Appunti dalla Scuola di comunità con Julián Carrón Milano, 22 ottobre 2014

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1 Appunti dalla Scuola di comunità con Julián Carrón Milano, 22 ottobre 2014 Testo di riferimento: J. Carrón e D. Prosperi, «NON SONO QUANDO NON CI SEI», Tracce-Litterae communionis, ottobre 2014, pp. I-XVI. La notte che ho visto le stelle Il desiderio Gloria Ricominciamo! Come ricordava Davide alla Giornata d inizio anno, «il primo scopo di ricominciare [ ] è non perdere il gusto del cammino» (p. II), perché è l unica cosa che mantiene desto il desiderio. Ancora una volta i canti ci aiutano a identificare la questione. «La notte che ho visto le stelle / non volevo più dormire, / volevo salire là in alto per vedere / e per capire» («La notte che ho visto le stelle», parole e musica C. Chieffo). Altro che sentimentale! Perché il desiderio, dice Gaber, «è il primo impulso per conoscere e capire» («Il desiderio», G. Gaber e A. Luporini). Per questo noi riprendiamo il cammino, per il desiderio di conoscere e capire. Ma conoscere e capire che cosa? Il reale. «La notte che ho visto le stelle / non volevo più dormire, / volevo salire là in alto per vedere / e per capire», e da lì viene tutto il resto. Perciò noi teniamo a questo cammino, perché senza significato, senza capire il significato del vivere, si vive male, non si vive da uomini, vediamo solo il nostro regredire, che le parole non fermano. Perché anche noi possiamo stare fermi. «Ti ringrazio per la Giornata d inizio anno perché parlavi proprio a me. Cerco di spiegare cosa mi è successo. Era un po di tempo che ero ferma, la mia autocoscienza era ferma. Me ne accorgevo perché il mio io non cresceva e di fronte alla sfide continue della mia vita prevaleva il lamento, la tristezza, l ansia. Mi svegliavo la mattina chiedendomi: adesso che cosa faccio? Come riempio il vuoto e la giornata? Non vedevo il compito, il senso e la vocazione della mia vita. Le cose che facevo erano solo un fare per non sentire la tristezza [ma questo non basta, neanche se riusciamo a riempire il tempo con il fare]. Insomma, un vero inferno che mi toglieva il respiro. Tutte le esperienze vissute in questi anni erano quasi dimenticate, come i discepoli che avevano il panificio con loro, ma si lamentavano per la mancanza di pane. Ero senza più una speranza. Sabato mattina sono andata a prendere il pass per la Giornata d inizio anno e ho letto il titolo Non sono quando non ci sei. Ho pensato: questa sono io, perché il mio cuore mi diceva proprio questo. Mi rendevo conto che questa era la mia posizione, ma non riuscivo a uscirne. Tornando verso casa, improvvisamente mi sono sentita leggera e con una allegria di cui non sapevo spiegare l origine. Ero certa, però, che non era un sentimentalismo o un prevalere degli stati d animo positivi, il mio cuore me lo diceva perché aveva sobbalzato, sapevo solo che questa allegria c era e non vedevo l ora di ascoltarti. Quando hai incominciato a parlare tutto descriveva me, e la canzone di Gaber sembrava scritta per me. Ti scrivo che ancora non è uscito il testo della lezione, e quindi non saprei riprendere i punti che hai fissato, ma posso dirti con sicurezza che, seguendoti, il mio io è ridestato, e di nuovo è in movimento la mia autocoscienza, perché le sfide della vita sono le stesse, anzi, ultimamente aumentate, e ciò nonostante ho una baldanza che mi fa affrontare tutto con la certezza che Lui vince tutto, che mi vuole adesso e che la mia vita ha un senso. Grazie del lavoro che con pazienza ci stai facendo fare, come un padre che non smette di riprendermi, ma anche incoraggiandomi, indicandomi il cammino che risveglia continuamente il mio io». Ho letto questo per incominciare, perché qui c è il metodo. Lei ha potuto capire la Giornata d inizio anno, coglierne tutta la portata, perché già le era successa come esperienza. Perché in fondo aveva un esperienza che le consentiva di capire. Non è che prima debba capire e poi viene l esperienza; no, capisco perché faccio l esperienza del vivere. Questo è stato il metodo, fin dal primo capitolo de Il senso religioso. Se vogliamo capire che cos è il senso religioso, occorre non partire dai libri, ma dall esperienza. Solo se noi, strada facendo, partiamo dalla nostra esperienza, possiamo capire tutta la portata di quel che ci viene detto e che leggiamo sui

2 2 libri, perché altrimenti possiamo ripeterlo, possiamo pensare di possederlo, ma nulla cambia e uno è fermo e si lamenta. Ma a questa amica era già capitato qualcosa ancor prima di arrivare, semplicemente nel primo contraccolpo, nel presentimento del vero provocato dal solo titolo. È questo impatto con la realtà che ci ridesta. Insegno, e pochi giorni fa abbiamo fatto la convivenza di una sezione del liceo che è incominciata con una lezione serale al Planetario. Trecento tra studenti e docenti, si entra tutti quanti, e quando si sono abbassate le luci, c è stato un momento di buio totale, è apparsa la volta celeste e tutti e trecento non abbiamo potuto trattenere un: «Ooh!». Una reazione di meraviglia che ha sorpreso anche il relatore, che si è come un po fermato. E lì mi è venuto immediatamente in mente quel che tu ci hai richiamato alla Giornata d inizio anno, quando dicevi: «È come se la realtà, un istante prima che possiamo difenderci da essa, prima di innalzare un muro contro di essa, riuscisse a penetrare nell io per renderlo se stesso» (p. V). È stato proprio un momento di sincerità di tutti che ha reso possibile, poi, gustare i tre giorni che abbiamo vissuto. Nei giorni successivi ho ripreso l episodio in classe a lezione, rendendomi conto di che cosa significhi proprio essere compagnia, anche ai ragazzi: l aiuto a non difenderci dall invito della realtà, fino a cercare di scoprire insieme chi ci chiama attraverso quell «ooh!» che ci ha fatto nascere. Mi ha colpito quanto il prendere sul serio come ipotesi di lettura della realtà quanto tu ci stai proponendo rende pieno anche un particolare che magari ai più può sfuggire, e quanto ciò che succede sia la verifica della verità di quel che tu ci proponi. Il problema non è essere d accordo con te, ma rischiare quel che dici per stare dentro le cose. Il problema non è essere d accordo, il problema è che succeda questo «ooh!», perché anche se ci mettessimo d accordo sui contenuti, senza questo contraccolpo tutto sarebbe inutile. La questione è se nel nostro cammino, nel cammino che ciascuno sta facendo, è cresciuta la possibilità dello stupore o è venuta meno la possibilità dello stupore, per il già saputo. È questo che ci ricordano sempre i nuovi amici: ci testimoniano che cos è il contraccolpo dell essere, che cos è il contraccolpo del reale, che cos è il contraccolpo di ciò che abbiamo cantato delle stelle, come i ragazzi al Planetario. Quasi presi alla sprovvista, non possono imporre al reale un possesso, imporre al reale il proprio schema, la propria misura, le proprie categorie e così non lasciarsi colpire. La misura del cammino è proprio questa: se noi cresciamo in questa disponibilità. Ma tante volte per noi crescere significa che cresce il già saputo. Ma il già saputo non ferma il regredire, perché quel che tutti desideriamo è che riaccada davanti a qualsiasi evento, davanti a qualsiasi pezzo del reale questo stupore, questo struggimento che ci consente di sperimentare una pienezza che nessuno dei nostri tentativi ci può dare. E questo può succedere non soltanto davanti alle stelle, ma davanti a qualsiasi pezzo del reale. È da un po di tempo che, soprattutto a partire dalla domanda che Prosperi aveva fatto a te alla Giornata d inizio anno, è nata in me tantissimo la domanda su cosa mi rende veramente me stessa nelle giornate. Mi è successo questo fatto che mi ha aiutato a capire di più questa cosa. Settimana scorsa ero a prendere un caffè con degli amici, e c era un nostro professore che fissava il vuoto, sconsolato, come vinto da tutto. Io di questo professore sapevo un po la storia, sapevo che era malato, lo conoscevo, però mi è presa una tenerezza infinita nei suoi confronti, e allora sono andata da lui semplicemente a chiedergli come stava. Questa cosa mi ha colpito, perché lui ha cambiato subito faccia, come se aspettasse che qualcuno lo trattasse da uomo. Ha iniziato a raccontarmi della sua malattia, del fatto che per lui ogni cosa era un ostacolo nella giornata. A me colpiva questa cosa, perché pian piano lui mi rifaceva prendere coscienza di ciò che ha preso la mia vita, che quella domanda su cosa mi fa essere veramente me stessa io ce l avevo davanti. Mai nell ultimo periodo ero stata me stessa come in quell istante in cui ho seguito il mio cuore, quel contraccolpo iniziale. E mi stupiva, perché con quella persona avrò parlato tre volte nella mia vita, era un estraneo, ma stava diventando un compagno incredibile alla mia vita. Questo mi ha molto stupito, soprattutto rispetto anche a un altra cosa che dicevi tu ad Assago, cioè il fatto che la realtà

3 3 ci diventa compagna. In quell istante è come se uno mi avesse dato uno schiaffo e mi avesse detto: guarda che la realtà, così com è, è per te, per il punto del cammino in cui sei; adesso, con le domande che hai, la realtà, se tu la guardi fino in fondo, è per te; bisogna però che tu accetti la sfida, devi essere umana fino in fondo. E per me essere umana, quel giorno, è stato semplicemente andare dietro a quel contraccolpo iniziale e non al già saputo (cioè che si trattava di un malato), altrimenti nemmeno gli avrei chiesto come stava. Questo episodio mi colpisce, perché è come se mi avesse ridato gli strumenti per capire quando sono me stessa. Perché tante volte io penso che il problema siano le circostanze. Ma la cosa più incredibile che io sto scoprendo è che riesco a mettere una maschera sulla mia faccia quando sto con i miei amici più cari e invece uno che neanche conosco mi parla così. E allora, qual è il punto? Qual è il punto secondo te? Io lì ho scoperto che sono andata dietro al contraccolpo iniziale del mio desiderio. Non importa la faccia del pezzo del reale. Può essere una persona che passa una difficoltà e diventa compagno, mi rende me stesso, fino al punto di vedere che la realtà è per me, non quella irrealtà che io immagino, ma quella che mi trovo lì, data, davanti ai miei occhi. Come mi scrive un altra persona, davanti alla malattia della figlia: «Mentre attendevo [la fine dell intervento chirurgico della figlia], guardandomi intorno notavo nei volti la preoccupazione e l angoscia, ma io non ero preoccupata. E mi sono chiesta: sarò forse matta? Ma la risposta è stata evidente: io ero tranquilla perché certa che mia figlia era prima di tutto nelle mani dei medici, ma soprattutto in quelle di Colui che la ama e l ha presa e ha preso me. Sono davvero grata perché, nelle circostanze che mi dà da vivere quest anno anche molto faticose, Cristo mi permette di fare esperienza di una pienezza indescrivibile. Io non sono se Tu non ci sei. Per me è sempre più evidente che solo Lui riempie il mio cuore, e il desiderio di ogni mattina è quello di sorprendere come mi sorprenderà. Il mio desiderio è sempre più spalancato. Non mi accontento di vivere tranquilla, voglio gustare la realtà attraverso la modalità con cui questa realtà mi è data». Ma poi tante volte ci sorprendiamo che fa parte della drammaticità del vivere il decadere, che possiamo avere questa esperienza e poi decadere. Per lavoro mi capita spesso di trovarmi in giro all alba, ma anche alla sera quando si torna stanchi della giornata, in quei momenti dove tutto è quieto, non preso dalla frenesia. E mi capita spesso di accorgermi che tutto è come preso da un abbraccio più grande, e rivedo nell istante il susseguirsi degli avvenimenti che hanno fatto e fanno la mia vita e mi prende una pace vera, frutto della certezza che tutto va dove deve andare, cioè al bene mio e di ciascuno. Ma poi mi accorgo che questo viene rituffato nel vortice della quotidianità «Ma poi». Ecco il mitico ma poi! nel vortice della quotidianità, dove spesso vengo preso dall ansia di dover rincorrere qualcosa che non è ancora e non è mai, ma anche come se dovessi a volte stare attento a non perdere qualcosa. Ma te lo eri dato tu prima? Te lo eri dato tu prima? No. Perché ti viene l ansia? Che cosa non impariamo da quanto succede? Non è che tu non l abbia sperimentato! Ma è come se noi questo non lo impariamo, non ne facciamo esperienza, non cresce la nostra autocoscienza, e poi, un istante dopo, cambiamo il metodo, come dovendo «rincorrere qualcosa». Ma tu hai rincorso qualcosa per stupirti davanti al reale? Si capisce dove ci spostiamo? Sì. E allora? È la sproporzione strutturale tra ciò che uno attende e ciò che può raggiungere con le sue forze. E per me è la percezione d essere perennemente in attesa di altro che non è mai e che non so definire. E nel concreto, beh, con una famiglia, vuoi per i soldi che non bastano e bisogna stare sempre attenti perché arrivano le spese impreviste, vuoi per il lavoro che magari non rispecchia quel che penseresti proporzionato a ciò che hai studiato, vuoi magari per certe posizioni assunte da mia

4 4 moglie che posso non condividere e non accettare ma che coinvolgono la mia vita... Mi viene in mente quella frase del Papa: «Molte volte è meglio rallentare il passo, mettere da parte l ansietà per guardare negli occhi e ascoltare, o rinunciare alle urgenze per accompagnare chi è rimasto al bordo della strada». A me sembra a volte che rallentare il passo voglia dire perdersi qualcosa che magari va avanti, oppure finire fuori strada coinvolgendosi, perché la fiaccola che può andare verso il baratro può comportare per me la paura di finirci anch io, perché non sono il puro che accompagna, ma il poveraccio fragile che ci può finire dentro. E allora mi accorgo che, per reazione, scatta il tentativo di proteggersi da qualcosa che ti sembra attaccare, che non colgo come un occasione per la mia maturità. E non servono ovviamente le grandi tematiche, basta la quotidianità banale. Ma ovviamente quello di cui poi ti accorgi è che la giornata diventa compagna di un sordo lamento di sottofondo, costante, che ti lascia stanco, irritabile, scontento, mai lieto. Dicevi agli Esercizi che non basta ovviamente che Lui ci sia, né il nostro fare, ma serve vivere ciò che mi fa crescere, implicando un giudizio su quel che abbiamo provato o vissuto. E allora ti chiedo: cosa mi libera da questa meschinità della fragilità e della connivenza col male? E perché ti preoccupi della fragilità? Tu, con la tua fragilità, all alba o al tramonto ti stupisci comunque. Quindi la fragilità non è un obiezione a che tu sperimenti questo. Una volta che ci siamo spostati «ma poi», cominciamo a rincorrere tutto, e ad andare verso il baratro. Perché se non capisci questo, cioè dove si trova quel che ti fa crescere, se non te ne rendi conto quando succede, poi sei in balìa della mentalità di tutti. Non è che noi non abbiamo fatto esperienza di qualcosa che ci viene dato e che ci corrisponde più di qualsiasi altra cosa; ma siccome non ce ne rendiamo conto, una volta che veniamo spostati (per qualsiasi circostanza), cominciamo a rincorrere quel che rincorrono tutti. Che cosa ci aiuta? Renderci conto. Io non ho altro da dirti che ciò che tu hai già visto nella tua esperienza. La questione è se tu non impari dalla tua esperienza. È questa la maturazione. La maturazione non è che tu, a un certo punto, non hai più questi problemi tutti li abbiamo, ma che non vieni preso dall ansia di dover rincorrere. Che cosa mi ha fatto alzare questa mattina? Quante volte ne siamo coscienti durante la giornata? Continuiamo a rincorrere, sempre più stanchi, sempre più stufi, e poi diciamo: cosa ci aiuta? Ci aiuta ciò che tu già hai visto, toccato con mano nella tua esperienza. Se noi non sottomettiamo la ragione all esperienza, come ci ha insegnato sempre don Giussani, è come se non imparassimo, mai! Tutta la seconda lezione degli Esercizi è su questo punto, perché anche i discepoli non capivano, così come noi tante volte non capiamo. Non lo dico per un rimprovero, ma affinché identifichiamo veramente bene dov è la questione, perché ritorniamo a quel punto dove tutto mi viene dato, alla realtà come originata, come data. Questo è il problema, dice Giussani, cruciale. Ricordiamolo: «[Questo è il] problema dell uomo come religiosità che è il problema più profondo e totalizzante dell uomo : è necessario innanzitutto rendere esperienza personale [non che succeda per caso alla mattina presto, senza rendermi conto personalmente di che cosa sta succedendo: rendere esperienza personale!] il rapporto tra l uomo e la realtà in quanto originata» (p. V), perché allora tu non devi rincorrere altro che quel che hai percepito come corrispondente. Altrimenti non facciamo il cammino. Questo periodo per me è un po duro, la realtà non mi torna. Comincio la giornata con il buon proposito di affidargli tutto, e la sera, invece, mi trovo a raccogliere i cocci del mio progetto, che puntualmente ha fatto dei danni. «Dove sei?», a volte grido. Avevo un grande desiderio della Giornata d inizio anno, e quando ho letto il titolo, «Non sono quando non ci sei», ho sentito subito un immediata corrispondenza. Poi è arrivato quel sabato e ho iniziato ad ascoltarti, e questa corrispondenza si faceva sempre più forte. Però Non è che non ne facciamo esperienza! «Però». Però se la letizia non permane Il mitico «però» e il mitico «ma poi» azzerano tutto, come se non ci fosse stato niente. Però se la letizia non permane dopo una giornata del genere, qualcosa non va. No! Non è che non va, va benissimo. È che deve riaccadere. La questione è che noi pensiamo: una volta capitato, è per sempre. Ma a te piacerebbe che tuo marito, siccome ti ha detto una volta: «Ti

5 voglio bene», non te lo dicesse più? Per nulla! Sarebbe la noia totale nel rapporto. Ma tu vuoi questo? Volete veramente questo? Non è molto più interessante che tu abbia l urgenza e la possibilità di dire ancora e continuamente: «Tu» a Cristo, di riconoscere che c è e che ti vuole bene? Questa è la questione. Allora? Ma se le circostanze sono il modo, lo strumento con cui il Mistero si fa presente a me e alla mia vita, dove sta il desiderio? Dove stanno le scelte che ogni giorno la vita mi chiede, comunque, di fare? Perché di fronte alle circostanze siamo liberi. Ma se, di fronte a qualsiasi cosa, io scelgo una strada piuttosto che un altra, dove io accolgo il Mistero e dove non lo accolgo? Perché se tutto quel che mi accade (anche le cose dolorose) è sempre il Mistero che mi viene incontro, il rischio che corro io è quello di mettermi seduta a guardare, tanto c è il Mistero. Ma non credo sia così. Tempo fa mi è capitato di avere un momento difficile e ho addirittura pensato a un certo punto di mandare tutto a quel paese. I miei amici più cari mi hanno detto che addirittura quella cosa pesante e dolorosa era una risorsa, era il Mistero che mi veniva incontro. All inizio ho pensato che fossero matti, impazziti. Poi ho provato a fidarmi. Anche se l esperienza di questi miei amici a cui voglio molto bene è un esperienza commovente, a me non basta. O meglio, mi basta per fare il primo passo, ma non per andare avanti. Io voglio su di me l esperienza di abbraccio del Mistero. Vedi? Perché non ti siedi lì a guardare, tanto c è il Mistero? Perché no? Perché sennò non sarei libera, credo. Eh, sì. Ma la questione è che per restare lì, davanti a una circostanza così Come succedeva ai martiri davanti ai leoni. Siccome c è il Mistero, allora si sedevano a guardare?! Ma per stare lì, davanti ai leoni, occorreva un attività! Come dice san Tommaso, occorre un attività per non scappare, per dire di sì alla circostanza che ti viene data. Perché senza questa attività, la tentazione che viene è di scappare, altro che dire che, siccome c è il Mistero, sto lì in pace! No! La tentazione è scappare. Che cosa ti consente invece di restare? Dicevi alla fine che qualcosa in fondo, così, ti sta stretto. Per questo tante volte non è che stai, scappi. Come il figliol prodigo. Aveva già il padre, aveva già la casa; perché non resta? Perché la situazione gli sta stretta e, così come a te, gli viene la voglia di fuggire perché pensa che sia la modalità di essere più libero, più se stesso. Quanto tempo occorrerà perché il figlio si renda conto di chi è, del bisogno che ha, e possa avere la possibilità di guardare con occhi nuovi suo padre? Questo è il bello. Noi pensiamo che non occorra la nostra libertà e il nostro cammino. È soltanto quando facciamo il cammino che, allora, ci rendiamo conto di che cosa ci conviene scegliere, in che cosa consiste la libertà, cioè la soddisfazione del mio desiderio come don Giussani ci ha insegnato sempre a definire la libertà. Tante volte a noi la realtà data sta stretta. E la tentazione non è dire: siccome la dà il Mistero, sto qui tranquillo. No, la tentazione è fuggire, anche se la realtà può essere positiva, come nel caso del figliol prodigo. Che cosa ti consente di non fuggire e di renderti conto di un modo di guardare le cose diverso? Quando il figliol prodigo ha cominciato a guardare le cose diversamente? Quando ha compreso che mangiare con i porci non era il massimo del vivere, allora ha cominciato a rendersi conto del bisogno che aveva. Comincia a guardare di nuovo bene la realtà. Non è che sia andato dallo psicologo o a fare yoga; no, semplicemente ha vissuto la realtà fino in fondo, e vivendo la realtà fino in fondo ha capito che cos era quella realtà che pensava già di sapere, la realtà di sé e del padre, finalmente l ha scoperto. Tutto il cammino della vita sta in questo: quanto tempo abbiamo bisogno per capire queste cose. Noi tante volte pensiamo: già lo so. Tu pensi di sapere già chi sei, pensi di sapere già qual è il tuo bisogno, pensi di conoscere la realtà, pensi di conoscere tuo marito, e tutto ciò ti sta stretto; quanto tempo occorrerà perché tu conosca veramente te stessa, conosca bene la realtà e conosca bene tuo marito? È la strada del vivere. Se noi non facciamo questa strada, uno potrà essere a casa come il figlio grande: con il disagio di essere figlio, come noi siamo tante volte a disagio nella realtà, quando tutto ci sta stretto. Perché? Perché è un problema di conoscenza. Dobbiamo imparare a conoscere bene la realtà, in modo tale da poterla percepire nella sua verità. Solo chi rischia di fare questa strada personale, dice Giussani, può fare diventare «esperienza personale il rapporto tra l uomo e la realtà in quanto originata» (p. V). 5

6 Seguendo il filo della Giornata d inizio anno, a un certo punto, c è come un cambio di registro che tu hai fatto descrivendo la decadenza in cui noi ricadiamo normalmente, fino all immagine del gabbiano, quel maledetto gabbiano che non ha più voglia di volare. Mi ha colpito perché è come se avesse aperto una possibilità terribile per la mia vita. Poi, a un certo punto, dici che il Mistero non si è dimenticato di me e non mi ha lasciato solo con i miei tentativi. Ecco, questa cosa è come se aprisse improvvisamente un respiro nel cuore, questo passaggio per me è stato un aiuto quotidiano, perché quando io mi sono ritrovato quotidianamente dentro le faccende, le vicende, le fatiche, il nervoso, quel che non funziona, insomma, sommerso dalla realtà, appena riuscivo, mi potevo fermare e dire visto che anche i miei tentativi erano annaspanti che Lui non si è dimenticato di me, cioè riprendere coscienza che la cosa più evidente è che Lui non si è dimenticato di me, per tutto quel che io sono. Era come ripartire, è stato il punto per ripartire, ma dieci volte al giorno. E in cosa si vedeva che ripartivi nel rapporto con la realtà? Innanzitutto che mi passava la pretesa sulla realtà che mi faceva arrabbiare. Come dire: ci stavo. Non avevo più l ansia di dominare il reale, stavo davanti alla realtà per quel che è, con apertura, senza la rabbia che nasce dal fatto che essa non va come voglio io. Il punto che mi faceva vivere c era, per cui poi poteva capitare tutto. Il punto c era. Il punto c è sempre. Perché Lo abbiamo incontrato. Ma tante volte riconoscere questo è l ultima cosa che ci passa per l anticamera del cervello. Ma quando uno riparte da lì il Mistero non si è dimenticato di me adesso, ora, comincia a respirare, e il rapporto con la realtà riparte, come dice una testimonianza che vi leggo: «All inizio della Giornata d inizio anno hai detto quella frase: Qualcosa entra nella mia vita e mi rende presente a me stesso». Racconta del suo rapporto con la realtà attraverso il suo lavoro, il suo mestiere di educatrice e poi dice: «Finalmente mi si è posto il problema del dopo, cioè che cosa accade dopo aver vissuto l incontro ed essermi resa conto in che modo io possa servire, e mi sono posta il problema della strada. E mi accorgevo subito che diventava sempre più pressante la domanda: ma da che cosa riparto quando sono con i bambini? Bastava ripartire da quel che avevo davanti: dai bambini, dalla realtà. Questo non sarebbe stato possibile senza un lavoro sulla Scuola di comunità. E in questo modo sono rinata e la mia personalità è fiorita in un modo incredibile, tanto che anche quest estate ho riaccettato di fare lo stesso lavoro. Quando poi, a settembre, ho finito quel lavoro estivo, ho iniziato a lavorare a un doposcuola e il metodo che avevo imparato non è cambiato [il problema è imparare un modo di stare nella realtà, perché questa persona ha fatto un cammino, non semplicemente ha lavorato per guadagnare i soldi che servono per vivere, ha fatto un lavoro dentro il lavoro, non solo per imparare il proprio mestiere, ma per imparare a vivere, a vivere]. È la sequela alla Scuola di comunità, l affezione a te, a tutte le circostanze della realtà che mi fanno davvero essere me stessa, un io davvero unito, e mai sono stata così lieta e con il cuore pieno di affezione al movimento, e ogni singolo gesto è ridiventato occasione per la mia vita. E la prova è stata quando ho avuto un aborto spontaneo e il giorno dopo sono andata a lavorare con il dolore di un altro figlio in Cielo, perché è la seconda volta che mi capita, ma con la certezza che quella circostanza, come tutte le circostanze, sono il modo in cui Dio mi rende unita e mi fa diventare grande [Il Signore ti chiama lì, non dove hai deciso tu]. E così la mia preghiera della sera non è più: donami un figlio, ma: fammi accettare la Tua volontà», cioè aiutami a vivere la realtà come data, aprimi gli occhi su tutta la realtà che mi doni. La nostra amica inizia a chiedere non che si compia l immagine che lei ha del vivere, ma che cominci a guardare la realtà che le viene data. Cristo è entrato nel mondo per aiutare questo cammino umano. Il carisma che noi abbiamo ricevuto e di cui noi partecipiamo, la grazia di don Giussani è proprio questa: aiutarci a stare nel reale con tutta la nostra consapevolezza di uomini. Per noi la fede c entra con tutta la realtà, con il modo concreto con cui noi viviamo tutto. Senza questo la fede non la percepiremo come pertinente alle esigenze del vivere. Quando invece succede, tutto diventa un occasione e ogni gesto che proponiamo cominciamo a guardarlo così. Per esempio la vendita di Tracce. «Vorrei dirti brevemente che cosa hanno significato le parole dell ultimo paragrafo della Giornata d inizio anno: Io posso preferire solo se mi rendo conto che sono stato e sono preferito, se vivo di questa preferenza, se questa preferenza mi rende così traboccante che 6

7 7 diventa contagiosa, mi rende capace di preferire tutti, di trascinare altri. È così che possiamo rischiare, perché chi non rischia non potrà riconquistare tutto questo oggi e raggiungere quella unità del vivere che tutti desideriamo (p. XVI). Queste parole sono diventate test di verifica nelle due giornate di vendita di Tracce [non è che non abbiamo altro da fare e proponiamo dei gesti soltanto per riempire il vuoto; no, tutto è un tentativo, una proposta per fare un cammino di questo tipo]. Infatti ciò che avevo, l arma che mi ha aiutato in questo, è stata solo una: l essere preferito ora. Così nel proporre la rivista ho fatto esperienza di cosa vuol dire rischiare l Avvenimento che mi ha preso e mi prende instancabilmente. La vendita non è stato chiedere semplicemente tre euro per giornale e dvd, ma dire che la mia vita è cambiata da quando mi sono sentito oggetto di questa preferenza, e che Tracce documenta che questo accade ora a tanti nel mondo. Perché non è lo stesso per una persona sentirsi chiedere i soldi per una rivista oppure sentirsi raccontare di un fatto accaduto. Ecco, gli incontri sono stati la possibilità di questo. E un ultima cosa: basta la mia piccola apertura rispetto a come il Mistero sceglie di entrare nella mia vita, che questo può generare la stessa possibilità per gli altri. Grazie di avermi proposto questo gesto che mi ha fatto riaccorgere preferito». Altro che istruzioni per l uso dell organizzazione ciellina! E lo stesso vale col video. «Volevo ringraziarti per il bellissimo video dei sessant anni, perché ieri sera guardandolo io ho rincontrato qualcosa di eccezionale. Lì non c è alcunché di sentimentale o di formale, ci sono persone cambiate». Punto. Ché dappertutto uno può vedere che cosa cambia la vita. Per questo tutti gli avvisi che proponiamo hanno uno scopo unico, questo. Prima di dare gli avvisi, vi leggo una domanda pervenuta per rilanciarvi il lavoro della prossima Scuola di comunità, per averla presente, per riconoscere, per sorprendere in azione dove sta la risposta nell esperienza, in continuità con quanto abbiamo detto: «Nella Giornata d inizio anno si vede bene la proposta di una strada, di un cammino. Ed è proprio così che sto imparando a guardare la vita. Nel percorso ci sono non infrequentemente dei momenti neri, bui, in cui si perde di vista la chiarezza dell inizio e non si vede bene dove si sta andando. Capisco che in quei momenti si gioca molto della vita. In questi tempi ho incontrato due persone. Il primo è un giovane che ha iniziato il suo percorso con una radicalità invidiabile, volendo dare la vita per Gesù; ha poi molto sofferto, e questo lo ha portato a una svolta brusca, ha abbandonato quell ipotesi e si è dedicato a un impegno sociale e politico sempre in ambito cattolico. Adesso quando l ho visto ha cambiato vita, ha trovato una brava ragazza e un discreto lavoro; si è tranquillizzato, ed è bene così, naturalmente. Non è un giudizio su di lui che mi interessa, ma mi ha fatto pensare a quella frase di Oscar Wilde che ci siamo detti tante volte: C è qualcosa di tragico nei giovani inglesi. Iniziano con grandi ideali e finiscono con un utile professione. La seconda è un amica che, per circostanze, si trova a fare una vita ripetitiva tra quattro mura, belle mura e in buona compagnia, ma pur sempre quattro mura. Non esce, è dedita ad accudire una persona anziana. Mi testimonia un intensità e una ricchezza di vita che io, con i miei mille impegni, viaggi e occasioni piene di stimolo, mi sogno. Queste storie mi fanno capire che siamo sempre davanti all alternativa tra il cammino e il declino; per usare la tua bella immagine: gabbiani che spiccano il volo o gabbiani che neanche hanno più l intenzione di volare. Così, cosa ci ridesta il desiderio, l attesa, la vivezza nella routine spesso offuscata da questi punti morti, da questi momenti bui? Il reale lo viviamo, volenti o nolenti, ma cosa ci fa vivere intensamente il reale giorno per giorno? A volte io vorrei avere un desiderio più grande, ma non me lo so dare». Vediamo quale esperienza facciamo, continuando il lavoro della Scuola di comunità avendo davanti questa domanda, che mi sembra possiamo riconoscere tutti come nostra. La prossima Scuola di comunità si terrà mercoledì 19 novembre alle ore 21,30. Riprenderemo ancora il testo della Giornata d inizio anno. Ricordo che è attivo un indirizzo mail a cui potete inviare domande e brevi interventi sulla parte della Scuola di comunità a tema. Vi chiedo di mandarli entro la domenica sera precedente al nostro incontro, in modo tale di avere il tempo di leggerli. L indirizzo mail è: sdccarron@comunioneliberazione.org e vi raccomando di usarlo solo ed esclusivamente per la Scuola di comunità.

8 8 Tracce e Dvd per i sessant anni. Lo scorso weekend abbiamo fatto una vendita straordinaria di Tracce di ottobre a cui è allegato il Dvd per i sessant anni del movimento La strada bella. Sono successe e stanno succedendo molte iniziative e incontri interessanti. La cosa più bella è l esperienza che ciascuno fa, che lo rende veramente grato e lieto dell esperienza, come documentano tante testimonianze che arrivano dappertutto. Alcuni hanno iniziato a scriverle, queste esperienze. Vi proponiamo di farlo anche voi, scrivendo a questa mail: filodiretto@tracce.it e sui social network con l hashtag: #giornatatracce e #lastradabella. Il libro del mese per ottobre e novembre è: L. Giussani, In Cammino ( ), l ottavo volume della BUR che conclude la serie delle Equipe del CLU. Questo testo è fondamentale per la portata dei contenuti. Leggendolo, potrete vedere come nei dialoghi con gli universitari negli anni don Giussani era continuamente impegnato a richiamare all essenziale, testimoniandoci l unica risorsa per stare nella realtà da protagonisti: il senso cristiano dell io, l io ridestato dall incontro cristiano, l unico freno al potere, dell ambiente o delle circostanze. In anni in cui la situazione esterna era molto difficile, la sua costante compagnia ci ha impedito di perderci per la strada dietro i nostri calcoli e progetti, consentendoci di vivere la novità portata da Cristo nell appartenenza alla Chiesa, nel movimento, come l unica possibilità di fare un cammino umano. E davanti alle sfide di quel tempo, come davanti alle sfide di adesso, misuriamoci bene con quello che dice don Giussani, perché ci sorprenderemo di trovare una modalità di affrontare le sfide storiche che vivevano allora con un criterio che forse dobbiamo ancora imparare, come si dimostra dal modo in cui affrontiamo le sfide del presente. Veni Sancte Spiritus

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