AMBIENTE FISICO E TERRITORIO
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- Giulia Castellani
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1 AMBIENTE FISICO E TERRITORIO 8
2 Direttore Sergio PINNA Università degli Studi di Pisa Comitato scientifico Carlo DA POZZO Università degli Studi di Pisa Jean Pierre LOZATO GIOTART Université Sorbonne Nouvelle Paris 3 Luigi MARIANI Università degli Studi di Milano Giuseppe SCANU Università degli Studi di Sassari
3 AMBIENTE FISICO E TERRITORIO La Geografia è la disciplina che studia le relazioni fra uomo e ambiente; essa si propone quindi di osservare e classificare i molteplici fatti e fenomeni fisici e antropici che si sviluppano sulla superficie terrestre, per arrivare a un interpretazione relativa all organizzazione che le società umane hanno dato, o progettano di dare, al territorio. Questa collana vuole pertanto accogliere testi con contenuti di geografia umana e di geografia fisica, in quanto entrambi indispensabili per realizzare tale analisi interpretativa e poter così spiegare i processi sociali, economici e culturali che caratterizzano il territorio stesso.
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5 Sergio Pinna Geografia dei rischi naturali
6 Copyright MMXV Aracne editrice int.le S.r.l. via Quarto Negroni, Ariccia (RM) (06) ISBN I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento anche parziale, con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi. Non sono assolutamente consentite le fotocopie senza il permesso scritto dell Editore. I edizione: marzo 2015
7 INDICE PREFAZIONE Capitolo I ARGOMENTI INTRODUTTIVI 1. Premessa La struttura interna della Terra e la Tettonica a Placche Brevi note sul clima e i suoi caratteri di aggressività Il concetto di rischio Capitolo II IL RISCHIO VULCANICO 1. Alcuni concetti generali La distribuzione geografica globale delle aree vulcaniche Tipologie di eruzione e relativi livelli di pericolosità I fenomeni di pericolo connessi alle eruzioni esplosive La previsione delle eruzioni I vulcani attivi italiani L area vesuviana: quella a maggior rischio vulcanico al mondo I Campi Flegrei: un supervulcano nel nostro territorio Capitolo III IL RISCHIO SISMICO 1. Definizioni e concetti generali La distribuzione geografica della sismicità La Magnitudo dei terremoti Scale dell intensità e carte a isosisme Lo studio della sismicità e i criteri per la relativa zonazione La liquefazione del terreno in condizioni sismiche La vulnerabilità verso i terremoti e la mitigazione del rischio Capitolo IV IL RISCHIO TSUNAMI 1. Questioni generali e definizioni
8 2. I possibili tipi di genesi di uno tsunami La classificazione degli tsunami La distribuzione geografica degli tsunami Pericoli di tsunami dalla piana abissale del Tirreno? I sistemi di allarme Capitolo V IL RISCHIO IDROGEOLOGICO 1. Premessa Il Rischio Idraulico I fattori della pericolosità idraulica Corsi d acqua e relativi bacini idrografici Flusso, portata, episodi di piena ed esondazioni fluviali Note sul rischio idraulico in Italia Qualche cenno su alcune gravi alluvioni in Italia La mitigazione del rischio idraulico La gestione del territorio e le Autorità di Bacino I Movimenti Franosi La resistenza al taglio e i relativi tipi (tecnici) di rocce I fattori della franosità Movimenti lenti di massa nei versanti: creep e soliflusso Le frane Le rilevazioni in merito alla franosità del territorio italiano Due grandi eventi di frana verificatisi in Italia La mitigazione dei pericoli di frana Le Colate Detritiche (debris flow) Come si sviluppa una colata detritica Un rapido cenno ad alcuni eventi calamitosi in Italia I catastrofici debris flow in Venezuela, nel dicembre I Rischi da Erosione I fattori dell erosione Come valutare l entità dell erosione del suolo L erosione costiera e l arretramento delle spiagge Capitolo VI I GRANDI RISCHI METEORICI 1. Gli intensi Cicloni Tropicali (ed extratropicali) I Tornado BIBLIOGRAFIA
9 PREFAZIONE Le relazioni tra gli studi geografici e i pericoli di catastrofi naturali sono assai più strette di quanto si potrebbe pensare ad una prima analisi. In effetti, bisogna innanzi tutto ricordare che la Geografia è la disciplina che ha come obiettivo generale la conoscenza dei rapporti tra uomo e ambiente, cioè di tutte le molteplici interazioni delle società umane con lo spazio nel quale vivono. L ambiente è costituito da un insieme di elementi, sia naturali (biotici e abiotici) che antropici, e rappresenta una sorta di risorsa ideale che deve essere salvaguardata da eventuali processi di degradazione, onde mantenere le migliori condizioni possibili di vita. I disastri naturali, in quanto eventi in grado di compromettere in misura molto variabile, a seconda dei casi alcune importanti caratteristiche ambientali, appaiono, sotto questa luce, quali evidenti oggetti di studio delle discipline geografiche. Non deve poi essere trascurato il tema del paesaggio, inteso, con l approccio della geografia, come il tipico aspetto di una parte della superficie terrestre, frutto dell azione nel tempo di fattori naturali e antropici. Il paesaggio è un valore collettivo di grande importanza, perché rappresenta un bene culturale ma quasi sempre anche economico, che necessita di adeguata tutela rispetto a possibili azioni distruttive, tra le quali rientrano ovviamente le catastrofi naturali. Il presente volume è stato redatto per fungere da manuale di studio universitario in corsi geografici che trattino di tematiche ambientali: il testo ha perciò una struttura spesso piuttosto schematica, al fine di e- videnziare, di volta in volta, i punti salienti della trattazione e rendere così più semplice l apprendimento complessivo. Gli argomenti specifici, affrontati nei capitoli dal secondo al sesto, sono preceduti da una parte introduttiva che ha lo scopo di fornire una serie di informazioni di base, utili per inquadrare in modo corretto le nozioni successive. Il capitolo relativo al rischio idrogeologico contiene numerosi riferimenti ad un mio precedente trattato ( Rischi ambientali e difesa del 9
10 territorio, F. Angeli, 2002): segnalo la cosa in questa sede, onde evitare ripetuti richiami nel testo. Dato il sempre crescente interesse, pubblico e mediatico, verso le problematiche dei rischi ambientali, credo che questo libro possa risultare di interesse anche per un generico lettore che desideri capire meglio certe questioni, sulle quali, troppo spesso, la divulgazione è imprecisa ed orientata soltanto a certi risvolti sensazionalistici. Sergio Pinna 10
11 Capitolo I ARGOMENTI INTRODUTTIVI 1. Premessa I costi sociali delle catastrofi naturali, che la popolazione del Pianeta affronta ogni anno, sono elevatissimi in termini sia di perdita di vite umane, sia di danni economici; si pensi in proposito che il WMO (l organizzazione mondiale della meteorologia) stima che nel periodo i disastri connessi a fenomeni climatici abbiano causato quasi 2 milioni di vittime e procurato danni per circa 2500 miliardi di dollari. Cifre impressionanti e che oltretutto non comprendono, ovviamente, quanto addebitabile ai terremoti, agli tsunami ed alle eruzioni vulcaniche. In termini assoluti, le perdite più rilevanti si hanno nei paesi avanzati, in quanto la complessità del tessuto economico implica la presenza sul territorio di un infinità di infrastrutture e di relazioni orizzontali fra i suoi elementi e quindi aumenta di molto la possibilità che ogni singolo episodio abbia forti conseguenze negative. Se l ammontare delle perdite è superiore per gli stati forti, è però innegabile che il peso maggiore dei disastri naturali ricada sui paesi economicamente arretrati. Infatti la mancanza di organizzazione e di fondi disponibili impedisce loro di intraprendere le necessarie azioni preventive o successive agli eventi calamitosi, cosicché patiscono oltre il 90% delle vittime totali. Anche i costi finanziari, apparentemente non elevatissimi, assumono spesso una dimensione spaventosa, se confrontati con i bassi livelli locali di ricchezza; è stato valutato, ad esempio, che alcuni uragani di particolare violenza abbiano causato nell America centrale danni di un ordine di grandezza paragonabile al PIL degli stati interessati. Un singolo disastro naturale può quindi rallentare o bloccare del tutto per svariati anni ogni processo di sviluppo. In gran parte del mondo avanzato uno dei metodi di difesa adottati dalle istituzioni o dai singoli cittadini è il ricorso alla stipula di polizze assicurative, ma nei paesi arretrati il basso grado di cultura e la diffusa 11
12 12 Capitolo I povertà fanno sì che anche questa precauzione sia ben poco considerata. Tenuto conto delle gravissime conseguenze delle possibili catastrofi naturali, è evidente che uno dei principali obiettivi di tutte le politiche del territorio sia diventato quello di aumentare quanto possibile le sue capacità di sopportare il verificarsi di eventi calamitosi; fra i compiti dei pianificatori ha così assunto una sempre maggiore importanza la messa a punto di misure volte sia alla prevenzione dei rischi, sia alla mitigazione dei danni, successivamente all evento. Naturalmente le azioni di riduzione dei rischi ambientali hanno dei costi considerevoli, ma è già da tempo convinzione diffusa che i Governi debbano limitare al massimo gli investimenti per gli aiuti nel dopo-disastro e dirigere la spesa verso i programmi di prevenzione. In questo modo si ottiene il duplice risultato di contenere il numero di vittime nelle future catastrofi e di perseguire anche la migliore efficienza economica, dato che l atteggiamento basato sull assistenza ex post ha frequentemente prodotto effetti non soddisfacenti. Uno dei più evidenti problemi generati dalle politiche di sostegno alle aree sinistrate è quello di produrre sovente un aumento delle costruzioni e delle infrastrutture rispetto al passato, accrescendo così la vulnerabilità complessiva del territorio e quindi la probabilità di danni ancora più seri in occasione di successivi eventi calamitosi; gli esempi di questo in Italia non mancano davvero. Per quanto concerne il nostro Paese, è bene precisare che fino agli anni 60 il problema della salvaguardia del territorio è però rimasto quasi del tutto confinato nella sfera scientifica, per passare anche in quella politica sotto la spinta di quanto accaduto nella famosa alluvione del novembre 66. Infatti, il piano economico noto come Piano Pieraccini e già quasi completamente elaborato a quel momento venne infatti integrato poco prima della sua approvazione con una serie di norme concernenti la difesa del suolo ed accompagnate da cospicui finanziamenti, derivanti da una ridistribuzione degli investimenti totali. Pur con un certo ritardo e talvolta in modo contraddittorio, le politiche di pianificazione e di governo del territorio del nostro Paese hanno quindi iniziato da allora ad avere tra i propri obiettivi la mitigazione dei rischi, un fatto indispensabile per sperare di poter ri-
13 Argomenti introduttivi 13 durre quei forti costi sociali che la popolazione ha sempre dovuto sopportare. Nonostante gli innegabili progressi riscontrati negli ultimi decenni in tema di salvaguardia e di prevenzione dalle catastrofi naturali, il quadro generale è ancora oggi insoddisfacente, con un esposizione davvero eccessiva a vari tipi di rischio. Fra le molteplici cause di questo, una delle più rilevanti è quella dovuta al fatto che il sistema politico tende a privilegiare la risoluzione di problemi di breve periodo, per averne un ritorno immediato e più appariscente; la difesa del territorio diviene così un campo nel quale può mancare un impegno concreto, in quanto i risultati si apprezzano solo su tempi medio-lunghi e sono perciò meno percepiti dalla maggioranza degli elettori. Tra i motivi, forse non principali ma di certo anche non trascurabili, dei ritardi italiani nella difesa dai rischi naturali vi è la mancanza di una visione geografica globale della situazione, una costante purtroppo del modo di procedere nei nostri programmi di pianificazione. A contribuire ad essi vengono chiamati specialisti di discipline diverse, tra i quali però il geografo è spesso dimenticato, nonostante il ruolo precipuo che potrebbe avere nel coordinare i vari apporti scientifici, grazie alla sua capacità di riconoscere nel paesaggio i caratteri naturali ed i segni lasciati dall opera umana, ponendosi in posizione centrale rispetto ai problemi di ordine fisico-geologico da un lato, ed a quelli di ordine antropico dall altro, arrivando in definitiva ad interpretare gli aspetti complessivi del rapporto uomo-ambiente. Per affrontare in modo sintetico la questione delle catastrofi naturali, è uso comune raggruppare le molte forme di rischio in quattro categorie generali: rischio vulcanico rischio sismico rischio idrogeologico rischio meteorico L ultimo gruppo è relativo a fenomeni quali ad esempio tornado, uragani, grandi mareggiate, forti temporali e colpi di vento; gli altri tre hanno sempre relazione con le caratteristiche del suolo o del sottosuolo, per cui sono complessivamente indicabili come rischio geologico. I
14 14 Capitolo I successivi capitoli del testo, seguendo in linea di massima la suddetta impostazione, saranno dedicati alle tipologie principali di rischio. Nella presente introduzione è parso logico riportare anche qualche cenno su due argomenti di grande importanza per il nostro discorso: la tettonica a placche e il clima. Una conoscenza della prima è infatti indispensabile per capire gli aspetti generali della distribuzione geografica di terremoti e vulcani; d altro canto il clima gioca, come ovvio, un ruolo essenziale nei fenomeni che rientrano nel rischio meteorico, ed è molto spesso determinante anche per quasi tutti quelli che compongono il rischio idrogeologico. 2. La struttura interna della Terra e la Tettonica a Placche La Terra ha una densità media di 5, kg/m 3 ; in superficie i valori sono in genere inferiori a 3 ed aumentano con la profondità fino ad oltre 12 nella parte centrale. La struttura interna del nostro Pianeta è caratterizzata da tre unità fondamentali: la Crosta, il Mantello e il Nucleo (Fig. 1.1). La Crosta costituisce il guscio più esterno, con spessore molto ridotto nelle aree oceaniche (anche < 10 km) ed invece assai superiore in quelle continentali, dove può arrivare a oltre 70 km in corrispondenza di grandi catene montuose. La discontinuità di Mohorovicic (detta Moho ) segna il passaggio al mantello, con rocce di densità maggiore. Il Mantello può essere approssimativamente suddiviso in due sottounità: superiore e inferiore. La porzione superiore arriva a circa 700 km di profondità, quella inferiore, formata da materiali più densi, fino a 2900 km, cioè alla discontinuità di Gutemberg, oltre la quale si trova il nucleo. Anche nel Nucleo sono ben distinte una parte esterna ed una interna: la prima è costituita da materiali a comportamento di tipo liquido, con densità vicine a kg/m 3 ; la seconda è invece solida e la sua densità è di Tutte le informazioni sulla composizione della Terra non possono ovviamente provenire da indagini dirette, in quanto anche i sondaggi più profondi coprono una parte minima del raggio terrestre; è lo studio delle onde sismiche a fornire quindi i dati fondamentali (Fig. 1.2).
15 Argomenti introduttivi 15 Fig. 1.1 Schema sintetico della struttura della Terra; i valori di profondità e di densità riportati devono essere considerati come approssimativi. Fig. 1.2 L andamento della velocità delle onde sismiche P ed S, in rapporto alla struttura interna della Terra.
16 16 Capitolo I In effetti le discontinuità fra i diversi strati sono individuate in base a cambiamenti della loro velocità; si noti in particolare il passaggio mantello-nucleo, segnato da una drastica caduta di quella delle onde P e dall interruzione del percorso per le S, in quanto caratterizzate da oscillazioni di tipo trasversale rispetto alla direzione di propagazione e perciò impossibilitate ad attraversare i liquidi (l argomento delle onde sismiche sarà ripreso nel terzo capitolo). Litosfera e Astenosfera L osservazione della figura 1.2 mostra come, allontanandosi dalla superficie, la velocità delle onde aumenti. La Moho, cioè il confine tra crosta e mantello, è contraddistinta da un evidente salto positivo delle stesse (grosso modo da 6,5 ad oltre 8 km/s per le P), cui segue però, ad una profondità variabile all incirca tra 70 e 150 km, una moderata riduzione che indica l inizio di uno strato reologicamente più debole, nel quale si ritiene che abbiano sede dei fenomeni chiave per la dinamica globale, dei quali faremo cenno tra breve. Definiamo Litosfera l insieme della Crosta e del primo spessore del Mantello, detto LID (Fig. 1.1); si tratta nel complesso di una struttura rigida rispetto ai materiali ad essa sottostanti che si mostrano appunto relativamente più plastici. Astenosfera è il nome dello strato più debole presente al di sotto della litosfera; secondo alcune teorie esso termina alla sommità del mantello inferiore (circa 700 km), ma la presenza di una precedente discontinuità ( km) per le onde sismiche suggerisce quest ultima profondità come più attendibile limite. La Tettonica a Placche La teoria della tettonica a placche (dette anche zolle ), elaborata negli anni 60 dello scorso secolo e rapidamente divenuta il paradigma generale per tutti gli studi nel campo geologico, descrive i movimenti delle grandi strutture litosferiche e le forze che agiscono su di esse, dando conto dell esistenza e della distribuzione geografica di molti e- lementi quali catene montuose, dorsali e fosse oceaniche, vulcani, terremoti ecc.
17 Argomenti introduttivi 17 Fig. 1.3 Le principali placche tettoniche nelle quali è frazionata la litosfera. La litosfera è frammentata in numerose porzioni (dette appunto placche ) di cui una dozzina è di dimensioni rilevanti, mentre le rimanenti hanno ridotta estensione e sono originate dagli attriti esistenti fra le grandi zolle (Fig. 1.3). Tutte le placche sono in continuo movimento rispetto alla sottostante astenosfera; alcune scorrono l una accanto all altra, altre tendono a convergere, cioè a scontrarsi, altre ancora divergono tra di loro. I materiali che costituiscono la litosfera si formano progressivamente nelle aree lungo le quali le zolle si allontanano e vengono invece consumati in quelle di convergenza. I continenti, inseriti nelle rispettive placche, ne seguono necessariamente il movimento; le teoria è quindi in grado di spiegare il meccanismo e l evoluzione nel tempo della loro deriva, uno degli argomenti che più aveva colpito l attenzione degli studiosi sin dalla prima formulazione delle idee di Alfred Wegener, nel Il motore che consente lo spostamento delle zolle litosferiche è dato da celle convettive di materiale nell astenosfera, alimentate da un calore profondo, presumibilmente originato dal decadimento di isotopi radioattivi (Fig. 1.4).
18 18 Capitolo I Fig. 1.4 Le celle convettive dell astenosfera. Dove i flussi di materiale divergono (1), le sovrastanti placche si allontanano, determinando una zona di formazione di nuova litosfera (A); dove invece i flussi convergono (2), si hanno le aree nelle quali la litosfera viene consumata (B). Fig. 1.5 I margini che separano le placche principali; la direzione delle frecce serve a distinguere le tre tipologie: convergenti, divergenti e trasformi.
19 Argomenti introduttivi 19 Si ritiene in pratica che, su tempi di ordine geologico, possano verificarsi nell astenosfera dei flussi analoghi a quelli che si osservano in una massa liquida posta in un contenitore che viene scaldato dal basso. Tali flussi determinano la tipologia del margine fra due placche confinanti (Fig. 1.5 e 1.6); questo può essere divergente, convergente o trasforme (Press et al., 2006). - Margini Divergenti Nei bacini oceanici sono rappresentati dalle dorsali. Si tratta di lunghissime catene montuose sottomarine che presentano un solco (rift) lungo tutto il loro asse longitudinale (Fig. 1.7); in esse ha luogo una costante attività vulcanica effusiva che determina la creazione di nuova litosfera. Un tipico esempio di dorsale è quello della Medio-Atlantica che, partendo dai fondali artici, arriva quasi al circolo polare antartico; l Islanda è l unico luogo nel quale questa dorsale emerge (Fig. 1.7). In aree continentali i margini divergenti si traducono nella formazione di grandi depressioni di forma allungata (rift valley) che, come nel caso dell Africa Orientale, preludono all apertura di una futura zona oceanica (Fig. 1.8). Anche il Mar Rosso e il Golfo della California ne sono esempi, ma in forma evolutiva più avanzata, visto che le rispettive rift valley sono già state invase dalle acque marine. Tutti i margini divergenti sono sedi di vulcanismo e di frequente attività sismica, molto localizzati per le dorsali e con distribuzione più ampia nelle regioni di rift continentale. - Margini Convergenti Quando sono due placche oceaniche a scontrarsi, una discende al di sotto dell altra verso il mantello in un processo detto subduzione; questa spinta verso il basso determina la formazione di una lunga e stretta fossa oceanica e crea le condizioni per un intensa attività vulcanica che origina degli archi insulari come quelli che possiamo osservare nel Pacifico occidentale (Filippine). Se una zolla oceanica collide con una continentale, è sempre il margine della prima a piegarsi e a scorrere verso il basso; tale subduzione origina una fossa nei fondali marini, mentre sul lato continentale gli enormi sforzi in gioco fanno nascere una catena montuosa grosso modo parallela alla costa: l America meridionale è il classico e- sempio di tale situazione, con la cordigliera delle Ande che per
20 20 Capitolo I migliaia di chilometri corre lungo la costa. Tutte le zone di subduzione sono interessate da terremoti anche di elevata e- nergia, con epicentri sia negli strati superficiali della crosta, sia profondi (fino a oltre 600 km), lungo le porzioni di litosfera che si immergono nel mantello (Fig. 1.9). Nella convergenza infine tra due placche continentali non possono ovviamente sussistere le condizioni per una classica subduzione di tipo o- ceanico. In effetti la collisione dell India con la zolla eurasiatica ha determinato il sovrascorrimento di quest ultima sulla prima, che però non si è incuneata nel mantello, ma è rimasta al di sopra di esso, dando luogo ad un raddoppiamento dello spessore litosferico, con la relativa formazione della più alta catena montuosa del mondo, l Himalaya, e del grande Altopiano del Tibet. In questa regione, come in altre di convergenza continentale, si verificano terremoti violenti. - Margini Trasformi In alcune situazioni le placche scivolano l una a fianco dell altra, col risultato che non si ha creazione o distruzione di litosfera: si parla pertanto di margini conservativi. Tali margini corrispondono alle faglie trasformi, fratture lungo le quali avviene lo spostamento orizzontale reciproco di due blocchi adiacenti. Le faglie trasformi caratterizzano tipicamente le dorsali oceaniche, che appaiono infatti come disarticolate in molteplici segmenti, proprio per le dislocazioni con andamento trasversale rispetto a quello dello sviluppo generale della catena. Un notissimo esempio di margine trasforme presente sulle terre emerse è quello della faglia di San Andreas in California, lungo la quale è possibile constatare che le rocce affioranti hanno età diverse nei due lati, per lo scorrimento relativo in corso da milioni di anni. I movimenti di questa faglia hanno generato intensi terremoti anche in epoche recenti e si teme che possa verificarsi un nuovo evento catastrofico nei prossimi decenni.
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