispettivamente la massa e la luminosità di una stella, espresse in unità solari, valgono le seguenti relazioni per le stelle di piccola massa, M 0.5 L = M 2.5 per le stelle di massa intermedia, 0.5 < M 3 L = M 3 per le stelle di grande massa, M > 3 L = M 4 In media si può assumere L = M 3. Le relazioni forniscono unicamente una stima della massa e sono valide solo all'interno della sequenza principale. Ricordiamo i valori di riferimento per la massa e la luminosità del Sole M o = kg L o = Watt Perchè le stelle evolvono? Per rispondere a questa semplice domanda, bisognerebbe addentrarsi in una dettagliata analisi della fisica degli interni stellari e delle equazioni di stato dei plasmi in condizioni di alta temperatura e pressione, che esula dagli obiettivi di questa trattazione. Tuttavia non è detto che anche senza l'aiuto delle equazioni di stato non si possa costruire un quadro consistente e comprensibile delle condizioni fisiche in cui si trova una stella. La fisica delle stelle La struttura stellare è un sistema che vive in perenne competizione tra due forze: la gravità, che agisce su ogni elemento di materia attirandolo verso il centro e che quindi tende a far collassare la stella su se stessa, la pressione, che è generata dai gas assimilabili assai spesso, ma non sempre, ai gas perfetti, e dai fotoni della radiazione (1) ; essa si oppone alla gravità. La pressione dei gas dipende dalla temperatura ed è quindi sostenuta dal tasso con cui avvengono le reazioni nucleari nel centro della stella. Quando le reazioni nucleari accelerano ed aumenta il tasso di produzione dell'energia, si ha un repentino aumento della temperatura e quindi della pressione, che vince la gravità e la stella inizia ad espandersi. Con l'espansione diminuisce la pressione dei gas e, quando questa eguaglia di nuovo la gravità, la stella cessa di espandersi e si assesta in una nuova posizione di equilibrio. Il contrario avviene se le reazioni nucleari rallentano e la produzione di energia diminuisce. Ma tutto ciò non basta ancora per descrivere correttamente la stella dal punto di vista della fisica: infatti le stelle brillano, emettendo luce e radiazione in vaste aree dello spettro elettromagnetico. L'energia emessa nello spazio dalla 16

17 stella deve in qualche modo essere recuperata, attingendo al serbatoio di energia costituito dalle reazioni nucleari. Per valutare correttamente l'entità di energia che sfugge dalla superficie stellare, bisogna conoscere in che modo gli strati interni della stella, dal nucleo alla sua superficie, si comportino nei confronti del trasferimento della radiazione verso l'esterno. Il che significa valutare strato per strato quale sia l'opacità della stella, cioè quale sia la resistenza che essa oppone al passaggio dei fotoni. Da tutto ciò consegue che la fisica stellare coinvolge: la fisica nucleare, che presiede alla generazione dell'energia ed è quindi il motore fondamentale della stella, la fisica della radiazione, che governa il trasferimento di energia dal nucleo alla superficie, la fisica dei gas e dei plasma, in diverse condizioni di temperatura e pressione, ivi compresi gli aspetti quantistici per gli stati degenerati dei nuclei stellari (nuclei compatti, nane bianche,...), l'idrodinamica per la descrizione dei fluidi e delle onde d'urto (nebulose planetarie, supernovae,...), la fisica atomica e relativistica, per gli oggetti collassati (nane bianche e stelle di neutroni) ed infine la fisica gravitazionale relativistica (buchi neri). Si tratta di un quadro articolato ed oltremodo complesso, poiché nelle diverse fasi evolutive gli aspetti sono tra loro collegati, tanto che risulta impossibile descriverli con carta e penna. Si è dovuto attendere l'avvento dei calcolatori, di quelli di grande potenza, perchè l'evoluzione stellare potesse essere in grado di costruire un modello di stella e di seguirne l'evoluzione nel tempo. Si è affidato ai computer il compito di risolvere le equazioni in milioni di passi attraverso tutta la struttura della stella, per conoscere cosa avvenisse in tutti gli strati che separano il nucleo dalla superficie esterna ed infine per determinare quali fossero la luminosità e la temperatura superficiale della stella in funzione del tempo. In questo modo l'astrofisica è stata in grado di fissare per ogni istante dell'evoluzione un punto rappresentativo della stella, cioè un valore di temperatura e luminosità, sul diagramma HR. Congiungendo tutti questi punti si sono determinate le tracce evolutive. I modelli stellari messi a punto nel ventennio che va dal 1950 al 1970 ebbero un enorme successo, permettendo di cucire tra loro i diversi quadri osservativi, costruiti in precedenza, e dando loro una valenza evolutiva. Fu un ventennio di successi continui, al termine del quale le stelle avevano svelato gran parte dei loro segreti. Come evolvono le stelle? Tutte le stelle iniziano la loro esistenza come protostelle e le fasi successive dipendono essenzialmente dalla loro massa. Tale affermazione è nota sotto il nome di Teorema di Russel-Vogt I corpi che non raggiungono la massa di 0.01 masse solari non riescono a sviluppare alcuna reazione nucleare e sono classificati come pianeti Le stelle con massa iniziale inferiore a masse solari non divengono mai stelle nel vero senso della parola, poiché non riescono ad innescare le reazioni di fusione dell'idrogeno. Esse, a seguito della contrazione si riscaldano e sviluppano temperature di qualche milione di gradi nel nucleo, sufficienti per alcune modeste reazioni nucleari (Litio). Le temperature superficiali restano inferiori a 2000 Kelvin e fanno sì che la stella risulti sempre molto debole e quindi difficile da osservare. Queste quasi-stelle evolvono come nane brune: lentamente si raffreddano e divengono in seguito nane nere. Le stelle con massa compresa tra e 0.4 masse solari non sviluppano la fase di gigante rossa e dalla sequenza principale scivolano direttamente nella zona delle nane bianche a bassa temperatura, per poi divenire nane nere. Le stelle con massa tra 0.4 e 2 masse solari attraversano tutte le fasi dell'evoluzione. Le stelle con massa tra 2 e 6 masse solari non sviluppano una fase distinta per il flash dell'elio, perchè il loro nucleo a seguito della contrazione dopo la fine della combustione dell'idrogeno ha una massa superiore ad 1.4 masse solari e non diviene degenarato, situazione indispensabile per la produzione del flash dell'elio. 17

18 Le stelle con massa superiore a 6 masse solari esplodono tutte come supernova e la fase finale della loro evoluzione dipende unicamente da quanta massa rimane nel nucleo stellare dopo l'esplosione. Masse (M o ) < > 6 Protostella Protostella Protostella Protostella Protostella F a s i Nana bruna Sequenza principale Sequenza principale Sequenza principale Sequenza principale Gigante rossa Gigante rossa Supergigante Flash dell'elio Nebulosa planetaria Nebulosa planetaria Supernova Nana bianca Nana bianca Nana bianca > 3 Nana nera Nana nera Nana nera Nana nera Stella neutroni di Buco nero 18

19 Evoluzione del Sole L'esame delle diverse fasi evolutive del Sole è già stato effettuato in precedenza, vogliamo qui riprendere l'argomento trattandolo in modo più approfondito a beneficio di chi desideri meglio comprendere il susseguirsi delle fasi evolutive alla luce degli approfondimenti introdotti nella seconda edizione di questo ipertesto. Premessa L'evoluzione di una stella di una massa solare, quale è il nostro Sole, è importante sotto molti aspetti, non ultimo il fatto che una tale stella è la madre e tutrice del nostro sistema planetario, che viviamo molto vicino ad essa, per cui possiamo conoscerne con grande precisione, molto maggiore di quanto non possiamo fare con qualsiasi altra stella, le caratteristiche e misurarne i vari parametri fisici. In secondo luogo le stelle con circa una massa solare attraversano svariate fasi evolutive, che comportano una variazione assai pronunciata delle loro caratteristiche, molto di più di quanto non avvenga, per esempio, per le stelle di piccola massa o per le giganti azzurre. Certo l'evoluzione del Sole non ci porterà a contatto con alcuni dei più suggestivi fenomeni dell'universo, come l'esplosione delle supernovae o la formazione delle pulsar, ciononostante essa ci porterà a discutere fasi altrettanto spettacolari e complesse. Prima di iniziare la nostra discussione, desidero ancora una volta sottolineare come la comprensione delle fasi dell'evoluzione stellare sia stato uno dei grandi successi scientifici del XX secolo. Mi si dirà che dal 1920 al 2000 non solo l'astrofisica ha fatto passi da gigante, ma anche la chimica o la biologia hanno progredito in modo altrettanto sostenuto. Non posso certo negarlo, tuttavia mi si consenta un'osservazione: l'astrofisica ha lavorato in modo davvero eccelso, ma non ha fatto tutto da sola, ci sono volute anche milioni di notti di osservazione e di paziente analisi dei dati da parte di migliaia di astronomi per costruire un quadro conoscitivo articolato, un grande puzzle, sul quale la teoria ha potuto costruire le condizioni al contorno per i propri modelli. E' doveroso ricordare quanto la scuola italiana di astrofisica teorica abbia contribuito a questo sviluppo, giocando un ruolo di primo piano in tutte le fasi del processo. Una sinergia di sforzi non preordinata all'interno di un singolo programma, ma che si è sviluppata attingendo all'ingegno, alla costanza ed alla perspicacia degli scienziati, che singolarmente od in piccoli gruppi hanno portato avanti il loro lavoro. Le singole osservazioni si sono sommate tra loro e sono andate a fondersi nei modelli teorici, rendendo palese che ognuna di esse raffigurava un singolo istante di lungo percorso evolutivo, qual'è appunto la vita di una stella. Unità di misura Nel seguito faremo uso delle seguenti unità di misura U.A., Unità astronomica, distanza media Terra-Sole = km, Ma. megaanno = 1 milione di anni, Ga, gigaanno = 1 miliardo di anni, R o, raggio attuale del Sole km, L o, luminosità attuale del Sole Watt, M o, massa del sole, = kg 19

20 1. La nube fredda e buia Il sole si è formato all'interno di una fredda e densa nube, costituita da molecole di idrogeno e polveri (minuti grani di silicati e grafite). Il processo di formazione ha attraversato le fasi: formazione di un denso globulo do gas, da cui è nato il sole ed i pianeti, separazione dal resto della nube, contrazione e riscaldamento. Possiamo immaginare che la nube originaria fosse simile a quella ritratta nell'immagine fianco, ove si vedono i famosi pilastri di M16, illuminati dall'intensa luce emanata da giovani stelle calde. Alla sommità di queste gigantesche proboscidi nebulari stanno densi globi di gas, in tutto simili a quello da cui prese vita il Sole, che inglobano stelle in formazione. Formazione stellare in M16 (Cortesia NASA & AURA/Space Telescope Science Institute) 2. Il protosole Il protosole si è formato dalla contrazione della parte centrale del globo gassoso, che ne offuscava la visibilità dall'esterno. Esso emanava unicamente un debole bagliore infrarosso, l'unica radiazione in grado di superare lo schermo offerto dal gas denso e dalla polvere. Per meglio comprendere questa fase si osservi l'immagine a lato che rappresenta una delle più attive fucine di stelle nella nostra galassia, la nebulosa di Orione. L'immagine a sinistra mostra un dettaglio della nebulosa come appare nella banda ottica, mentre a destra la medesima zona di cielo è stata fotografata nella banda infrarossa. La differenza appare lampante: nell'immagine infrarossa si vedono assai bene le nuove stelle appena formatesi, che il denso gas della nube occulta nella banda visuale. 3. Combustione dell'idrogeno: la nascita del Sole La contrazione del protosole continua generando un aumento della temperatura. Quando la temperatura centrale supera il valore di 10 milioni di gradi Kelvin si avviano le reazioni nucleari di combustione dell'idrogeno, l'energia sviluppata procura un aumento di pressione dei gas, che arresta la contrazione della stella, la luce sprigionata dal Sole ed un forte vento stellare spazzano via il gas e la polvere rimanenti, che circondano ancora la stella, eccezion fatta per un sottile disco equatoriale più denso, dal quale in seguito si formano i pianeti. La nebulosa di Orione T = 0 Avvio della combustione dell'idrogeno Nascita del Sole.Il Sole si inserisce sulla sequenza principale di età zero (ZAMS Zero Age Main Sequence) All'atto della nascita il sole era lievemente più piccolo meno luminoso un poco più freddo 20

21 In pochi milioni di anni il gas e la polvere vengono completamente eliminati ed il Sole, circondato dai suoi pianeti inizia a risplendere come una stella di sequenza principale. Rimangono ancora molti detriti del processo di formazione, sotto forma di asteroidi e meteoriti tra le orbite planetarie. In circa un miliardo di anni, dopo una fase molto intensa di bombardamento meteorico, anche questi piccoli corpi vengono inglobati nei pianeti. Il sistema solare si stabilizza in questa situazione. La combustione dell'idrogeno è iniziata 4.5 Ga or sono. Appena nato il Sole aveva un raggio di poco inferiore a quello attuale, 0.9 R o, una luminosità inferiore, 0.7 L o ; una temperatura inferiore, 5580 Kelvin. Alcune conferme di come siano variati nel corso del tempo i parametri fondamentali del Sole possiamo trovarle nelle rocce sedimentarie e nei fossili. Si tratta certo di tracce difficili da interpretare, ma che confermano che il Sole ha iniziato e continuato, anche se lentamente, la sua evoluzione nell'arco di vita del nostro pianeta. Il Sole è a circa metà della fase di sequenza principale 4. Il Sole oggi Al presente il Sole è una stella di mezza età, che presenta le seguenti caratteristiche: Età: 4.5 Ga Massa: kg Raggio: R o km Luminosità: L o Watt Temperatura: 5789 kelvin Fonte di energia: combustione di idrogeno in elio (il 50% delle riserve di idrogeno nel nucleo sono state consumate e già trasformate in elio). 5. Una stella adulta dal temperamento quieto Il Sole con il trascorrere del tempo prosegue la sua fase di sequenza principale. Le sue caratteristiche non cambiano di molto, col passare del tempo aumenta di poco le sue dimensioni, mostra un modesto incremento di luminosità la temperatura superficiale dapprima continua lentamente a crescere, per poi diminuire un poco Continua la fase di sequenza principale In sostanza le caratteristiche fisiche del sole cambiano 21

22 assai poco, ma l'aumento in luminosità ha un ben definito impatto sui pianeti e su di uno in particolare, la Terra. La crisi di mezza età della Terra Tra poco più di un miliardo di anni, quando l'età del Sole sarà di 5.6 Ga, la luminosità del Sole sarà aumentata di un 10% rispetto al valore attuale, il che comporterà un aumento della temperatura superficiale della Terra e produrrà un notevole aumento dell'effetto serra. Ciò avrà come conseguenza che l'atmosfera si riempirà di una densa nebbia creata dal vapor d'acqua, che negli strati esterni dell'atmosfera sfuggirà dal campo gravitazionale del pianeta. La Terra diverrà in breve molto secca perdendo gran parte delle forme di vita continentali. Molte forme acquatiche di vita potranno continuare negli oceani e negli specchi lacustri. Sequenza principale avanzata La crisi del pianeta Terra. L'effetto serra minaccia la vita sulla Terra La Terra diviene come Venere Tra 3.5 miliardi di anni, quando il Sole avrà un'età di 9 miliardi di anni e si avvierà a concludere la fase di sequenza principale, le sue condizioni saranno ancora mutate: infatti la sua luminosità sarà cresciuta di un 40% rispetto al valore attuale. Tale cambiamento non avrà grossi effetti sulla stella, ma sarà drammatico specialmente per i pianeti interni. La temperatura salirà ancora e l'effetto serra già consistente diverrà catastrofico ed irreversibile. L'aumento di temperatura del nostro pianeta farà sì che tutta l'acqua passerà allo stato di vapore, prosciugando fiumi, laghi ed oceani. La Terra diverrà in tutto e per tutto simile a come ora si presenta Venere e ciò comporterà l'estinzione di ogni forma di vita. 6. Esaurimento dell'idrogeno nel nucleo Quando il Sole avrà raggiunto un'età di 10.9 Ga, l'idrogeno del suo nucleo sarà stato quasi interamente trasformato in elio (potrebbe rimanerne meno del 10%) e le reazioni nucleari di fusione dell'idrogeno, che hanno alimentato la stella per quasi 11 miliardi di anni, rallenteranno drammaticamente, sino a cessare del tutto. Allora il nucleo inerte di elio, sotto il suo stesso peso, inizierà a contrarsi, aumentando la propria densità e temperatura. Tale riscaldamento farà aumentare la temperatura anche negli strati immediatamente adiacenti al nucleo, che sono ancora ricchi di idrogeno, e quando la temperatura supererà i dieci milioni di gradi all'interno di questo guscio l'idrogeno inizierà a fondere in elio. In conseguenza di ciò il Sole aumenterà Sequenza principale avanzata L'effetto serra dilaga sulla Terra La vita sulla Terra si estingue Termine della fase di sequenza principale. Avvio della fase di shell (fusione dell'idrogeno in un guscio attorno al nucleo) di raggio sino a circa R = 1.58 R o di luminosità sino a L = 2.2 L o. 22

23 Fase di subgigante La traccia evolutiva del Sole abbandona la sequenza principale e punta verso il ramo delle giganti rosse. 7. La subgigante: il Sole diviene una stella anziana Per i successivi 700 milioni di anni le condizioni del Sole cambiano lentamente di poco: la luminosità rimane costante al valore di L = 2.2 L o, il raggio continua ad aumentare lentamente da 1.58 a 2.3 R o, la temperatura superficiale diminuisce di circa 600 gradi, da 5517 a 4900 Kelvin, ed il Sole si raffredda 8. Inizio di una crescita rapida Tra gli 11.6 ed i miliardi di anni si ha una crescita rapida delle dimensioni del Sole, mentre la sua traccia evolutiva raggiunge la regione delle giganti rosse. Col crescere delle sue dimensioni il Sole manifesta un violento vento stellare che dopo i miliardi di anni in pochi milioni di anni disperde nello spazio circostante circa il 28% della sua massa, strappandola agli strati più esterni, ormai ben lontani dal centro della stella ed assai rarefatti. La stella ha aumentato il suo raggio di cento volte e la gravita in superficie si è ridotta ad 1/10000 di quella iniziale. 9. La gigante rossa Quando l'età raggiunge i miliardi di anni, il Sole è nel pieno della sua fase di gigante rossa. Le caratteristiche della stella sono cambiate radicalmente: essa è Da stella subgigante a gigante ì Il Sole continua ad aumentare di raggio ed a raffreddarsi. Cospicua perdita di massa ( 30%) per vento stellare. Fase di gigante rossa cresciuta di dimensioni a dismisura, R = 166 R o, si è raffreddata ulteriormente, poiché la sua temperatura superficiale è ore di solo di 3107 Kelvin, è divenuta luminosissima, L = 2350 L o Il sistema planetario risente immediatamente dei cambiamenti subiti dal Sole, specialmente i pianeti interni. Mercurio viene inglobato dall'estesa atmosfera della stella, mentre Venere, Terra e Marte sono letteralmente inondati ed arrostiti dalla radiazione intensissima della gigante rossa. Si può stimare che la temperatura superficiale del nostro pianeta aumenti di un fattore 10 rispetto a quella attuale. 23

24 10. Flash dell'elio Mentre il Sole raggiungeva la massima estensione come gigante rossa, il suo nucleo continuava a contrarsi ed a crescere di temperatura. Tuttavia quando la temperatura tocca i 100 milioni di gradi Kelvin, l'elio inizia a bruciare formando carbonio ed ossigeno. Nella stella si hanno due sorgenti di energia: nel nucleo brucia l'elio, mentre la fusione dell'idrogeno continua in un guscio esterno. Va tuttavia notato che l'elio non riesce a fornire tanta l'energia come accadeva durante la combustione dell'idrogeno, quindi brucia in modo più violento, anche perchè il nucleo della stella non è più composto, nonostante l'alta temperatura, da gas in cui pressione e temperatura sono tra loro proporzionali. L'alta densità, acquisita dal nucleo nel corso della precedente contrazione, ha reso i gas parzialmente degeneri ed essi reagiscono agli aumenti di temperatura in modo diverso, almeno sino a quando rimangono tali. La parola degenere sta appunto ad indicare questa modificazione del loro comportamento rispetto alle leggi della termodinamica classica. Il maggior apporto energetico è comunque fornito dalla fusione dell'elio, mentre quella dell'idrogeno nel guscio contribuisce solo in modesta parte. Per canto suo la stella reagisce alla mutata situazione del suo interno, riassestando rapidamente tutta la sua struttura. Si tratta di un cambiamento violento poiché la stella inverte la propria linea di sviluppo ed in un milione di anni appena cambia radicalmente. 11. La combustione dell'elio Avendo il Sole trovato una nuova fonte di energia nucleare, esso rimane abbastanza stabile nel ruolo di stella a combustione di elio. I nuovi parametri che esso presenta sono: Raggio: R = 9.5 R o, diminuito di un fattore 10 rispetto alla fase di gigante rossa, Luminosità: L = 41 L o, diminuita di un fattore 50, Temperatura: 4724 K, il Sole tende a scaldarsi lentamente T = Ga Flash dell'elio Fine del vento stellare e della perdita di massa Riassestamento della stella T = Ga Stella a combustione di elio. Condizioni stabili per 110 Ma. La traccia evolutiva nel diagramma HR si sposta repentinamente verso il basso per seguire la diminuzione di luminosità, per poi stabilizzarsi e spostarsi verso sinistra, marcando l'aumento della temperatura superficiale. Questa fase di relativa tranquillità della stella dura circa 110 milioni di anni. In tale periodo i prodotti della combustione dell'elio, carbonio ed ossigeno, si accumulano nel nucleo della stella molto più velocemente di quanto non fosse accaduto nel corso della combustione dell'idrogeno, che ha avuto una durata mille volte superiore. Tale fatto determina alcune conseguenze sui parametri della stella, che alla fine della fase di combustione dell'elio presenta un aumento del raggio: R = 18 R o, 24

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