Il dissesto idrogeologico rappresenta per l Italia un problema rilevante, in termini di danni e perdite di vite umane.

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1 Il dissesto idrogeologico rappresenta per l Italia un problema rilevante, in termini di danni e perdite di vite umane. Tra i fattori naturali che predispongono il nostro territorio a frane ed alluvioni, ci sono la conformazione geologica e geomorfologica. Il rischio inoltre è fortemente condizionato dall azione dell uomo e dalle modifiche del territorio. L abbandono dei terreni montani, l abusivismo, il disboscamento, l uso di tecniche agricole poco rispettose dell ambiente, l apertura di cave, l occupazione di zone fluviali, la mancata manutenzione dei versanti e dei corsi d acqua aggravano il dissesto.

2 La dimensione del problema

3

4 Un utile riepilogo Morfologia di una frana La classifica delle frane (Varnes, 1978)

5 Scivolamenti rotazionali Due modelli a confronto. Lo schema a sinistra (caso A) mostra uno scorrimento rotazionale in materiali litoidi a comportamento fragile. Lo schema a destra (caso B) mostra uno scorrimento rotazionale in materiale a comportamento plastico

6 Scivolamenti traslativi Modelli schematici evolutivi di scorrimenti traslativi. La figura (a) illustra la manifestazione del fenomeno in depositi lapidei stratificati, disposti a franapoggio. La figura (b) mostra la sezione trasversale di un versante interessato da scorrimenti traslativi mentre il caso (c) illustra il movimento planare di materiale terrigeno dotato di scarsa coesione, posto a contatto su di un substrato lapideo.

7 Colamenti lenti Classificazione delle frane da flusso (Hungr et alii, 2001) Modello schematico di un colamento lento. In questa tipologia di movimenti può avvenire che fenomeni diversi confluiscano in un unico impluvio, formando un solo colamento, che può percorrere anche notevoli distanze.

8 Crolli e ribaltamenti Illustrazione schematica di un tipico crollo in roccia Modello schematico di ribaltamenti in rocce lapidee fratturate

9 Espandimenti laterali Modelli schematici dell evoluzione di un espansione laterale in una placca rigida sovrastante litotipi argillosi, a comportamento duttile. Nella sequenza di immagini sono rappresentati alcuni dei caratteri tipici del fenomeno e dei processi associati ad esso. La placca rigida fratturata si suddivide in blocchi che si abbassano in maniera differenziale e si spostano lateralmente verso valle, con movimento prevalentemente orizzontale. I materiali argillosi vengono mobilitati, risalgono lungo le fratture e/o formano dei rigonfiamenti laterali alla placca rigida Esempio di espansione laterale di tipo liquefaction spreads sviluppatasi a seguito di una sollecitazione sismica

10 Fenomeni erosivi superficiali Modello schematico di un soliflusso in atto su di un versante poco acclive. In evidenza lo scarso spessore della copertura argillosa alterata e i tipici lobi derivanti dal movimento Esempio schematico di versante interessato da soil creep. In evidenza alcune manifestazioni del fenomeno, come l incurvatura alla base degli alberi e piccoli pali inclinati

11 Velocità dei fenomeni franoso Classi di velocità delle frane secondo Cruden & Varnes (1996).

12 Principali caratteristiche morfologiche di un corpo frana (da IAEG, Commissione sulle frane, 1990). 1. Coronamento 2. Scarpata principale 3. Punto sommitale 4. Testata 5. Scarpata secondaria 6. Corpo principale 7. Piede 8. Punto inferiore 9. Unghia della frana 10. Superficie di rottura 11. Unghia della superficie di rottura 12. Superficie di separazione 13. Materiale spostato (franato) 14. Zona di distacco 15. Zona di accumulo 16. Distacco 17. Massa distaccata 18. Accumulo 19. Fianco (destro o sinistro) 20. Superficie originaria del terreno Larghezza frana (Wd) 2. Larghezza superficiale di rottura Wr 3. Lunghezza del materiale franato Ld 4. Lunghezza della superficie di rottura Lr 5. Spessore della massa franata Dd 6. Profondità della superficie di rottura Dr 7. Lunghezza totale L 8. Lunghezza della linea di centro Lcl

13 Stato di attività di una frana

14 Grafico illustrante gli spostamenti di una frana in differenti stati di attività (da Cruden & Varnes, 1996)

15 Distribuzione dell attività di una frana Esempio schematico di frane con diverse distribuzione di attività. Per ciascun caso sono indicati con la lettera (a) e (b) le fasi antecedenti e successive al movimento (da WP/WLI, 1993)

16 Statistiche nazionali sulle frane (da Rapporto sulle frane dell ISPRA anno 2008) Al 31 dicembre 2007, l inventario delle frane del progetto IFFI (Inventario dei fenomeni franosi in Italia), registrava un totale di frane su un area complessiva di kmq, equivalente al 6,8 % del territorio nazionale L indice di franosità è il rapporto percentuale dell area in frana su quella totale

17 Tipologie di movimento Le DGPV pur essendo poche, in numero assoluto, sono al primo posto, se consideriamo l area totale coinvolta Le tipologie maggiormente rappresentate sono gli scorrimenti rotazionali/traslativi, le colate (rapide e lente), le frane complesse

18 Stato di attività Per lo stato di attività delle frane italiane, si fa riferimento alla classificazione contenuta nel rapporto del WP/WLI Working Party on World Landslide Inventory (1993) La valutazione dello stato di attività dipende molto dal metodo adoperato per la sua stima (rilevamento diretto, dati di archivio, analisi di foto aeree, monitoraggio in sito, tecniche aereofotogrammetriche). Poche frane mostrano un attività costante nel tempo, mentre la maggior parte di esse alterna brevi periodi di attività a lunghi periodi di stasi.

19 Relazione tra inclinazione del pendio ed innesco Distribuzione di frequenza dell inclinazione del pendio alla corona di frana La distribuzione di frequenza delle inclinazioni all area di innesco è stata valutata per le circa frane censite e per ciascun tipo di movimento. E possibile individuare ranges di valori angolari entro i quali si realizza la massima occorrenza di inneschi. Si osservano 2 gruppi di curve: quelle relative alle frane rapide (crolli/ribaltamenti, colate rapide) con un picco compreso tra 30 e 40 e quelle relative alle frane lente (scorrimenti rotazionali/traslativi, colate lente, complesse) con un picco tra 10 e 15.

20 Cause scatenanti e danni Fattori predisponenti e cause d innesco Numero di frane che causarono danni Le cause più comuni sono dovute ad interazioni tra fattori naturali (soprattutto precipitazioni, caratteristiche fisico-meccaniche dei terreni e delle rocce interessate, erosione fluviale) e fattori antropici (variazione della geometria dei pendii, aperture di strade, sovraccarichi, perdite idriche). Per quanto riguarda i danni alle infrastrutture e al patrimonio edilizio, essi hanno riguardato soprattutto le strade e poi gli insediamenti agricoli, industriali e residenziali. Per quanto riguarda le vittime, fino al 2007 si segnalano circa morti.

21 Livello di rischio per le infrastrutture su base municipale Incrociando i dati sulle frane con la Carta dell uso del suolo (Corine Land Cover Project, 2000), sono stati ottenuti i seguenti livelli d attenzione su base municipale: 1. Molto alto: quando le frane interessano aree urbane continue e discontinue; 2. Alto: quando le frane interessano le strade, autostrade, ferrovie cave, discariche ed altre costruzioni; 3. Moderato: quando le frane interessano aree agricole e forestali, ambienti semi-naturali, are sportive e parchi naturali; 4. Trascurabile: nelle aree comunali ove non sono registrate frane. Livelli di attenzione, con riferimento al rischio da frana, su base municipale (infrastrutture)

22 Livello di rischio per la popolazione Una stima del numero di persone a rischio è stata ottenuta incrociando i dati sulle frane con i distretti censuari italiani. L analisi ha dimostrato che circa di persone (circa 1,74% della popolazione totale) è a rischio nei circa Comuni italiani. N. Comuni Persone a rischio 14 > nessuna Popolazione a rischio

23 Regione Campania Modello digitale del terreno della Regione Campania. Crolli, Ribaltamenti: rocce carbonatiche, flysch arenaceoconglomeratici, lave e tufi, sedimenti sabbioso-conglomeratici dei bacini intrappenninici. Scorrimenti planari : in rocce lapidee fratturate, flysch, piroclastiti coerenti. Scorrimenti rotazionali: formazione argillose e/o argillosabbiosoconglomeratiche, talora, con evoluzione a colata. Scorrimento traslativo: unità litoidi stratificate e lungo piani e/o orizzonti preferenziali. Colamenti: movimenti complessi con caratteristiche e velocità variabili in relazione ai terreni coinvolti. Unità della copertura ed unità a prevalente componente argillosa (debris flow, earth flow, etc.); Coperture detritiche s.l., coperture piroclastiche di versante, depositi eluvio-colluviali. Movimenti di versante complessi: il movimento risulta dalla combinazione di due o più tipologie franose. Si rilevano, prevalentemente, nelle successioni flyschoidi o dove prevalgono condizioni di estrema variabilità geotecnica (es. Unità Sicilidi, etc.). Superficie km2 Area montano-collinare Area pianeggiante % N. di frane inventariate(anno 2006):

24 Tipologie di movimento Provincia Area totale in frana (kmq) Napoli 2,28 Caserta 54,50 Avellino 264,73 Benevento 340,29 Salerno 250,49 Numero di frane x tipologia di movimento

25 Tipologie di movimento e stato di attività Le frane più frequenti sono le colate (lente e rapide), gli scivolamenti e le frane complesse Trattasi di fenomeni per lo più quiescenti che si riattivano in concomitanza di eventi piovosi (prolungati) ed eventi sismici Superficie totale Regione (kmq) Area montanocollinare (kmq) Area totale in frana (kmq) Indice di franosità (%) Area tot. in frana/sup. regionale Indice di franosità (%) Area tot. in frana/sup. montanocollinare ,30 6,67 8,25 Indice di franosità della regione (6,67) molto simile a quello nazionale (6,8)

26 A seguito dei tragici eventi di Sarno (maggio 1998) sono state emanate Norme a livello nazionale (in particolare: D.L n.180), grazie alle quali si è dato avvio a un'analisi conoscitiva delle condizioni di rischio, individuando e perimetrando le aree con diverso livello di attenzione per il "Rischio idrogeologico" : R4 (molto elevato), R3 (elevato), R2 (medio), R1 (moderato). In tal modo, le competenti Autorità di Bacino, hanno elaborato i Piani Stralcio per l assetto idraulico ed idrogeologico (PAI), attraverso i quali oggi sappiamo che in regione Campania sono presenti le seguenti ampie aree ad alto rischio: Rischio Tipo Territorio (kmq) Territorio (%) Idraulico R3 ed R ,7 Frane R3 ed R ,8 Totale ,5 Pericolosità idraulica: Alta per tempi di ritorno compresi tra 20 e 50 anni; Media per tempi di ritorno compresi tra 100 e 200 anni; Bassa per tempi di ritorno compresi tra 300 e 500 anni. Pericolosità da frana Alta per frane veloci; Media per frane lente ma molto grandi e/o profonde; Bassa per frane lente non grandi e/o superficiali.

27 Le Autorità di Bacino La legge 18 maggio 1989, n. 183 (successivamente integrata e modificata) ha definitole Norme per il riassetto organizzativo e funzionale della difesa del suolo provvedendo a riorganizzare le competenze degli enti statali che si occupano di difesa del suolo. Ha istiuito le Autorità di bacino che hanno il compito di: - assicurare la difesa del suolo; - risanare le acque (superficiali e sotterranee); - pianificare e programmare gli interventi nei territori di competenza. Le Autorità di bacino sono: - di rilievo nazionale; - di rilievo interregionale; -di rilievo regionale (le regioni possono istituire Autorità nei bacini idrografici interamente compresi nei propri confini). Fino al maggio 2012, il territorio della Regione Campania si articolava nelle seguenti Autorità: 1.Nazionale Liri-Garigliano e Volturno ;2.Interregionale del Fiume Sele; 3.Regionale della Puglia (con competenza in Campania per i bacini dei fiumi: Ofanto, Calaggio e Cervaro); 4.Interregionale dei fiumi Trigno e Biferno (ed altri sempre ricadenti nella Regione Molise); 5.Regionale Destra Sele; 6.Regionale Nord Occidentale della Campania; 7.Regionale Sarno; 8.Regionale Sinistra Sele

28 Le Autorità di Bacino Dal giugno 2012, vi è stato un accorpamento ed una semplificazione gestionale ed amministrativa, per cui le Autorità attuali sono: 1. Nazionale Liri-Garigliano e Volturno 2. Regionale della Campania Centrale 3. Regionale Campania Sud ed interregionale per il Bacino Idrografico del fiume Sele 4. Interregionale dei fiumi Trigno, Biferno e Minori, Saccione e Fortore 5. Regionale della Puglia Gli Organi dell Autorità di bacino sono: 1. Comitato Istituzionale 2. Comitato Tecnico 3. Commissario (Segretario) 4. Segreteria Tecnico Operativa

29 Le Autorità di Bacino Approntano uno strumento e di programmazione denominato «Piano di Bacino»: strumento conoscitivo, normativo e tecnico-operativo. Il Piano di bacino può essere redatto ed approvato anche per sottobacini o per Stralci relativi a settori funzionali. In Campania sono stati redatti, approvati e resi operativi i Piani Stralcio per l Assetto idrogeologico (PAI) relativi al: Rischio frane, Rischio Alluvioni ed Erosione costiera (quest ultimo, non per tutte le Autorità). A titolo di esempio, per l ex Autorità di Bacino Nord Occidentale, questo è l elenco degli elaborati allegati al PAI: Norme di Attuazione Relazione Generale Relazione Geologica Relazione Idraulica Relazione Idrologica Relazione metodologica suscettibilità all'innesco, al transito ed invasione per frane in roccia Relazione metodologica pericolosità geologica ed idraulica in aree di conoide Sistema di early-warning per la mitigazione del rischio Quaderno delle opere tipo Programma degli Interventi Prioritari Inoltre, collegandosi al sito: è possibile consultare la Cartografia di Piano

30 Di recente, la Regione Campania ha istituito l Agenzia Regionale Campana Difesa Suolo (ARCADIS) che è competente all'attuazione degli interventi. Esempi di elaborati tecnici approntati, a supporto della progettazione degli interventi da appaltare

31 Altri Organizzazioni nazionali che si occupano di frane (catalogazione, censimento, studio, etc.), sono: - Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA): - Gruppo nazionale per la difesa dalle catastrofi idrogeologiche (GNDCI) del CNR: - Dipartimento della Protezione Civile nazionale: - Protezioni civili regionali, provinciali e comunali (Napoli: - Uffici Difesa Suolo Regionali (Regione Campania: - Agenzie regionali per la Protezione ambientale (ARPA: per la Campania: ARPAC: - Scuola di protezione civile Regione Campania

32 Principali riferimenti legislativi in materia di Difesa del suolo La legge n. 445 del 9 Luglio 1908 (modificata con legge n del 27 Dicembre 1956), costituisce la prima norma organica in materia. Con la legge n del 29 Dicembre 1923 ( decreto Serpieri ), si ebbe l introduzione del vincolo idrogeologico. In tempi più recenti si ha la legge n. 183 del 18 Maggio 1989, norme per il riassetto organizzativo e funzionale della difesa del suolo, integrata dalla legge 3 agosto 1990, n Tale norma regola gli interventi di difesa del suolo e istituisce l Autorità di bacino. Successivamente, con il D.P.R. 7 gennaio 1992 si determinano i criteri di integrazione e di coordinamento tra le attività conoscitive dello Stato, delle autorità di bacino e delle regioni per la realizzazione dei piani di bacino di cui alla legge 183/89. A valle degli eventi calamitosi che interessarono la zona di Sarno e Quindici tra il 5 e il 6 Maggio 1998, fu emanato il decreto n. 180 del 11 Giugno 1998 (noto anche come decreto Sarno ), Misure urgenti per la prevenzione del rischio idrogeologico ed a favore delle zone colpite da disastri franosi nella Regione Campania, convertito poi in legge n. 267 del 3 Agosto dello stesso anno. Le ultime modifiche al D.L.180 sono introdotte dalla legge n. 365 dell 11 Dicembre 2000, convertita in legge con il D.L. n. 279 del 12 Ottobre 2000 ( Decreto Soverato ), recante interventi urgenti per le aree a rischio idrogeologico molto elevato e in materia di protezione civile. Sostanzialmente con questa norma si aggiornavano nuovamente i termini stabilendo che entro il 30 Aprile 2001 si doveva provvedere all adozione del Progetto di Piano per l assetto Idrogeologico (P.A.I.), ed entro i successivi 6 mesi (30 Ottobre 2001), si dovevano predisporre ed adottare i Piani.

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