REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO CORTE D'APPELLO DI ROMA TERZA SEZIONE CIVILE

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1 composta dai signori magistrati Dr. Antonio Azara - Presidente - Dr. Angelo Martinelli - Consigliere - REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO CORTE D'APPELLO DI ROMA TERZA SEZIONE CIVILE Dr. Giuseppe Lo Sinno - Consigliere, relatore, est. - ha pronunciato la seguente SENTENZA nella causa civile di secondo grado iscritta al n. 151/2010 del R.G. Affari Contenziosi decisa, mediante lettura del dispositivo, all'udienza del e vertente tra T.I., nata (...), rapp.ta e difesa dall'avv. M.G. del foro di Roma ed elettivamente dom.ta in Roma, via (...), presso lo studio del medesimo avvocato, giusta delega in atti; - appellante - c/ M. S.p.A., in persona del legale rapp.te p.t., con sede in Milano, via (...), rappresentata e difesa dal prof. avv. G.C. del foro di Roma ed elettivamente domiciliata in Roma, via (...), presso lo studio del medesimo avv.to, per delega in atti; - appellata - e C. S.r.l.; - appellata contumace - Oggetto: Appello a sentenza del Tribunale di Roma - sez. XIII - n. 8284/09 (risarcimento danni da sinistro stradale). SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

2 Con ricorso depositato in data , e poi notificato nei termini con il decreto di fissazione di udienza, la sig.ra T.I. ha proposto appello avverso la sentenza emessa in data dal Tribunale di Roma con la quale era stata, in parte, accolta la sua domanda avanzata nei confronti della C. S.r.l. e della M. S.p.A. con ricorso ex art. 3 l. 102/2006, depositato il , contenente la richiesta di condanna delle parti resistenti al risarcimento dei danni subiti in seguito ad un sinistro avvenuto in data lungo l'autostrada A/24 km. 4,800, mentre viaggiava, quale trasportata, sull'auto (...) condotta dalla sig.ra C.E. che era stata tamponata dall'auto (...) tg. (...) guidata da Balsamo Gaetano ma di proprietà della C. S.r.l. (assicurata con la It.). Il Tribunale (nel contraddittorio della sola M., che si era opposta alle pretese economiche avanzate dall'attrice in quanto ritenute eccessive, e nella dichiarata contumacia della C. S.r.l.) aveva determinato il danno subito dalla ricorrente secondo la ctu e, previa detrazione dell'acconto già versato dalla compagnia di assicurazione e rivalutato dalla data del pagamento alla decisione, condannato i resistenti, in solido, a pagare la somma complessiva di Euro 5.120,00, compensando le spese del giudizio per il 30% del totale. La appellante contesta la sentenza di primo grado deducendo l'errata valutazione delle conseguenze dannose subite nel sinistro e chiedendo, in parziale riforma della sentenza di primo grado, la condanna degli appellati a pagare l'ulteriore somma di Euro ,00, già dedotte le somme incamerate in precedenza; con il favore delle spese di I e II grado. Sì è costituita la sola M. S.p.A. per contestare l'appello proposto in quanto ritenuto infondato su tutti i punti di impugnazione, chiedendone il rigetto con la vittoria delle spese del grado. Dichiarata la contumacia della appellata C. S.r.l. e fissata l'udienza di discussione, all'udienza collegiale del 27 gennaio 2012 la causa è stata decisa con lettura del dispositivo e riserva del successivo deposito della motivazione. MOTIVI DELLA DECISIONE Con il primo motivo di appello si censura la sentenza per avere liquidato il danno biologico applicando le tabelle a punto in uso presso il tribunale, senza adeguare il risarcimento al caso concreto e quindi senza personalizzare il risarcimento al danno subito dalla appellante; il tutto in considerazione della mancata indicazione di adeguata motivazione delle scelte liquidatone adottate. Tale motivo è infondato oltre che inammissibile perché non emergono, nella descrizione della censura sub. 1, delle reali ragioni di critica alla scelta del primo giudice cui si contesta unicamente la scelta tabellare e la scarsa motivazione adottata. A parte questo, la Corte osserva come la giurisprudenza si vada consolidando sull'affermazione di principio che vede legittimato l'utilizzo delle tabelle per la

3 liquidazione del danno senza alcuna obbligatorietà di aumentare i valori di punto nei casi ordinari, ma operando una necessaria personalizzazione della liquidazione solo in presenza di situazioni di fatto che si discostino in modo apprezzabile da quelle ordinarie (così Cass. civ., sez. III, 28/11/2008, n : "in tema di liquidazione del danno non patrimoniale (nella specie, da morte del prossimo congiunto), la necessità per il giudice di merito di tener conto di tutte le circostanze del caso concreto (c.d. personalizzazione del risarcimento) non significa affatto che il giudice debba sempre e comunque aumentare i valori risultanti dalle eventuali tabelle adottate dall'ufficio giudiziario cui appartiene, ma significa che tale variazione equitativa è necessaria solo in presenza di situazioni di fatto che si discostino in modo apprezzabile da quelle ordinarie"). Il primo giudice, con riferimento al caso al suo esame, aveva adottato il criterio tabellare senza operare altre variazioni ritenendo che la concreta fattispecie (per l'età della parte, la natura ed entità delle lesioni, e l'epoca dell'evento) non si discostasse da analoghi ed ordinari casi di lesioni permanenti. Con il secondo motivo di appello si censurano le conclusioni del CTU di primo grado (dr. M.N.) in ordine all'incidenza dei postumi permanenti sulla condizione soggettiva della appellante (dal punto di vista relazionale) e, al contempo, si censura la sentenza per non avere dato atto delle ragioni che non avevano reso necessario dissentire dalle conclusioni del c.t.u., a fronte delle critiche sollevate dalla parte stessa. Su tale motivo la Corte osserva che il consulente tecnico d'ufficio (nominato nel primo grado) avesse esaurientemente esposto le sue valutazioni medico legali, spiegando le conclusioni a cui era pervenuto dopo aver esaminato la sig.ra I.T. e la sua condizione fisica complessiva; le censure che, in quella sede, la appellante aveva sollevato, sulla scorta delle note critiche depositate, si incentravano sulla mancata specifica considerazione del danno alla vita di relazione subito dalla stessa in conseguenza del sinistro, sostenendosi che il ctu, nel ricomprenderlo nella categoria del danno biologico, non l'avesse affatto considerato nella conclusiva determinazione della percentuale di invalidità permanente. Giova evidenziare che il tribunale, a tal riguardo, aveva deciso di seguire interamente la c.t.u., ed i chiarimenti forniti dal consulente in risposta al quesito tre, motivando che quella stessa risposta "che deve intendersi, qui, integralmente trascritta" aveva indicato e determinato i postumi permanenti "valutati nel 16/17% e riferiti solo al danno biologico con esplicita esclusione di qualsiasi incidenza sulla capacità lavorativa e comprensivi del danno estetico accertato": esponendo, poi, le ragioni che avevano condotto a ritenere che nella valutazione suddetta dovesse essere ricompreso tanto il c.d. danno estetico che il c.d. danno alla vita di relazione; e che, in particolare, per il danno estetico non si verteva in una situazione in cui il medesimo avesse inciso sulla capacità lavorativa specifica della parte ("come nel caso di professioni richiedenti una certa perfezione estetica con

4 conseguente perdita di guadagno ed in tal caso va risarcito come danno per lucro cessante"). Ciò premesso, questa Corte ritiene di dover fare convinta adesione all'insegnamento del Supremo Collegio con le sue ultime pronunce in merito all'obbligo del giudice di dare congrua ed adeguata motivazione dei criteri seguiti per la liquidazione del danno da personalizzare in relazione alla specifiche condizioni del danneggiato post evento (v., tra le ultime, Cass. civ., sez. III, 18/02/2010, n. 3906: "il valore vincolante della definizione legislativa del danno biologico risultante dagli art. 138 e 139 d.lgs. 7 settembre 2005 n. 209 (c.d. codice delle assicurazioni), non avente carattere innovativo in quanto sostanzialmente ricognitiva e confermativa degli indirizzi giurisprudenziali in materia, impone, nella liquidazione del danno, un obbligo motivazionale congruo ed adeguato, che dia conto, ai fini del risarcimento integrale del danno alla persona e della sua personalizzazione, sia delle componenti a prova scientifica medico - legale, sia di quelle relative all'incidenza negativa sulle attività quotidiane (c.d. inabilità totale o parziale), sia di quelle che incidono sugli aspetti dinamico - relazionali della vita del danneggiato (che attengono anche alla perdita della capacità lavorativa generica e di attività socialmente rilevanti ovvero anche meramente ludiche, ma comunque essenziali per la salute o la vita attiva)"). Tuttavia, pur potendo considerarsi non del tutto congrua la motivazione esposta dal giudice di primo grado, deve concludersi per l'infondatezza dell'impugnazione sub. 2 perché, in concreto, il danno liquidato alla sig.ra T. risulta del tutto adeguato a ristorarla del pregiudizio subito alla sua componente soggettiva composta, unitariamente, di aspetti fisici, estetici, relazionali e "in senso lato" economici (in quanto legati alla compromissione della generica capacità di guadagno) perché ciò che deve essere risarcito sono tutte quelle componenti negative "che incidono sugli aspetti dinamico - relazionali della vita del danneggiato" (che attengono anche alla perdita della capacità lavorativa generica e di attività socialmente rilevanti ovvero anche meramente ludiche, ma comunque essenziali per la salute o la vita attiva, così come affermato da Cass. 3906/2010 citata). Valutati, pertanto, tutti i dati disponibili (CTU, chiarimenti, relazione critica del c.t.p., fotografie, età della parte, sua condizione sociale), questa Corte ritiene di dover confermare la valutazione del primo giudice non avendo a disposizione elementi di diversa e più corposa portata idonei a fondare una più consistente valutazione del danno subito dalla sig.ra T., sia per il danno estetico che per quello alla vita di relazione; tali componenti, giustamente fatte rientrare nell'unitaria liquidazione del danno alla persona, non assumono connotati e rilevanza tali da necessitare di una autonoma e differente valutazione. Con il terzo motivo di appello si contesta la quantificazione del danno morale (liquidato dal tribunale nella somma di Euro ,00) in quanto non satisfattivo delle reali sofferenze morali subite dalla danneggiata.

5 Anche questo motivo è, oltre che infondato, inammissibile per difetto di specificità (richiesta dall'art. 342 c.p.c.) posto che la appellante si limita a contestare l'importo liquidato facendo riferimento, generico, alla "premesse stesse ed i principi che hanno indotto il Giudice al riconoscimento del pregiudizio subito, laddove si tiene conto della sofferenza patita, della componente estetica accertata, della giovane età e del sesso della danneggiata, nonché del lungo periodo di invalidità transitoria", senza aggiungere una propria specifica deduzione in grado di contrastare l'argomentazione del giudice di primo grado. Il profilo di infondatezza del motivo in esame emerge, peraltro, dal consolidato orientamento giurisprudenziale che afferma non essere automatico il risarcimento del danno morale, perché anche esso componente del danno non patrimoniale, con necessità di valutazione distinta nell'ambito della personalizzazione legata al caso concreto (cfr. Cass. civ., sez. III, 24/02/2010, n. 4484: "in caso di lesioni conseguenti a infortunio stradale, il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale, rientrando tra i diritti fondamentali della persona, in quanto riguardante il diritto alla salute, spetta a tutte le persone, indipendente dalla cittadinanza (italiana, comunitaria ed extracomunitaria) e, quando il fatto illecito integri gli estremi di un reato, spetta alla vittima nella sua più ampia accezione, comprensiva del danno morale, inteso come sofferenza soggettiva causata da reato, del quale il giudice dovrà tener conto nella personalizzazione del danno biologico, non essendo consentita una liquidazione autonoma"). La liquidazione effettuata dal tribunale, contrariamente a quanto sostenuto dalla appellante, aveva effettuato una specifica personalizzazione del caso liquidando autonomamente il danno morale in rapporto alle caratteristiche della fattispecie esaminata (così dando conto delle ragioni della liquidazione che, in concreto, appare più che congrua). Con il quarto motivo di appello si censura la decisione del tribunale per avere proceduto alla rivalutazione della somma, versata in acconto dalla assicurazione in data , da quella data sino a quella delle decisione; sostenendosi che si era erroneamente applicato l'art c.c. Il motivo è infondato. A prescindere dall'assoluta irrilevanza della motivazione che aveva indotto la assicurazione a versare delle somme alla parte danneggiata (in acconto o per un ritenuto saldo delle altrui pretese), ciò che conta è che il pagamento avvenuto a favore di chi abbia diritto ad un risarcimento ha limitato l'entità del danno e delle sue conseguenze e da quel momento quel danno va risarcito con una somma, per equivalente, inferiore incidendo anche sul calcolo degli accessori che la legge collega al danno che, sino alla decisione del giudice, non è né certo, né liquido né esigibile (cfr. Cass. civ., sez. III, 30/05/2007, n : "non è imputabile agli interessi il versamento della provvisionale effettuato nel corso del processo a favore del danneggiato per il danno biologico derivatogli dall'illecito da circolazione stradale; è infatti inapplicabile l'art c.c., che presuppone

6 l'esistenza di un debito pecuniario già certo ed esigibile in ordine al quale imputare l'acconto secondo i criteri di quella norma, considerato che nella specie il debito di valore determinato dall'illecito non è valutabile sino al tempo della liquidazione del danno ovvero della sua identificazione, come danno biologico, in base ad un punteggio che ne consenta la valutazione in equivalente pecuniario"; e Cass. civ., sez. III, 21/04/2006, n. 9356: "l'art c.c. (che prescrive di imputare i pagamenti parziali prima agli interessi, e quindi al capitale) è stato dettato con riferimento alle obbligazioni pecuniarie, sicché esso non trova applicazione in materia di risarcimento del danno derivante da atto illecito"). Del tutto correttamente il primo giudice, in considerazione della natura di debito di valore del diritto nascente dal risarcimento danni, aveva rivalutato le somme già incamerate dalla danneggiata con decorrenza dalla data del pagamento parziale sino alla data della decisione. Con il V motivo di appello si contesta il mancato riconoscimento degli interessi legali a carico della Compagnia dal momento dell'evento dannoso così come per la rivalutazione monetaria. Il motivo è infondato perché, oltre alla assoluta genericità dello stesso ed al mero richiamo ad una pronuncia della Suprema Corte, non tiene conto alcuno della motivazione esposta dal primo giudice alle pagine 11/12/13 che aveva fatto corretta applicazione dei principi affermati dalla nota sentenza delle Sezioni Unite Civili 17/02/1995 n ("il danno subito per la mancata tempestiva corresponsione dell'equivalente pecuniario del bene danneggiato può essere liquidato in via equitativa, attraverso il ricorso agli interessi, non necessariamente determinati in misura corrispondente al saggio legale, da calcolarsi sulla somma corrispondente al valore del bene al momento dell'illecito via via rivalutata"); attribuendo alla appellante sia la rivalutazione che gli interessi a decorrere dal momento dell'evento. Va ribadito, a tal proposito, come sia oramai noto che l'obbligazione di risarcire il danno sia una tipica obbligazione di valore avendo la funzione, non di consegnare una determinata somma, ma quella di ricostruire integralmente il patrimonio del danneggiato, seppure elargendo, per equivalente, un somma di denaro. Ne consegue che al creditore spettano sia rivalutazione (per compensare il valore intrinseco del bene perduto) che lucro cessante (per compensare il mancato uso del bene perduto) utilizzando la tecnica di un tasso di interesse da determinare equitativamente (vedi la celebre Cass. Sez. Unite 17/2/1995 n e più di recente Cass. 10/3/2006 n. 5234, Cass. 2007/10884, nonché Cass. sez. un., 30/10/2008, n ). Per effettuare queste operazioni, seguendo un orientamento ormai consolidato si farà ricorso a due diversi tassi.

7 Per rivalutare il credito, ove necessario, si farà ricorso agli indici FOI, indici nazionali dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati, pubblicati dallo ISTAT (oggi reperibili sul sito (...)); per calcolare il lucro cessante, invece, si può fare ricorso al rendimento medio dei titolo di stato, sul presupposto che il creditore, se avesse potuto disporre della somma l'avrebbe investita in titoli di stato (c.d. "rendistato", pubblicato dalla Banca d'italia), ovvero applicare il tasso legale. Infine, poiché una volta liquidato, il risarcimento del danno, da credito di valore si trasforma in credito di valuta, su di esso vanno calcolati gli interessi legali data della sentenza; come risulta fatto nella sentenza impugnata. Con il VI motivo di appello si contesta la sentenza di primo grado in merito al riconoscimento del danno da lucro cessante solo tra la data dell'evento e la data del versato acconto. Richiamati i principi affermati nell'esame del motivo precedente, risulta evidente che anche questo motivo vada respinto perché i criteri seguiti dal tribunale risultano corretti dovendosi sempre tenere conto dei periodi durante i quali il creditore non ha potuto disporre della somma (equivalente al danno subito) a partire dall'evento dannoso sino alla liquidazione; e quindi ogni successivo, pur parziale, pagamento poiché limita il periodo di indisponibilità delle somme deve essere considerato e conteggiato. Con il VII motivo di appello si censura la decisione di compensare il 30% delle spese del giudizio. Le ragioni che avevano portato il tribunale a compensare in parte le spese di quel giudizio appaiono condivisibili, mentre le censire della appellante non appaiono degne di considerazione poiché si incentrano, ancora una volta ed erroneamente, sulla irrilevante natura delle somme versate dalla Compagnia di assicurazioni prima del giudizio (acconto o saldo). Ciò che aveva avuto rilievo per la decisione di compensare le spese del giudizio era stata la consistenza del versamento effettuato dalla assicurazione (Euro ,00) sin dal 16/09/2003 (a fronte dell'inizio del giudizio di tre anni successivo: data del deposito del ricorso), e "la divergenza tra la misura di danno richiesta (solo la invalidità permanente viene indicata in ricorso nella percentuale del 24%) e la misura di danno accertata". Ragioni queste che devono essere considerate come valide a soddisfare la necessità di motivazione per la compensazione parziale delle spese ex art. 92 c.p.c. L'appello qui in esame, per le ragioni indicate, va respinto. Di conseguenza la appellante va condannati al pagamento delle spese di questo giudizio, a favore della controparte, e liquidate come da notula tenuto conto del valore della controversia e della attività compiute dal procuratore. P.Q.M.

8 La Corte di appello di Roma - Terza Sezione Civile - definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza, eccezione e deduzione respinta, così decide sull'appello avverso la sentenza del Tribunale di Roma - Sezione XIII - emessa in data 16 aprile 2009 (con il n. 8284/09) proposto da T.I. nei confronti di M. S.p.A. + 1: a) Rigetta l'appello; b) Condanna la appellante alla rifusione delle spese sostenute dalla M. S.p.A. nel presente grado di giudizio, liquidandole in Euro 80,00 per spese, Euro 470,32 per diritti ed Euro 300,00 per onorari (oltre al rimborso forfettario delle spese generali, IVA e CAP come per legge). Così deciso in Roma il 27 gennaio Depositata in Cancelleria il 24 febbraio 2012.

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