1 CAUSE E PROCESSI DI MODELLAMENTO DELLA SUPERFICIE TERRESTRE

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1 1 Cause e processi di modellamento della superficie terrestre 1 CAUSE E PROCESSI DI MODELLAMENTO DELLA SUPERFICIE TERRESTRE 1.1 Cause L evoluzione e il modellamento di ogni forma della superficie terrestre dipendono da tre insiemi di cause: fattori geologici: quali la tettonica o la litologia delle rocce; agenti del modellamento (o agenti morfogenetici): quali ad esempio la forza di gravità, l acqua, il vento, l azione dell uomo; condizioni climatiche: radiazione solare, umidità dell aria, pressione atmosferica, tipo e distribuzione delle precipitazioni, delle temperature, ecc. I tre tipi di cause sopra descritti si ritrovano in ogni forma della superficie terrestre. Ad esempio una duna di un deserto è costituita da sabbia (fattore geologico), è accumulata dal vento (agente del modellamento), in ambiente arido privo di vegetazione (condizione climatica); una costa a picco sul mare può essere stata generata da una faglia su rocce ad esempio calcaree (fattori geologici), è modellata ad opera delle onde e della gravità (agenti del modellamento), in ambiente litorale ad esempio temperato (condizione climatica). 1.2 Processi Un primo tipo di distinzione può essere fatto tra forze endogene e forze esogene, da cui risultano i relativi gruppi di processi endogeni e processi esogeni, e le forme corrispondenti. Al primo gruppo appartengono i fenomeni tettonici, sismici, vulcanici, ecc.; al secondo i fenomeni legati all atmosfera, all idrosfera, alla biosfera, siano essi di natura fisica, chimica o biologica. Le forme della superficie terrestre, sia che siano prevalentemente di origine endogena o legate essenzialmente a cause esogene, tutte risultano modellate dai processi esogeni. I processi esogeni del modellamento geomorfologico si suddividono in tre tipi: - erosione; - trasporto; - sedimentazione. I processi esogeni possono essere inoltre di tipo fisico o di tipo chimico. Nei primi, a differenza dei secondi, non interviene alcuna modificazione nella composizione chimica della roccia. Facendo riferimento alla loro distribuzione geografica, con particolare riguardo al clima della superficie terrestre, si può distinguere tra processi zonali e azonali. I processi zonali (o climatici) sono quelli caratteristici di una determinata zona climatica (es. processi glaciali o processi di modellamento delle dune desertiche). I processi azonali non dipendono dalle condizioni climatiche e perciò si sviluppano indifferentemente in ogni parte della superficie terrestre (es. processi legati alla forza di gravità). Di seguito vengono presi in esame sinteticamente i principali tipi di processi erosivi che possono interessare la superficie terrestre, mentre nei capitoli successivi (2, 3 e 4) vengono trattati con maggiore dettaglio i processi e i fenomeni riguardanti la dinamica dei versanti e la dinamica fluviale. 1.3 Degradazione dei versanti Con essa si possono intendere tutti i processi geomorfologici che determinano fenomeni progressivi di demolizione e di abbassamento del rilievo terrestre. Questo progressivo abbassamento dei rilievi inizia con la disgregazione, l alterazione e la frantumazione della roccia e prosegue con lo spostamento, la caduta o il trasporto, ad opera della forza di gravità o delle acque meteoriche o del vento ecc., di questi detriti o di porzioni stesse di roccia, sia come elementi isolati, che come materiale in massa. 1-1

2 1 Cause e processi di modellamento della superficie terrestre Degradazione meteorica Questi processi consistono nelle modificazioni fisiche e chimiche di una roccia in contatto con l atmosfera, l idrosfera e la biosfera. Si può distinguere tra processi di degradazione fisica e chimica Processi di degradazione fisica Crioclastismo: determinato dalle pressioni esercitate dall acqua sulle pareti rocciose, quando aumenta di volume nel momento del congelamento. Termoclastismo: determinato dalle variazioni di temperatura, prodotte dall insolazione, che producono dilatazioni e contrazioni delle rocce. Queste azioni ripetute per lunghi periodi di tempo possono portare alla frantumazione dei materiali rocciosi. Idroclastismo: dovuto all assorbimento di acqua da parte delle rocce e a ripetute alternanze di umidificazioni ed essiccazioni, che possono causare particolari fenomeni di degradazione. Aloclastismo: le azioni meccaniche conseguenti alla cristallizzazione o al rigonfiamento di sali entro fenditure possono produrre deformazioni e disgregazioni della roccia. Bioclastismo: comprende quei processi di frammentazione fisica conseguenti ad azioni di esseri viventi Processi di degradazione chimica Soluzione: dovuta al fatto che alcuni minerali (quali salgemma o gesso) sono solubili in acqua. Le rocce da essi costituiti possono pertanto essere sede di processi di soluzione. Idrolisi: determinata dalla reazione chimica tra acqua e alcuni minerali. Idratazione: consiste nell assunzione di acqua di cristallizzazione da parte di un minerale (ad es. la trasformazione dell anidrite in gesso). Ossidazione: è la reazione chimica che alcuni minerali hanno con l ossigeno presente nell atmosfera o nell acqua. Azioni biochimiche: gli organismi animali e vegetali presenti nel terreno possono determinare anche fenomeni di tipo chimico Dilavamento Le acque piovane producono importanti effetti geomorfologici legati sia all azione diretta d impatto della pioggia sul terreno, sia a quella dello scorrimento dell acqua in superficie. I processi che ne derivano sono detti di dilavamento o di erosione pluviale. Si possono distinguere vari tipi di processi di dilavamento (erosione da impatto, erosione laminare, erosione per rigagnoli, erosione per fossi) Fenomeni franosi Essi rientrano nella categoria più generale dei movimenti di massa, o movimenti in massa, ovvero dei processi morfogenetici caratterizzati da movimenti di masse di materiale sulla superficie della terra che avvengono in seguito all'azione della gravità. La gravità non è il solo agente che entra in gioco per quanto riguarda i movimenti di massa in generale ed i fenomeni franosi in particolare. Infatti anche l'acqua, sia superficiale che di sottosuolo, ha un ruolo rilevante. Si possono distinguere vari tipi di fenomeni franosi (crolli, ribaltamenti, scivolamenti, espansioni laterali, colate, complessi). 1.4 Erosione fluviale L erosione fluviale consiste in generale nell asportazione dei materiali del fondo o delle sponde di un alveo fluviale. L erosione di fondo (o degradazione) è quella che la corrente esercita sul fondo del fiume ed ha come risultato un progressivo abbassamento dell alveo. L erosione laterale o di sponda è quella che invece agisce sulle sponde a causa dell azione della corrente combinata al manifestarsi di movimenti di massa. Essa può verificarsi in associazione o indipendentemente da quella di fondo. 1-2

3 1 Cause e processi di modellamento della superficie terrestre 1.5 Erosione marina Con il termine di erosione marina vengono in generale indicati una serie di processi morfogenetici legati all azione delle acque litorali del mare (prelievo e assunzione in carico di materiale detritico, azione meccanica d urto delle onde contro la costa, disgregazione delle rocce a causa della presenza dell acqua del mare, ecc.). L eventuale arretramento della linea di costa determinato dall erosione marina può avere rilevanti impatti quali danni a manufatti, perdita di territorio spesso di elevato pregio turistico e paesaggistico, danni alla vegetazione naturale e alle coltivazioni, ecc. 1.6 Altre forme di erosione Oltre ai fenomeni di degradazione dei versanti, all erosione dovuta alle acque di precipitazione, a quelle incanalate o all azione del mare, esistono altri tipi di erosione. Questi ultimi però rivestono minore importanza in quanto sono limitati a zone particolari e, soprattutto in Italia, interferiscono scarsamente con le attività antropiche. Erosione eolica: erosione determinata dall azione del vento. Erosione glaciale: comprende i processi di erosione legati alla presenza dei ghiacciai. Erosione periglaciale: processi dominanti nell ambiente periglaciale ed essenzialmente legati al basso valore della temperatura. L ambiente periglaciale è sviluppato soprattutto in due zone climatiche, quella delle alte latitudini e quella delle elevate altitudini. Erosione carsica: determinata dalla soluzione chimica di certi tipi di rocce (processi di degradazione meteorica chimica). 1-3

4 2 Erosione del suolo 2 EROSIONE DEL SUOLO In questo capitolo si concentrerà l attenzione sulle forme di erosione del suolo dovute all acqua meteorica (dilavamento), anche se da un punto di vista generale l erosione del suolo può essere attribuita anche ad altri tipi di processi, quali erosione fluviale, erosione eolica ecc., secondo le definizioni fornite nel capitolo precedente. 2.1 Definizioni e terminologia Il suolo costituisce uno strato superficiale di materiale che ha origine dalla trasformazione cui le rocce sono sottoposte dal momento in cui vengono a trovarsi alla superficie, in un ambiente anche notevolmente differente da quello in cui sono state originate (Fig.2.1). Queste complesse trasformazioni e reazioni fisico-chimiche conferiscono al suolo una serie di caratteri propri e specifici, quali la struttura o tessitura, il colore, la sostanza organica, gli orizzonti pedologici, che permettono di differenziarlo dalla roccia del substrato. Fig Roccia, roccia alterata e suolo. La struttura definisce la disposizione spaziale delle particelle primarie, dei loro aggregati e dei vuoti presenti nel suolo. Le particelle primarie sono l argilla, il limo, la sabbia, la sostanza organica, i composti di ferro e manganese, il carbonato di calcio. Si possono distinguere vari tipi di strutture (Fig.2.2 e 2.3), quali prismatica, colonnare, poliedrica angolare, poliedrica subangolare, lamellare, granulare. Il colore del suolo è raramente omogeneo e può variare sensibilmente all interno dello stesso orizzonte. Esso è strettamente funzione del chimismo del suolo. Il contenuto di sostanza organica all interno dei suoli varia sensibilmente ed è concentrato vicino alla superficie, deriva da resti di fibre vegetali e tessuti animali che, decomponendosi secondo complessi processi, danno luogo ad un composto detto humus. Il termine profilo del suolo indica la suddivisione del suolo in orizzonti pedologici, che differiscono per tessitura, colore e consistenza. I suoli sono riconosciuti e classificati in ampi gruppi in base alle caratteristiche del loro profilo. Fondamentalmente si riconoscono tre parti del profilo del suolo. Gli orizzonti A e B rappresentano il vero suolo; l orizzonte C si trova in profondità ed è costituito dalla roccia madre alterata. Al di sotto c è la matrice rocciosa denominata orizzonte D (Fig.2.4). 2-1

5 2 Erosione del suolo Fig Le forme degli aggregati del suolo. Fig.2.3 Quattro delle principali strutture del suolo. Il segmento nero in ogni fotografia è lungo 2.54 cm. 2-2

6 2 Erosione del suolo Nelle regioni a clima umido l orizzonte A è composto da due parti ben distinte. Il livello superiore A 1 è ricco di materia organica ed è di colore scuro. Quello inferiore o A 2 corrisponde ad una zona di eluviazione, cioè di migrazione verso il basso dei componenti del suolo per mezzo delle acque che lo attraversano. L orizzonte B è invece una zona di accumulo dei colloidi e di altri componenti chimici del suolo (illuviazione) ed è scuro, in contrasto con il livello A 2 soprastante. La pedogenesi si svolge all interno del suolo ad opera soprattutto di azioni chimiche e biologiche; conduce ad un progressivo aumento dello spessore del suolo a spese del substrato geologico (roccia madre) e alla sua differenziazione in orizzonti. Molti tipi di processi e fattori, conosciuti complessivamente come fattori pedogenetici, interagiscono nello sviluppo di un suolo. I cinque principali fattori pedogenetici sono: 1) tipo di roccia madre; 2) tipo di rilievo; 3) durata della pedogenesi; 4) clima; 5) attività biologiche. Per quanto riguarda ad esempio il fattore topografico (tipo di rilievo) (Fig.2.5), si può osservare che, dove si ha un versante ripido, l erosione per ruscellamento è più veloce ed il suolo ha poche possibilità di svilupparsi, pertanto il suo spessore sarà limitato o nullo. Sulle superfici pianeggianti degli altipiani si accumula invece un suolo potente con uno spesso strato di argilla compatta, fortemente lisciviato. I rilievi ondulati, dove il drenaggio è buono ma l erosione è lenta, sono considerati i più adatti alla formazione del suolo. Si distingue tra suoli zonali e intrazonali. I primi si formano in terreni ben drenati per l azione prolungata del clima e della vegetazione e sono di gran lunga i più diffusi. I suoli intrazonali si formano invece in condizioni di difficile drenaggio, come ad esempio negli stagni e nelle aree inondabili. L importanza economica del suolo è particolarmente rilevante, spesso sottovalutata, pertanto la sua perdita rappresenta una diminuzione per l economia di un paese. I processi di erosione del suolo possono avere come conseguenze: la perdita di terreno agricolo, danni a colture, interrimento rapido di serbatoi artificiali, ecc. Fig.2.4 Orizzonti del profilo di un suolo. 2-3

7 2 Erosione del suolo Fig.2.5 Fattori topografici dell evoluzione del suolo. 2.2 I processi e le forme di erosione Il processo erosivo può assumere vari aspetti, che possono permanere isolati ma anche essere collegati fra loro in una successione sia temporale che spaziale (da quote più elevate a quote inferiori), ciascuno dei quali produce forme proprie, chiaramente individuabili e distinguibili dalle altre (Fig.2.6). Fig Processi di erosione del suolo. 2-4

8 2 Erosione del suolo 1) Erosione da impatto (splash erosion). L innesco del processo avviene per azione delle acque di precipitazione: le gocce di pioggia, nel loro impatto con la superficie non protetta del suolo, provocano il distacco delle particelle che lo costituiscono; lanciate in aria, queste ricadono a qualche centimetro di distanza dal punto di impatto (Fig.2.7). 2) Erosione laminare (sheet erosion). Le acque meteoriche che non si infiltrano nel terreno tendono, soprattutto se questo possiede un minimo di pendenza, a scorrere sui versanti soggette alla forza di gravità. Questo ruscellamento superficiale (overland flow) consiste in una sottile lama d acqua che provoca una erosione areale sul versante. 3) Erosione per rigagnoli (o per rivoli) (rill erosion). L aumento della quantità o dell intensità della pioggia, oppure il progressivo arricchimento delle acque di ruscellamento dalla sommità verso la base dei versanti, determinano un incremento via via crescente della portata e della velocità, quindi del potere erosivo delle acque. Queste via via si concentrano entro linee sub-parallele di scorrimento preferenziale (ruscellamento concentrato), formando dei rigagnoli o rivoli che tendono sempre più ad approfondirsi. 4) Erosione per fossi (gully erosion). Il progressivo approfondimento dei rivoli produce una incisione a solchi che, una volta innescata, si evolve rapidamente, approfondendosi, allungandosi e ramificandosi, con un progressivo arretramento delle testate delle incisioni. L erosione da impatto e l erosione laminare vengono comunemente accomunate con il termine più generale di erosione areale, mentre per erosione lineare si intende l erosione per rigagnoli e quella per fossi. La quantità di suolo asportata per erosione laminare o per rigagnoli o fossi dipende da vari fattori, quali ad esempio l intensità della precipitazione, il tipo di suolo, la copertura vegetale, la pendenza del versante, ecc. A parità di condizioni si è osservato sperimentalmente che la perdita di suolo dovuta alla rill erosion può essere maggiore di circa un fattore 10 2 rispetto a quella causata dalla sheet erosion. I materiali rimossi dall erosione laminare, una volta raggiunta la base del versante, dove il gradiente si riduce quasi a zero in prossimità del fondovalle, si fermano e si depositano in strati successivi formando i cosiddetti depositi colluviali (colluvium). Quei materiali che invece raggiungono il reticolo idrografico sono destinati a diventare alluvioni (alluvium), termine con il quale si indicano tutti i sedimenti trasportati e deposti dai corsi d acqua (depositi alluvionali). Fig Movimento delle particelle del suolo in seguito all impatto di una goccia di pioggia: a) su superficie pianeggiante; b) su superficie inclinata. Esistono altre forme di erosione del suolo meno evidenti ed in genere meno importanti, quali quelle prodotte dall azione delle acque sottosuperficiali, cioè di quella aliquota delle acque di precipitazione che si infiltra nel terreno. Un altra forma di erosione molto caratteristica è rappresentata dai calanchi (Fig.2.8). Essi si formano prevalentemente su rocce argillose in quanto queste sono scarsamente permeabili e facilmente erodibili a causa delle piccolissime dimensioni dei clasti di cui sono costituite. Poichè in questi terreni l infiltrazione è quasi nulla, il ruscellamento superficiale è molto intenso ed aggressivo, producendo la tipica morfologia costituita da una rete di innumerevoli rigagnoli e vallecole (solchi con profilo trasversale a V profondo) generalmente nude o scarsamente vegetate. 2-5

9 2 Erosione del suolo Fig Calanchi. 2.3 Fattori dell erosione I possibili fattori di erosione possono essere raggruppati in tre categorie, ciascuna delle quali esprime una funzione particolare; una loro ulteriore caratterizzazione può basarsi sul fatto che essi siano permanenti e non modificabili (ad esempio: erosività della pioggia) o temporanei e modificabili soprattutto per intervento dell uomo (ad esempio: terrazzamenti per ridurre la lunghezza e la pendenza dei versanti) Fattori di energia Sono quelli che innescano e mantengono più o meno attivo il processo erosivo. 1) Erosività della pioggia o aggressività. Può essere definita come la capacità di un evento piovoso di causare erosione. Es sa dipende direttamente, in termini di energia cinetica globale, dalla quantità delle precipitazioni relative ad un dato evento, dalla durata e dall intensità dello stesso (Fig.2.9), e da massa, diametro e velocità terminale delle gocce di pioggia. 2) Entità del ruscellamento. E la quantità di acqua che defluisce su di un certo tratto di versante in conseguenza di un evento piovoso. 3) Energia del rilievo. E espressa sostanzialmente, all interno di una determinata area, dalle differenze di quota fra le parti più elevate e quelle più depresse. 4) Pendenza e lunghezza del versante. Sono diretta conseguenza del fattore precedente: l erosione aumenta al loro aumentare (Fig.2.10) Fattori di resistenza Sono relativi alle caratteristiche fisiche del suolo e alle forme della sua utilizzazione. 1) Erodibilità del suolo. E la vulnerabilità del suolo nei confronti degli agenti erosivi. Dipende a sua volta dalle seguenti caratteristiche del suolo: tessitura, struttura, contenuto di sostanza organica e permeabilità. 2) Gestione del suolo. E soprattutto riferita all attività agricola e silvo-pastorale, in quanto i suoi molteplici aspetti influenzano direttamente le caratteristiche precedenti. 2-6

10 2 Erosione del suolo Fig Relazione tra energia cinetica ed intensità della pioggia. Fig Relazione tra intensità della pioggia, pendenza del versante (I) e perdita di suolo Fattori di protezione Il loro effetto e la loro efficacia nel mitigare l intensità del processo erosivo dipendono strettamente dalle relazioni uomo -ambiente in ciascun tipo di clima. Si possono ricondurre ai due seguenti principali fattori. 1) Copertura vegetale. Molto importanti sono il tipo, il ciclo e la densità di copertura vegetale, naturale o imposta dall uomo (Fig.2.11, 2.12, 2.13, 2.14). La Fig.2.11 mette ben in evidenza come l erosione non dipenda solo dalle precipitazioni ma anche dalla copertura vegetale; la Fig.2.13 evidenzia l importanza del fattore antropico, mentre la Fig.2.14 mostra l effetto della pendenza del versante, oltre che della copertura vegetale. 2) Gestione del territorio. Dall elenco precedente risulta chiaro su quali fattori si può intervenire per limitare l azione erosiva e contenerla in livelli ammissibili. 2-7

11 2 Erosione del suolo Fig Valori di erosione stimati in funzione delle precipitazioni e della copertura vegetale. Fig Cicli stagionali di precipitazioni (a), copertura vegetale (b) ed erosione. Fig Erosione dovuta alle precipitazioni in funzione dell intervento antropico sulla vegetazione. Fig Effetto della pendenza di un versante sull erosione per differenti livelli di produzione di mais. Livello di erosione ammissibile (FAO): ton/ha/anno, corrispondenti a circa mm/anno di abbassamento del suolo. 2-8

12 2 Erosione del suolo 2.4 Metodi per la misura dell erosione La misura delle perdite di suolo può essere fatta in campo, sia in condizioni di pioggia naturale che simulata, od in laboratorio utilizzando anche in questo caso appositi simulatori di pioggia. Le misure in campo, in condizioni di pioggia naturale, sono certamente le più attendibili, ma devono protrarsi per un certo numero di anni in modo che possano essere riferite sia ad una serie di eventi piovosi molto ampia, includente anche gli eventi eccezionali, sia a variabili condizioni pedologiche, idrologiche ed agronomiche che possono essere notevolmente differenti anche da un evento al successivo. Altri difetti di questo tipo di misure sono rappresentati dall elevato costo di allestimento e di gestione delle aree in esame e dalla necessità di dover disporre di una efficiente organizzazione per la raccolta tempestiva dei dati. Questi studi possono essere più convenientemente effettuati in campo o in laboratorio, in condizioni maggiormente controllate, mediante l impiego di simulatori di pioggia. Uno dei metodi più semplici consiste nel misurare lo scalzamento, relativo ad un certo periodo di tempo, di picchetti graduati sistemati a intervalli regolari lungo il versante. Questo tipo di misurazione è poco costoso, ma richiede una notevole accuratezza nella messa in opera dei picchetti in quanto è necessario che le loro sommità siano poste secondo una linea di livello determinata da punti fissi di riferimento stabili nel tempo, per evitare eventuali errori di lettura provocati da innalzamenti dovuti al gelo od abbassamenti a seguito di calpestamento. Misure di questo tipo forniscono una valutazione dell erosione approssimativa in quanto imprecisioni di lettura di un solo millimetro, peraltro difficilmente evitabili, determinano un errore di circa t/ha. La misura più attendibile delle perdite di suolo viene effettuata sia su parcelle di dimensioni variabili, a seconda degli scopi, in differenti situazioni di suolo, di pendenza e di coltivazione, sia su interi bacini di varia ampiezza. La superficie delle parcelle può oscillare da meno di 1 m 2 fino a qualche ettaro. Negli USA viene considerata standard una parcella lunga 22.1 m e larga 1.8 m e quindi di superficie pari ad 1/100 di acro. La quantificazione delle perdite di suolo richiede generalmente la misura del volume delle acque defluite relativa a ciascun evento ed il prelievo di un campione medio o preferibilmente di più campioni di torbida necessari per la successiva determinazione, in laboratorio, della concentrazione del materiale solido trasportato dalle acque di ruscellamento. Il prodotto del volume di acqua defluito e della concentrazione del materiale trasportato (espresso in g/l) fornisce il valore delle perdite di quel dato evento. Le parcelle vengono isolate dall area circostante in modo da raccogliere soltanto il deflusso originatosi all interno di esse. A questo scopo la parcella viene delimitata lateralmente e nel lato a monte da separatori costituiti da strisce di lamiera (o di altro materiale), che vengono infissi nel terreno e sono sporgenti sopra la superficie del suolo. Nel lato a valle della parcella viene posizionata invece una apposita canaletta (Fig.2.15), sagomata in modo da assicurare la completa raccolta dell acqua di scorrimento superficiale. L acqua e i sedimenti raccolti dalla canaletta vengono convogliati mediante canali o tubazioni alla apposita strumentazione per la misura dei deflussi e per il prelievo dei campioni di torbida. A valle delle bocche di misura vengono generalmente sistemati appositi ripartitori, di vario tipo e forma, che hanno la funzione di suddividere il deflusso in modo che solo una parte prestabilita di esso venga raccolta in appositi contenitori da dove, alla fine di ogni evento piovoso, vengono prelevati i campioni di torbida per la determinazione, in laboratorio, della concentrazione del materiale solido. Normalmente i ripartitori sono costituiti da una scatola (Fig.2.16) dotata di una serie di fessure, generalmente rettangolari e in numero dispari, in modo da suddividere il flusso e poter raccogliere nel contenitore solo la parte defluente dalla fessura centrale. Fig Canaletta di raccolta. Fig Ripartitore. I simulatori di pioggia (Fig.2.17) sono oggi largamente impiegati non solo per valutare in tempi brevi l erodibilità dei suoli, la velocità di infiltrazione e le perdite di suolo in funzione delle colture e delle tecniche colturali, ma anche per altri 2-9

13 2 Erosione del suolo scopi di ricerca quali lo studio sia della dinamica nel suolo degli elementi nutritivi, dei diserbanti, ecc., che del processo erosivo. L utilizzazione, sia in campo che in laboratorio, dei simulatori di pioggia nel settore della ricerca è infatti particolarmente utile in quanto consente di applicare piogge di caratteristiche note e di studiarne gli effetti su ciascuna delle variabili influenti nel processo erosivo. Si possono produrre piogge ad intensità variabile anche nell ambito di una singola simulazione e regolare con precisione lo strumento in modo da poter ripetere esattamente gli eventi simulati. Fig Simulatore di pioggia. 2.5 Perdita di suolo e produzione di sedimenti Perdita di suolo: rappresenta la quantità di materiale asportato dal suolo in seguito ai processi erosivi che si verificano sui versanti. La perdita di suolo specifica si misura generalmente in mc/ha o tonn/ha (o tonn/km 2 ) rimosso nell unità di tempo (di solito un anno); oppure si fa riferimento all abbassamento medio (in mm) della superficie topografica, sempre nell unità di tempo. Produzione di sedimenti (sediment yield): rappresenta la quantità di sedimenti, prodotti dai fenomeni erosivi, misurata presso una sezione di un corso d acqua che sottende un bacino idrografico. E espressa anche in questo caso generalmente in mc/ha o tonn/ha (o tonn/km 2 ) riferita all unità di tempo (indicata anche come degradazione specifica). Rapporto di sedimentazione (sediment delivery ratio): percentuale dell erosione totale che fuoriesce da un dato bacino; espressa quindi come rapporto percentuale tra produzione di sedimenti e perdita di suolo specifica. Indicata anche come coefficiente di risedimentazione. Erosione ammissibile: può essere definita come quel livello nel quale, nonostante l erosione sia attiva, la produttività del suolo in termini di biomassa rimane costante per lunghi periodi di tempo. In Tab.2.1 è riportata una classificazione dell erosione in base alla quantità di suolo rimosso. Livello di erosione Intensità annua Attributo erosione Tempo teorico occorrente per erodere 20 cm di suolo (in anni) mm mc/ha 1 < 0.05 < 0.5 Nulla o trascurabile > Leggera Moderata Severa Molto severa > 20 > 200 Catastrofica < 10 Tab Classificazione dell erosione in base alla quantità di suolo rimosso. Si può distinguere tra una erosione naturale, dovuta sostanzialmente a fattori naturali, da una erosione antropica, connessa più o meno direttamente con gli interventi dell uomo sull ambiente. Nel primo caso in genere l erosione si 2-10

14 2 Erosione del suolo mantiene entro limiti accettabili (erosione normale); nel secondo caso il processo di degradazione subisce un rapido incremento, per cui si parla di erosione accelerata. La stima della produzione di sedimenti in un bacino idrografico è un dato di fondamentale importanza nel caso di progettazione di invasi, progettazione di schemi irrigui, navigabilità di canali naturali e artificiali, sistemazioni idraulicoforestali, sfruttamento industriale dei materiali d alveo, studio dell erosione dei litorali. Come precisato in precedenza, la produzione di sedimenti in un bacino (sediment yield) rappresenta la quantità netta di sedimenti che giungono alla sezione fluviale di uscita del bacino stesso. Determinazioni sperimentali della produzione di sedimenti o degradazione specifica annua possono essere ottenute misurando l entità del progressivo interrimento di laghi o serbatoi artificiali, oppure dai valori del trasporto solido in sospensione dei corsi d acqua. La produzione di sedimenti varia ampiamente da bacino a bacino, ed è controllata essenzialmente da quattro ordini principali di fattori: 1) caratteristiche delle precipitazioni e del ruscellamento superficiale; 2) resistenza all erosione del suolo; 3) topografia del bacino; 4) tipo di copertura vegetale. Nella seguente tabella sono riportati alcuni valori di produzione di sedimenti relativi a diverse aree della superficie terrestre. Fiume Produzione di sedimenti (tonn/km 2 anno) Ching, Cina 8040 Colorado, Usa 427 Danubio, URSS 27 Kosi, India 3130 Amazzoni, Brasile 67 Reno, Olanda 3.5 Po, Italia 260 Tevere, Italia 470 Tab Valori di produzione di sedimenti per diversi bacini del mondo. Per i bacini italiani si hanno valori che cambiano molto secondo i fattori dell erosione: per alcuni piccoli bacini fortemente dissestati la degradazione specifica annua può superare i 13 mm/anno, mentre per ampi bacini, nonostante punte localizzate di elevata erosione, si hanno valori dell ordine di mm/anno. Variazioni temporali della produzione di sedimenti possono essere dovute ad una serie di fattori, quali principalmente: 1) variazioni di uso del suolo e di copertura vegetale; 2) urbanizzazione; 3) stabilizzazione dei versanti e sistemazioni idraulico-forestali. Fig Variazioni temporali nella produzione di sedimenti come risultato di variazioni di uso del suolo e urbanizzazione (Piedmont region, Maryland, USA). 2-11

15 2 Erosione del suolo Un esempio di variazione di uso del suolo è rappresentato dall intensa urbanizzazione a cui può essere stata soggetta una determinata area (Fig.2.18). Tale urbanizzazione può indurre notevoli alterazioni nella produzione di sedimenti così come nel regime idrologico. Si verifica un forte incremento nella produzione di sedimenti durante l intervallo di massima attività costruttiva, nei primi anni di intensa urbanizzazione, seguito da una riduzione nella produzione di sedimenti quando una porzione dell area urbanizzata è stata pavimentata da materiali impermeabili. Nello stesso tempo in seguito all urbanizzazione si verifica un incremento sia delle portate di picco che del volume totale dei deflussi per una data precipitazione, come risultato dell aumento di superficie impermeabile e riduzione della vegetazione. 2.6 Pratiche di conservazione Controllo dell erosione Ai fini di limitare gli effetti dell erosività delle piogge e dell erodibilità dei terreni, esistono una serie di pratiche atte a: - proteggere il suolo dall impatto delle gocce; - aumentare la capacità di infiltrazione; - aumentare la rugosità superficiale ; - aumentare la fertilità dei suoli; - diminuire la lunghezza dei versanti e/o modificarne la pendenza. Per soddisfare tali esigenze si può, a seconda dei casi, agire sulle colture, sulle tecniche colturali, sulle tecniche di lavorazione, ecc. o, dove il rischio erosivo è maggiore, si può intervenire sulla morfologia dei versanti. Si descrivono di seguito alcune delle pratiche di conservazione più conosciute per il controllo dell erosione. a) Rotazioni. Si alternano, a distanza di tempo variabile in funzione dell entità dell erosione, colture poco protettive (colture che necessitano di lavorazioni profonde) con altre più protettive, in modo che la forte erosione che può verificarsi nell anno di coltivazione delle prime sarà compensata dall erosione ridotta che avrà luogo nell anno o negli anni di coltivazione delle seconde, ottenendo così un livello medio di erosione accettabile. b) Gestione dei pascoli. Le essenze foraggere dei pascoli, per la loro elevata capacità di coprire la superficie del suolo, rappresentano uno dei mezzi più efficaci di difesa dall erosione. E pertanto evidente che l efficacia antierosiva di un pascolo dipende dal suo stato vegetativo e da come viene utilizzato, stabilendo il tasso di utilizzazione effettivo e le modalità di utilizzazione, al fine di evitare fenomeni di sovrapascolamento che portano inevitabilmente alla degradazione della copertura erbosa. c) Piante di copertura. Sono definite di copertura tutte le piante che vengono seminate allo scopo di proteggere il suolo dall erosione. La loro utilizzazione è consigliata in particolare durante i periodi stagionali in cui il suolo rimarrebbe nudo per l assenza delle colture. d) Colture a strisce (strip cropping). Questa tecnica consiste nel coltivare in strisce alternate tra loro piante che proteggono il suolo dall erosione con colture da reddito meno protettive. Tali strisce, per svolgere una funzione antierosiva, devono essere orientate trasversalmente alla massima pendenza. Con questo sistema l erosione viene fortemente ridotta poiché il terreno eroso nelle strisce con colture poco protettive viene intrappolato nelle fasce adiacenti sottostanti costituite generalmente da graminacee e/o leguminose seminate dense. Questo tipo di intervento non è necessario quando la pendenza è inferiore al 5%, mentre mostra un ottima efficacia su pendenze comprese tra il 10 e il 20%. e) Pacciamatura (mulching). Si intende con questo termine la copertura del terreno con materiali vari (paglie, foglie, ecc.) allo scopo di proteggerlo dall azione degli agenti erosivi. Il mulch in pratica ha lo stesso effetto delle piante di copertura, o in determinate circostanze può essere anche più vantaggioso di queste. f) Rivestimenti tramite geosintetici e stuoie biodegradabili. Si tratta di materiali e tecniche che stanno acquistando una diffusione sempre maggiore, in genere in combinazione con semine e rivestimenti vegetativi (si veda anche tra gli interventi di stabilizzazione dei movimenti di massa). Vengono usati in maniera specifica per il controllo dei processi di erosione superficiale (Fig.2.19 e 2.20): georeti tridimensionali, in filamenti sintetici (nylon, poliammide) aggrovigliati casualmente; geocompositi, cioè georeti accoppiate a griglie di rinforzo in poliestere; geocelle, consistenti in georeti tridimensionali a nido d ape; tappeti erbosi sovrapposti ai tipi 2-12

16 2 Erosione del suolo precedenti di georeti e geocompositi. Lo scopo è quello di preservare semi e germogli dal dilavamento superficiale ed agire come rivestimento di protezione permanente. I rinforzi sono talora usati per impedire ad i rivestimenti di scivolare sulla superficie di contatto membrana-terreno. Le stuoie biodegradabili (biostuoie, biofeltri, bioreti) hanno la funzione di proteggere provvisoriamente la semina dall erosione e di creare un microclima ideale durante la prima fase di crescita della vegetazione. Altri interventi di Ingegneria Naturalistica (fascinate, viminate, graticciate, ecc.), seppure trattati in dettaglio nell ambito degli interventi di stabilizzazione dei movimenti franosi, hanno in realtà una azione prevalente di protezione dai processi di dilavamento. g) Matrici di fibre legate. Si tratta di una miscela di fibre vegetali, collante, attivatori organici e minerali utili per migliorare la germinazione. Una volta applicata mediante idrosemina, agisce come una stuoia, formando una copertura di fibre legate che aderendo perfettamente al terreno, a differenza delle stuoie tradizionali, evita così rigonfiamenti e ruscellamenti sub-superficiali. E un sistema adatto per quelle applicazioni che richiedono un controllo temporaneo dell erosione fino allo stabilizzarsi della vegetazione. Fig Rivestimenti tramite geosintetici: 1) georete tridimensionale; 2) geocomposito con griglia di rinforzo; 3) geocella a nido d ape. Fig Esempi di geosintetici: 1) georete tridimesionale in filamenti di poliammide aggrovigliati casualmente; 2) georete precedente accoppiata con griglia di rinforzo in poliestere. h) Conservazione e miglioramento della fertilità. E una condizione essenziale per la lotta all erosione, in quanto su suoli fertili le piante crescono velocemente e assicurano una rapida copertura che attenua l intensità dei fenomeni erosivi. Gli apporti di sostanza organica, di basi minerali e di fertilizzanti, i criteri di lavorazione, i drenaggi, sono tutte pratiche che contribuiscono in modo più o meno incisivo al mantenimento e al miglioramento della fertilità dei suoli. i) Condizionatori di struttura. Si tratta di sostanze che aggiunte al terreno favoriscono la strutturazione per periodi più o meno lunghi. Attualmente in questo campo ci si sta orientando verso una serie di polimeri organici di sintesi che agiscono sul terreno formando con questo legami di vario tipo a seconda della natura del polimero e del minerale argilloso. l) Sistemazioni idraulico-agrarie. Lo scopo delle sistemazioni idraulico-agrarie è essenzialmente quello di regolare lo smaltimento delle acque sia di scorrimento superficiale, in modo che non possano raggiungere velocità erosive, che sottosuperficiali, per evitare il ristagno dell acqua in eccesso rispetto alla capacità di trattenuta del terreno. Schematicamente la sistemazione di un versante collinare può comprendere le seguenti opere: 2-13

17 2 Erosione del suolo - Fossi di guardia. Hanno la funzione di intercettare le acque provenienti dalle zone sovrastanti non agricole e sono di fondamentale importanza in quanto proteggono le strutture sistematorie poste più in basso. - Terrazzamento (bench terraces) (Fig.2.21 e 2.22); Argini trasversali (Contour bound); canali terrazze (Channel terraces); Fossi livellari. La direzione di tali opere è ortogonale alle linee di massima pendenza ed hanno la funzione di dividere la pendice collinare (riducendone la lunghezza e la pendenza) in modo che l acqua di scorrimento non possa raggiungere velocità erosive. - Acquidocci (Fig.2.23). Hanno la funzione di raccogliere le acque drenate dai fossi di guardia e dagli altri organi emungenti (canali-terrazza, fossi livellari ecc.) e convogliarle, anche attraverso canali di ordine superiore, nei corsi d acqua. Possono essere utilizzate a questo scopo depressioni naturali (acquidocci naturali) o, dove non è possibile, devono essere utilizzati artificialmente. Fig Tipi di terrazzamento (bench terraces). Fig Schema di canale - terrazza. Fig Acquidocci Controllo dell erosione durante la realizzazione di opere Per il controllo dell erosione e della sedimentazione durante progettazione e realizzazione di opere, si possono seguire una serie di principi e raccomandazioni generali quali: adeguare i progetti costruttivi al terreno; graduare gli interventi costruttivi in modo da minimizzare l esposizione del suolo; conservare la vegetazione esistente ove possibile; rivegetare le aree denudate; allontanare le acque di ruscellamento dalle aree denudate (Fig.2.24); minimizzare la lunghezza e la pendenza dei versanti; mantenere basse le velocità del ruscellamento; allestire scoline e scarichi per raccogliere il ruscellamento concentrato; 2-14

18 2 Erosione del suolo intrappolare i sedimenti in loco; ispezione periodica e manutenzione delle misure di controllo. Fig Drenaggi superficiali per impedire al ruscellamento di attraversare l area interessata dall intervento. 2.7 Erosione eolica Il 20% della superficie terrestre, pari a circa 30 milioni di kmq, è soggetta ad erosione eolica., mentre le aree interessate oltre che da forme più o meno severe di erosione eolica anche da processi di desertificazione vengono stimate in circa 38 milioni di kmq, di cui 4 milioni interessano le regioni subumide. A scala mondiale, le regioni più esposte all erosione eolica ed alla desertificazione sono, anche se non sempre, situate ai margini dei deserti. Nei vari continenti, le forme più evidenti di questo fenomeno si riscontrano: - in gran parte dell Africa a nord dell equatore (fascia saheliana e zone orientali) ed a sud di esso (regione del Kalahari in Sud Africa e in Botswana); - in diversi paesi del medio-oriente (penisola arabica e zone limitrofe) e dell estremo oriente (India, Cina, Pakistan, ecc.); - in vaste zone dell Australia (zone meridionali e anche zone non aride come il Nuovo Galles del Sud, il Queensland e altre); - in varie zone dell America meridionale (in particolare nelle pampas occidentali argentine e nella zona patagonica del Cile) e dell America settentrionale (grandi pianure e zone sud-occidentali degli USA, regione dell Ontario in Canada, ecc.); - nelle grandi pianure siberiane in Russia Cause dell erosione eolica La causa principale che determina una accelerazione dei processi erosivi è senza dubbio l azione dell uomo quando questa interferisce sull equilibrio tra il clima, il suolo e la vegetazione. Gli incendi, il sovrapascolamento, le lavorazioni del terreno troppo spinte ed i sistemi colturali inadeguati sono le principali cause predisponenti l intensificazione dell erosione eolica. Oltre alle cause sopraindicate, anche il disboscamento è particolarmente deleterio per la conservazione degli equilibri degli ecosistemi naturali. Il fenomeno erosivo eolico si verifica solo con determinate condizioni di clima, suolo e vegetazione, come in seguito discusso Fattori dell erosione eolica 1) Clima Ha una grandissima importanza nel processo di erosione eolica in quanto oltre al vento, anche le piogge e le temperature influenzano notevolmente tale fenomeno. - Vento Le caratteristiche importanti ai fini erosivi sono la direzione, la velocità e la turbolenza. Mentre la direzione e la velocità sono grandezze ben definite e facilmente misurabili, la turbolenza è una proprietà difficilmente quantificabile sebbene abbia una importanza fondamentale non solo nel processo erosivo ma anche in altri fenomeni come l evaporazione, la 2-15

19 2 Erosione del suolo distribuzione del calore nell atmosfera, il trasporto del polline ecc. Consiste essenzialmente in continui cambiamenti di direzione e di velocità delle singole particelle d aria e pertanto la velocità e la direzione di un vento turbolento non è che una media delle varie velocità e la direzione di un vento turbolento non è che una media delle varie velocità e direzioni delle particelle d aria che lo compongono. - Erosività del vento Analogamente a quanto detto per la pioggia, l erosività del vento può essere definita come la sua capacità di erodere il suolo. Anche in questo caso l erosività va messa in relazione con la suscettibilità del suolo a lasciarsi erodere (erodibilità), poichè le due variabili sono interdipendenti. - Piogge E noto che l erosione eolica è un fenomeno che interessa maggiormente le regioni con clima arido o semiarido (con precipitazioni inferiori a 300 mm/anno), anche se localmente, a causa dell irregolare distribuzione delle piogge e di lunghi periodi secchi, ne possono essere affette anche regioni con clima umido. La pioggia, oltre ad impedire l erosione eolica a seguito della maggiore coesione delle particelle di terreno, ha un effetto protettivo indiretto in quanto favorisce lo sviluppo della vegetazione, elemento di primaria importanza nella difesa del suolo da ogni forma di erosione. - Temperatura Nelle zone aride e semiaride, alti valori di temperatura, specie se associati alla presenza di venti secchi, determinano, a causa dell elevata evapotraspirazione, un rapido essiccamento del suolo e quindi una sua predisposizione all erosione. 2) Suolo Le condizioni generali che favoriscono il processo erosivo si possono riassumere nei seguenti punti: a) suolo sciolto, asciutto e finemente suddiviso; b) superficie del suolo relativamente liscia e pianeggiante, priva o con scarsa vegetazione; c) assenza di ostacoli sulla superficie e dimensione dei campi sufficientemente estesa. Rivestono inoltre una notevole importanza, dal punto di vista erosivo, alcune caratteristiche intrinseche del suolo quali la tessitura, il peso specifico, la stabilità strutturale ed il contenuto di umidità. 3) Vegetazione La vegetazione assume importanza fondamentale in quanto la sua presenza limita o inibisce del tutto il processo erosivo. L azione della vegetazione, che è funzione della sua densità e persistenza, si estrinseca principalmente nel ridurre la velocità del vento e quindi nell impedire che le particelle di suolo più fini, leggere e più fertili vengano erose. I residui vegetali concorrono inoltre a formare una ulteriore difesa contro l azione del vento e ad incrementare il contenuto di sostanza organica che conferisce al suolo una maggiore aggregazione e stabilità strutturale e lo rende quindi meno suscettibile ad essere eroso Controllo dell erosione eolica Le tecniche antierosive si basano soprattutto sulla riduzione della velocità del vento, sul mantenimento dell umidità del suolo e sulla aggregazione e imbrigliamento delle particelle di terreno mediante appropriate tecniche agronomiche (apporti di sostanza organica, distribuzione prodotti fissanti, ecc.). Si riporta di seguito una breve sintesi dei più importanti interventi antierosivi attualmente utilizzati. La riduzione della velocità del vento si può ottenere: - con la costruzione di barriere frangivento vive o morte poste ortogonalmente alla direzione del vento dominante; - effettuando lavorazioni trasversali alla direzione del vento prevalente, senza mai sminuzzare eccessivamente il suolo ma lasciandolo con aggregati grossolani; - lasciando sul camp o i residui delle colture precedenti; - assicurando la massima copertura del suolo durante i periodi ventosi; - seminando colture in strisce alterne (strip cropping), con diverso grado di protezione contro il vento. Il mantenimento dell umidità del suolo può essere ottenuto mediante: - l alternanza di fasce di terreno coltivate con strisce a maggese nudo lavorato in modo da favorire l infiltrazione dell acqua durante il periodo delle piogge; - le pacciamature, le quali, oltre a proteggere meccanicamente il suolo dall azione del vento, conservano l umidità limitando l evaporazione e favorendo l infiltrazione; - alcune sistemazioni come le terrazze di ritenzione; - l irrigazione in turni brevi e piccole dosi. 2-16

20 3 Fenomeni franosi 3 FENOMENI FRANOSI 3.1 Definizioni I fenomeni franosi o movimenti di versante sono movimenti di materiale (roccia, detrito, terra) lungo un versante. Essi rientrano nella categoria più generale dei movimenti di massa, o movimenti in massa, ovvero dei processi morfogenetici caratterizzati da movimenti di masse di materiale sulla superficie della terra che avvengono in seguito all'azione della gravità, la quale è caratterizzata da un carattere tipicamente non selettivo, in quanto interessa indistintamente materiali di qualsiasi forma e dimensione. Esempi di movimenti di massa che non costituiscono fenomeni franosi sono rappresentati dalle valanghe o dai fenomeni di subsidenza. La gravità non è il solo agente che entra in gioco per quanto riguarda i movimenti di massa in generale ed i fenomeni franosi in particolare. Infatti anche l'acqua, sia superficiale che di sottosuolo, ha un ruolo rilevante. Rispetto ad altri fenomeni in cui l'acqua è invece dominante, noti talvolta come fenomeni di trasporto di massa, i fenomeni franosi sono caratterizzata da una fase di "trasporto" relativamente ridotta, che fa sì che l'area di erosione ("nicchia di distacco") e quella di accumulo, siano relativamente a breve distanza fra loro. I processi fluviali, che costituiscono tipici esempi di trasporto di massa, prevedono il trasporto di materiale, in sospensione o sul fondo, anche per distanze di svariati chilometri. 3.2 Descrizione dei fenomeni franosi Caratteristiche delle frane In Fig.3.1 è riportata la nomenclatura delle varie parti di un movimento franoso che riprende la terminologia proposta da Varnes (1978) ed in parte modificata secondo IAEG (1990) e WP/WLI (1993). Fig Nomenclatura delle varie parti di un movimento franoso. Si riporta di seguito più in dettaglio la terminologia relativa alle caratteristiche osservabili dei fenomeni franosi (Fig.3.2). 1) Coronamento: materiale rimasto praticamente in posto, e quindi indisturbato, nella parte alta della "scarpata principale". 3-1

21 3 Fenomeni franosi 2) Scarpata principale: superficie, generalmente ripida, che delimita l'area quasi indisturbata circostante la parte sommitale della frana, generata dal movimento del "materiale spostato" (13). Rappresenta la parte visibile della "superficie di rottura" (10). 3) Punto sommitale: punto più alto del contatto fra "materiale spostato" (13) e la "scarpata principale" (2). 4) Testata: parti più alte della frana lungo il contatto fra materiale spostato (13) e la scarpata principale (2). 5) Scarpata secondaria: ripida superficie presente sul "materiale spostato" (13) della frana, prodotta da movimenti differenziali all'interno del "materiale spostato" stesso. 6) Corpo principale: parte del "materiale spostato" (13) che ricopre la "superficie di rottura" (10) fra la "scarpata principale" (2) e l' unghia della superficie di rottura (11). 7) Piede: porzione della frana che si è mossa oltre l'"unghia della superficie di rottura" (11) e ricopre la "superficie originaria del versante" (20). 8) Punto inferiore: punto dell'"unghia" (9) situato a maggior distanza dal "punto sommitale" (3) della frana. 9) Unghia: margine inferiore, generalmente curvo, del "materiale spostato" della frana, situato alla maggior distanza dalla "scarpata principale" (2). 10) Superficie di rottura: superficie che forma (o che formava) il limite inferiore del "materiale spostato" (13) sotto la "superficie originaria del versante" (20). L'idealizzazione della "superficie di rottura" può essere definita "superficie di scorrimento". Fig Caratteristiche delle frane. Il terreno indisturbato è mostrato in rigato obliquo. La zona retinata mostra l'estensione del "materiale spostato". 11) Unghia della superficie di rottura: intersezione (generalmente sepolta) fra la parte inferiore della "superficie di rottura" (10) della frana e la "superficie originaria del versante" (20). 12) Superficie di separazione: parte della "superficie originaria del versante" (20) ricoperta dal "piede" (7) della frana. 13) Materiale spostato (o franato): materiale spostato dalla sua posizione originaria sul versante a causa del movimento della frana. Esso forma sia la massa distaccata (17) che l' accumulo (18). 14) Zona di abbassamento: parte della frana entro la quale il "materiale spostato" (13) giace al di sotto della "superficie originaria del versante" (20). 15) Zona di accumulo: parte della frana entro la quale il "materiale spostato" (13) giace al di sopra della "superficie originaria del versante" (20). 16) Abbassamento: volume delimitato dalla "scarpata principale" (2), la "massa distaccata" (17) e la "superficie originaria del versante" (20). 17) Massa abbassata: volume del "materiale spostato" (13) che ricopre la "superficie di rottura" (10) e che giace al di sotto della "superficie originaria del versante" (20). 18) Accumulo: volume del "materiale spostato" (13) che giace al di sopra della "superficie originaria del versante" (20). 3-2

22 3 Fenomeni franosi 19) Fianco: materiale non spostato adiacente ai margini della "superficie di rottura" (10). I fianchi possono essere identificati mediante l'azimut misurato con la bussola oppure dai termini "destro" e "sinistro", riferiti a chi guarda la frana dal "coronamento" (1). 20) Superficie originaria del versante: superficie del versante che esisteva prima che avvenisse il movimento franoso Dimensioni delle frane Esistono alcuni parametri per la caratterizzazione delle dimensioni delle frana, basati sulla terminologia esposta nel precedente paragrafo (Fig.3.3). 1) Larghezza della massa spostata W d : larghezza massima della "massa spostata" misurata perpendicolarmente alla "lunghezza della massa spostata" L d. 2) Larghezza della superficie di rottura W r : larghezza massima fra i "fianchi" della frana, misurata perpendicolarmente alla "lunghezza della superficie di rottura" L r. 3) Lunghezza totale L: distanza minima fra il "punto inferiore" della frana ed il "coronamento". 4) Lunghezza della massa spostata L d : minima distanza fra il "punto sommitale" ed il "punto inferiore". 5) Lunghezza della superficie di rottura L r : minima distanza fra l'"unghia della superficie di rottura" ed il "coronamento". 6) Profondità della massa spostata D d : profondità massima della "superficie di rottura" sotto la "superficie del versante" misurata perpendicolarmente al piano contenente L d e W d. 7) Profondità della superficie di rottura D r : profondità massima della "superficie di rottura" sotto la "superficie originaria del versante" misurata perpendicolarmente al piano contenente L r e W r. Fig Dimensioni delle frane. Il terreno indisturbato è mostrato in rigato obliquo. Qc= Quota corona; Qh= quota testata; Qt= quota unghia; Wd= larghezza della massa spostata; Wr= larghezza della superficie di rottura; Lo= lunghezza orizzontale; Lcl= lunghezza della linea di mezzeria; L= lunghezza totale; Ld= lunghezza della massa spostata; Lr= lunghezza della superficie di rottura; Dd= profondità della massa spostata; Dr= profondità della superficie di rottura; H= dislivello; β= pendenza. 3-3

23 3.2.3 Stati di attività 3 Fenomeni franosi Il termine attività comprende tutte quelle caratteristiche associate all evoluzione spaziale e temporale del fenomeno franoso. In particolare lo stato di attività riguarda le informazioni note sul tempo in cui si è verificata la frana e può essere descritto con i seguenti termini (Fig.3.4): 1) Attiva: frana attualmente in movimento. 2) Sospesa: frana che si è mossa entro l'ultimo ciclo stagionale ma non è attiva attualmente. 3) Riattivata: frana di nuovo attiva dopo essere stato inattiva. Fig Frane di ribaltamento con diversi stati di attività. 1) Attiva: l'erosione all'unghia del pendio causa il ribaltamento di un blocco. 2) Sospesa: fessurazione locale nel coronamento del ribaltamento. 3) Riattivata: un altro blocco ribalta, disturbando il materiale precedentemente spostato. 4) Quiescente: la massa spostata riprende la sua copertura vegetale, le scarpate sono modificate dalla degradazione meteorica. 6) Naturalmente stabilizzata: la deposizione fluviale ha protetto l'unghia del pendio, la scarpata riprende la sua copertura vegetale. 7) Artificialmente stabilizzata: un muro protegge l'unghia del pendio; 8) Relitta: si è stabilita una copertura vegetale uniforme. Attivi Scarpate, terrazzi e crepacci con bordi netti Crepacci e depressioni privi di riempimento secondario Movimenti di massa secondari sulle scarpate Strie fresche sulla superficie di rottura e i piani di taglio marginali Superfici di frattura fresche sui blocchi Sistema di drenaggio sconvolto. numerosi ristagni d'acqua e depressioni a drenaggio interno Creste di pressione a contatto con i margini di scorrimento Assenza di sviluppo di suolo sulle esposizioni della superficie di rottura Presenza di vegetazione a crescita rapida Differenza netta di vegetazione nelle zone interne ed esterne alla frana Alberi inclinati senza ricrescita verticale Inattivi Scarpate, terrazzi e crepacci con bordi arrotondati Crepacci e depressioni con riempimento secondario Nessun movimento di massa secondario sulle scarpate Strie assenti o degradate sulla superficie di rottura e i piani di taglio marginali Superfici di frattura degradate sui blocchi Sistema di drenaggio integro Fessure marginali Sviluppo di suolo sulle esposizioni della superficie di rottura Presenza di vegetazione a crescita lenta Nessuna differenza di vegetazione nelle zone interne ed esterne alla frana Alberi inclinati con ricrescita verticale sul tronco inclinato 3-4

24 3 Fenomeni franosi Tab Criteri geomorfologici per il riconoscimento dell attività dei fenomeni franosi. 4) Inattiva: frana che si è mossa l'ultima volta prima dell'ultimo ciclo stagionale. Le frane inattive si possono suddividere ulteriormente in: 5) Quiescente: frana inattiva che può essere riattivata dalle sue cause originali. 6) Naturalmente stabilizzata: frana inattiva che non è più influenzata dalle sue cause originali; fenomeno per il quale le cause del movimento sono state naturalmente rimosse (es. se il fiume che erodeva l'unghia della frana ha cambiato corso). 7) Artificialmente stabilizzata: frana inattiva che è stata protetta dalle sue cause originali da misure di stabilizzazione (es. se l'unghia della frana è stata definitivamente protetta dall'erosione). 8) Relitta: frana inattiva che si è sviluppata in condizioni geomorfologiche o climatiche considerevolmente diverse dalle attuali. Le frane relitte sono inattive ma comunque possono essere riattivate dall'attività antropica. In Tab.3.1 sono riportati diversi criteri geomorfologici per il riconoscimento di movimenti attivi ed inattivi. Le definizioni dei diversi stati di attività possono essere meglio comprese riferendosi ad un diagramma spostamenti - tempo, costruito, per esempio, in base alla variazione della posizione di capisaldi superficiali sul corpo di frana (Fig.3.5). Fig Spostamenti in una frana in diversi stati di attività Distribuzione di attività Riguarda le informazioni relative all evoluzione spaziale del fenomeno e può essere descritta con i seguenti termini (Fig.3.6): 1) Costante: il materiale spostato continua a muoversi senza variazioni apprezzabili della superficie di rottura e del volume di materiale spostato. 2) Retrogressivo: la superficie di rottura si estende in senso opposto a quello del movimento del materiale spostato. 3) Avanzante: la superficie di rottura si estende nella direzione del movimento. 4) In allargamento: la superficie di rottura si estende su uno o entrambi i margini laterali. 5) In diminuzione: il volume del materiale spostato decresce nel tempo. 6) Multi-direzionale: la superficie di rottura si estende in due o più direzioni. 7) Confinato: è presente una scarpata ma non è visibile la superficie di scorrimento al piede della massa spostata Stile di attività Riguarda le informazioni relative all evoluzione temporale del fenomeno e può essere descritta con i seguenti termini (Fig.3.7): 1) Singolo: frana caratterizzata da un singolo movimento del materiale spostato. 2) Complesso: caratterizzata dalla combinazione, in sequenza temporale, di due o più tipi di movimento. 3) Composito: caratterizzata dalla combinazione di due o più tipi di movimento simultaneamente in parti diverse della massa spostata. 4) Successivo: frana caratterizzata da un movimento dello stesso tipo di un fenomeno precedente e adiacente, in cui però le masse spostate e le superfici di rottura si mantengono ben distinte. 3-5

25 3 Fenomeni franosi 5) Multiplo: molteplice ripetizione dello stesso tipo di movimento. Fig Frane con diversa distribuzione di attività. 1) Costante; 2) retrogressivo; 3) avanzante; 4) in allargamento; 5) in diminuzione; 6) multi-direzionale; 7) confinato. 3-6

26 3 Fenomeni franosi Fig Frane con diverso stile di attività. 1) Singolo. 2) Complesso. 3) Composito. 4) Successivo. 5) Multiplo Tipo di frana Sono definiti cinque cinematismi principali di movimento (Fig.3.8): 1) crollo (fall): fenomeno che inizia con il distacco di terra o roccia da un pendio acclive lungo una superficie lungo la quale lo spostamento di taglio è nullo o limitato. Il materiale si muove quindi nell aria per caduta libera, rimbalzo e rotolamento. 2) ribaltamento (topple o toppling): rotazione in avanti, verso l'esterno del versante, di una massa di terra o roccia, intorno ad un punto o un asse situato al di sotto del centro di gravità della massa spostata. 3) scivolamento (slide): movimento verso la base del versante di una massa di terra o roccia che avviene in gran parte lungo una superficie di rottura o entro una fascia, relativamente sottile, di intensa deformazione di taglio. In base alla forma della superficie di rottura lo scivolamento può essere suddiviso in rotazionale (superficie di rottura curva e concava verso l alto) e traslativo (superficie di rottura planare). 4) espansione (spread): movimento di un terreno coesivo o di un ammasso roccioso, in seguito all estrusione e allo spostamento di un livello di materiale meno competente sottostante, associato alla subsidenza della massa fratturata. La superficie di rottura non è una superficie di intensa deformazione di taglio. L'espansione può essere causata dalla liquefazione o dal flusso del materiale a bassa competenza. 5) colamento (flow): movimento distribuito in maniera continua all'interno della massa spostata. Le superfici di taglio all'interno di questa sono multiple, temporanee e generalmente non vengono conservate. La distribuzione delle velocità nella massa spostata è analoga a quella all'interno di un fluido viscoso. 3-7

27 3 Fenomeni franosi Fig Tipi di frana. Il terreno indisturbato è mostrato in rigato obliquo. Le frecce mostrano le traiettorie dei singoli frammenti che formano la massa spostata Tipo di materiale I materiali sono suddivisi in 2 tipi principali, riferiti allo stato del materiale prima del movimento: 1) roccia (rock): materiale roccioso che era intatto ed in posto prima del movimento. 2) terreno sciolto (soil): aggregato sciolto poco cementato, di particelle solide, generalmente costituito da frammenti di minerali e rocce, i quali sono stati trasportati (terre trasportate) o sono prodotti da processi di degradazione delle rocce in situ. Il termine terreno comprende anche i fluidi interstiziali eventualmente presenti. Il terreno sciolto è a sua volta suddiviso in: 2.1) detrito (debris):prevalentemente grossolano (più del 20% dei granuli hanno dimensioni >2mm); 2.2) terra (earth): prevalentemente fine (almeno l'80% delle particelle hanno dimensioni <2mm) Velocità Una scala di velocità è proposta da VARNES (1978) ed illustrata in Tab.3.2. classe descrizione velocità velocità (m/s) 1 ESTREMAMENTE RAPIDO 3 m/s 3 2 MOLTO RAPIDO 0.3 m/min RAPIDO 1.5 m/giorno MODERATO 1.5 m/mese LENTO 1.5 m/anno MOLTO LENTO 0.06 m/anno ESTREMAMENTE LENTO Tab Classi di velocità delle frane secondo VARNES (1978). 3-8

28 3 Fenomeni franosi CRUDEN & VARNES (1994) hanno proposto una modifica dei limiti della scala delle velocità di VARNES (1978) in modo da considerare incrementi multipli di 100 (Tab.3.3). La scala comprende un intervallo di 10 ordini di grandezza ed è associata ad una scala dei danni analoga alla scala Mercalli per i terremoti. Classe descrizione danni osservabili velocità (m/s) 7 ESTREM. RAPIDO Catastrofe di eccezionale violenza. Edifici distrutti per l'impatto del materiale spostato. Molti morti. Fuga impossibile. 5 m/s 5 6 MOLTO Perdita di alcune vite umane. Velocità troppo elevata per RAPIDO permettere l'evacuazione delle persone. 3 m/min RAPIDO Evacuazione possibile. Distruzione di strutture, immobili ed installazioni permanenti. 1.8 m/h MODERATO Alcune strutture temporanee o poco danneggiabili possono essere mantenute 13 m/mese LENTO Possibilità di intraprendere lavori di rinforzo e restauro durante il movimento. Le strutture meno danneggiabili possono essere mantenute con frequenti lavori di rinforzo se il movimento totale non è troppo grande durante una particolare fase di accelerazione. 1.6m/anno MOLTO Alcune strutture permanenti possono non essere danneggiate LENTO dal movimento. 16mm/anno ESTREM. LENTO Impercettibile senza strumenti di monitoraggio. Costruzione di edifici possibile con precauzioni. Tab Classi di velocità delle frane secondo CRUDEN & VARNES (1994). Movimenti continui che si verificano con velocità medie inferiori a 10-9 m/s, sotto sollecitazioni costanti nel tempo, sono indicati come creep e ricadono nella classe 1 e 2 di CRUDEN & VARNES (1994) Contenuto d'acqua Si possono usare i seguenti termini descrittivi, relativi alle condizioni del materiale spostato: a) secco: assenza di umidità b) umido: contiene una piccola quantità d'acqua non libera. Si comporta come un solido plastico ma non dà luogo a flusso. c) bagnato: contiene acqua sufficiente a comportarsi in parte come un liquido e a generare superfici di acqua libera stagnante. d) molto bagnato: contiene acqua sufficiente per scorrere come un fluido con bassi gradienti Grado di dissesto Si usano i seguenti termini descrittivi: a) iniziale b) avanzato c) esaurito Età Relativamente all'età dei fenomeni franosi, si definisce: a) recente: fenomeno verificatosi nel corso degli ultimi decenni su un versante integro; b) antico: fenomeno di cui non si ha più memoria storica; c) fossile: fenomeno verificatosi in una età geologica precedente alla attuale, in condizioni climatiche e morfologiche diverse. In genere viene usato il termine "paleofrana". 3.3 Classificazione geomorfologica delle frane Classificazione di Varnes (1978) 3-9

29 3 Fenomeni franosi Nel sistema di classificazione di VARNES (1978) i fenomeni franosi vengono identificati con due termini descrittivi, uno relativo al tipo di movimento, l'altro relativo al tipo di materiale. Entrambe le caratteristiche sono valutabili attraverso la semplice analisi geologica-geomorfologica di campagna. Fig Classificazione dei movimenti franosi secondo VARNES (1978). Il sistema di classificazione è descritto nella Tab.3.4 e in Fig.3.9. Tipo di movimento Materiale Roccia (bedrock) Detrito (debris) Terra (earth) 3-10

30 Crollo (fall) Ribaltamento (topple) Scivolamento rotazionale (slump) Scivolamento traslativo (slide) Espansione laterale (lateral spread) Colamento (flow) Complesso (complex) 3 Fenomeni franosi Crollo di roccia Crollo di detrito (rock fall) (debris fall) Ribaltamento di roccia Ribaltamento di detrito (rock topple (debris topple) Sciv.rot. di roccia Sciv.rot. di detrito (rock slump) (debris slump) Sciv.trasl. di roccia Sciv trasl. di detrito (rock slide) (debris slide) Espansione di roccia Espansione di detrito (rock spread) (debris spread) Colamento di roccia Colamento di detrito (rock flow) (debris flow) associazione di diversi meccanismi Tab Sistema di classificazione delle frane di VARNES (1978). Crollo di terra (earth fall) Ribaltamento di terra (earth topple) Sciv.rot. di terra (earth slump) Sciv.trasl. di terra (earth slide) Espansione di terra (earth spread) Colamento di terra (earth flow) Classificazione di Cruden & Varnes (1996) Nell ambito del Gruppo di Lavoro delle Società Internazionali di Geotecnica per l Inventario Mondiale dei Fenomeni Franosi è stato proposto recentemente un nuovo sistema di classificazione (CRUDEN & VARNES, 1996). Rispetto alla classificazione di Varnes (1978) il termine espansione laterale è semplificato in espansione, mentre il gruppo dei fenomeni complessi (formati dalla combinazione di più tipi di movimento) non è più considerato come un tipo di movimento, bensì è incluso fra i termini descrittivi della attività. Quest ultima modifica è nata dal maggior problema legato all applicabilità della classificazione di Varnes (1978), ovvero quello di considerare un solo tipo di movimento. Gran parte dei fenomeni franosi sono costituiti dalla combinazione di almeno due meccanismi di movimento per cui, secondo Varnes (1978), risulterebbero tutti fenomeni complessi. Un fenomeno franoso viene classificato considerando una combinazione di termini descrittivi, relativi alle caratteristiche del primo movimento, a quelle dell eventuale secondo movimento, e all attività del fenomeno secondo le seguenti tabelle descrittive. PRIMO MOVIMENTO Tipo Materiale Contenuto d'acqua Velocità Crollo Roccia Secco Estremamente rapido Ribaltamento Detrito Umido Molto rapido Scivolamento rotazionale Terra Bagnato Rapido Scivolamento traslativo Molto bagnato Moderato Espansione Lento Colamento Molto lento Estremamente lento SECONDO MOVIMENTO Tipo Materiale Contenuto d'acqua Velocità Crollo Roccia Secco Estremamente rapido Ribaltamento Detrito Umido Molto rapido Scivolamento rotazionale Terra Bagnato Rapido Scivolamento traslativo Molto bagnato Moderato Espansione Lento Colamento Molto lento Estremamente lento ATTIVITÀ Stile di attività Distribuzione di attività Stato di attività Complesso In avanzamento Attivo 3-11

31 3 Fenomeni franosi Composto Retrogressivo Riattivato Successivo Multi-direzionale Sospeso Singolo In diminuzione Inattivo: quiescente Multiplo Confinato Inattivo: naturalmente stabilizzato Costante Inattivo: artificialmente stabilizzato In allargamento Inattivo: relitto I termini descrittivi possono essere omessi se non rilevabili o non significativi. I termini relativi al secondo movimento possono essere omessi se coincidono con quelli del primo movimento. Esempio di classificazione completa di una frana: crollo di roccia- colamento di detrito, secco, estremamente rapido, complesso. Il termine complesso indica che prima è avvenuto il crollo di roccia e poi la colata di detrito. 3.4 Tipi di frana Crolli Il termine si riferisce ad una massa (di dimensioni qualsiasi) che si stacca da un versante molto acclive, fino ad aggettante, e che, successivamente, si muove per caduta libera, rotolamento, rimbalzi (Fig.3.10). Il movimento è generalmente da molto rapido a estremamente rapido. Il distacco può avvenire per rottura, di trazione o di taglio, del materiale roccia, oppure può impostarsi su superfici di discontinuità preesistenti. Tranne nel caso in cui un blocco sia aggettante il crollo è necessariamente preceduto da movimenti di scorrimento o ribaltamento, anche se limitati. In frane attive, o comunque molto recenti, la zona di distacco è caratterizzata da una superficie irregolare il cui andamento è controllato da giunti e fratture. Il deposito che ne consegue è costituito da un accumulo di materiale di varie dimensioni al piede del versante; i frammenti di dimensioni maggiori possono percorrere anche notevoli distanze, in funzione della geometria e della lunghezza del versante e degli ostacoli su esso presenti. Fig Esempi di crollo Modi di crollo Una frana di crollo avviene mediante la successione di tre fondamentali meccanismi di movimento: 1) caduta libera: predomina quando l'inclinazione del pendio supera i 76. 2) rimbalzo: una massa in caduta libera quando ha un impatto con la superficie del versante rimbalza. Le caratteristiche del rimbalzo dipendono da diversi fattori quali le proprietà del materiale, l'angolo fra il pendio e la traiettoria, la morfologia del versante, la possibilità che la massa si frammenti nell'impatto. 3) rotolamento: predomina su pendii lunghi inclinati meno di 45. C'è una transizione graduale fra rimbalzo e rotolamento: i rimbalzi si accorciano gradualmente e l'angolo di incidenza diminuisce. 3-12

32 3.4.2 Ribaltamenti 3 Fenomeni franosi Il ribaltamento consiste nella rotazione del materiale attorno ad un punto posto al di sotto del suo centro di massa per azione della sola gravità o in combinazione con altre forze (per esempio quella esercitata dall'acqua nelle fratture o dalle masse adiacenti) (Fig.3.11). Il ribaltamento è quindi dovuto al disequilibrio fra i momenti delle forza applicate. Questa tipologia di movimento è stata spesso considerata congiuntamente ai crolli. Solo di recente è stata riconosciuta l'importanza della distinzione dai crolli, sia per quanto riguarda l'analisi che i criteri di intervento. Il fenomeno può evolvere o meno, a seconda delle caratteristiche geometriche e strutturali della massa coinvolta nel dissesto, in crollo o in scivolamento. Nonostante il diverso meccanismo, il tipo di accumulo che ne deriva è simile a quello delle frane di crollo. La velocità dei ribaltamenti varia da lenta a estremamente rapida. Fig Esempio di ribaltamento Modi di ribaltamento 1) di flessura (Fig.3.12): è comune in rocce in cui predomina una famiglia di discontinuità immergente a reggipoggio con angolo elevato, in modo da formare "lastre" semicontinue; il movimento è determinato dal piegamento per flessura di blocchi colonnari o lastriformi di roccia. Il meccanismo predomina in litotipi, quali scisti o filladi, condizionati da una famiglia dominante di discontinuità. 2) di blocchi (o diretto) (Fig.3.12): si verifica comunemente in rocce con due o tre famiglie di discontinuità e quindi con struttura colonnare o a blocchi. In particolare, una o due famiglie di discontinuità immergono a reggipoggio con angolo elevato; la terza famiglia immerge invece preferibilmente a franapoggio a basso angolo, in modo da prevenire fenomeni di scivolamento. Il meccanismo predomina in rocce sedimentarie stratificate con struttura a blocchi e in rocce vulcaniche a struttura colonnare. 3) flessurale di blocchi (Fig.3.12): è caratterizzato dalla flessura pseudo-continua di lunghe colonne mediante il movimento differenziale progressivo lungo numerose discontinuità trasversali immergenti a franapoggio. Il meccanismo predomina in litotipi flyschoidi con alternanza di strati competenti e poco competenti. 4) "chevron" (Fig.3.12): si tratta di "ribaltamenti a blocchi" in cui l'immersione dei blocchi ribaltati è costante e cambia bruscamente in corrispondenza di una superficie di rottura. Si riscontra in pendii più acclivi di quelli interessati dagli altri modi di ribaltamento. Fig Modi di ribaltamento.- i) di flessura, ii) di blocchi, iii) flessurale di blocchi, iv) chevron. 3-13

33 3.4.3 Scivolamenti 3 Fenomeni franosi Uno scivolamento è un movimento di roccia o terreno lungo il versante che avviene essenzialmente per deformazioni di taglio lungo una o più superfici, o entro uno spessore limitato del materiale (Fig.3.13). Il movimento avviene quando su un pendio la sollecitazione media di taglio su una potenziale superficie di scorrimento τ supera la resistenza al taglio media disponibile lungo tale superficie τ f : τ τ f Generalmente la rottura non è contemporanea su tutta la superficie di taglio ma si propaga da un'area di rottura localizzata (rottura progressiva). La massa dislocata scivola oltre la superficie di rottura sulla originale superficie del terreno, che viene così a costituire una superficie di separazione fra massa in posto e massa dislocata. A B Fig Scivolamento rotazionale (A) e traslativo (B) Modi di scivolamento Si distinguono tre modi fondamentali di scivolamento (Fig.3.14). 1) scivolamento rotazionale: la massa spostata si muove lungo una superficie di rottura curva. Il movimento comporta la rotazione all'indietro dei blocchi in cui la massa spostata viene smembrata. Le fratture che interessano la superficie del terreno hanno andamento concentrico in pianta e concavo verso la direzione di movimento. La superficie di rottura è concava verso l'alto; talvolta la maggior parte di essa approssima la sezione di un cilindro con asse parallelo al versante. Nella zona di testata il movimento è quasi interamente verticale, con modesta componente rotazionale. La parte del corpo di frana che si trova in prossimità del piede è soggetta a compressione, a causa della concavità della superficie di rottura. Il piede è quindi caratterizzato da strutture di compressione, sollevamenti e da un elevato contenuto d'acqua. Gli alberi eventualmente presenti tendono a piegarsi verso valle, contrariamente a quanto avviene nella parte a monte. Lo scorrimento rotazionale interessa generalmente terreni omogenei, terre compattate artificialmente e ammassi rocciosi intensamente fratturati. 2) scivolamento traslativo: la massa scivola lungo una o più superfici piane, talvolta più o meno ondulate. Il movimento è generalmente controllato dall'andamento di superfici di discontinuità, come faglie, giunti, superfici di stratificazione e variazioni nelle proprietà geotecniche fra strati adiacenti (materiale alterato e non alterato, ecc.). Lo scivolamento traslativo può essere ulteriormente suddiviso in tre tipologie principali (Fig.3.15): a) planare, quando si imposta su una superficie piana singola; b) a cuneo, quando interessa due superfici di discontinuità a diversa orientazione che si intersecano; c) a gradini, quando si imposta su superfici di discontinuità diverse e parallele (appartenenti alla stessa famiglia) connesse fra loro da un altra famiglia di discontinuità circa subortogonale alla prima. 3) scivolamento composto: il movimento avviene su una superficie composta da elementi planari e curvi. In terreni non omogenei o anisotropi (es. in materiali stratificati), la superficie di rottura è raramente caratterizzata da curvatura uniforme: di solito la sua forma è condizionata da discontinuità di vario tipo (fratture, superfici di stratificazione, faglie, etc.). Gli scivolamenti composti si generano tipicamente in materiali in cui è presente un livello più debole in profondità, oppure un interfaccia fra materiale degradato e fresco, in quanto tali zone esercitano un controllo sulla posizione della superficie di rottura. 3-14

34 3 Fenomeni franosi Fig Modi di scivolamento. 1) scivolamento rotazionale; 2) scivolamento traslativo; 3) scivolamento composto. Fig Modi di scivolamento traslativo. 4) planare; 5) a cuneo; 6) a gradini Espansione L espansione consiste nel movimento di estensione, e di lieve subsidenza, di un terreno coesivo o di un ammasso roccioso, in seguito all'estrusione e allo spostamento di un livello di materiale meno competente sottostante (Fig.3.16). La superficie di rottura non è una superficie di intensa deformazione di taglio. L'espansione può essere causata dalla liquefazione o dal flusso del materiale a bassa competenza. Il movimento della massa avviene attraverso lo sviluppo di fratture di tensione o di taglio. Fig Esempi di espansione. 3-15

35 Modi di espansione 3 Fenomeni franosi CRUDEN & VARNES (1994) riconoscono due modi principali di espansione. 1) espansioni di blocchi (Fig.3.17): avvengono tipicamente in corrispondenza di ammassi rocciosi fratturati sovrapposti a materiali meno competenti, come argilliti o marne. I movimenti orizzontali sono evidenziati dall'apertura delle fratture verticali nell'ammasso roccioso, che dà luogo a tipiche trincee. Fig Espansione di blocchi. Fig Espansione per liquefazione. 2) espansioni per liquefazione (Fig.3.18): si formano in sabbie sciolte sature o in argille e limi sensitivi, ovvero caratterizzati da una struttura metastabile che può essere distrutta da leggeri disturbi. Una volta che la struttura viene distrutta il materiale perde la resistenza e dà luogo ad un fenomeno di liquefazione. Generalmente il fenomeno determina uno scivolamento traslativo con un evoluzione retrogressiva, tuttavia, se sopra al livello di terreno soggetto a liquefazione è presente uno strato di materiale coesivo o cementato, questo subisce un espansione, che si manifesta con tipiche strutture ad horst e graben Colamenti Da un punto di vista meccanico viene definita colamento la deformazione continua nello spazio per flusso viscoso, in cui il movimento non avviene solo sulla superficie di separazione fra massa in frana e materiale in posto, ma è distribuito in modo più o meno continuo e si esaurisce gradualmente in profondità (Fig.3.19). Superfici di taglio possono essere presenti, ma sono multiple e non collegate fra loro e, spesso, temporanee. Esiste una gradazione continua fra scivolamento e colamento in relazione al contenuto d'acqua della massa spostata e all'evoluzione del movimento. In ammassi rocciosi fenomeni di flusso viscoso, talvolta noti come "creep", possono essere causati da deformazioni distribuite lungo fratture più o meno ampie, senza una ben definita superficie di dislocazione. I movimenti sono generalmente molto lenti, e la distribuzione delle velocità può essere simile a quella del moto di un fluido. 3-16

36 3 Fenomeni franosi Nei terreni sciolti il termine colamento è usato per indicare tutti quei fenomeni con una tipica morfologia caratterizzata da un "canale" di frana di forma allungata che si espande a lobo nella parte distale della zona di accumulo. La velocità di colamento è condizionata dal tipo di materiale coinvolto, dalla pressione dell'acqua interstiziale e anche dalle dimensioni della massa che alimenta la frana. Fig Esempio di colata Modi di colamento 1) colate di terra (o di fango) (earthflows o mudflows) (Fig.3.20a): si tratta di colamenti lenti che avvengono su pendenze modeste in materiali coesivi umidi o bagnati. 2) colate laminari (skin flows) (Fig.3.20b): si tratta di colate rapide o molto rapide di un livello sottile superficiale di suolo. Sono movimenti tipici dello strato attivo, sopra il permafrost, il quale è soggetto ad una fusione stagionale. La fusione del ghiaccio nello strato attivo determina il collasso della struttura del terreno ghiacciato e la generazione di sovrapressioni dell'acqua interstiziale, che causano la perdita di resistenza al taglio del terreno. 3) lahars (Fig.3.20c): si tratta di colate di detrito in corrispondenza di edifici vulcanici, che determinano la mobilizzazione del materiale vulcanico sciolto. 4) colate di detrito incanalate (channelized debris flows) (Fig.3.20d): si tratta di colate rapide di detrito, generalmente di elevata densità (80% in peso di solidi) che si sviluppano entro le incisioni dei torrenti montani. Il colamento è spesso associato al ruscellamento che segue precipitazioni eccezionali. Le colate si possono estendere per diversi chilometri, finché la diminuzione del gradiente del canale non causa la cessazione del trasporto solido. Colate incanalate a bassa densità, che sfumano nel trasporto di massa, sono indicate talvolta con il termine torrenti di detrito (debris torrent). 5) colate di detrito non incanalate (open-slope debris flow) (Fig.3.20e): si tratta di colate rapide di detrito su un versante di una valle. In generale la colata è formata da una lingua singola sul versante che raggiunge il fondovalle e dove si sviluppa in maniera sinuosa. Colate di questo tipo, di grandi dimensioni, estremamente rapide, sono identificate anche con il nome di valanghe di detrito (debris avalanches). 6) colate in roccia (bedrock flows) (Fig.3.20f): si tratta di deformazioni spazialmente continue, superficiali o profonde, della roccia in seguito a fenomeni di creep. Il termine creep è usato in meccanica per indicare le deformazioni viscose (tempo-dipendenti) che si verificano sotto uno stato tensionale efficace costante, sotto il limite di resistenza del materiale. Si verificano generalmente di movimenti differenziali estremamente lenti che possono evolvere in scivolamenti. 3-17

37 3 Fenomeni franosi Fig Modi di colamento: a) colata di terra; b) colata laminare; c) lahar; d) colata di detrito incanalata, d) colata di detrito non incanalata, f) colata in roccia. 3-18

38 3 Fenomeni franosi 3.5 Cause che determinano i movimenti di versante I processi che conducono allo sviluppo di un movimento di versante sono vari ed in genere interagiscono fra loro. In generale, il movimento è controllato da fattori geologici, topografici, climatici e legati all'azione antropica. Le cause possono essere innanzitutto distinte in: - Cause preparatorie o predisponenti: fattori intrinseci di instabilità legati, essenzialmente, alle caratteristiche litologiche, strutturali, tessiturali, giaciturali dei materiali costituenti il pendio. - Cause scarenanti o innescanti: agiscono su un pendio in genere già intrinsecamente instabile e sono così definite perché innescano il movimento franoso (intense precipitazioni, attività sismica, ecc.). Le cause possono venire distinte in maniera abbastanza agevole analizzando la loro azione sulle forze di taglio che, in definitiva, controllano l'entità e le modalità della maggior parte dei fenomeni franosi. Le tensioni di taglio indotte dalle forze gravitazionali tendono a smuovere il terreno stesso lungo potenziali superfici di scivolamento. Se sussiste l equilibrio, la resistenza al taglio mobilitabile lungo ogni possibile superficie supera le tensioni tangenziali indotte dalla gravità. Quest ultima non costituisce tuttavia l unica causa che induce movimenti. Forze destabilizzanti sono introdotte dai terremoti; oscillazioni di falda producono variazioni dello stato tensionale e della resistenza disponibile; forze di filtrazione possono giocare un ruolo importante. I fattori che determinano l'instabilità nei versanti possono essere schematicamente suddivisi in: 1. fattori che determinano un aumento delle forze di taglio sul versante; 2. fattori che determinano una diminuzione della resistenza al taglio del materiale Fattori che contribuiscono ad aumentare le forze di taglio Rimozione del sostegno laterale e/o scalzamento al piede Può essere dovuta ai seguenti meccanismi: a) Erosione (fra i tipi più frequenti, quella fluviale e torrentizia, quella marina e quella dovuta ai ghiacciai); b) Scioglimento dei ghiacci e rilascio delle glaciopressioni; c) Azioni antropiche: tagli, cave, canali, rimozione di strutture di sostegno, variazione nel livello di serbatoi artificiali e naturali Sovraccarichi L'applicazione di sovraccarichi nella zona a monte, presso la corona, produce un aumento delle sollecitazioni di taglio. L'applicazione di sovraccarichi nella zona presso il piede produce invece un effetto stabilizzante. Le cause più frequenti di sovraccarico sono le seguenti: a) Accumulo di neve o aumento del peso di volume del terreno per saturazione (parziale o totale) ad opera di acqua di precipitazione; b) Accumulo di materiale detritico sulla sommità del pendio; c) Accumulo di materiale vulcanico; d) Crescita della vegetazione; e) Azioni antropiche: Costruzione di rilevati, edifici ed infrastrutture; discariche di cave e miniere, discariche di rifiuti, peso dell'acqua di acquedotti, fognature, canali e serbatoi artificiali Sollecitazioni transitorie Fra le cause più comuni che ricadono in questo gruppo, si hanno i terremoti, che provocano sia un aumento delle forze di taglio, per le componenti della onda sismica parallele alla potenziale superficie di scorrimento, sia una diminuzione della resistenza al taglio, per la generazione di sovrapressioni dell acqua interstiziale nel materiale. Fra le cause legate all'attività antropica, che agiscono con le stesse modalità, si hanno le vibrazioni provenienti da macchinari in funzione, treni in transito, esplosioni di mine ecc Spinta laterale Un aumento della spinta laterale può derivare dalla presenza di acqua in fratture e condotte sotterranee naturali, aggravata dalla trasformazione dell'acqua in ghiaccio. Lo stesso fenomeno può essere provocato dal rigonfiamento di materiali argillosi e dalla idratazione dell'anidrite Riduzione del supporto sotterraneo 3-19

39 Può essere dovuta ai seguenti fenomeni: a) Attività carsica in rocce carbonatiche; b) Dissoluzione dei gessi; c) Attività mineraria. 3 Fenomeni franosi Fattori che contribuiscono alla diminuzione della resistenza al taglio Si ricorda che in termini di tensioni efficaci la resistenza al taglio di un terreno può essere espressa dal criterio di Mohr Coulomb: τ f = (σ - u) tanφ' + c' Pertanto una riduzione di resistenza al taglio può essere determinata dai seguenti tre gruppi di fattori: a) fattori connessi alle condizioni iniziali e alle caratteristiche intrinseche del materiale, che determinano bassi valori iniziali della resistenza al taglio e condizioni generali sfavorevoli; b) fattori le cui variazioni conducono ad una riduzione degli sforzi efficaci (riduzione degli sforzi normali o aumento delle pressioni interstiziali); c) fattori che conducono ad una riduzione dei parametri di resistenza al taglio c' e φ' Condizioni iniziali che determinano bassi valori di resistenza al taglio I fattori caratteristici dello stato iniziale del materiale che determinano bassi valori della resistenza al taglio sono la sua composizione, tessitura e struttura, nonché la geometria del versante. La presenza di fillosilicati (minerali argillosi), per esempio, costituisce condizioni sfavorevoli, così come un alto contenuto di sostanza organica. La tessitura può essere caratterizzata da un arrangiamento instabile delle particelle, come in sabbie molto sciolte o in argille a tessitura dispersa; tali tessiture sono molto sensitive anche a leggere sollecitazioni e possono facilmente collassare. Fattori strutturali e geometrici del versante sfavorevoli alla stabilità sono rappresentati da: a) orientazione delle discontinuità (faglie, fratture, piani di stratificazione e scistosità, ecc.); b) alternanza di strati litoidi su materiali deboli; c) alternanza di livelli permeabili ed impermeabili; d) esposizione del versante, che controlla l'intensità dei fenomeni di alterazione del materiale; e) presenza di superfici di taglio preesistenti Fattori che inducono riduzioni degli sforzi effettivi La riduzione degli sforzi efficaci è determinata essenzialmente dai fattori che provocano l'aumento delle pressioni dell'acqua interstiziale. Possono verificarsi i seguenti tipi di fenomeni: a) Innalzamento della superficie di falda e conseguente aumento delle pressioni dell'acqua statiche. Ciò può essere causato da eventi meteorici o da immissione artificiale di acqua. b) Fenomeni di filtrazione. La filtrazione che agisce dal basso verso l'alto determina una riduzione degli sforzi efficaci fino e condizioni di instabilità (sifonamento). c) Fenomeni di liquefazione. L'annullamento degli sforzi efficaci, e quindi della resistenza al taglio nel caso di materiale privo di coesione (es. sabbie sciolte), è dovuto alla creazione di elevate sovrappressioni dell acqua interstiziale, generate talvolta dal collasso della struttura del materiale. d) Fenomeni che determinano il carico non drenato in terreni a bassa permeabilità. L'applicazione di carichi con velocità superiori a quella della possibilità di drenaggio delle acque interstiziali produce eccessi di pressione dei pori, che vengono gradualmente dissipati nel tempo, ma che, a breve termine, causano la riduzione degli sforzi efficaci Fattori che inducono riduzioni dei parametri di resistenza al taglio Variazioni dei parametri di resistenza al taglio sono causati da processi di alterazione, degradazione meteorica ed altre reazioni fisico-chimiche; a) la disgregazione fisica delle rocce granulari (graniti, arenarie ecc.) per azione del gelo e delle escursioni termiche (crio e termoclastismo); b) variazioni nel tipo e nella quantità di ioni all'interno della struttura a strati dei minerali argillosi; c) idratazione dei minerali argillosi; d) fenomeni di essiccamento e fratturazione delle argille, con conseguente perdita di coesione dell'insieme e formazione di vie d'accesso preferenziali per l'acqua; e) dissoluzione chimica del cemento. Oltre a questi esistono due principali processi che conducono alla riduzione dei parametri di resistenza al taglio mobilitata in situ, rispetto a quelli misurati sullo stesso materiale in laboratorio: 3-20

40 3 Fenomeni franosi f) Rammollimento (softening): è un processo tipico dei materiali argillosi sovraconsolidati fessurati e consiste nel progressivo decadimento della coesione efficace, conseguente all aumento dell indice dei vuoti; quando il processo raggiunge il suo massimo sviluppo (completo rammollimento), i parametri di resistenza al taglio sono gli stessi del materiale rimaneggiato, normalmente consolidato, con coesione efficace nulla. g) Rottura progressiva: poichè la distribuzione della sollecitazione al taglio non è uniforme lungo la potenziale superficie di scivolamento, in realtà spesso la rottura non è contemporanea lungo tutta la superficie ma inizia in un punto e da essa si propaga in modo progressivo. Ciò fa sì che mentre punti che hanno già subìto rottura vedono decadere la resistenza verso valori residui, nei punti in cui la rottura non si è ancora propagata sono ancora mobilitati valori di picco. I parametri che controllano effettivamente il movimento sono perciò intermedi tra i valori di picco e quelli residui. 3.6 Indagini Le indagini su frane in atto o potenziali hanno come obiettivo: a) verifica della stabilità del pendio; b) scelta e progettazione del tipo di intervento di stabilizzazione. Le indagini sono finalizzate alla definizione dei seguenti punti: a) riconoscimento delle condizioni di instabilità, in atto o potenziale, dei versanti; b) definizione del tipo di movimento e della sua estensione; c) definizione delle condizioni idrauliche. Tali informazioni possono essere conseguite tramite due tipi di indagini: a) indagini geomorfologiche; b) indagini strumentali. Solo dopo aver riconosciuto il tipo di frana (in atto o potenziale), nonché la sua geometria, premesse indispensabili per la formulazione di ipotesi sul meccanismo del movimento e sulla sua tendenza evolutiva, è possibile passare alla progettazione ed esecuzione degli interventi più idonei Indagini geomorfologiche Le condizioni di instabilità dei versanti sono valutabili attraverso il riconoscimento di indizi di movimento già avvenuto o di condizioni geomorfologiche, geologiche ed idrogeologiche favorevoli allo sviluppo di fenomeni gravitativi. In genere, le aree instabili mostrano evidenze di movimenti già avvenuti o incipienti, per cui molti fenomeni possono essere già individuati attraverso una accurata indagine geomorfologica. All'interno di un determinato ambiente climatico, le forme del paesaggio sono determinate dall'azione di agenti morfogenetici (gravità, acque correnti superficiali, ghiaccio, moto ondoso, azioni antropiche), ognuno dei quali determina una serie di processi morfogenetici, sotto l'influenza di determinate condizioni (litologia, struttura, tettonica, forme del rilievo preesistente). La forma è quindi direttamente connessa al processo morfogenetico che la determina, ed entrambi dipendono quindi dal tipo di agente e dal quadro di condizioni al contorno entro cui questo opera. Diversi tipi di processi possono essere determinati dallo stesso agente, ad esempio l'agente gravità può dare origine a processi franosi di diverso tipo (crolli, ribaltamenti, scorrimenti, colamenti). Le indagini di tipo geomorfologico, analogamente allo studio dei processi di erosione del suolo, si basano sostanzialmente sul rilevamento (di campagna e da fotointepretazione) e si concretizzano nella rappresentazione cartografica dei processi e delle forme presenti sui versanti e delle informazioni sul loro grado di attività (Fig.3.21). In particolare lo studio geomorfologico fornisce il miglior strumento per la determinazione dell'estensione planimetrica dei fenomeni di instabilità e per la loro classificazione (individuazione del tipo di movimento e di materiale) Indagini strumentali Per quanto riguarda un movimento franoso in atto, le indagini strumentali possono determinare la causa del movimento e gli interventi di risistemazione più idonei. Le indagini strumentali sono effettuate in una fase successiva al rilevamento geologico-geomorfologico di campagna e sono finalizzate ai seguenti scopi: a) studio della cinematica dei movimenti mediante l'installazione di sistemi di monitoraggio (inclinometri, spie, estensimetri, picchetti); b) ricostruzione della geometria del corpo di frana in planimetria ed in profondità mediante trincee, perforazioni, prove penetrometriche, studi geofisici (sondaggi elettrici e sismici) e l installazione di sistemi di monitoraggio; c) determinazione della posizione e delle oscillazioni della tavola d'acqua e misura delle pressioni interstiziali mediante installazione di piezometri. 3-21

41 3 Fenomeni franosi Questa campagna di indagini può essere integrata con l'installazione di una stazione meteorologica per lo studio dell'andamento delle precipitazioni nell'area e delle loro eventuali relazioni con le escursioni della falda e con l'instabilità del versante. Fig Legenda per la carta geomorfologica di base Studio della cinematica dei movimenti L installazione di sistemi di monitoraggio permette di stabilire lo stato di attività della frana, in particolare consente di: a) verificare se e dove la frana si sta muovendo; b) osservare la frequenza delle riattivazioni e di correlarle eventualmente con le precipitazioni o con i livelli piezometrici; c) stabilire la cinematica del movimento: ad esempio distinguere se si tratta di uno scivolamento in corrispondenza di una netta superficie di rottura o se invece si tratta di un colamento in cui le deformazioni si esauriscono gradualmente in profondità; 3-22

42 3 Fenomeni franosi d) misurare la velocità del movimento e l eventuale accelerazione prima di una fase di collasso. Gli strumenti normalmente impiegati per lo studio della cinematica si possono suddividere in due categorie: superficiali o profondi. A) Monitoraggio superficiale a) rilievi topografici o fotogrammetrici. I rilievi geodetico-topografici si basano sulla misura, attraverso strumenti di rilevamento topografico (teodolite, distanziometro), degli spostamenti di punti, materializzati da piastrini, vincolati alla superficie del terreno entro l area in frana, rispetto a capisaldi di riferimento posizionati al di fuori della zona franosa (Fig.3.22). I movimenti superficiali, per ciascun punto di misura, vengono rappresentati mediante vettori con moduli proporzionali all entità degli spostamenti (Fig.3.23). La fotogrammetria terrestre si basa sulla ripresa di immagini tramite camera metrica da punti di presa posti a terra, a breve distanza dal versante da monitorare. Può risultare molto più vantaggiosa rispetto ai metodi topografici tradizionali soprattutto quando i punti da determinare sono molto numerosi. La recente diffusione di appositi programmi di calcolo per l elaborazione delle immagini tramite utilizzo di stereorestitutore digitale rende tale metodo particolarmente indicato nel caso di misure di estremo dettaglio. b) estensimetri superficiali. Permettono di registrare una componente dello spostamento in corrispondenza di una fessura nel corpo di frana o al suo bordo. Sono più comunemente utilizzati nel caso di pendii in roccia, essendo strumenti in grado di misurare sia l apertura che lo scorrimento in corrispondenza di una superficie di discontinuità. Alle estremità opposte delle discontinuità vengono fissati due ancoraggi meccanici tra i quali è posizionato un trasduttore di misura meccanico o elettrico (Fig.3.24). Esistono degli estensimetri in grado di misurare l entità delle tre componenti di spostamento (Fig.3.25). c) clinometri superficiali: permettono di registrare lo spostamento angolare in corrispondenza di una fessura nel corpo di frana o al suo bordo. d) spie: si tratta di sbarrette di vetro o di gesso che vengono cementate ai due lati di una fessura (per es. su un edificio sul corpo di frana); la rottura della sbarretta indica la presenza di movimenti differenziali in atto. Fig Esempio di rete regolare di capisaldi di misura da utilizzare nel caso di frane di elevate dimensioni impostate su pendii regolari. Fig Esempio di rappresentazione dei movimenti superficiali per mezzo di vettori spostamento. 3-23

43 3 Fenomeni franosi Fig Estensimetri per la misura dell apertura e dello scorrimento lungo una superficie di discontinuità. B) Monitoraggio profondo Fig Estensimetro per il controllo delle tre componenti di spostamento. a) estensimetri in fori di sondaggio: si tratta di cavi estensimetrici inguainati che vengono cementati in un foro di sondaggio (es. all esterno di un tubo inclinometrico). La variazione di lunghezza del cavo, registrata mediante un micrometro, permette di stabilire se si verificano deformazioni in profondità e consente di stimare la velocità di tali deformazioni. b) inclinometri. Un inclinometro è costituito da un tubo di alluminio o di plastica (tubo inclinometrico) cementato in un foro di sondaggio, la cui sezione circolare presenta 4 scanalature che fungono da guida per la sonda inclinometrica che, calata nel tubo guida, rileva le eventuali deformazioni del tubo stesso causate da movimenti differenziali del terreno (Fig.3.26). Più precisamente la sonda inclinometrica misura le deviazioni rispetto alla verticale dell asse del tubo inclinometrico. Più inclinometri collegati tra loro mediante un cavo di acciaio costituiscono una batteria inclinometrica. Fig Inclinometro e rappresentazione di misure inclinometriche Ricostruzione della geometria del corpo di frana L'individuazione della posizione dell'eventuale superficie di rottura costituisce in genere il principale obbiettivo delle indagini strumentali, in quanto essa è richiesta per ogni tipo di analisi a posteriori del fenomeno finalizzata alla comprensione dei caratteri del movimento e alla scelta dei criteri di intervento. La localizzazione della superficie di rottura richiede criteri diversi per movimenti franosi in atto o per movimenti inattivi o quiescenti. A) Movimenti in atto a) misura dello spostamento di picchetti sul corpo di frana per definire i limiti laterali; b) misura delle deformazioni in profondità con inclinometri; 3-24

44 3 Fenomeni franosi c) misura con un filo a piombo della profondità alla quale un foro di sondaggio si richiude; impiego di tubi di plastica inseriti in fori di sondaggio con lo scopo di individuare solo la posizione della superficie di scorrimento (corrispondente al punto di inflessione del tubo); semplice osservazione di fori di sondaggio (visuale o con telecamere). B) Movimenti inattivi a) osservazioni in trincee o di carote prelevate a carotaggio continuo di: presenza di superfici lucide e striate che evidenziano la superficie di scorrimento; osservazione delle variazioni di orientazione della stratificazione o delle laminazioni, che dovrebbero essere diverse sui due lati della superficie di scorrimento; osservazione di variazioni litologiche; b) misura della variazione del contenuto d'acqua con la profondità: il materiale intorno alla superficie di scorrimento è caratterizzato in genere da un maggior contenuto in acqua; c) prove geotecniche in situ per l individuazione di livelli di debolezza (es. prove penetrometriche); la presenza di un livello debole all interno di una massa più resistente può essere associato con la superficie di rottura; d) indagini geofisiche (sismica a riflessione e a rifrazione, geoelettrica, georadar, etc.) per l individuazione di contrasti nelle proprietà meccaniche fra la massa spostata e il substrato relativamente indisturbato Misura delle pressioni interstiziali La determinazione della pressione dell acqua sotterranea in corrispondenza della superficie di scivolamento è di fondamentale importanza per la determinazione della resistenza al taglio lungo tale superficie. La misura delle pressioni interstiziali ad una data profondità è possibile mediante piezometri. Poiché la misura della pressione deve essere effettuata in corrispondenza della superficie di rottura della frana, l installazione di tali strumenti deve necessariamente seguire le indagini per la determinazione della posizione della superficie di rottura. 3.7 Interventi di stabilizzazione Per quanto riguarda gli interventi da effettuare sui singoli fenomeni, essi dipendono sia dal tipo di movimento che dalle sue cause e dai materiali in esso coinvolti. Gli interventi di stabilizzazione di fenomeni franosi devono essere mirati ad ottenere un certo margine di sicurezza che, nella maggior parte dei casi, può essere quantificato nella misura di F=1.3. Facendo riferimento al concetto di fattore di sicurezza, la stabilizzazione di un pendio soggetto a movimenti franosi può essere ottenuta in due modi: 1) riduzione delle forze destabilizzanti; 2) aumento delle forze resistenti. Le forze resistenti sono determinate dalla resistenza al taglio del materiale che, in termini di tensioni efficaci, può essere espressa dal criterio di Mohr-Coulomb: τ f = (σ - u) tanφ' + c' L aumento della resistenza al taglio, quindi delle forze resistenti, può quindi essere determinato in due modi: a) Aumento degli sforzi efficaci (diminuzione delle pressioni interstiziali) b) incremento dei parametri di resistenza al taglio c e φ. Oltre a questi due criteri di stabilizzazione si può ricorrere ad altre due strategie di intervento (Fig.3.27): 3) applicazione di forze esterne e realizzazione di opere di sostegno; 4) eliminazione del problema e opere di protezione. Nell ambito dello stesso schema classificativo, verranno riportati, per ognuna delle categorie, i principali interventi dell INGEGNERIA NATURALISTICA (Fig.3.28). Quest ultima è una disciplina tecnica che utilizza piante vive in genere in abbinamento con altri materiali (legno, pietrame, reti zincate, geotessili, biostuoie, ecc.). Va precisato che molti interventi dell ingegneria naturalistica possono avere una funzione molteplice nell ottica delle quattro strategie di stabilizzazione prima definite, pertanto in tali casi verranno classificate in base alla loro funzione dominante. Si indicheranno come TECNICHE COMBINATE invece quei casi in cui l uso di vegetazione è combinato con tecniche di stabilizzazione tradizionali. Va inoltre precisato che la categoria degli interventi di stabilizzazione superficiale e rivestimento vegetativo, inseriti di seguito nel gruppo degli interventi che producono un aumento delle forze stabilizzanti (soprattutto per la prevalente funzione di drenaggio legata alla vegetazione), hanno in realtà una funzione prevalente di protezione dai fenomeni di erosione del suolo (dovuti a precipitazione, ruscellamento superficiale, vento). Tuttavia essi sono per lo più usati nel caso di versanti instabili per fenomeni franosi: la loro funzione è soprattutto quella di proteggere il terreno dall azione erosiva della pioggia e del vento in attesa dell affermazione della copertura vegetale e del completamento delle opere di stabilizzazione (quindi in sostanza hanno il ruolo di controllo dell erosione durante la realizzazione di interventi di stabilizzazione di movimenti di versante). 3-25

45 3 Fenomeni franosi Fig Principali strategie di intervento per la stabilizzazione di pendii. Fig Strategie di intervento dell Ingegneria Naturalistica. 1: Consolidamento al piede (applicazione di forze esterne e realizzazione di opere di sostegno); 2: riprofilatura (riduzione delle forze destabilizzanti); 3: stabilizzazione superficiale e rinverdimento (aumento forze stabilizzanti nei livelli superficiali; protezione dai processi di erosione superficiale). 3-26

46 3 Fenomeni franosi Riduzione delle forze destabilizzanti Le forze che producono il movimento sono date essenzialmente dalla componente tangenziale della gravità sulla superficie di scorrimento, cioè sono dovute al peso del materiale, all'inclinazione della superficie di scorrimento e del versante. La riduzione delle forze destabilizzanti si realizza in genere attraverso movimenti di terra, quali gradonature o riprofilature (Fig.3.29). Esse possono essere effettuate in tre modi principali: a) scarico (Fig.3.30): riduzione dei pesi nella zona di testata; b) appesantimento al piede (Fig.3.30): applicazione di pesi al piede; c) riduzione della pendenza: mediante scavo o riporto di materiale. Fig Gradonature e riprofilature. a) scarico b) appesantimento al piede τ criterio di rottura a b Fig Scarico e appesantimento al piede e relativa rappresentazione su diagramma σ - τ. σ Aumento delle forze resistenti Diminuzione delle pressioni interstiziali L'aumento degli sforzi efficaci si realizza attraverso la riduzione delle pressioni dell'acqua con opere di drenaggio delle acque di circolazione profonda e di quelle di ruscellamento superficiale. Il drenaggio delle acque rappresenta generalmente il tipo di intervento più efficace ed ha l'effetto, oltre che di aumentare la resistenza al taglio, anche di ridurre il peso della massa coinvolta e quindi delle sollecitazioni di taglio (Fig.3.31). sup.piezometrica iniziale sup.piezometrica finale τ criterio di rottura Riduzione u w Riduzione peso massa spostata σ = σ- u w 3-27

47 3 Fenomeni franosi Fig Drenaggio e suoi effetti sul piano σ - τ. Fig Drenaggi superficiali. Fig Trincee drenanti. 3-28

48 3 Fenomeni franosi Fig Dreni portanti. PLANIMETRIA: NORMALE RINFORZATI Dreni suborizzontali a raggiera Collegamento Fig Pozzi drenanti. Scarico 3-29

49 3 Fenomeni franosi Fig.3.36 Esempio di sistema di drenaggio profondo con galleria drenante e rete di tubi suborizzontali. PLANIMETRIA: Dreni suborizzontali Dreni suborizzontali a raggiera SEZIONE: Muro in c.a. Dreno (inclinazione 20-25%) Fig Dreni orizzontali. Si possono avere diversi tipi di drenaggio: a) Drenaggi superficiali (Fig.3.32): con funzione di regimazione delle acque di ruscellamento superficiale; consistono in sistemi di canalette, collettori e trincee. b) Trincee drenanti (Fig.3.33): hanno la funzione di regimazione delle acque profonde; consistono in trincee allungate lungo le direzioni di massima pendenza, riempite con materiale drenante a pezzatura grossolana e con una canaletta di raccolta sul fondo; c) Dreni portanti (Fig.3.34): sono trincee che si estendono al di sotto della superficie di scivolamento che quindi svolgono anche una funzione di contrasto dei movimenti; sono riempiti con materiale grossolano, oppure con muratura a secco. L elemento portante può essere costituito da (Fig.3.34): 1) muratura di pietrame a secco; 2) strati di gabbioni, saturati con sabbia o protetti con tessuto non tessuto; 3) setto centrale in calcestruzzo poroso e parti laterali in materiale drenante. d) Pozzi drenanti (Fig.3.35): consistono in pozzi che consentono il drenaggio da superfici di rottura profonde; essi hanno generalmente una funzione di collegamento di dreni o gallerie drenanti suborizzontali, oppure trovano recapito in un orizzonte permeabile profondo; in alcuni casi sono realizzati per il drenaggio rapido artificiale, attraverso pompaggio. e) Gallerie drenanti (Fig.3.36): sono opere estremamente costose, da adottare per la stabilizzazione di frane di grandi dimensioni, in situazioni idrogeologiche che comportino la necessità di captare notevoli afflussi idrici concentrati lungo vie preferenziali (zone di faglia o di intensa fatturazione, contatti tra rocce e terreni di copertura, ecc.). f) Dreni orizzontali (Fig.3.37): consistono in fori di sondaggio contenenti canalette fenestrate avvolte in geotessile oppure anche in vere e proprie piccole gallerie drenanti a sviluppo suborizzontale; rappresentano lo strumento più efficace per il drenaggio delle frane. Spesso si hanno sistemi costituiti da pozzi a largo diametro, con funzione portante, dai quali si dipartono a raggiera dreni orizzontali. 3-30

50 3 Fenomeni franosi INTERVENTI DI INGEGNERIA NATURALISTICA In generale la maggior parte delle opere di I.N., o almeno quelle che fanno uso di vegetazione vivente, possono essere inserite nella categoria del drenaggio in quanto le piante impiegate determinano una minore infiltrazione da parte delle acque superficiali e possono produrre la sottrazione di acqua dal terreno. C è tuttavia da osservare che l effetto drenante è a volte di limitata efficacia in quanto l'assorbimento massimo di acqua si ha in estate, proprio quando ne viene meno l'esigenza. Negli interventi di drenaggio in senso stretto, sono impiegati sia materiali esclusivamente naturali, sia in combinazione anche con materiali sintetici. I principali interventi che rientrano in tale gruppo sono i seguenti: a) Canalette in legname con talee (Fig.3.38): si tratta di drenaggi superficiali con funzione di regimazione delle acque di ruscellamento superficiale. b) Fascinata drenante (Fig.3.39): consiste nell utilizzo di materiale vegetale vivo o morto per la realizzazione di dreni superficiali o sottosuperficiali. Si dispongono in appositi scavi fasci di ramaglia preventivamente legati in rotolo, fissati tramite picchetti in legno, successivamente interrati. Si può utilizzare un telo di materiale plastico impermeabile sul fondo dello scavo ed eventualmente una tubazione drenante da porre sul fondo della trincea stessa. Fig Canalette in pietrame e in legname con talee Fig Fascinate drenanti. Un altro gruppo di tecniche di I.N. è quello degli interventi di stabilizzazione superficiale e rivestimento vegetativo; almeno alcuni di essi continuano ad avere anche un ruolo di drenaggio, seppure non sono interventi specifici per tale funzione come quelli precedenti. Come detto in precedenza, molti di essi hanno una funzione prevalente di protezione dai fenomeni di erosione del suolo dovuti ad acque di precipitazione e ruscellamento superficiale (semine ed idrosemine, reti, feltri, stuoie, ecc.), pertanto la loro funzione è soprattutto quella di proteggere il terreno dall azione erosiva della pioggia e del vento in attesa dell affermazione della copertura vegetale e del completamento delle opere di stabilizzazione. I principali tipi di interventi che rientrano in questa categoria sono i seguenti: a) Palizzata semplice (Fig.3.40): consiste nella realizzazione di strutture in legname trasversali alla linea di massima pendenza, composte da picchetti infissi nel terreno, posa in opera di pali a monte dei picchetti e posa a dimora di materiale vegetale vivo nel gradone ottenuto. b) Viminata (Fig.3.41): composta da un intreccio di verghe (rami lunghi cresciuti dritti, poco ramificati, elastici, di almeno 120 cm di lunghezza) aventi capacità vegetative, fissato al terreno mediante picchetti di legno o tondini di ferro e successivamente interrato. Tra di essi si possono infiggere talee vive. Può avere disposizione a file orizzontali oppure incrociate.

51 3 Fenomeni franosi Fig Palizzata semplice. Fig Viminata. Fig Grata viva. Fig.3.43 Stuoie e reti. 3-32

52 3 Fenomeni franosi c) Grata viva (Fig.3.42): grata costituita da tronchi verticali ed orizzontali, fissati tramite chiodature. La grata viene poi fissata al terreno mediante picchetti di legno o di ferro, e riempita con terreno locale; lungo i tronchi orizzontali vengono disposte talee e ramaglia, con eventuale supporto di una griglia metallica per un migliore trattenimento del terreno. L intera superficie può poi essere soggetta a semina. d) Messa a dimora di talee: consiste nell impiego di specie legnose con buona capacità di moltiplicazione vegetativa per talea. Usate in genere in combinazione con altre tecniche, come picchetti viventi nella posa di reti e stuoie, di fascinate e nella realizzazione di coperture diffuse, o infisse negli interstizi di scogliere e gabbionate. e) Impianto di alberi ed arbusti: consiste nella piantagione di piantine a radice nuda e/o con pane di terra. Può essere seguita dalla posa di pacciamanti (feltri, paglia, corteccia di resinose, pietrame) e di ritentori idrici (polimeri) in caso di siccità estiva prolungata. f) Semina e idrosemina: per semina si intendono le operazioni di inerbimento mediante spargimento manuale di sementi e fertilizzanti; per idrosemina si intende la tecnica di inerbimento mediante proiezione idraulica di una miscela in soluzione acquosa di sementi, concimi e leganti, effettuata con apposita macchina specializzata (idroseminatrice). g) Reti, feltri e stuoie (Fig.3.43 e 3.44): possono essere di materiale naturale (reti, stuoie, feltri in fibre di cocco, juta, legno, carta, ecc.) e misto (reti metalliche abbinate a reti in fibre biodegradabili, reti in plastica ed in fibre vegetali). In generale, con il termine rete si intende una struttura costituita da fili intrecciati, mentre il termine stuoia o feltro individua strutture costituite da un tessuto continuo di fibre vegetali, spesso associato a rete in materiale biodegradabile o sintetico. Hanno funzione di protezione del terreno dall azione erosiva della pioggia e del vento, con azione immediata di copertura del suolo, in attesa dell affermazione della copertura vegetale. I limiti superiore ed inferiore della rete vengono fissati ed interrati in un apposito solco. Fig Esempi di reti e stuoie Incremento dei parametri di resistenza al taglio a) iniezioni (Fig.3.45): è una tecnica atta a migliore le caratteristiche meccaniche dei terreni e delle rocce mediante l immissione di miscele (malte cementizie o sospensioni di cemento e bentonite) entro fori di piccolo diametro (60-130mm). b) reticoli di micropali (Fig.3.46): si tratta di pali di piccolo diametro (10-20 cm) in calcestruzzo o cemento armato che vengono realizzati in modo da attraversare la superficie di scivolamento; più che offrire una azione di sostegno, i micropali hanno la funzione di incrementare la resistenza al taglio lungo la superficie di scivolamento; vengono generalmente realizzati per terreni o rocce deboli. c) chiodature o bullonature (Fig.3.47): il rinforzo degli ammassi rocciosi può essere realizzato inserendo barre metalliche entro fori trivellati. Si definiscono chiodi le barre cementate, per tutta la loro lunghezza, all interno del foro e prive di un elemento di ancoraggio in punta ed eventualmente prive di un dispositivo di bloccaggio in testa. Si parla di bulloni quando la barra è dotata di un elemento di ancoraggio in punta e di un dispositivo di bloccaggio (che può 3-33

53 3 Fenomeni franosi permettere il pretensionamento), dotato di una piastra per la ripartizione del carico. L elemento di ancoraggio dei bulloni può essere di tipo meccanico o chimico (resine, cemento). d) trattamenti chimici: mirano alla modifica, attraverso la capacità di scambio ionico dei minerali argillosi, delle caratteristiche geotecniche dei materiali argillosi in prossimità della superficie di rottura. In questa zona, il materiale argilloso viene messo in contatto con una soluzione chimica che permette lo scambio di cationi fra questa ed i minerali argillosi, trasformandoli in altri minerali argillosi che conferiscono al materiale una più elevata resistenza al taglio. La corretta applicazione del metodo prevede una dettagliata conoscenza della mineralogia del materiale e delle condizioni idrogeologiche del versante. Fig Iniezioni. Fig Reticoli di micropali. 3-34

54 3 Fenomeni franosi Chiodo cementato Bullone ad ancoraggio puntuale Bullone ad ancoraggio puntuale cementato Fig Chiodature e bullonature. e) trattamenti termici: consistono nel provocare una vera e propria cottura dei materiali argillosi, e quindi un allontanamento permanente ed irreversibile dell'acqua da una determinata porzione del versante. Tale cottura viene ottenuta attraverso la combustione in pozzi e trincee di sostanze infiammabili ad alto potere calorico (nafta, napalm.). f) elettrosmosi: metodo che prevede l installazione di due elettrodi in un terreno saturo fra i quali viene fatta passare una corrente elettrica. L'acqua interstiziale si sposta dall elettrodo positivo (anodo) verso quello negativo (catodo). Se in corrispondenza di quest ultimo viene realizzato un pozzo di drenaggio l acqua può essere asportata per pompaggio. Il movimento dell acqua è dovuto alla carica negativa sulla superficie delle particelle argillose; la pellicola d acqua immediatamente adiacente alla superficie di tali particelle si carica quindi positivamente e può essere spostata da una differenza di potenziale. A differenza dei metodi di drenaggio basati su differenze di carico idraulico, con l elettrosmosi è possibile spostare anche l acqua pellicolare adiacente alle particelle argillose. Il processo determina la consolidazione del terreno e conseguentemente un miglioramento della resistenza al taglio Applicazione di forze esterne e realizzazione di opere di sostegno L'applicazione di forze esterne che si oppongano alle forze destabilizzanti, o che incrementino quelle resistenti, è il metodo più diretto di stabilizzazione, ma generalmente costoso. I metodi impiegati possono essere di vario tipo; i più utilizzati consistono in: a) muri di sostegno (Fig.3.48): si distinguono vari tipi di muri di sostegno, sia in base alla forma della struttura che del materiale impiegato. Per quanto riguarda quest ultimo essi possono essere realizzati a secco, in calcestruzzo o cemento armato, ad elementi prefabbricati, in gabbioni, in terra rinforzata o armata. I muri a gravità sono quelli che resistono principalmente con il loro peso. I muri in gabbioni (gabbionate) rappresentano un particolare tipo di strutture di sostegno realizzate con la sovrapposizione di gabbioni, ovvero di scatole di rete metallica riempite di pietrame a secco. Possono avere la funzione di muri a gravità (rientranti quindi in sostanza nella precedente categoria) o di rivestimento. I muri cellulari a gabbia o crib-wall (Fig.3.49) sono una struttura realizzata mediante una intelaiatura di elementi prefabbricati ottenuta sovrapponendo in modo alternato ed ortogonale gli elementi stessi, e riempendo poi le gabbie così ottenute con materiale inerte. Una crescente diffusione è costituita dalle terre armate o rinforzate. Le prime sono costituite da strati di terreno con interposta una armatura metallica. Le terre rinforzate (Fig.3.50) sono realizzate attraverso l utilizzo di terreno ed inerti con interposti strati di materiali geotessili o geosintetici (geogriglie, reti, tessuti) in modo da migliorarne indirettamente le caratteristiche geotecniche. I volumi di terreno interessati dalla lavorazione a strati successivi (terreno-rinforzo-terreno) si comportano così come manufatti a gravità con il vantaggio di presentare una buona flessibilità. In particolare con il termine geogriglie si intendono strutture geotessili speciali a forma di rete costituite da fibre di poliestere ricoperte da un ulteriore strato protettivo di PVC (Fig.3.51). Il principio di base delle terre rinforzate mediante geogriglie consiste nella mobilizzazione di una elevata forza di trazione all interno della struttura in terra; lo scopo è raggiunto tramite uno stretto legame tra terreno e geogriglia. b) palificate (Fig.3.52 e 3.53): gruppi di pali, di legno, metallo, cemento armato o calcestruzzo infissi o gettati in fori trivellati. c) ancoraggi o tiranti (Fig.3.54 e 3.55), talvolta associati a muri (muri tirantati). 3-35

55 3 Fenomeni franosi INTERVENTI DI INGEGNERIA NATURALISTICA Possono essere ascrivibile a questa categoria gli interventi di consolidamento al piede (essi possono avere anche la funzione di appesantimento al piede, quindi di riduzione delle forze di taglio). a) Palificate in legname : si possono distinguere due tipi. Palificata a doppia parete (Fig.3.56): si tratta di un manufatto a gravità formato da una struttura in pali di legno abbinato alla posa di piante. Si prevede l utilizzo di opere di drenaggio, essendo la palificata realizzata su un piano di posa con contropendenza verso monte, in genere attraverso tubazioni drenanti a base piatta, collocate longitudinalmente nella posizione a quota più bassa sul retro del piano di posa e quindi collegate per lo scarico con tubi drenanti in posizione ortogonale al pendio e con pendenza verso valle. In genere è anche prevista la posa di stuoie o georeti sul paramento esterno per impedire l asportazione del terreno di riempimento, almeno nei periodi immediatamente successivi alla realizzazione dell opera, da parte delle acque di ruscellamento. Palificata a parete semplice (Fig.3.57): Ha tecniche esecutive e funzionalità simili, ma non viene realizzata la posa del tondame longitudinale posizionato sul retro della struttura. Si realizza in alternativa alla precedente in caso di spazi limitati, o per scelta progettuale che ritenga sufficiente la realizzazione di un manufatto leggero con prevalente funzione di rivestimento rispetto a quella di sostegno. TECNICHE COMBINATE a) terre armate e/o rinforzate rinverdite: uno dei vantaggi delle terre armate e/o rinforzate è quello di costituire una struttura con la possibilità di inserimento di vegetazione sul paramento esterno. b) gabbionate rinverdite: si tratta di gabbionate rinverdite con l inserimento di talee. Fig Muri di sostegno. 3-36

56 3 Fenomeni franosi Fig.3.49 Crib wall. Fig.3.50 Muri in terra rinforzata. Fig Terra rinforzata con geogriglia. 3-37

57 PLANIMETRIA: 3 Fenomeni franosi SEZIONE: Fig Palificate. Legno Calcestruzzo Cemento armato Acciaio PALI INFISSI PREFABBRICATI Tuboforma lasciato in situ Tuboforma asportato PALI INFISSI IN CLS GETTATO IN OPERA Normale Con bulbo basale PALI TRIVELLATI IN CLS GETTATO IN OPERA Fig Tipi di pali. Fig.3.54 Tirante di ancoraggio. 3-38

58 3 Fenomeni franosi Fig.3.55 Scomposizione della reazione R indotta dal tirante. Fig Palificata a doppia parete. Fig.3.57 Palificata a parete semplice Eliminazione del problema e opere di protezione a) disgaggio (Fig.3.58): consiste nell'eliminazione delle masse instabili (metodo utilizzato generalmente per porzioni di roccia passibili di crollo). b) opere di protezione (Fig.3.59) di strutture o infrastrutture soggette a rischio di frana, da realizzare senza intervenire sul fenomeno. Per esempio: gallerie paramassi: si tratta di gallerie artificiali che hanno lo scopo di proteggere le sedi stradali dalla caduta massi dal pendio soprastante. schermi o parapetti, rilevati e scavi sagomati paramassi: si tratta di opere realizzate in genere alla base di un pendio interessato da crolli, con lo scopo di contenere i massi distaccati ed impedire che questi possano raggiungere determinate strutture a rischio (strade, abitazioni). reti di protezione (Fig.3.60): si tratta di reti metalliche a maglia esagonale, che vengono ancorate alla sommità e lungo il pendio con barre in acciaio cementate (chiodi). Le reti hanno lo scopo di trattenere i blocchi di roccia (di dimensioni decimetriche) che si distaccano dalla parete. Tali blocchi vengono convogliati alla base del pendio, per cui le reti devono essere lasciate libere all'estremità inferiore per circa 0.3 m. E consigliabile realizzare un fossato di raccolta al piede del pendio oppure provvedere alla loro periodica pulizia e manutenzione. 3-39

59 3 Fenomeni franosi TECNICHE COMBINATE Nel caso di reti di protezione applicate soprattutto a versanti in terra, le reti possono essere combinate con un ripristino vegetazionale che ha lo scopo di svolgere, oltre ad una funzione estetica, anche un'azione stabilizzante, in quanto permette un più efficace fissaggio della rete (Fig.3.61). In caso di scarpate a forte componente detritica e roccia affiorante le reti di protezione possono essere accoppiate a reti biodegradabili. Fig Disgaggio. Fig Opere di protezione. 3-40

60 3 Fenomeni franosi Fig.3.60 Esempio di rete paramassi. Fig Reti di protezione con ripristino vegetazionale. 3-41

61 4 Dinamica fluviale 4 DINAMICA FLUVIALE 4.1 Processi fluviali Un sistema fluviale può essere idealmente suddiviso in tre parti (SCHUMM, 1977) (Fig.4.1). La zona 1 rappresenta la parte più a monte del bacino, nella quale prevale la produzione di sedimenti. La zona 2 è caratterizzata prevalentemente dal trasporto di sedimenti, da parte del corso d acqua principale del bacino idrografico, verso valle: idealmente si può immaginare che in tale tratto del sistema fluviale esista un bilancio tra materiale proveniente da monte e materiale trasportato verso valle. La zona 3 costituisce la porzione terminale del bacino idrografico (ad esempio il sistema deltizio) e rappresenta l area di deposizione. Fig.4.1 Sistema fluviale idealizzato (SCHUMM, 1977). Fig.4.2 Zone di produzione, trasporto e sedimentazione. Nel tratto in cui attraversa il fondovalle alluvionale (zona 2), il fiume può essere paragonato in un certo senso ad un nastro trasportatore (Fig.4.2) il quale convoglia il materiale prodotto nella zona 1 verso valle e rimobilizza sedimenti temporaneamente immagazzinati sotto varie forme di deposito (barre, pianura inondabile, ecc.). In questo tratto l alveo fluviale è estremamente dinamico ed i processi responsabili della sua morfologia e dinamica agiscono continuamente in combinazione tra di loro. Tali processi possono essere suddivisi in tre principali categorie: erosione, trasporto solido, sedimentazione Erosione I processi di erosione che interessano il fondo di un alveo fluviale sono determinati in primo luogo da una rimozione da parte della corrente fluviale delle particelle presenti. Tale rimozione è quindi principalmente legata allo sforzo di taglio τ esercitato dalla corrente: τ = γ w R S dove γ w è il peso di volume dell acqua, R il raggio idraulico, S la pendenza. Le condizioni di inizio del moto dei sedimenti sono controllate dalle caratteristiche idrauliche della corrente, dalle proprietà del fluido e dalle caratteristiche dei sedimenti. Per la determinazione delle condizioni di inizio del moto dei sedimenti il criterio di SHIELDS (1936) è normalmente accettato nella pratica applicativa (per il quale si rimanda all Idraulica Fluviale o ad approfondimenti successivi). Tramite tale criterio si determina uno sforzo di taglio critico τ c di inizio del moto dei sedimenti presenti sul fondo. L erosione avrà quindi inizio quando lo sforzo di taglio della corrente supera lo sforzo di taglio critico di inizio del moto dei sedimenti presenti sul fondo, cioè nella condizione in cui τ > τ c. L erosione che può interessare le sponde di un alveo fluviale comprende una più larga varietà di processi, soprattutto quando le sponde sono costituite da materiali a comportamento coesivo (Fig.4.3). Si possono in generale distinguere due principali categorie di processi di erosione che possono interessare le sponde fluviali: (1) Processi di erosione, attraverso i quali si ha rimozione e trasporto di particelle individuali o aggregati di particelle dalla superficie esterna della sponda in arretramento; 4-1

62 4 Dinamica fluviale (2) Movimenti di massa, caratterizzati da movimenti di masse di materiale costituente la sponda in seguito all'azione della gravità. Fig.4.3 Arretramento di una sponda fluviale attraverso una combinazione di erosione dovuta alla corrente fluviale e movimenti di massa Trasporto solido Il trasporto solido dei corsi d acqua è un fenomeno funzione di numerosi fattori quali: il clima, i caratteri idraulici della corrente, la litologia, la morfologia e le dimensioni del bacino idrografico, la morfologia dell alveo fluviale, l attività umana nel bacino e lungo l alveo fluviale stesso. La conoscenza del trasporto solido di un fiume è di grande interesse per alcuni problemi di ingegneria quali ad esempio: irrigazione, produzione di energia, navigabilità e problemi territoriali come sistemazione di bacini idrografici e piani di bacino. Il trasporto solido di un corso d acqua naturale può essere schematicamente suddiviso in: 1) trasporto solido in soluzione: può rappresentare una porzione importante in corsi d acqua che drenano rocce solubili. 2) trasporto solido per fluitazione (o flottazione): è costituito prevalentemente da materiali vegetali galleggianti, a seguito dello sradicamento di arbusti e di tronchi da parte della corrente. In particolari condizioni climatiche possono essere trasportati blocchi e frammenti di ghiaccio. Il trasporto di materiali vegetali può essere causa di ostruzioni parziali o totali delle luci dei ponti o di altri manufatti, causando un innalzamento del pelo libero a monte dell ostruzione per effetto di rigurgito, che può determinare esondazioni delle portate di piena. 3) trasporto solido in sospensione: per molti fiumi costituisce la frazione più importante del trasporto solido totale. Questo tipo di trasporto solido è utilmente suddivisibile in due porzioni: il wash load e il trasporto in sospensione vero e proprio. Il primo rappresenta la porzione più fine del trasporto in sospensione (diametro inferiore a mm, cioè a partire dal limo), che ha origine dai versanti durante un periodo piovoso e si muove direttamente fino alle zone di sedimentazione (quali laghi, zone palustri o mare), senza intervenire nella dinamica dell alveo. Il trasporto in sospensione vero e proprio al contrario può essere sedimentato nell alveo stesso in zone o in periodi di minore capacità di trasporto della corrente. 4) trasporto solido al fondo: è costituito dai sedimenti che si muovono sul fondo o a bassa distanza da questo per saltazione, rotolamento, trascinamento, ecc., come elementi singoli o come movimento generalizzato di tutti i granuli di ogni dimensione. 5) flusso di detriti e di fango: si tratta del movimento di una massa di detriti o di fango che, completamente imbevuta di acqua, si muove comportandosi essa stessa come un fluido Misura del trasporto solido in sospensione La portata solida in un determinato istante non è uniformemente distribuita nella sezione, ma varia da punto a punto e in ogni punto fluttua nel tempo. Le variazioni di concentrazione sulla verticale sono generalmente più accentuate che in senso trasversale. Infatti le diverse granulometrie tendono a distribuirsi in modo diverso lungo la verticale: le particelle più fini, dal campo delle argille fino ai limi, hanno generalmente una concentrazione quasi uniforme; quelle più grossolane presentano concentrazioni crescenti verso il fondo (Fig.4.4). 4-2

63 4 Dinamica fluviale Fig Concentrazione dei sedimenti trasportati in sospensione: variazioni sulla verticale in funzione delle diverse classi granulometriche (Fiume Missouri). Fig Variazioni della velocità della corrente, della concentrazione di sedimenti e della portata solida in una generica sezione. Per la misura del trasporto solido in sospensione si utilizzano in genere campionatori costituiti da bottiglie di forma opportuna, posizionate a diverse altezze in corrispondenza di diverse verticali della sezione liquida. Misurata la concentrazione C delle particelle solide contenute in ogni campione raccolto, si può poi calcolare per integrazione la portata solida trasportata in sospensione. A tal fine ci si basa sull ipotesi che l acqua e le particelle solide si muovano alla medesima velocità. Ciò non è sempre vero, in particolare in prossimità del fondo. Uno schema inerente la distribuzione della velocità della corrente, della concentrazione del materiale in sospensione e della portata solida è riportato in Fig.4.5. Per ottenere valutazioni attendibili, la presenza del campionatore deve alterare poco la configurazione della corrente e deve consentire una misura prolungata per un tempo idoneo ad ottenere una media significativa tra i valori istantanei. Si definisce efficienza di campionamento il rapporto tra quantità di materiale campionato e quantità di materiale che sarebbe transitato in assenza dello strumento campionatore. Tale efficienza deve mantenersi prossima ad 1; essa scende invece significativamente sotto il valore unitario (cioè il materiale misurato è inferiore a quello che sarebbe transitato senza il campionatore) quando il grado di riempimento dello strumento raggiunge valori del 30-40%. 4-3

64 4 Dinamica fluviale Campionatore a singolo stadio. Campionatore a bottiglia Fig Campionatori per la misura del trasporto solido in sospensione. I principali tipi di campionatori sono: a) campionatori a bottiglia: sono costituiti da un boccaglio di presa d acqua collegato con un contenitore per il prelevamento del campione (Fig.4.6). E necessario che la velocità di entrata della corrente nel boccaglio si mantenga molto vicina a quella che ci sarebbe in quel punto in assenza di campionatore. Tali campionatori variano per dimensioni e per metodi di misura, e richiedono in tutti i casi uno o più operatori. b) campionatori separatori: hanno un campo di utilizzo simile ai precedenti ma sono basati sulla separazione diretta del materiale sospeso dall acqua nel momento stesso del campionamento. Il funzionamento consiste nel convogliare attraverso un boccaglio acqua e sedimenti in una camera di sedimentazione o in un recipiente filtrante dai quali l acqua fuoriesce priva di sedimenti rimanendo questi intrappolati. c) campionatori autonomi: sono invece quelli capaci di recuperare il campione in assenza di operatore. Possono essere fissati ad una determinata altezza dal fondo in condizioni di magra, ed effettuare un singolo campionamento durante la fase ascendente della piena (campionatori a singolo stadio, Fig.4.6). Usati in batteria su di una verticale è possibile campionare per diverse altezze d acqua. Esistono inoltre campionatori aspiranti, basati su un sistema di aspirazione costituito da una pompa o da recipienti sotto vuoto, da un boccaglio di prelevamento generalmente mantenuto fisso in un punto della sezione, da una serie di bottiglie per il campionamento di ogni singolo campione. d) misuratori indiretti: un altro approccio per la misura del trasporto solido in sospensione consiste nella misura della attenuazione di uno o più segnali dovuta alla presenza dei sedimenti nell acqua interposti tra la sorgente e il ricevitore del segnale. Si possono basare sull attenuazione di una sorgente di luce, di ultrasuoni o di raggi γ Misura del trasporto solido al fondo Per la misura del trasporto solido al fondo vengono generalmente usati campionatori composti da contenitori nei quali si accumula il sedimento, collegati ad un timone destinato ad orientare la bocca d ingresso controcorrente. Misurando la quantità di materiale entrata nel contenitore in un prefissato tempo, si ricava il valore medio della portata solida nel punto di misura. Ripetendo la misura in punti diversi del fondo della sezione, si può risalire alla valutazione dell intera portata solida al fondo. Numerosi sono i problemi relativi a questo tipo di misura: alle difficoltà comuni alla misura del trasporto in sospensione, si aggiunge il fatto che lo strumento misuratore può interferire con il fondo stesso causando un disturbo localizzato che falsa sostanzialmente il dato misurato. Le difficoltà della misura aumentano con le dimensioni dei sedimenti dell alveo e di quelli trasportati. Con tutte le limitazioni prima accennate, il trasporto solido al fondo può essere misurato con diversi tipi di strumenti: a) campionatori a canestro (Fig.4.7): con efficienza pari al 40-50% in funzione del grado di riempimento del contenitore. b) campionatori a trappola con setti (Fig.4.7): consistono in una piastra rigida tipo vassoio fornito di setti trasversali tra i quali sedimenta il materiale che si muove sul fondo. c) campionatori a pressione differenziale: sono progettati con la bocca di presa tale che la velocità di entrata si mantenga approssimativamente uguale alla velocità della corrente, pertanto presentano una efficienza relativamente elevata rispetto agli altri tipi di campionatori. Il campionatore Helley-Smith è quello più largamente utilizzato (Fig.4.7). d) misuratori indiretti: anche per il trasporto al fondo esistono metodi basati sull attenuazione di uno o più segnali dovuta alla presenza dei sedimenti. Infine esistono stazioni di misura fisse, consistenti in trappole o strutture fisse inserite nell alveo per recuperare una parte o tutto il materiale trasportato durante un evento. 4-4

65 4 Dinamica fluviale Fig Campionatori per il trasporto solido al fondo Sedimentazione Si possono schematicamente distinguere processi di sedimentazione laterale e di sedimentazione verticale, anche se spesso essi in genere agiscono in combinazione. La sedimentazione laterale è quella legata alla migrazione delle barre nei canali attivi, nei sistemi a canali intrecciati, o al tipico processo di accrescimento della barra di meandro nei sistemi meandriformi. La sedimentazione verticale è quella dovuta a tracimazione (overbank), la quale determina una progressiva accrezione verticale del prisma alluvionale, il cui tasso dipende da numerosi fattori quali la produzione di sedimenti nel bacino, il tasso di subsidenza, le variazioni climatiche e del livello marino. Fig Sottoambienti e depositi fluviali (da RICCI LUCCHI, 1980). A: corso a canali intrecciati; B: corso meandriforme. 1: alluvium più antico; 2: argine naturale; 3: barra; 3 : sommità di barra: cordoni e solchi; 4: piana inondabile; 5: lingua o ventaglio di rotta; 6: pavimento residuale o fondo canale (lag). 7. canale abbandonato. Sedimentazione laterale: dovuta a migrazione delle barre nei canali attivi (3). Sedimentazione verticale: dovuta a tracimazione o overbank (2, 3, 4, 5) o riempimento di canali morti. All interno della pianura alluvionale si possono distinguere vari sottoambienti, caratterizzati da diversi processi di tracimazione che originano tipi differenti di depositi fluviali (Fig.4.8): a) depositi di argine naturale: sono corpi sedimentari formati prevalentemente da sabbie fini o limi sabbiosi, con sezione triangolare asimmetrica, con pendenza forte verso l interno del canale e più dolce verso la pianura. b) depositi di rotta o crevasse: sono originati da tracimazione nella pianura e presentano in genere forma di lobo, lingua o ventaglio, come un piccolo delta o una conoide. c) depositi di piana inondabile: sono i materiali più fini del sistema (limo e argilla di decantazione, con rare intercalazioni più sabbiose). d) depositi di canale abbandonato: sono dovuti all abbandono ed al riempimento di canali, e sono prevalentemente formati da limo e argilla ricchi di sostanza organica, con rare intercalazioni sabbiose. 4-5

66 4 Dinamica fluviale 4.2 Forme fluviali Gli alvei naturali possono innanzitutto essere schematicamente suddivisi in: 1) alvei a fondo fisso, incisi in roccia massiva, pressocchè privi di sedimenti, esclusi grandi blocchi che invadono l'alveo; 2) alvei a fondo mobile, incisi in sedimenti incoerenti o poco coerenti con sponde dello stesso materiale o roccia massiva. Nel primo gruppo sono compresi tutti gli alvei che, essendo interessati da correnti con elevata energia, sono capaci di smaltire tutti i sedimenti via via che questi raggiungono l'alveo o che in esso si accumulano. Si tratta generalmente di alvei in zone montane con forti pendenze, in erosione più o meno accentuata a seconda delle caratteristiche geomorfologiche, climatologiche e litologiche. Gli alvei principali di un bacino idrografico rientrano invece nel secondo gruppo: in essi i sedimenti presenti in alveo, o nella pianura alluvionale in cui questo è inciso, possono essere trasportati costituendo essi stessi una sorgente di sedimenti che si somma a quella dei versanti; al contrario l'alveo può consentire la sedimentazione di materiale proveniente da monte. La mobilità dei materiali costituenti l'alveo consente a questo una maggiore variabilità planimetrica e del profilo altimetrico Forme fluviali in alvei a fondo mobile Se si considera un tratto di limitata lunghezza di un alveo fluviale a fondo mobile, si possono distinguere varie superfici geomorfologiche, poste a quote topografiche differenti in relazione alla frequenza con cui esse sono soggette all azione della corrente (Fig.4.9). Fig Blocco diagramma in cui sono rappresentate le principali forme fluviali. 1: Substrato roccioso; 2: depositi alluvionali; AB: sponde di piattaforma di canale (channel shelf); AS: piattaforma di canale (channel shelf); CB: canale (channel bed); DB: barra depositionale (depositional bar); FB: sponda di pianura inondabile (flood plain bank); FP: pianura inondabile (flood plain); HL: versanti (hillslopes); T l : terrazzo inferiore (lower terrace); T u : terrazzo superiore (upper terrace). a) Canale: in un fiume perenne è quella parte dell alveo che risulta totalmente o parzialmente ricoperta di acqua per la maggior parte delle portate che interessano il fiume. b) Barre: sono incluse nell alveo attivo e rappresentano le superfici fluviali topograficamente più basse, leggermente al di sopra del canale. Si possono distinguere vari tipi di barre (Fig.4.10). Alcuni tipi sono caratteristici di una determinata morfologia. Le barre laterali sono in genere caratteristiche di alvei rettilinei o a bassa sinuosità, dove si alternano in sponda destra e sinistra. Quando la sinuosità dell'alveo cresce, tendono a formarsi barre di meandro nella parte interna delle curve. Le barre longitudinali sono invece tipiche di alvei a canali intrecciati. c) Pianura inondabile (floodplain): è una superficie pianeggiante costruita dal fiume in determinate condizioni climatiche, che in genere viene inondata mediamente una volta ogni 1-3 anni. Il livello idrometrico in grado di raggiungere la pianura inondabile è definito livello ad alveo pieno (bankfull stage), a cui corrisponde la cosiddetta portata ad alveo pieno (bankfull discharge). In molti casi le aree che soddisfano la definizione di pianura inondabile rappresentano solo una piccola porzione di fondovalle nelle immediate adiacenze dell alveo. In alcuni alvei possono essere presenti forme di transizione tra barre e pianura inondabile (channel shelf). d) Terrazzo: a causa di variazioni climatiche o di modificazioni indotte dall attività umana, il fiume può variare la sua posizione altimetrica, costruendo progressivamente una nuova pianura inondabile adattata alla nuova quota del fondo. 4-6

67 4 Dinamica fluviale La pianura precedente abbandonata prende il nome di terrazzo: esso in alcuni casi può essere ancora inondato ma per tempi di ritorno superiori ai 3 anni. e) Sponde: sono costituite da superfici con una certa inclinazione o da vere e proprie scarpate che separano tra di loro due delle forme definite prima. Esse possono essere schematicamente suddivise in sponde basse e sponde alte, a seconda del dislivello tra le diverse superfici fluviali che separano. Le sponde basse sono ad esempio caratteristiche di situazioni in accrescimento come sulla parte interna di un meandro; le sponde alte possono invece essere caratteristiche di situazioni di erosione come nel corrispondente lato esterno del meandro, dove la sponda raccorda direttamente il canale con la pianura inondabile o con il terrazzo. Fig Tipi di barre: 1.barre laterali; 2.barre di meandro; 3.barre di giunzione o di confluenza; 4.barre longitudinali; 5.barre a losanga; 6.barre diagonali; 7.onde di sabbia, barre linguoidi o dune. E possibile distinguere altri tipi di forme che caratterizzano la configurazione planimetrica ed altimetrica di un alveo fluviale. Fig Schema di una sequenza riffle - pool. f) Sequenze riffle e pool (Fig.4.11): rappresentano una caratteristica comune a pressocchè tutti gli alvei ghiaiosi nei quali c è una certa eterogeneità del materiale presente sul fondo. Si può infatti distinguere una alternanza più o meno regolare di tratti meno profondi (riffles) e tratti più profondi (pools), i primi caratterizzati da altezza d acqua minore e velocità della corrente maggiore e viceversa. I riffles sono caratterizzati da granulometrie più grossolane mentre la superficie dei pools può essere costituita da un più ampio fuso granulometrico, interessando materiale anche molto più fine. La distanza tra un riffle ed il successivo è in genere funzione della larghezza del canale e varia da 4 a 6 volte la larghezza stessa. g) Meandri (Fig.4.12): sono anse che si susseguono per lo più regolarmente lungo un tratto del corso d acqua. Lo spostamento dei meandri avviene attraverso l erosione fluviale che si verifica a spese della sponda esterna della curva, in corrispondenza della quale si concentrano le massime velocità della corrente. All erosione di sponda esterna si contrappone un fenomeno di sedimentazione sulla sponda interna, dove le velocità sono invece minime. L alveo nel suo insieme subisce così continui spostamenti laterali, attraverso i quali migra e costruisce la pianura inondabile. 4-7

68 4 Dinamica fluviale Fig Schema ed elementi geometrici dei meandri fluviali. r= raggio di curvatura; l= larghezza dell alveo Tipi di alvei fluviali A partire dal primo tentativo di classificazione proposto da LEOPOLD & WOLMAN (1957), sono stati distinti tre tipi principali di alvei mobili: rettilinei (straight), a canali intrecciati (braided) e meandriformi (meandering). Gli alvei rettilinei sono piuttosto rari in natura e generalmente non si riscontrano per tratti più lunghi di 10 volte la larghezza. I fiumi a canali intrecciati sono definiti come quelli in cui l alveo è frequentemente suddiviso da barre in due o più canali. I fiumi meandriformi sono definiti come quelli aventi una sinuosità (definita come il rapporto tra lunghezza misurata lungo l alveo e lunghezza misurata lungo la valle) convenzionalmente maggiore o uguale a 1.5. SCHUMM (1963), basandosi anche su risultati ricavati da esperienze di laboratorio, ha suggerito uno schema classificativo basato sul tipo di trasporto solido prevalente, mettendo in evidenza le strette relazioni tra tipi di alveo, modalità di trasporto solido, condizioni di stabilità e processi dominanti (Fig.4.13). Sono distinti 5 tipi principali di forme di alveo in funzione del tipo di trasporto solido (Bed-load, Mixed-load, Suspended-load). In particolare si può notare una successione dei tre tipi principali d alveo definiti da Leopold & Wolman al variare della pendenza. Alvei di tipo rettilineo (1) sono associabili ai minimi valori di pendenza ed a condizioni di bassa energia. Aumentando il campo delle pendenze, aumenta progressivamente la sinuosità del canale (2, 3); successivamente si cominciano a manifestare i primi caratteri di intrecciamento (4). Al di sopra di un certo valore di soglia della pendenza si verifica una brusca caduta del valore della sinuosità che segna il passaggio ad un alveo a canali intrecciati, caratterizzato dalle più alte condizioni energetiche della corrente, in cui le sponde più esterne riassumono un andamento circa rettilineo. In alvei di tipo rettilineo, il canale si identifica quasi con l'alveo di piena ed è in una situazione di relativa stabilità. In alvei a trasporto misto o con trasporto di fondo prevalente, il canale di magra è normalmente molto più limitato in larghezza rispetto all'alveo di piena, presenta una sinuosità maggiore ed una stabilità minore. In alvei a canali intrecciati la stabilità dei canali, delle barre e delle sponde è ancora minore e la forma dei canali varia anche in modo rilevante in un unico evento di piena. Un altra tipologia di alvei fluviali che ha ricevuto molta minore attenzione rispetto ai meandriformi e a quelli a canali intrecciati, essendo piuttosto rara in natura, è costituita dai fiumi anastomizzati. Si tratta di alvei multicanali, nei quali ogni singolo canale presenta una medio-alta sinuosità. I canali sono separati tra di loro da porzioni di pianura inondabile, cioè da isole stabilizzate da vegetazione, piuttosto che da barre attive come avviene normalmente per gli alvei a canali intrecciati. Negli anni successivi, in particolare nell ultimo decennio, la classica suddivisione proposta inizialmente da Leopold & Wolman si è rivelata molto spesso inadeguata per descrivere molte morfologie fluviali. Così si è progressivamente affermato il concetto secondo il quale si ha un continuo passaggio da una forma morfologica all altra, piuttosto che dei limiti ben definiti. Si possono osservare cioè numerose forme intermedie in cui i caratteri di sinuosità e di intrecciamento possono coesistere in diversa misura. 4-8

69 4 Dinamica fluviale Fig Classificazione di alvei fluviali basata sulla configurazione planimetrica ed il tipo di trasporto solido (SCHUMM, 1963). A. Limite dell alveo; B. direzione della corrente; C. barre. 1. Alveo e canale di magra rettilinei; 2. Alveo rettilineo, canale di magra sinuoso; 3a. meandriforme, con larghezza uniforme e piccole barre di meandro; 3b. meandriforme, con larghezza maggiore nelle curve e larghe barre di meandro; 4. di transizione tra meandriforme e a canali intrecciati, con larghe barre di meandro e frequenti canali di taglio; 5. alveo a canali intrecciati. KELLERHALLS et alii (1976) hanno proposto una classificazione basata soprattutto sulla descrizione delle principali forme e processi presenti, distinguendo gli alvei in base a tre principali caratteristiche: a) configurazione planimetrica, b) isole fluviali, c) barre e maggiori forme di fondo (Fig.4.14). Fig Classificazione di forme e processi fluviali (da KELLERHALLS et alii,1976). a. Forma planimetrica: 1.rettilineo; 2.sinuoso; 3.irregolare; 4.meandri irregolari; 5.meandri regolari; 6.meandri tortuosi. b. Isole: 0.nessuna; 1.occasionali (nessuna sovrapposizione, spaziatura maggiore di 10 volte la larghezza dell alveo); 2.frequenti (sovrapposizioni poco frequenti, spaziatura minore di 10 volte la larghezza dell alveo; 3.canali suddivisi (le isole si sovrappongono frequentemente o continuamente; due o tre canali); 4.canali intrecciati (canali principali divisi da isole e barre). c. Barre: 1.barre laterali; 2.barre di meandro; 3.barre di giunzione o di confluenza; 4.barre longitudinali; 5.barre a losanga; 6.barre diagonali; 7.onde di sabbia, barre linguoidi o dune. 4-9

70 4 Dinamica fluviale Spesso si osserva in uno stesso fiume una variazione progressiva da monte verso valle di morfologie diverse associabili con differenti condizioni energetiche della corrente. Alcune delle numerose classificazioni proposte dopo quella originaria di LEOPOLD & WOLMAN (1957), riflettono tale concetto e considerano una più vasta gamma di forme planimetriche. BRICE (1975) propone ad esempio una classificazione descrittiva molto generale, basata sulle caratteristiche planimetriche di un alveo distinguendo tra caratteri di sinuosità, di intrecciamento e di anastomizzazione (Fig.4.15). Secondo tale schema di classificazione, quando la sinuosità è minore di 1.05 l alveo è considerato rettilineo, altrimenti può essere sinuoso (sinuosità compresa tra 1.05 e 1.25) o meandriforme (sinuosità maggiore di 1.25). Un tratto di fiume può anche essere descritto in base al grado di intrecciamento, corrispondente alla percentuale di lunghezza in cui è presente più di un canale e, in maniera simile, dal grado di anastomizzazione, definito come percentuale della lunghezza del tratto occupato da isole fluviali, cioè barre longitudinali relativamente stabilizzate e di notevoli dimensioni in rapporto alla larghezza dell alveo. BRICE & BLODGETT (1978) suggeriscono la distinzione in quattro tipi di alvei di cui i due intermedi rappresentano forme di transizione tra meandriforme e a canali intrecciati (Fig.4.16). Grado di sinuosità Grado di intrecciamento Grado di anastomizzazione Caratteri di Sinuosità Caratteri di intrecciamento Caratteri di anastomizzazione Fig Tipi di alvei fluviali (da BRICE, 1975). Caratteri di sinuosità: a.alveo profondo con larghezza uniforme; b.alveo con larghezza uniforme; c.alveo più largo nelle curve, con rari canali di taglio; d.alveo più largo nelle curve, con canali di taglio comuni; e.variazioni irregolari della larghezza; f.canale di magra sinuoso all interno dell alveo di piena; g.sinuosità dell alveo di piena bimodale. Caratteri di intrecciamento: a.barre prevalenti; b.barre e isole; c.isole prevalenti, con forme diverse; d.isole prevalenti, lunghe e strette. Caratteri di anastomizzazione: a.canali sinuosi al lato dell alveo principale; b.canali anastomizzati derivanti da tagli di meandro; c.canali anastomizzati sinuosi; d.canali anastomizzati subparalleli; e.composito. 4-10

71 4 Dinamica fluviale Fig Tipi principali di alvei (da BRICE & BLODGETT, 1978). 1: Alveo sinuoso canaliforme; 2: alveo sinuoso con barre di meandro; 3: alveo a canali sinuosi intrecciati; 4: alveo a canali intrecciati non sinuosi. A: Anastomizzato. Fig Relazione tra morfologie fluviali e trasporto solido (SCHUMM, 1985). Fig.4.18 Tipi di alvei fluviali (CHURCH, 1992). Altri schemi di classificazione esprimenti il legame tra tipo di trasporto solido prevalente, forme fluviali e stabilità (similmente a quello originario di SCHUMM, 1963) sono quelli proposti dallo stesso SCHUMM (1985) (Fig.4.17) e da CHURCH (1992). Quest ultimo, riferendosi soprattutto a morfologie fluviali osservate in British Columbia (Canada), separa le morfologie fluviali in tre fasi (fase con alimentazione di trasporto al fondo dominante, fase di transizione, fase con alimentazione di trasporto in sospensione dominante), ognuna delle quali può a sua volta presentare una varietà di morfologie a seconda della alimentazione di sedimenti (Fig.4.18). Un approccio simile a quello di Schumm è anche quello adoperato da MOLLARD (1973) che, su base fotointerpretativa, distingue un continuum di forme planimetriche (Fig.4.19). 4-11

72 4 Dinamica fluviale Negli ultimi due diagrammi (Fig.4.18 e 4.19) compare anche una tipologia di alveo non presente nelle altre classificazioni, quella di wandering. Con tale termine vengono in genere indicate morfologie con caratteri transizionali tra canali intrecciati ed anastomizzati (o talora tra canali intrecciati e meandriformi). Fig.4.19 Morfologie fluviali secondo MOLLARD (1973). Fig Classificazione di ROSGEN (1994): principali tipi di fiumi naturali. 1. Pendenza dominante; 2. Sezione trasversale; 3. Forma planimetrica; 4. Tipo di fiume. Aa+: A forte pendenza, profondamente confinati. A: Pendenti, confinati, con sequenze step-pool. B: Moderatamente confinati, con moderata pendenza, canale con riffles dominanti e infrequenti pools. C: A basso gradiente, meandriformi, con barre di meandro, sequenze riffle-pool, alveo alluvionale con ben definita pianura inondabile. D: A canali intrecciati con barre trasversali e longitudinali, alveo molto largo e sponde erodibili. DA: Anastomizzato con canali stretti e profondi e ben vegetata pianura inondabile. E: A basso gradiente, meandriformi con sequenze riffle-pool, con basso rapporto larghezzaprofondità e poca deposizione. F: Meandriformi confinati con sequenze riffle-pool, bassi gradienti, alto rapporto larghezza-profondità. G: Gully confinato, con sequenze step-pool, basso rapporto larghezza-profondità, moderati gradienti. Un ultima classificazione recente è quella proposta da ROSGEN (1994), sviluppata adoperando dati provenienti da 450 fiumi di Stati Uniti, Canada e Nuova Zelanda (Fig.4.20). Attraverso tale classificazione i fiumi naturali, sia quelli a fondo fisso che a fondo mobile, vengono distinti in 9 principali categorie (Aa+, A, B, C, D, DA, E, F, G) sulla base dei seguenti parametri: rapporto di confinamento (entrenchment ratio) (definito come rapporto tra larghezza dell area inondabile e larghezza dell alveo pieno), rapporto tra larghezza e profondità, sinuosità, pendenza. 4-12

73 4 Dinamica fluviale 4.3 Morfologie di torrenti montani Caratteristiche generali Tra le principali caratteristiche che differenziano i torrenti montani dai fiumi di pianura si possono elencare le seguenti: pendenze del fondo elevate; elevata scabrezza e ciottoli grossolani più frequenti rispetto a fiumi di pianura; elevata turbolenza della corrente; regime delle portate con forte stagionalità e con elevata variabilità spaziale e temporale; morfologia dei canali con alta variabilità spaziale a causa del controllo esterno della geologia, ma bassa variabilità temporale perché solo eventi di bassa frequenza o colate detritiche sono in grado di modificarne profondamente la forma. Fig Diagramma schematico dei tipi di superfici geomorfologiche lungo un torrente montano. LFC= alveo di magra (low-flow channel); AC= alveo attivo (active channel); FP= pianura inondabile (floodplain); SC= canale secondario (secondary channel); T= terrazzo (terrace); AF 1 = conoide attiva; AF 2 = conoide inattiva incisa; VF= versanti. La morfologia di torrenti montani è controllata e condizionata dalla stretta interconnessione tra processi fluviali e processi di versante. In genere esiste una rilevante alimentazione diretta di sedimenti da parte dei versanti al corso d acqua, attraverso fenomeni franosi o alimentazione da parte di torrenti minori. La presenza di conoidi alluvionali e di corpi di frana che vanno ad occupare il fondovalle fino a sbarrare il corso d acqua (frane di sbarramento) condiziona fortemente il trasporto solido e la morfologia di tali torrenti. Tuttavia, in genere, la presenza di versanti a stretto ridosso del corso d acqua e di frequenti affioramenti rocciosi sul fondo nel complesso ne limitano la mobilità sia planimetrica che altimetrica. Le forme fluviali sono, di conseguenza, meno sviluppate rispetto ai fiumi di pianura. Comunque è possibile distinguere alcune principali superfici geomorfologiche analogamente ai fiumi di pianura (Fig.4.21). In particolare, l alveo attivo comprende il canale di magra (porzione sommersa per gran parte dell anno), le barre non vegetate e superfici di larghezza esigua, di transizione tra barre e pianura, definite come channel shelf. Possono essere presenti canali secondari ai margini dell alveo attivo o all interno della pianura, alimentati periodicamente (solo durante piene di una certa entità) dal canale principale. La pianura inondabile è una superficie vegetata posta qualche metro al di sopra rispetto al canale di magra, mentre i terrazzi sono superfici poste a quote topografiche ancora maggiori. Le conoidi alluvionali si sviluppano in corrispondenza delle confluenze di torrenti minori ad elevato trasporto solido. 4-13

74 4 Dinamica fluviale Classificazioni morfologiche di torrenti montani Classificazione di Grant et al. Un primo tipo di classificazione delle morfologie di torrenti montani è stato quello proposto da Grant et al. (1990) che si basa su uno schema di tipo gerarchico. Da questo punto di vista, il reticolo idrografico è scomponibile in segmenti fluviali di varia lunghezza a varie scale spaziali, più o meno omogenei relativamente alle variabili che controllano il sistema, quali geologia, idraulica e influenza dei versanti (Fig.4.22). Se si concentra l attenzione su una sezione (section) montana del reticolo di drenaggio (network), essa sarà scomponibile in tratti (reach), cioè in segmenti del corso d acqua separati da distinte variazioni di larghezza del fondovalle e di lunghezza dell ordine di volte la larghezza del canale. Ogni singolo tratto sarà a sua volta suddivisibile in una serie di unità di canale (channel unit), ognuna delle quali di lunghezza dell ordine di volte la larghezza del canale, all interno di ognuna delle quali si possono a sua volta distinguere una serie di sottounità (subunit) delle dimensioni di volte la larghezza del canale (Fig.4.23). Fig.4.22 Modello gerarchico di organizzazione del reticolo idrografico. Fig.4.23 Diagramma schematico della morfologia di alvei montani alle scale dell unità e della sottounità di canale (da Grant et al., 1990). Alla più piccola scala spaziale, il canale è formato da singole particelle individuali. Dove la concentrazione di queste particelle è alta e la pendenza del fondo sufficientemente elevata (superiore al 2%), la struttura del letto è dominata da una serie di steps composti dai blocchi di dimensioni maggiori, alternati a piccole pools approssimativamente lunghe da 0.4 a 0.8 volte la larghezza del canale. Presi singolarmente essi costituiscono una sottounità di canale, mentre considerati insieme, gli steps e le pools tra essi comprese creano una sequenza step-pool che complessivamente forma una unità (cascade). Le sequenze step-pool sono a loro volta alternate a pools di dimensioni maggiori, generalmente con lunghezza dell ordine di volte la larghezza del canale, formando quindi una sequenza di diverse unità di canale. Grant et al. (1990), nella loro classificazione, dis tinguono 5 distinte unità di canale, di cui quattro maggiori ed una minore. Le unità maggiori sono: pools, riffles, rapids e cascades, e sono definite come unità morfologiche lunghe più di una volta la larghezza del canale attivo. Le unità minori sono gli steps ed hanno lunghezza inferiore a quella del canale. Queste unità minori andrebbero in realtà considerate, per le loro dimensioni, come sottounità, ma sono considerate unità perché costituiscono delle discontinuità importanti nel profilo longitudinale. Le pools e le riffles sono morfologie di fondo analoghe a quelle caratteristiche di fiumi ghiaiosi di pianura. Le pools sono aree di corrente lenta priva di qualsiasi instabilità del pelo libero e con pochi massi esposti in condizioni di magra. Le riffles sono tratti in cui la corrente è modificata da locali instabilità e piccoli salti idraulici in corrispondenza degli elementi di scabrezza del fondo. Le rapids sono unità distinte dalle riffles per: (1) maggiore percentuale di area del corso d acqua (15%-50%) in regime supercritico; (2) organizzazione di massi in strutture orientate più o meno perpendicolarmente al canale ed esposte in condizioni di magra. Le cascades sono unità morfologiche in tratti ad elevata pendenza costituite da alternanza di steps e pools. 4-14

75 4 Dinamica fluviale Infine gli steps possono essere presenti anche come strutture individuali (a differenza con quelli più o meno alternate alle pools). Possono essere di vari tipi: costituiti da affioramenti rocciosi (rock steps), da grossi blocchi (boulder steps), o da tronchi di alberi ribaltati e disposti trasversalmente alla corrente (log steps) Classificazione di Montgomery & Buffington La classificazione di Montgomery & Buffington (1997) prevede le seguenti unità morfologiche: Rapida (cascade) Step pool Letto piano (plane bed) Riffle pool Dune ripple Fig Unità morfologiche tipiche dei torrenti montani, secondo la classificazione di Montgomery & Buffington (1997): (A) rapida; (B) step pool; (C) letto piano; (D) riffle pool; (E) dune ripple. A) Rapida. Con l espressione rapida, o cascade secondo la terminologia di Montgomery & Buffington (1997), si intende un tratto caratterizzato da una corrente a velocità sostenuta, flusso a getto e a separazione di corrente (tumbling flow e jet and wake flow) sopra o attorno ai clasti. Le rapide sono generalmente presenti in tratti di corsi d acqua con pendenze accentuate, con un alveo confinato e con una certa disorganizzazione trasversale e longitudinale del materiale lapideo. B) Step pool. In molti corsi d acqua montani, con un gradiente superiore al 2-3 % e una granulometria in alveo molto assortita, le riffle si accorciano, dando luogo ad una unità morfologica a gradino denominata step. Gli step sono costituiti da un gruppo di massi fortemente incastrati tra loro e posti di traverso rispetto alla corrente. Lo spazio tra uno step ed il successivo è occupato dalle pool che sono composte da materiale più fine. C) Letto piano. Il termine letto piano (plane bed) è utilizzato per indicare dei tratti d alveo con un profilo longitudinale regolare e senza brusche variazioni altimetriche. Quest unità morfologica può essere osservata sia nei torrenti montani che nei corsi d acqua di pianura. I letti piani si differenziano morfologicamente sia dagli step pool che dai riffe pool per una mancanza di una successione ritmica delle forme di fondo. D) Riffle pool. Un aspetto morfologico di molti corsi d acqua è rappresentato dalla successione di tratti a pendenza più sostenuta e profondità della corrente modeste (riffle) con tratti a profilo più piatto e profondità più elevate (pool). E) Dune ripple. I corsi d acqua con un basso gradiente e con materiale d alveo costituito prevalentemente da sabbia possono sviluppare una morfologia a dune ripple, ossia delle piccole dune o increspature del fondo. Anche un canale con un fondo in ghiaia, durante un evento di portata estremo, può sviluppare delle forme di fondo riconducibili alla morfologia a dune ripple. 4-15

76 4 Dinamica fluviale Altre morfologie Alle cinque principali morfologie definite secondo la classificazione di Montgomery & Buffington (1997), si possono aggiungere altre morfologie: tratti colluviali, tratti in roccia e morfologie imposte. F) Tratti colluviali. I cosiddetti tratti colluviali (colluvial) si distinguono dalle tipologie precedenti per la presenza di materiale alluvionale fine. Appartengono ad alvei di ordine gerarchicamente inferiore (aste di primo ordine) e rappresentano i tratti di testata del reticolo idrografico. Hanno generalmente dimensioni molto ridotte e si formano su depositi colluviali e di versante. La loro attività di trasporto solido è tipicamente intermittente e impulsiva; essi possono pertanto essere assimilati anche a forme incipienti di gullies. G) Tratti in roccia. I tratti in roccia sono contraddistinti dall assenza, in modo continuo, di un letto alluvionale. Sebbene limitate quantità di materiale possano essere momentaneamente accumulate nelle occasionali buche o a monte di locali ostruzioni della corrente, il volume di sedimenti è nel complesso limitato o assente. H) Morfologie imposte. Le ostruzioni della corrente possono forzare la morfologia di un tratto di canale, in modo da differenziarla da quella formatasi naturalmente in una condizione analoga di rifornimento di sedimenti e di capacità di trasporto. Nelle regioni boscate, per esempio, i bacini idrografici dispongono di una larga quantità di materiale vegetale; questo può favorire la creazione di particolari morfologie. I riffle pool e gli step pool sono le più frequenti morfologie imposte da ostruzioni nei bacini montani forestali. Una morfologia a riffle pool può formarsi a seguito di una ostruzione prodotta da materiale vegetale, mentre una sequenza step pool può essere generata da detriti di grosse dimensioni (tronchi) posti trasversalmente al corso d acqua (log steps). 4.4 Variazioni altimetriche in alvei a fondo mobile Scala temporale Durante un lungo intervallo di tempo (cyclic time), un bacino idrografico o parte di esso può essere considerato come un sistema soggetto ad un progressivo abbassamento del rilevo (ciclo di erosione); tuttavia se si considera un intervallo di tempo più breve, dell ordine delle decine o al massimo delle centinaia di anni (graded time, MACKIN, 1948), i processi di autoregolazione diventano importanti e le componenti del sistema possono essere considerate in una condizione di equilibrio dinamico (Fig.4.25). Durante un intervallo di tempo ancora più breve può esistere una condizione stazionaria (steady time). Pertanto, il concetto di equilibrio varia a seconda della scala temporale di riferimento (SCHUMM & LICHTY, 1965): in funzione dell intervallo di tempo preso in considerazione, le forme fluviali possono essere considerate come appartenenti ad uno stadio di un lungo ciclo di erosione o ad una condizione di equilibrio dinamico. La scala temporale a cui comunemente si fa riferimento nel campo della geomorfologia fluviale applicata, in particolare nello studio delle variazioni altimetriche indotte da disturbi antropici, è la media scala temporale (graded time) Aggiustamenti morfologici del fondo in un alveo fluviale Una proprietà fondamentale che caratterizza la morfologia e la dinamica di un alveo fluviale a fondo mobile è quella di variare continuamente la propria forma nello spazio e nel tempo adattandosi al regime delle portate liquide e del trasporto solido, a loro volta funzione di una serie di fenomeni che avvengono a scala di bacino idrografico. L interazione tra queste due principali variabili, portate liquide e solide, con le condizioni al contorno, rappresentate principalmente dalla morfologia della valle, dalle caratteristiche del materiale che costituisce il letto e le sponde e dalla vegetazione riparia, determinano la forma dell alveo, in termini di geometria delle sezioni trasversali, del profilo longitudinale e di forma planimetrica (Fig.4.26). Il fiume si assesta intorno ad una condizione di equilibrio dinamico (equivalente al concetto di regime usato nell idraulica fluviale), nel senso che, pur eventualmente modificando leggermente il tracciato attraverso i processi di erosione e sedimentazione che ne regolano la dinamica, mantiene mediamente invariata la propria geometria nella scala temporale di riferimento (dell ordine degli anni o delle decine di anni). 4-16

77 4 Dinamica fluviale Fig.4.25 Diagramma che illustra le differenti scale temporali adoperate nel campo della Geomorfologia Fluviale (SCHUMM & LICHTY, 1965). A. Progressiva riduzione del gradiente di un corso d acqua durante una lunga scala temporale (cyclic time). Durante una piccola porzione di tale intervallo di tempo, il gradiente rimane relativamente costante. B. Oscillazioni del gradiente intorno ad un valore medio (equilibrio dinamico) durante una media scala temporale (graded time). Fig Variabili guida, condizioni al contorno e forma di un alveo fluviale. Nel momento in cui, a causa di fattori naturali o antropici (Tab.4.1), si verifica una alterazione delle variabili guida o delle condizioni al contorno o della forma stessa dell alveo, quest ultima non è più espressione di una condizione di equilibrio dinamico tra le variabili in gioco. L'alveo risponderà quindi a tali alterazioni modificando la sua morfologia, le sue caratteristiche idrauliche o il trasporto solido, attraverso una serie di complesse retroazioni, fino al raggiungimento di una nuova condizione di equilibrio dinamico. LANE (1955) ha proposto la seguente relazione, molto semplice ma particolarmente utile per un primo approccio qualitativo: Q S Q S D dove Q è la portata liquida, S la pendenza dell alveo, Q S la portata solida e D il diametro del materiale presente sul fondo. Se una delle quattro variabili considerate si modifica, le altre tre varieranno tendendo a ristabilire il bilancio espresso dall equazione (Fig.4.27). 4-17

78 4 Dinamica fluviale Attraverso un approccio simile ma includendo più variabili (tra le quali parametri esprimenti la forma planimetrica), SCHUMM (1969) ha proposto una serie di relazioni qualitative che si riferiscono ad una casistica più ampia di possibili variazioni della portata liquida e solida (Tab.4.2). Fig Schema delle interazioni tra portate liquide e solide, pendenza, dimensione dei sedimenti, degradazione e aggradazione. FATTORI NATURALI FATTORI ANTROPICI Clima INTERVENTI IN ALVEO Geologia Tagli di meandro Tettonica Restringimenti Topografia Canalizzazioni Geomorfologia Estrazione di inerti Idrologia Dighe Geomorfologia del reticolo idrografico INTERVENTI A SCALA DI BACINO Vegetazione Disboscamenti Rimboschimenti Sistemazioni idraulico-forestali Urbanizzazione Tab Tipi di fattori che possono influire sulla dinamica evolutiva di un alveo fluviale. Per un approccio quantitativo al problema, nel campo dell Idraulica Fluviale si fa riferimento alle due seguenti grandezze: a) portata solida, che rappresenta il trasporto solido che realmente transita attraverso un determinato tratto di alveo; b) capacità di trasporto della corrente, definibile come la portata solida che potenzialmente l alveo è in grado di trasportare in un determinato tratto in base alle sue caratteristiche idrauliche, morfologiche e sedimentologiche. Esistono numerose equazioni di trasporto solido che esprimono la capacità di trasporto in funzione di diversi parametri legati alle caratteristiche idrauliche della corrente. In generale la capacità di trasporto è espressa in maniera direttamente proporzionale a grandezze quali la portata liquida, la profondità, la pendenza, la velocità, lo sforzo di taglio o la potenza della corrente (Ω = γqs), mentre risulta inversamente proporzionale al diametro dei sedimenti presenti sul fondo. Quando portata solida e capacità di trasporto della corrente si equivalgono, si instaura una condizione di equilibrio nel tratto di fiume che quindi non subisce variazioni nel tempo. Se si crea invece uno squilibrio, l alveo tenderà all erosione o alla sedimentazione a seconda che la capacità di trasporto della corrente sia in eccesso o in difetto rispetto alla portata solida. 4-18

79 4 Dinamica fluviale 1a. Aumento di portata liquida (es.diversione di acqua in un fiume) Q + L + h + λ + S - Rf + 1b. Riduzione di portata liquida (es.estrazione di acqua da un fiume) Q - L - h - λ - S + Rf - 2a. Aumento di portata solida (es.disboscamenti o agricoltura intensiva) Qs + L + h - λ + S + Is - Rf + 2b. Riduzione di portata solida (es.sistemazioni idraulico-forestali) Qs - L - h + λ - S - Is + Rf - 3. Aumento di portata liquida e portata solida (es.durante la costruzione di un area urbanizzata) Q + Qs + L + h ± λ + S ± Is - Rf + 4. Riduzione di portata liquida e portata solida (es.a valle di una diga) Q - Qs - L - h ± λ - S ± Is + Rf - 5. Aumento di portata liquida e riduzione di portata solida (es.in seguito ad urbanizzazione) Q + Qs - L ± h + λ ± S - Is + Rf - 6. Riduzione di portata liquida e aumento di portata solida (es.estrazione di acqua e agricoltura intensiva) Q - Qs + L ± h - λ ± S + Is - Rf + Tab Modello qualitativo della direzione delle variazioni morfologiche di un alveo in funzione di modificazioni delle portate liquide e solide (SCHUMM, 1969). Q: Portata liquida; Qs: portata solida; L: larghezza; h: profondità; λ: lunghezza d onda dei meandri; S: pendenza; Is: indice di sinuosità; Rf: rapporto larghezza/profondità Tipi di modificazioni del fondo Per incisione o degradazione o erosione distribuita (degradation o incision o general scour) si intende un abbassamento generalizzato del fondo di un alveo per un tratto di considerevole lunghezza. L abbassamento del fondo si propaga in genere verso monte all interno di un sistema fluviale attraverso il meccanismo erosione regressiva (nickpoint migration). Tale erosione può verificarsi attraverso l arretramento di un vero e proprio scalino (nickpoint) lungo il profilo longitudinale (Fig.4.28 A), rappresentato dalla testata del canale (headcut), oppure il dislivello può essere più graduale (nickzone) e distribuito su un tratto più lungo del fondo (Fig.4.28 B). A differenza dell erosione distribuita, l erosione localizzata (local scour) interessa solo tratti limitati di alveo ed è generalmente legata a variazioni locali delle caratteristiche della corrente (Fig.4.29 A). 4-19

80 4 Dinamica fluviale A 1 2 B 1 2 Fig.4.28 Meccanismi di erosione regressiva. A: nickpoint; B: nickzone. La sedimentazione o aggradazione o alluvionamento (aggradation) consiste al contrario in un innalzamento generalizzato del fondo di un fiume per un tratto sufficientemente lungo; anche in questo caso essa può essere distinta dalla sedimentazione localizzata (fill o local deposition). La sedimentazione localizzata è quella che si verifica ad esempio a monte di una briglia (Fig.4.29 B) o in corrispondenza di un affluente con forte trasporto solido, mentre un caso di aggradazione è quella che si manifesta a monte di una diga. A B PROFILO FINALE PROFILO ORIGINARIO Fig.4.29 Esempi di fenomeni localizzati. A: erosione a valle di una briglia; B: sedimentazione a monte di una briglia. Le conseguenze delle variazioni di quota del fondo di alvei fluviali sono molteplici. Nel caso di incisione, le principali conseguenze possono essere: a) instabilità di strutture in alveo (ponti, briglie); b) erosione regressiva lungo gli affluenti; c) instabilità delle sponde per l aumento di altezza e per l erosione alla base; d) abbassamento dei livelli freatici nella pianura adiacente; e) conseguenze su vegetazione riparia, habitat ecologici e colture nella pianura. Nel caso di sedimentazione, le principali conseguenze sono: a) danni prodotti da fenomeni di intenso trasporto solido e colate incanalate (nel caso di torrenti montani); b) riduzione della sezione idraulica e rischio di esondazione indotto; c) danni alla vegetazione riparia ed agli habitat ecologici Effetti di alcuni tipi di interventi antropici Si prendono in esame di seguito i tre principali casi di fenomeni di erosione distribuita associati ad interventi o attività antropiche Canalizzazione Si possono indicare con questo termine una serie di interventi in alveo, quali restringimento di sezione, rettifiche o tagli di meandro, che in generale comportano una riduzione della larghezza e/o della lunghezza del fiume. Da un punto di vista idraulico un restringimento dell alveo che si estende per un tratto sufficientemente lungo comporta un aumento delle portate liquide per unità di larghezza, quindi un incremento della capacità di trasporto della corrente. Essa diventa eccedente rispetto alla portata solida e causa quindi una tendenza ad una fase erosiva. Lo stesso effetto di aumento della capacità di trasporto della corrente è provocato da un taglio di meandro o in generale da un raddrizzamento del tracciato del corso d acqua che in questo modo, subendo una riduzione di lunghezza, aumenta la pendenza del fondo nel tratto rettificato. Ciò innesca una fase di abbassamento del fondo che migra progressivamente verso monte secondo il meccanismo di erosione regressiva, mentre a valle del tratto modificato si può venire a creare una condizione di sedimentazione favorita dal materiale proveniente dalla stessa erosione a monte (Fig.4.30). L erosione a monte e la sedimentazione a valle provocano quindi una modificazione del profilo longitudinale che tende a tornare nella sua configurazione premodificata. 4-20

81 4 Dinamica fluviale TRATTO A MONTE TRATTO CON TAGLI DI MEANDRI TRATTO A VALLE INCISIONE SEDIMENTAZIONE Fig Effetti morfologici di un taglio di meandro Erosione a valle di una diga L'esistenza di un invaso si riflette attraverso due fattori che influiscono in senso opposto sul bilancio sedimentario dell'alveo fluviale a valle della diga: l annullamento del trasporto solido al fondo e la laminazione delle onde di piena, con la conseguente riduzione delle portate di picco. E' ampiamente documentato in letteratura come il primo fattore prevalga sul secondo causando quindi una fase erosiva almeno immediatamente a valle della diga. Facendo riferimento al bilancio sedimentario a valle della diga (Fig.4.31), la portata solida al fondo immediatamente a valle può essere considerata pressocchè nulla, pertanto l eccesso di capacità di trasporto causa un abbassamento del fondo fino ad una certa distanza dalla diga e una conseguente riduzione della pendenza fino a che, dopo un certo intervallo di tempo, non si ristabiliscono le condizioni iniziali di equilibrio tra portata solida e capacità di trasporto. Q, Qs Q -, Qs - Q, Qs SEDIMENTAZIONE Q -, Qs - Fig Erosione a valle di una diga. Q S : Portata solida; Q: portata liquida Estrazione di materiali inerti INCISIONE Le conseguenze di una estrazione di inerti possono essere molto complesse e gli effetti possono essere risentiti sia verso monte che verso valle (Fig.4.32). L escavazione di materiale dal fondo può infatti comportare in primo luogo la formazione di una discontinuità lungo il profilo longitudinale (aumento localizzato della pendenza del fondo a causa dello scavo) che tende a migrare progressivamente verso monte causando una erosione regressiva. Nello stesso tempo, nel caso di una estrazione prolungata nel tempo, la portata solida a valle del punto di escavazione viene ad essere privata della quantità di materiale estratto, mentre la portata liquida rimane invariata. Ciò comporta eccesso di capacità di trasporto e innesca pertanto una fase erosiva che si protrae fino a che il bilancio tra portata solida proveniente da monte e capacità di trasporto dei sedimenti del tratto di fiume è ristabilita. A lungo termine il fondo degrada acquisendo una pendenza minore a valle dal punto di estrazione. 4-21

82 4 Dinamica fluviale Q, Qs Q, Qs S + Q, Qs Q, Qs ESCAVAZIONE Q, Qs Q, Qs Qs - EROSIONE REGRESSIVA EROSIONE A VALLE DEPOSIZIONE Fig Incisione dovuta ad estrazione di inerti. 4-22

83 5 Valutazione dell erosione del suolo 5 VALUTAZIONE DELL EROSIONE DEL SUOLO 5.1 Metodologie di analisi del processo erosivo Esistono numerose metodologie e modelli messi a punto per valutare l erosione del suolo i quali, pur basandosi tutti sui principali fattori del processo erosivo trattati nel paragrafo precedente, differiscono sui criteri di elaborazione dei relativi dati e sulla precisione delle risposte. Possono distinguersi in generale tre categorie fondamentali di metodologie: 1) qualitative; 2) semiquantitative; 3) quantitative. Per quanto riguarda le metodologie qualitative, esse si basano sull osservazione diretta dei processi erosivi. Si tratta sostanzialmente di metodi basati sul rilevamento (di campagna e da fotointepretazione) e sulla cartografia geomorfologica, cioè sull individuazione e distinzione dei vari tipi di processi erosivi e sull analisi delle forme di erosione e di accumulo prodotte dagli stessi. E lo stesso tipo di approccio che viene usato nelle indagini geomorfologiche sulle frane, che infatti in genere portano alla realizzazione di una unica cartografia geomorfologica nella quale sono rappresentati sia forme e processi legati alle acque correnti superficiali ed alla gravità. La previsione dell erosione del suolo, in questo caso, è intesa come possibilità della sua estensione alle aree adiacenti, purchè esse siano nelle stesse condizioni pedoclimatiche, geomorfologiche e di uso del suolo. Per l approccio semiquantitativo vengono usati metodi, più semplici di quelli quantitativi, che prevedono l assegnazione ai fattori determinanti l erosione del suolo di pesi proporzionali all importanza che ciascuno di essi assume, o si ritiene che assuma, nel processo erosivo. Dell ultima categoria fanno parte tutte quelle metodologie basate sulla parametrizzazione dei fattori coinvolti, e che risultano tanto più articolate quanto più è elevato il numero e complessa la natura di ogni singolo fattore. Inoltre per poter essere ritenute valide negli ambienti pedoclimatici e geomorfologici più diversi, tali metodologie dovrebbero essere sperimentate nelle condizioni naturali più varie, dove ciascuna variabile possa essere documentata e misurata Metodi semiquantitativi: Modello PSIAC Il Modello PSIAC (Pacific Southwest Inter-Agency Committee) è un esempio di metodo semiquantitativo. Esso è stato messo a punto per le regioni sud-occidentali degli USA, a fini pianificatori, per ottenere una stima orientativa dell entità dell erosione media annuale in aree di superficie non inferiore a 26 km 2. Il metodo prende in esame i seguenti fattori: 1) geologia; 2) suolo; 3) clima; 4) deflusso; 5) topografia; 6) copertura vegetale; 7) uso del suolo; 8) erosione del suolo; 9) erosione nei canali e trasporto di sedimenti. A ciascun fattore viene assegnato un fattore numerico, in funzione delle caratteristiche che determinano un livello di erosione basso, medio o alto (Tab.5.2). La somma dei valori attribuiti a ciascun fattore, variabile tra 0 e 130, consente di includere un dato bacino in una delle cinque classi cui corrisponde un determinato livello di erosione media annuale (Tab.5.1). La somma dei valori relativi ai primi sette fattori e quella relativa agli ultimi due devono essere confrontate. Generalmente ad un valore elevato del primo gruppo di fattori dovrebbe corrispondere un valore elevato del secondo gruppo. Se tale corrispondenza non viene osservata è consigliata una rivalutazione dei primi sette fattori. Somma dei valori dei fattori Classi Erosione m 3 /ha >100 1 > <0.95 Tab Classificazione del bacino e relativa entità dell erosione. 5-1

84 5 Valutazione dell erosione del suolo Tab Modello PSIAC: valutazione dei fattori. 5-2

85 5 Valutazione dell erosione del suolo Tab.5.3 Principali modelli idrologico erosivi e loro caratteristiche. 5-3

86 5 Valutazione dell erosione del suolo Tab.5.3 (continuazione) Principali modelli idrologico erosivi e loro caratteristiche. 5-4

87 5 Valutazione dell erosione del suolo Metodi quantitativi Le conoscenze sempre più approfondite dei meccanismi che stanno alla base del processo erosivo hanno consentito una progressiva evoluzione e la messa a punto di modelli previsionali sempre più affidabili, anche se è bene precisare che alcuni di essi, i più complessi, richiedono una serie di dati di ingresso non facilmente disponibili che ne limitano in pratica l impiego. In Tab.5.3 si riporta una lista dei principali modelli idrologico erosivi attualmente disponibili e le loro principali caratteristiche. I modelli erosivi maggiormente utilizzati possono essere schematicamente classificati in: Empirici: sono basati su interrelazioni, ricavate statisticamente, tra le variabili più significative e quindi derivanti dall analisi di numerosi dati sperimentali. Concettuali: si basano su leggi fisiche ed equazioni matematiche (es. equazione di continuità per l acqua e i sedimenti) oltre che su relazioni empiriche. Fisicamente basati (o Fisici): si basano su equazioni matematiche idonee a descrivere i principali processi idrologici ed erosivi e tengono conto delle leggi di conservazione della massa e dell energia della fase liquida e solida. Stocastici: utilizzati per generare sequenze casuali di dati originati in funzione delle caratteristiche statistiche dei dati disponibili. I modelli possono inoltre essere: Aggregati (lumped): non tengono in considerazione la variazione spaziale delle variabili di ingresso, ma usano piuttosto dei valori medi ponderati. Distribuiti: al contrario tengono conto della variabile spazio che controlla parametri quali topografia, suolo, uso del suolo ecc. In funzione della scala spaziale i modelli possono essere applicati a scala di bacino, di profilo del versante o di parcella, mentre in funzione della scala temporale possono funzionare in continuo o a scala di singolo evento di precipitazione. I processi modellati, oltre l erosione del suolo, possono essere diversi (deflusso, trasporto di nutrienti o di pesticidi) e possono tenere in conto o meno della vegetazione USLE (Universal Soil Loss Equation) Nell ambito delle metodologie di tipo quantitativo, una delle formule più utilizzate per la stima dell erosione è la USLE (Universal Soil Loss Equation, WISCHMEIER & SMITH, 1978): A = R K L S C P dove: A= quantità di suolo asportata ogni anno per unità di superficie; R= erosività della pioggia; K= erodibilità del suolo; L= lunghezza del tratto di versante considerato; S= pendenza dello stesso tratto di versante; C= fattore relativo alla tipologia delle colture e alle tecniche colturali; P= fattore relativo alla presenza ed efficacia di pratiche conservative ed opere sistematorie. L unità di misura di A dipende dalle unità di misura adoperate per R e K, dato che L, S, C e P sono adimensionali. Se la valutazione di R e K è effettuata con unità di misura del sistema anglosassone (R in feet t inch/acro h; K in t acro h/acro feet t inch), A risulterà espresso in tonnellate/acro; pertanto volendolo esprimere nel Sistema Internazionale, bisognerà alla fine applicare i seguenti fattori di conversione: A = (2.24) R K L S C P, con A (t/ha a); oppure A =(0.224) R K L S C P, con A (kg/m 2 a). Se invece R e K vengono espressi con il Sistema Internazionale (R in t m mm/ha h, K in t ha h/ha m t mm) tramite fattori di conversione (come si farà di seguito), il valore di A ottenuto risulterà direttamente espresso in tale sistema (in t/ha a, oppure, dividendo per 10, in kg/m 2 a). La semplice relazione empirica è stata ottenuta mediante l analisi di dati di erosione provenienti da parcelle sperimentali localizzate negli Stati Uniti, sotto l effetto di precipitazioni sia naturali che simulate. L equazione valuta la perdita di suolo senza tener conto di una possibile rideposizione del materiale eroso lungo il versante, e inoltre non considera la produzione di sedimenti lungo i fossi. La USLE, nella sua forma originaria, non è applicabile a livello di singolo evento di precipitazione. a) Fattore erosività della pioggia R Definisce l erosività degli eventi piovosi, ed è espresso come prodotto di due caratteristiche della pioggia: l energia cinetica E, e l intensità massima in 30 min di pioggia, I 30. Ciascun evento piovoso è valutato singolarmente quando è separato dal precedente o dal successivo da un periodo non piovoso di più di 6 ore, a meno che in tale periodo non si verifichi una pioggia di oltre 6.3 mm in 15 minuti. Vengono considerati gli eventi piovosi con altezza di pioggia superiore a 12.7 mm; eventi caratterizzati da una altezza inferiore a tale soglia non vengono considerati erosivi, almeno per l ambiente climatico dove tale indice è stato messo a punto. L energia cinetica dell evento piovoso è ottenuta dalla relazione: E = log 10 I (per I 76 mm/h) dove E è l energia cinetica in t m per ettaro per mm di pioggia (t m/ha mm) (nel Sistema Internazionale), I è l intensità in mm/h (per piogge con intensità superiore a 76 mm/h si applica un valore di energia costante pari a 28.9 tm/ha mm). 5-5

88 5 Valutazione dell erosione del suolo Il fattore E I 30 viene calcolato dividendo la pioggia caduta in ciascun evento in classi di uguale intensità e calcolando l energia cinetica unitaria relativa a ciascuna intensità. I valori così ottenuti devono essere moltiplicati per l altezza di pioggia caduta per ciascuna classe di intensità. La sommatoria dei prodotti ottenuti fornisce l energia cinetica totale dell evento che deve essere moltiplicata per la massima intensità di pioggia registrata in 30 minuti e riportata a valore orario (mm/h) (esempio in Tab.5.4): dove T j è l intervallo di tempo relativo alla classe d intensità definita. Per ottenere il fattore di erosività relativo ad un determinato intervallo di tempo vanno poi sommati i valori relativi ai singoli eventi avvenuti in quell intervallo. In genere si fa riferimento ad un valore medio annuale di R, ricavato elaborando i dati di precipitazione di una stazione di misura relativi ad un intervallo pluriennale. Per gli USA e per altre parti del mondo sono disponibili carte di isoerosività che consentono una rapida valutazione, seppure orientativa, dell indice di erosività relativo ad una determinata area. tempo dall inizio della pioggia (min) altezza di pioggia (mm) intensità (mm/h) energia cinetica unitaria (t m/ha mm) energia cinetica totale (t m/ha) intensità max in 30 min (mm/h) (x2) E I 30 (t m mm/ha h) b) Fattore erodibilità del suolo K Totale x 43.6 = Tab Esempio di calcolo del fattore R per un singolo evento piovoso. L equazione è stata ottenuta in base a numerose prove su parcelle sperimentali in condizioni standard, consistenti in un campo con pendenza uniforme del 9%, lunghezza di m, maggese lavorato a rittochino e tenuto libero dalla vegetazione per almeno 2 anni. In tali condizioni L=S=C=P=1, da cui K = A/R. In base alle prove sperimentali condotte per diversi tipi di suolo, è stato ottenuto un nomogramma (Fig.5.1) col quale è possibile esprimere il valore di K in funzione di 5 parametri. a) Percentuale di limo + sabbia molto fine ( mm). b) Percentuale di sabbia (0.1-2 mm). c) Contenuto di materia organica. d) Struttura, distinguendo le seguenti classi: 1. granulare molto fine (<1 mm); 2. granulare fine (1-2 mm); 3. granulare media o grossolana (>2 mm); 4. blocchetti, lamelle o massivo. e) Drenaggio interno, distinguendo le seguenti classi: 1. rapido (>12 cm/h); 2. da moderatamente rapido a rapido (6-12 cm/h); 3. moderato (2-6 cm/h); 4. da lento a moderato (0.5-2 cm/h); 5. lento ( cm/h); 6. molto lento (<0.1 cm/h). Il valore del K può essere ottenuto per via grafica entrando nel nomogramma con il valore di percentuale di limo e sabbia molto fine. Il valore ottenuto in uscita dal nomogramma è però espresso nel sistema anglosassone (t acro h/acro feet t inch), pertanto per passare al Sistema Internazionale (t ha h/ha m t mm) esso va moltiplicato per il fattore di conversione c) Fattore topografico del versante LS Il fattore topografico tiene conto degli effetti della lunghezza (L) e della pendenza (S) sull entità dell erosione. Il fattore L (lunghezza del versante) si calcola mediante la formula: λ L = ( ) m 5-6

89 5 Valutazione dell erosione del suolo Fig Nomogramma dell erodibilità del suolo. dove λ è la lunghezza massima del pendio (dal crinale all impluvio) misurata secondo la linea di massima pendenza, mentre m varia in funzione della pendenza (G, in %), secondo i seguenti valori: 1. m=0.2, per G<1%; 2. m=0.3, per G=1-3%; 3. m=0.4, per G= %; 4. m=0.5, per G=5-10%; 5. m=0.6, per G>10%. S (pendenza del versante) è definito da: d) Fattore copertura vegetale C S = G+0.043G Dipende da vari aspetti quali le pratiche colturali, lo sviluppo della vegetazione, la resa produttiva. Esistono apposite tabelle che forniscono valori di C validi in particolare per il territorio degli USA, tenendo conto di vari fattori quali tipo ed altezza della chioma, percentuale della superficie ricoperta da vegetazione, tipo di tappeto erbaceo, percentuale del tappeto erbaceo superficiale, periodo dell anno ecc. Esempi indicativi di valori di C in funzione del tipo di copertura sono quelli riportati in Tab.5.5. e) Fattore pratiche conservative P Tipo di copertura C Terreno nudo 1.0 Granturco in permanenza, residui asportati, resa 4.4 tonn/ha 0.43 Pascolo cespugliato Bosco, copertura arborea 30%, lettiera 50% 0.05 Bosco, copertura arborea 60%, lettiera 80% Seminativo a rotazione Tab.5.5 Valori di C per i principali tipi di copertura vegetale. Esprime l influenza delle tecniche di sistemazione del suolo (scoline, terrazzamenti, ecc.) e delle diverse pratiche colturali (metodo di aratura, spianamenti, ecc.). Nel caso di sistemazioni a rittochino, cioè secondo le linee di massima pendenza, P assume il valore massimo (P=1). Anche in questo caso, come per il fattore C, esistono apposite tabelle che riportano il valore di P da assumere in funzione delle diverse pratiche adoperate (alle quali si rimanda per approfondimenti). Esempi indicativi di valori di P sono quelli riportati in Tab

90 5 Valutazione dell erosione del suolo Condizioni della superficie P Coltivazione a rittochino 1.0 Coltivazioni a traversopoggio, su versanti a pendenza <10% 0.3 Coltivazioni a traversopoggio, su versanti a pendenza tra 18 e 24% 0.45 Compatta e liscia 0.3 Solchi orizzontali 0.9 Scabra 0.9 Maglia vegetale fissata al terreno 0.9 Tab.5.6 Valori di P per i principali tipi di pratiche di conservazione Applicazione dell equazione USLE per la previsione dell erosione L equazione USLE è stata messa a punto come detto per fornire una valutazione dell erosione media nel lungo periodo relativamente a parcelle con determinate caratteristiche climatiche, pedologiche, morfologiche e colturali. Essa può tuttavia essere impiegata convenientemente per altre finalità, di seguito sinteticamente indicate. a) Orientare la scelta delle tecniche sistematorie più adatte Si tratta di individuare quale pratica conservativa consente di ridurre l entità dell erosione entro limiti tollerabili in modo che il suolo mantenga inalterata nel tempo la sua produttività potenziale. Una volta determinato il livello massimo di erosione accettabile (T), si sostituisce nell equazione T ad A e si risolve per P: P = T/RKLSC La pratica conservativa da adottare dovrà perciò avere un valore di P uguale od inferiore a quello trovato. b) Scelta del tipo di coltura e di tecnica colturale La scelta delle colture e delle tecniche di coltivazione è senza dubbio uno dei mezzi più efficaci, facilmente applicabili e di minor costo per il controllo dell erosione. Analogamente al caso precedente, risolvendo l equazione per C, una volta prefissata l entità massima di erosione accettabile (T), si ottiene il valore massimo che detto fattore può assumere sia nel caso di monocoltura che di rotazione pluriennale (C medio del periodo): C = T/RKLSP c) Scelta della lunghezza massima degli appezzamenti Per ogni specifica situazione è possibile determinare la massima lunghezza da assegnare a ciascun appezzamento (intervenendo ad esempio attraverso terrazzamento) risolvendo l equazione per il fattore L: L = T/RKSCP Per quanto riguarda il valore da attribuire a T (nei casi a, b, c) in genere si considera il massimo livello di erosione ammissibile fissato dalla FAO di t/ha anno per i seguenti motivi: perdite superiori hanno una forte incidenza sulla manutenzione, il costo e l efficacia delle opere di sistemazione idraulica; rischio di sviluppo di fenomeni di burronamento (erosione per fossi); eccessiva perdita di elementi nutritivi per la vegetazione naturale e le coltivazioni. d) Stima dell erosione in un bacino idrografico La valutazione dell erosione a scala di bacino idrografico può essere effettuata suddividendo l intero bacino in aree omogenee per tipo di suolo, lunghezza e pendenza dei versanti, colture e pratiche conservative applicate. La sommatoria delle perdite di suolo relative a ciascuna area omogenea rappresenta la perdita di suolo totale nel bacino imputabile ad erosione laminare e incanalata (per rigagnoli). Va tenuto presente che tale quantità non corrisponde al materiale che fuoriesce da esso (produzione di sedimenti) in quanto una parte, più o meno rilevante, si rideposita al suo interno. Nonostante le molteplici finalità per le quali l equazione può essere utilizzata, non sempre tuttavia la USLE si rivela applicabile, sia perchè esistono situazioni climatiche complesse alle quali male si adatta, sia perchè possono mancare sufficienti dati di base sui fattori dell erosione. I principali limiti della USLE possono essere quindi riepilogati come segue: è empirica; la sua base di dati, sebbene ampia, è ristretta agli Stati Uniti ad Est delle Montagne Rocciose; considera soltanto l erosione laminare e quella per rigagnoli, ma non quella per fossi o per erosione calanchiva; non calcola il materiale ridepositato; la procedura di calcolo del fattore erosività della pioggia R a rigore non è estendibile a tutti i climi; è difficilmente applicabile a bacini idrografici estesi. 5-8

91 5 Valutazione dell erosione del suolo Modificazioni dell equazione USLE Successivamente alla sua presentazione sono state proposte numerose modifiche, sia per ampliarne l applicabilità e l affidabilità, sia per tenere conto delle peculiari caratteristiche di ambienti diversi da quelli per i quali è stata messa a punto, sia per ovviare ad alcune carenze concettuali tipiche delle equazioni empiriche. Tra le versioni dell USLE modificate si segnalano le due seguenti: MUSLE (Modified Universal Soil Loss Equation): viene sostituito il fattore R con un fattore ruscellamento di ciascun evento piovoso. Pertanto in tal caso si può adoperare l equazione alla scala del singolo evento piovoso. RUSLE (Revised Universal Soil Loss Equation): si tratta di una revisione dell USLE, da poco ultimata, che tiene conto delle recenti acquisizioni sperimentali e delle accresciute conoscenze sui processi idrologici ed erosivi WEPP (Water Erosion Prediction Project) Fa parte di una nuova generazione di modelli che possono essere impiegati sia per un evento singolo di precipitazione che per un qualsiasi intervallo di tempo. Questo modello è basato sui principi fondamentali di infiltrazione, ruscellamento superficiale, crescita della vegetazione, residui della decomposizione, idraulica, gestione agricola del suolo e meccanica del processo erosivo. Il modello è fisicamente basato, cioè vengono adottate equazioni matematiche per descrivere i principali processi idrologici ed erosivi. L entità dell infiltrazione è ad esempio adottata attraverso l equazione di Green/Ampt; il deflusso è valutato attraverso l equazione dell onda cinematica ed infine, mediante l equazione di continuità, vengono determinati i valori relativi alla quantità di sedimenti trasportati dal deflusso superficiale. Nel corso di una simulazione il modello considera le variazioni spaziali e temporali di alcune proprietà del suolo quali erodibilità, copertura vegetale ed altre caratteristiche fisiche del terreno. In particolare l erodibilità viene modificata in funzione del diverso contenuto in acqua; questo varia nel corso della simulazione in base all entità delle precipitazioni e dell evapotraspirazione. Vengono trattate separatamente l entità di sedimenti prodotta nelle aree tra i rigagnoli (interrill), nei rigagnoli (rill) e nei canali dove il distacco è provocato dallo sforzo di taglio della corrente; non è invece applicabile nei gullies, nelle zone calanchive e in canali di grandi dimensioni con flusso dell acqua continuo. Esistono tre differenti versioni del WEPP: profile (a scala di profilo del versante), watershed (bacino) e grid (maglia), quest ultima tuttavia non ancora ultimata. La versione profile valuta l erosione netta o la deposizione che avviene, tenendo conto del profilo del versante, a seguito dei processi di erosione interrill e di erosione/deposizione nei rigagnoli. La versione watershed può essere applicata ad una o più aree dove è stata utilizzata la versione profile. Attraverso la versione grid l area in esame verrebbe suddivisa in una serie di maglie (elementi), all interno di ognuna delle quali viene applicata la versione profile Altri modelli Di seguito si riporta una sintetica descrizione degli altri modelli erosivi più noti. CREAMS (Chemical, Runoff, Erosion from Agricultural Management). E un modello a scala di versante per la valutazione della qualità delle acque relativamente a differenti pratiche agricole. E composto da tre componenti principali: idrologica, erosione/sedimentazione e chimica. Il sottomodello chimico valuta l entità e la concentrazione media dei principali elementi nutritivi e dei pesticidi sia disciolti nelle acque di scorrimento superficiale e di percolazione, che adsorbiti dalle particelle di suolo erose. I limiti del CREAMS sono relativi al fatto che il modello non fornisce informazioni relative al deflusso nel corso dell evento di precipitazione; inoltre esistono rilevanti limiti nella sua applicazione a scala di bacino. Modifiche sono state introdotte per valutare la mobilità degli inquinanti all interno ed attraverso la zona delle radici delle piante (GLEAMS). EUROSEM (European Soil Erosion Model). E un modello per la previsione dell erosione relativa a ciascun evento piovoso in appezzamenti agricoli e piccoli bacini. L entità delle perdite di suolo derivano dal confronto tra la capacità di trasporto del flusso e la quantità di sedimenti distaccati. Le equazioni che descrivono I processi erosivi sono collegate con il modello KINEROS (Kinematic Erosion Simulation), specificatamente adattato per essere utilizzato nell EUROSEM. EPIC (Erosion Productivity Impact Calculator). E un modello costituito da una componente, basata su concetti fisici, che consente di simulare i processi erosivi e l accrescimento delle piante, e da una componente economica che determina il costo imputabile ai fenomeni erosivi ed indica le strategie per una adeguata gestione agricola. L erosione viene valutata su aree di piccole dimensioni (1 ha) e uniformi dal punto di vista pedologico e di gestione. ANSWERS (Areal Nonpoint Source Watershed Environment Response Simulation). E un modello capace di simulare il comportamento di un bacino durante e dopo ogni evento piovoso. E composto da due sottomodelli: idrologico ed erosivo. Il bacino viene suddiviso in maglie ( cells ) per ognuna delle quali vengono applicate le equazioni che descrivono i processi idrologico erosivi in base alle caratteristiche (dati di input) della maglia stessa. Il 5-9

92 5 Valutazione dell erosione del suolo flusso e la quantità di sedimenti in uscita diventano il valore di ingresso delle maglie sottostanti. Il modello non tiene conto dell erosione che avviene nei canali. 5-10

93 6 Fenomeni franosi II 6 FENOMENI FRANOSI II 6.1 Altre tipologie di frane complesse Scivolamenti complessi e compositi 1) Scivolamenti di fango (mudslides): si tratta di movimenti tipici che interessano accumuli di detrito in matrice argillosa che avvengono essenzialmente lungo superfici di taglio, laterali e basali, entro il materiale argilloso. I fenomeni sono generalmente lenti e caratterizzati da una tipica forma lobata o elongata simile a quella delle colate di terra, per cui sono talora identificati anche con il termine di colate traslazionali. 2) Flowslides: si tratta di collassi improvvisi di materiali che si muovono per scivolamento associato a flusso. HUTCHINSON (1988) include nella categoria dei flowslides i fenomeni che derivano da collasso per impatto o per fenomeni di liquefazione, i quali determinano in genere una sovrapressione delle acque interstiziali. 3) Insaccamenti (sagging; sackung): si tratta di deformazioni gravitative profonde di creste e versanti acclivi di dorsali montuose, che determinano la formazione di scarpate in contropendenza, trincee o raddoppiamenti di creste. I movimenti sono estremamente lenti, per cui è difficile affermare se si tratta di fenomeni attivi o inattivi. Come rilevato da HUTCHINSON (1988), molti degli insaccamenti sono in realtà frane di scivolamento di roccia incipienti e spesso confinate (l unghia del versante è caratterizzata da un lieve rigonfiamento, senza che sia presente una superficie di rottura). 4) Scivolamenti rotazionali colate di terra (slump-earth flows): generalmente il materiale spostato in una frana di scivolamento rotazionale, particolarmente nella zona di piede, dà luogo ad una colata di terra. I meccanismi sono in successione temporale, per cui si tratta di scivolamenti colate di terra complesse Espansioni complesse Inarcamenti (cambers): l inarcamento di versanti, associato al rigonfiamento del fondovalle (cambering and valley bulging) consiste in un movimento complesso che interessa tipicamente valli incise in un livello lapideo fratturato sovrapposto ad uno strato di considerevole spessore (tipicamente m) di argilla sovraconsolidata. I caratteri morfologici del fenomeno consistono essenzialmente nel rigonfiamento delle argilliti nel fondovalle e nell apertura delle fratture verticali esistenti nell ammasso roccioso. L estrusione delle argilliti verso il fondovalle determina l assottigliamento del livello argilloso e causa l allargamento dei giunti nell ammasso roccioso, con formazione di fratture beanti (gulls) ed il tipico bascullamento esterno dei blocchi (cambering). I fenomeni di cambering and valley bulging sono in gran parte inattivi alle nostre latitudini e vengono attribuiti a processi in ambiente climatico periglaciale esistente nel Pleistocene. In base alle sue caratteristiche, il fenomeno può essere classificato come una associazione complessa di espansione e ribaltamento di roccia. 6.2 Classificazione di Hutchinson (1988) La classificazione di HUTCHINSON (1988) si basa soprattutto sulla morfologia del movimento e, in subordine, sul meccanismo, sul tipo di materiale e sulla velocità di movimento. Di seguito viene riportato lo schema di classificazione. A. RIGONFIAMENTO DEL FONDOVALLE (rebound) 1. causato da scavi artificiali 2. in valli naturali B. CREEP 1. creep superficiale (creep stagionale; reptazione) 6-1 Fig.6.1 Rigonfiamento del fondovalle.

94 6 Fenomeni franosi II a. creep della coltre pedogenetica o del regolite (non periglaciale) b. creep dovuto al gelo, geliflusso di materiale granulare (periglaciale) 2. creep profondo, creep continuo o creep di massa 3. creep pre-rottura; creep progressivo 4. creep post-rottura C. INSACCAMENTO (sagging; sackung) 1. insaccamento singolo associato con le fasi iniziali di una frana a. rotazionale (essenzialmente circolare) tipo R b. composto (marcatamente non circolare) tipo C i. listrico tipo CL; ii. biplanare tipo CB 6-2 Fig.6.2 Principali tipi di insaccamento. 2. insaccamento doppio associato con le fasi iniziali di una frana multipla, che determina l espansione della dorsale a. rotazionale (essenzialmente circolare) tipo DR b. composto (marcatamente non circolare) tipo DC i. listrico tipo DCL; ii. biplanare tipo DCB 3. insaccamento associato con ribaltamento multiplo D. SCIVOLAMENTO 1. rotture confinate a. in versanti naturali; b. in pendii artificiali 2. scivolamenti rotazionali a. singolo; b. successivo; c. multiplo 3. scivolamenti composti a. determinati da deformazioni di taglio nella zona a monte della massa spostata i. in materiali di bassa o moderata fragilità; ii. In materiali di elevata fragilità b. scivolamenti composti progressivi, costituiti da uno scivolamento rotazionale a monte e da uno traslazionali a valle 4. scivolamenti traslazionali a. scivolamenti laminari (sheet slide) b. scivolamenti di placche (slab slide) c. scivolamenti di torba (peat slide) d. scivolamenti di roccia (rock slide) i. planare; ii. a gradini; iii. cuneo

95 6 Fenomeni franosi II e. scivolamento di terra o detrito i. scivolamenti di detrito e valanghe di detrito (debris slides; debris avalanches); ii. scivolamenti dello strato attivo (periglaciale) f. espansioni rapide Fig.6.3 Principali tipi di rotture confinate, scivolamenti rotazionali e composti. Fig.6.4 Principali tipi di scivolamento traslazionali. E. MOVIMENTI DI TERRA O DETRITO CON FORMA A COLATA 1. scivolamenti di fango (mudslides) non periglaciale a. laminari; b. a lobi (lobati o elencati) 2. scivolamenti di fango (mudslides) periglaciale a. laminari (sheets); b. a lobi (lobati o elencati) 3. flow slides 6-3

96 6 Fenomeni franosi II a. in materiali granulari sciolti; b. in limi leggermente cementati ad elevata porosità; c. in rocce deboli ad elevata porosità 4. colate rapide di detrito bagnato (debris-flows) a. in detrito proveniente dalla degradazione meteorica delle rocce (con eccezione delle aree vulcaniche) b. in materiale morboso (bog flows, bog burst) c. associate a vulcani (lahars) i. lahars caldi; ii. lahars freddi 5. colate rapide di detrito secco (sturzstorms) Fig.6.5 Principali tipi di movimenti di detrito a forma di colata. F. RIBALTAMENTI 1. ribaltamenti di blocchi delimitati da discontinuità preesistenti a. ribaltamenti singoli; b. ribaltamenti multipli 2. ribaltamenti che comportano la rottura di trazione del materiale G. CROLLI 1. primari: coinvolgenti materiale appena distaccato (rock and soil falls) 2. secondari: coinvolgenti materiale incoerente già distaccato in precedenza (stone falls) Fig.6.6 Principali tipi di ribaltamenti e crolli. H. MOVIMENTI DI VERSANTE COMPLESSI 1. inarcamento di versanti e rigonfiamento del fondovalle (cambering and valley bulging) 2. movimenti di versante a blocchi (block-type slope movements) 6-4

97 6 Fenomeni franosi II 3. frane in scarpate argillose abbandonate 4. scivolamenti che evolvono in colate o scivolamenti di fango all unghia a. scivolamenti rotazionali colamenti (slump earthflows) b. scivolamenti multipli rotazionali in argille sensitive c. scivolamenti rotazionali per disgelo 5. scivolamenti causati da erosione per filtrazione (sifonamento) 6. scivolamenti a ripiani (multi-tiered slides) 7. scivolamenti sovrapposti (multi-storied slides) Fig.6.7 Sezione schematica di inarcamento di versante e rigonfiamento del fondovalle. Fig.6.8 Alcuni tipi di movimenti complessi di versante. 6-5

98 6 Fenomeni franosi II 6.3 Classificazione geotecnica delle frane HUTCHINSON (1988) propone una classificazione geotecnica delle frane che avvengono con prevalenti movimenti di taglio quali in particolare gli scivolamenti. L uso di tale classificazione è particolarmente consigliato per i problemi di analisi di stabilità e per la progettazione dei sistemi di stabilizzazione, in quanto fornisce indicazioni sui meccanismi del movimento Classificazione in base ai parametri di resistenza al taglio In base al tipo di parametri di resistenza al taglio che sono presumibilmente entrati in gioco nel movimento della frana, ricavabili da considerazioni basate sull osservazione o sull analisi a posteriori (back analysis) del meccanismo franoso, si distinguono: 1) Rotture di neoformazione: se il movimento avviene in un materiale che precedentemente non è stato interessato da taglio. I parametri di resistenza significativi sono quelli di picco, tuttavia problemi di rottura progressiva e di rammollimento fanno sì che molto spesso i parametri che entrano in gioco siano intermedi tra i valori di picco e quelli residui. 2) Riattivazioni di preesistenti superfici di taglio, che possono essere date da: a) frane precedenti; b) superfici di taglio tettoniche (faglie, zone di taglio, superfici di pieghe); c) superfici di taglio indotte da scarico tensionale; d) superfici di taglio generate da processi glaciali o periglaciali. In questo caso la tessitura della terra sulla superficie di rottura è marcatamente orientata. I parametri di taglio mobilitati sono prossimi a quelli residui. A tal proposito si ricordano i tipi di parametri c e φ ricavabili da prove di taglio diretto o triassiale (Fig.6.9, Tab.6.1). In terreni sovraconsolidati (OC) la condizione di rottura di campioni indisturbati è espressa dai parametri di resistenza al taglio di picco (c e φ p ) e da quelli residui (c r e φ r, in cui in genere il valore della coesione è nullo). Lo stesso terreno, rimaneggiato e rammollito con acqua e successivamente ricostituito artificialmente in laboratorio, dà un valore di resistenza intermedio tra quello di picco e quello residuo dello stesso terreno allo stato indisturbato (φ cs intermedio tra φ p e φ r ; c cs circa nulla). In terreni normalconsolidati (NC) le resistenze residue e di picco sono quasi le stesse e la coesione è in entrambi i casi pressocchè nulla. Fig Parametri di resistenza al taglio. OC intatte OC fessurate NC Rottura di neoformazione c p, φ p c cs, φ cs c p, φ p Riattivazione c r, φ r c r, φ r c r, φ r Tab Tipi di parametri di resistenza al taglio per terreni sovraconsolidati (OC) e normalconsolidati (NC). 6-6

99 6 Fenomeni franosi II Classificazione in base al regime delle pressioni interstiziali In base al regime delle pressioni interstiziali si distinguono tre principali categorie, che richiedono tipi diversi di approccio per l analisi: 1) Condizioni non drenate. I terreni a grana fine (limi, argille), data la loro ridotta permeabilità (k<10-6 m/s), se sono soggetti ad una modifica dello stato tensionale si comportano inizialmente come un sistema chiuso. Tale condizione è definita non drenata. L applicazione di un carico sul terreno comporta l insorgere di sovrappressioni dell acqua interstiziale. Si instaura un moto di filtrazione la cui durata dipende dalle caratteristiche di permeabilità del materiale, e che può risultare anche dell ordine delle decine di anni. Man mano che l acqua viene espulsa dalla zona influenzata dal carico si ha una riduzione dell indice dei vuoti, e il fenomeno è noto come processo di consolidazione. L andamento nel tempo delle pressioni interstiziali e del fattore di sicurezza è rappresentato in Fig.6.10b. Le condizioni più sfavorevoli sono quelle a breve termine (subito dopo l applicazione del carico). L analisi in questo caso è convenientemente condotta in termini di sforzi totali ed il parametro di resistenza da prendere in considerazione è la resistenza al taglio non drenata c u. Nel caso di uno scarico tensionale (ad esempio uno scavo del pendio, Fig.6.10a), si verifica il processo inverso di rigonfiamento, attraverso il quale si ha un progressivo aumento del contenuto d acqua e riduzione delle tensioni efficaci. In tal caso le condizioni più sfavorevoli sono quelle a lungo termine, pertanto oltre all analisi in termini di sforzi totali per la verifica della stabilità a breve termine, è conveniente effettuare una analisi a lungo termine in termini di sforzi efficaci, con parametri di resistenza c e φ. In terreni granulari (sabbie) condizioni non drenate si realizzano in casi di applicazione rapida e transitoria di sollecitazioni, come nel caso di scosse sismiche, che danno luogo a processi di liquefazione. Fig Regime delle pressioni interstiziali. Variazioni delle pressioni interstiziali e del fattore di sicurezza in seguito ad uno scavo in argilla (a) o all applicazione di un carico (b). 2) Condizioni drenate. I terreni a grana grossa (ghiaie, sabbie) avendo elevata permeabilità (k>10-6 m/s), si comportano essenzialmente come un sistema aperto con libero flusso dell acqua. Le eventuali sovrapressioni interstiziali si dissipano in tempi estremamente rapidi. Ne consegue che il comportamento del materiale può essere analizzato direttamente in condizioni drenate, prendendo cioè in considerazione le condizioni di equilibrio idrostatico e trascurando il moto di filtrazione transitorio necessario alla dissipazione degli eccessi di pressioni interstiziali. In tali condizioni, nel caso di uno 6-7

100 6 Fenomeni franosi II scavo o di un carico, le analisi vanno condotte in termini di sforzi efficaci ed i parametri di resistenza al taglio significativi sono c e φ. 3) Condizioni parzialmente drenate. Il riequilibrio immediato degli eccessi di pressione interstiziale è soltanto parziale. Esso avviene quindi in condizioni intermedie tra quelle a breve termine e quelle a lungo termine. L analisi in tali condizioni è problematica in quanto richiede la stima delle pressioni interstiziali in eccesso. Tuttavia si può comunque fare riferimento ai casi estremi (lungo e breve termine) in quanto in genere essi rappresentano le condizioni più critiche per la stabilità. 6.4 Cenni sui metodi di analisi di stabilità dei versanti In seguito si descrivono sinteticamente le principali metodologie di analisi che possono essere adoperate per studiare la stabilità di versanti, con l intento di mettere in evidenza i diversi possibili approcci attraverso alcuni esempi, rimandando peraltro a testi specifici per approfondimenti. Si possono distinguere alcune principali categorie: 1. Analisi deterministiche (Metodo dell equilibrio limite); 2. Analisi probabilistiche; 3. Analisi cinematiche; 4. Analisi morfometriche; 5. Analisi sforzi-deformazioni Metodo dell equilibrio limite I metodi più largamente usati nelle analisi di stabilità di terreni e rocce rientrano nella categoria del Metodo dell Equilibrio Limite. Tale metodo si applica generalmente a sezioni bidimensionali del pendio, anche se è possibile estenderlo per l analisi di problemi tridimensionali. Esso si basa sui seguenti punti: a) viene postulato un meccanismo di rottura, ovvero viene definita a priori la geometria della superficie di rottura; b) la massa all interno della superficie di rottura è assunta indeformabile; vengono considerati solo gli sforzi lungo la superficie di rottura ma non la distribuzione degli sforzi all interno della massa; c) viene assunto un criterio di rottura per la superficie di rottura (es. il criterio di Mohr-Coulomb); d) vengono risolte le equazioni di equilibrio statico per la massa compresa fra la superficie di rottura e la superficie topografica (2 equazioni di equilibrio delle forze + 1 equazione di equilibrio dei momenti); e) si definisce un Fattore di sicurezza F del pendio, che esprime l aliquota di resistenza al taglio mobilitata; f) si assume che F sia costante lungo tutta la superficie di rottura. Il fattore di sicurezza si può definire in due modi (equivalenti): i) fattore per cui deve essere divisa la resistenza al taglio disponibile lungo la superficie di rottura per portare il pendio in uno stato di equilibrio limite. Il fattore di sicurezza esprime pertanto la resistenza al taglio mobilitata s mob che in particolare, per il criterio di rottura di Mohr-Coulomb, è data da: s mob = c σ' tanφ + F F ii) rapporto fra la risultante delle forze (o dei momenti) resistenti e di quelle stabilizzanti: F = Σ forze (o momenti) resistenti Σ forze (o momenti) destabilizzanti Quando il pendio è in condizioni di equilibrio limite, F=1; valori di F>1 indicano condizioni di stabilità. Nello studio dei fenomeni franosi, il metodo dell equilibrio limite viene applicato per due scopi principali: a) verifica di stabilità: viene valutato il grado di sicurezza del pendio interessato dalla frana; se la frana si sta muovendo il fattore di sicurezza è noto e pari a 1; se invece la frana non si sta più movendo occorre stimare la resistenza disponibile lungo la superficie di rottura (in genere solo l angolo di attrito residuo φ r è necessario per caratterizzare tale resistenza) in modo da poter calcolare F. b) analisi a posteriori (back-analysis): si ricavano i parametri di resistenza al taglio (c e φ per frane di neoformazione e φ r per frane riattivate) lungo la superficie di rottura nel momento in cui la frana si è verificata, sapendo che in tali condizioni F=1. Nel caso molto comune in cui si è riattivata una frana che attualmente ha raggiunto una nuova condizione di equilibrio per cui si mantiene stabile, si applica l analisi a posteriori per stimare la resistenza residua in base alla geometria e alle condizioni idrogeologiche prima del movimento. Quindi si utilizza tale resistenza residua, insieme con la nuova geometria e le nuove condizioni idrogeologiche, per valutare il fattore di sicurezza dopo che è avvenuto il movimento. Si ricorda per quanto riguarda il criterio di rottura che oltre al criterio di Mohr-Coulomb più comunemente utilizzato nel caso di terreni, è possibile adottarne altri differenti a seconda delle caratteristiche del materiale. Per terreni insaturi è comunemente utilizzato il criterio di rottura di FREDLUND et al. (1978). 6-8

101 Superfici di rottura planari 6 Fenomeni franosi II Nel caso di superfici di rottura planari, il metodo dell equilibrio limite permette di ottenere soluzioni staticamente determinate. Il meccanismo di scivolamento planare (Fig.6.11) prevede lo scivolamento di un blocco lungo una superficie piana di scivolamento immergente a franapoggio meno inclinata del pendio che in genere si connette, nella parte alta del pendio, con una frattura di trazione verticale. Tale tipo di meccanismo è comune in ammassi rocciosi fratturati, in cui la superficie di discontinuità immerge a franapoggio meno inclinata del pendio, oppure in rocce deboli, nel caso di pendii acclivi, in cui la superficie di rottura può essere di neoformazione. L = H-z sinψ p W = 1 2 γ H2 [(1-( z H )2 ) cotψ p cotψ f ] U = 1 2 γ w z w L V = 1 2 γ w z w 2 Fig Scivolamento planare con frattura di trazione. F = c L + (W cosψ p - U - V sinψ p ) tanφ W sinψ p + V cosψ p Per frane di scivolamento traslativo, con basso valore del rapporto profondità/lunghezza della superficie di rottura, gli effetti-bordo possono essere trascurati e il meccanismo di movimento può essere modellato come uno scivolamento di un pendio di dimensione indefinita, lungo una superficie di rottura parallela al pendio (analisi di pendio indefinito di SKEMPTON & DELORY, 1957) (Fig.6.12). Tale tipo di analisi si presta bene per l interpretazione degli scivolamenti traslativi e delle colate di fango superficiali. In particolare può essere applicato a scivolamenti della coltre superficiale, detritica e/o di alterazione, lungo un substrato roccioso non alterato. Le condizioni idrauliche sono spesso rappresentate come movimenti di filtrazione all interno dello strato superficiale, con linee di flusso parallele al pendio. Se la resistenza è solo di tipo attritivo (c =0) allora la pendenza limite è pari all angolo di attrito φ in condizioni a secco o circa la metà di φ con falda a piano di campagna e filtrazione parallela al pendio. F = c + γ Z - γ w h w tanφ γ Z tanβ Caso c =0 e sponda completamente satura (hw=z): F = (1- γ w γ sat ) tanφ tanβ Fig Scivolamento traslativo superficiale (pendio indefinito) Superfici di rottura curve A differenza del caso di superfici planari per le quali si ricava una soluzione staticamente determinata, nel caso di superfici di rottura curve è possibile ottenere una soluzione approssimata utilizzando una tecnica di integrazione numerica (metodo dei conci) e facendo delle opportune assunzioni sulle forze in gioco. Il cosiddetto metodo dei conci (o dei settori o delle strisce) prevede i seguenti passi: a) la massa delimitata dalla superficie topografica e dalla superficie di scivolamento è suddivisa in conci, in genere verticali; b) si risolvono le equazioni di equilibrio statico sia per il meccanismo globale che per ognuno dei conci. Le forze in gioco per ogni concio sono illustrate in Fig Il problema è staticamente indeterminato come è illustrato in Tab.6.2, in quanto il numero di incognite del sistema (6n-2) è superiore a quello di equazioni disponibili (4n). E pertanto necessario effettuare (2n-2) assunzioni per rendere staticamente determinato il problema. In genere queste assunzioni vengono effettuate per la distribuzione delle forze di interconcio. Poiché esistono infiniti modi con cui 6-9

102 6 Fenomeni franosi II possono essere fatte le assunzioni necessarie, sono stati proposti in letteratura diversi metodi per la soluzione del problema. E i E i+1 X i S i W i X i+1 N i U i Fig Suddivisione in conci verticali e forze agenti su ciascun concio. INCOGNITE numero Modulo della reazione vincolare efficace N n Modulo della forza di taglio mobilitata S n Modulo della forza normale di interconcio E n-1 Modulo della forza tangenziale di interconcio X n-1 Punto di applicazione di E n-1 Punto di applicazione di N n Fattore di sicurezza 1 Totale 6n-2 EQUAZIONI Equilibrio dei momenti Equilibrio delle forze verticali Equilibrio delle forze orizzontali Criterio di rottura Totale n n n n 4n assunzioni necessarie 2n-2 Tab.6.2 Numero di incognite e di equazioni per un sistema di n conci. In molti di questi metodi, detti metodi non rigorosi, viene effettuato un numero di assunzioni superiore a quelle necessarie, per cui non vengono utilizzate tutte le equazioni disponibili. I metodi che invece soddisfano tutte e tre le equazioni di equilibrio (forze in direzioni ortogonali e momenti), e che quindi si basano solo su un numero di assunzioni strettamente necessario, vengono detti metodi rigorosi. Tra i metodi non rigorosi, quelli più largamente impiegati sono il metodo di Fellenius (1936), il metodo di Bishop semplificato (1955) e quello di Janbu semplificato (1969). Nel metodo di Fellenius ad esempio si assume nulla la risultante delle forze agenti lateralmente a ciascun concio. Nel metodo di Bishop semplificato si ipotizza invece che siano nulle le forze tangenziali agenti sulle superfici laterali di ciascun concio. Il metodo di Janbu semplificato si applica in particolare a superfici di scivolamento di forma qualsiasi. Nel caso dei metodi rigorosi vengono usate tutte le equazioni di equilibrio disponibili e si fanno delle assunzioni strettamente necessarie riguardo la distribuzione delle forze di interconcio. Tra questi va ricordato il metodo di Spencer, di Morgestern-Price ed il GLE (General Limit Equilibrium). In letteratura sono stati inoltre proposti una serie di diagrammi di stabilità (stability charts) utili per la risoluzione di problemi semplici, in particolare per pendii omogenei con pendenza uniforme e superficie di rottura circolare. Tramite i diagrammi di stabilità è possibile ricavare il fattore di sicurezza del pendio in base ai parametri di resistenza del terreno, alla geometria del pendio ed in alcuni casi in base al regime delle pressioni interstiziali (Fig.6.14). I diagrammi di stabilità più impiegati sono quelli di TAYLOR (1937), BISHOP & MORGESTERN (1960) e HOEK & BRAY (1981). E comunque opportuno precisare che tali diagrammi di stabilità consentono una valutazione speditivi e approssimata del fattore di sicurezza per problemi semplici. 6-10

103 6 Fenomeni franosi II CARTA PER LA ROTTURA CIRCOLARE NUMERO 1 Fig Esempio di diagramma di stabilità relativo ad una superficie di scivolamento circolare che si raccorda nella parte alta del pendio ad una frattura di trazione verticale per diverse condizioni delle pressioni interstiziali (HOEK & BRAY, 1981). Nel caso di problemi più complessi (superfici di scivolamento di forma qualsiasi, terreno non omogeneo, particolari distribuzioni delle pressioni interstiziali) e per ottenere risultati più precisi, si adottano invece i vari metodi precedentemente citati attraverso appositi programmi di calcolo. Per superficie di scivolamento circolare o nel caso di superfici composite (Fig.6.15), si effettua il calcolo per una serie di possibili centri e di raggi e si cerca il minimo valore del fattore di sicurezza. E possibile affrontare problemi particolari, associati a complesse distribuzioni delle pressioni interstiziali, abbinando al metodo dell equilibrio limite appositi programmi di calcolo della filtrazione all interno del pendio, anche nel caso di problemi in regime transitorio (quali rapido svaso di una diga, infiltrazione dovuta ad una precipitazione, ecc.) (Fig.6.16). I metodi di stabilità rientranti nel metodo dell equilibrio limite visti sinteticamente finora si riferiscono esclusivamente a meccanismi di scivolamento, con varie geometrie della superficie di rottura. Va ricordato inoltre che esistono metodi di stabilità relativi all analisi di altri meccanismi di rottura, quali crollo e ribaltamento, per i quali si rimanda a testi specifici. In questi casi gli scopi delle analisi di stabilità sono quelli di valutare l area di distacco, i volumi, l altezza di caduta, le modalità di caduta tratto per tratto (impatto, rimbalzo, rotolamento), le traiettorie dei blocchi di roccia, con il fine di ubicare, scegliere e dimensionare in modo adeguato gli interventi di stabilizzazione Elevation (m) Tension Crack Line Silty Clay Water Pressure Boundary Weak Layer Bedrock Distance (m) Fig Metodo dell equilibrio limite applicato ad un pendio con materiale non omogeneo e superficie di rottura composita. 6-11

104 6 Fenomeni franosi II Reservoir Drawdown Metres Infiltration Flow path Low permeability layer Metres Fig Esempi di distribuzioni complesse delle pressioni interstiziali, ricavate attraverso programmi di calcolo della filtrazione: rapido svaso in una diga in terra e infiltrazione delle acque di precipitazione in un pendio con livelli a permeabilità variabile Analisi probabilistica Per evitare i problemi connessi con l incertezza nell attribuzione dei valori ai parametri necessari per le analisi deterministiche, si può ricorrere ad analisi probabilistiche o analisi di affidabilità (reliability analyses), nelle quali un certo numero di parametri, connessi con il più elevato grado di incertezza, vengono trattati come variabili aleatorie. I metodi probabilistici hanno trovato un largo uso nell analisi di stabilità dei pendii in roccia per i quali la determinazione di alcuni parametri, quali per esempio la pressione dell acqua entro le discontinuità, è particolarmente problematica. I metodi probabilistici si dividono in due categorie: a) metodi semplificati: a partire dalla media e dalla deviazione standard delle variabili di ingresso permettono il calcolo della media e della deviazione standard del fattore di sicurezza. b) metodi completi: a partire dalle distribuzioni di densità di probabilità delle variabili di ingresso permettono di ricavare numericamente la funzione di densità di probabilità del fattore di sicurezza. Tra i metodi completi, il più comunemente usato è noto come metodo Montecarlo. In tale metodo viene effettuato un numero molto elevato di calcoli statisticamente significativo ( ) del fattore di sicurezza considerando, ogni volta, valori casuali delle variabili basati su prefissate distribuzioni di probabilità delle stesse, in modo da giungere a sua volta ad una distribuzione di frequenza del fattore di sicurezza (Fig.6.17). In tal modo è possibile ad esempio ricavare dei valori di probabilità di rottura, cioè determinare la probabilità che il fattore di sicurezza sia inferiore ad uno. E da notare come tale probabilità è connessa con il grado di incertezza di alcuni parametri e non è da intendere come probabilità di occorrenza in termini temporali. 6-12

105 6 Fenomeni franosi II Probability Density Function Frequency (%) Factor of Safety Fig Funzione di densità di probabilità del fattore di sicurezza ricavata da analisi di Montecarlo Analisi cinematica Si tratta di una serie di metodi di analisi applicabili allo studio di versanti in ammassi rocciosi. Una analisi puramente cinematica consiste nello studio del movimento di blocchi di roccia senza riferimento alle forze che lo producono. Essa viene effettuata verificando graficamente determinate condizioni geometriche (giacitura delle discontinuità e del versante) in proiezione emisferica. Tale analisi tuttavia viene spesso integrata inserendo le forze sempre presenti nei problemi di stabilità degli ammassi rocciosi: forza peso dei blocchi e forza di attrito lungo i potenziali piani di scorrimento. I metodi sviluppati in letteratura prendono in esame le condizioni cinematiche relative ad alcuni dei principali tipi di meccanismi di rottura in ammassi rocciosi fratturati (Fig.6.18). Le analisi cinematiche hanno in generale il vantaggio di poter essere applicate rapidamente ad un gran numero di blocchi di differente geometria e di permettere l individuazione delle situazioni più instabili. Esse si collocano in una posizione intermedia tra la fase di rilevamento geologico-tecnico e quella dell analisi meccanica della stabilità. Fig Meccanismi di rottura in versanti in roccia analizzabili attraverso analisi cinematica (da HUDSON, 1989). 6-13

106 6.4.4 Analisi morfometrica 6 Fenomeni franosi II L analisi morfometrica si basa sull idea di analizzare le relazioni tra acclività dei versanti e presenza di frane in atto entro domini litologici omogenei al fine di ricavare soglie clivometriche o relazioni altezza - pendenza dei pendii, supportate considerazioni geotecniche di tipo deterministico. In pratica, all interno di un dominio litotecnico omogeneo, la valutazione della stabilità relativa dei versanti può essere ottenuta, adottando un approccio strettamente morfometrico, confrontando l altezza e la pendenza dei pendii stabili con quelle relative a pendii in frana. In tal modo si possono ottenere curve altezza-pendenza empiriche che segnano il limite tra pendii stabili ed instabili. La ricerca di soglie clivometriche o relazioni altezza-pendenza dei pendii può essere supportata anche da considerazioni geotecniche di tipo deterministico. Nel caso di pendii privi di coesione (ad esempio con frane preesistenti), la stabilità risulta indipendente dall altezza del versante ma dipende solo dall acclività. La soglia clivometrica può corrispondere in tal caso al cosiddetto angolo ultimo di stabilità ottenuto dall espressione del fattore di sicurezza per pendio indefinito con completa saturazione e filtrazione parallela al pendio (SKEMPTON & DELORY, 1957), il quale è all incirca pari alla metà dell angolo di resistenza al taglio. E il caso della linea verticale nei due diagrammi riportati a titolo di esempio relativi a frane stabilizzate ed attive nel bacino pliocenico della Val d Elsa presso Certaldo (Fig.6.19). Per quanto riguarda rotture di neoformazione in terreni (o rocce) caratterizzati da una coesione c, l analisi di pendio indefinito si rivela inadeguata in quanto i meccanismi di instabilità più comuni in queste condizioni sono rappresentati da scivolamenti rotazionali. Relazioni tra altezza H e pendenza b del pendio possono essere ricavate facilmente utilizzando i diagrammi di stabilità disponibili in letteratura (ad es. BISHOP & MORGESTERN, 1960; HOEK & BRAY, 1981). Tali analisi deterministiche non devono tuttavia sostituirsi all indagine morfometrica, ma ne devono costituire piuttosto un ampliamento ed un controllo. Fig Diagramma altezza-pendenza per frane stabilizzate ed attive nel bacino pliocenico della Val d Elsa, presso Certaldo (FI) (da BERTOCCI et al., 1994) Analisi sforzi-deformazioni Vi sono alcuni problemi di stabilità per i quali l applicazione dei metodi di analisi tradizionali presenta notevoli limiti. Un primo esempio è rappresentato dal verificarsi di fenomeni di rottura progressiva, la quale ha luogo nei casi, molto comuni nella pratica, nei quali si ha una distribuzione non uniforme di sollecitazioni di taglio lungo una potenziale superficie di rottura. Ciò fa sì che il valore della resistenza di picco sia superato solo in alcuni punti anziché contemporaneamente su tutta la superficie. Pertanto mentre nei punti che hanno già subito rottura la resistenza decade verso valori residui, in quelli in cui la rottura non si è ancora propagata sono ancora in grado di mobilitare i valori di picco. Lo studio dei meccanismi di deformazione e frattura di placche lapidee sovrapposte ad un substrato deformabile, a cui possono essere assimilati fenomeni di espansione laterale e di deformazioni gravitative profonde, peraltro piuttosto comuni in Italia, è un altro caso che richiede metodi di analisi più ampi di quelli trattati finora (Fig.6.20). I tradizionali metodi di equilibrio limite non sono infatti adatti per l analisi di tali fenomeni di grandi dimensioni, nei quali possono giocare un ruolo fondamentale diversi fattori che non sono inclusi in tali metodi di analisi, quali il comportamento reologico, gli effetti-scala, lo stato di sforzo in situ, i fenomeni di rottura progressiva. 6-14

107 6 Fenomeni franosi II Per tali problemi complessi, esistono diversi metodi di analisi sforzi-deformazioni applicati nel campo dell Ingegneria Strutturale, nella Meccanica delle Rocce e dei Terreni. Tali metodi utilizzano legami sforzi-deformazioni che fanno riferimento alla teoria dell elasticità e della plasticità, considerando diversi modelli costitutivi a seconda del comportamento del materiale. I modelli di modellazione numerica permettono di selezionare leggi sforzo-deformazione non lineari e sofisticati criteri di snervamento (e/o rottura) (lineare elastico, non lineare elastico, elasto-plastico, strainsoftening, Cam-Clay). Si possono distinguere due principali famiglie: a) metodi di analisi del continuo; b) metodi di analisi del discontinuo. a) Metodi di analisi del continuo. Le rocce sono modellate come mezzi continui. Può essere incluso un numero limitato di discontinuità (adatti al caso in cui l ammasso è costituito da pochi blocchi). Si distinguono Metodi agli Elementi Finiti (FEM) e Metodi alle Differenze Finite (FDM), i quali differiscono tra di loro a seconda del metodo di risoluzione delle equazioni differenziali. L esempio più noto in letteratura è il FLAC (Fast Lagrangian Analysis of Continua) (CUNDALL, 1976). b) Metodi di analisi del discontinuo. Le rocce sono in questo caso modellate come mezzi discontinui, formati da blocchi discreti delimitati da discontinuità ed interagenti tra loro. Viene quindi effettuata una analisi dei movimenti relativi tra blocchi rigidi lungo giunti. Il metodo più noto è il Metodo degli Elementi Distinti (DEM). Il programma di calcolo più noto rientrante in questa categoria è l UDEC (CUNDALL, 1971). Entrambe le categorie di metodi possono essere accoppiate ad analisi di problemi idromeccanici, cioè possono tenere in conto di: a) flusso d acqua all interno di mezzi porosi (nel caso dei metodi di analisi del continuo); b) flusso d acqua lungo le discontinuità (nel caso dei metodi del discontinuo). Nei metodi più sofisticati (del tipo a) si tengono in conto delle variazioni di pressioni interstiziali in terreni coesivi indotte da variazioni dello stato tensionale, in base a parametri di compressibilità e rigonfiamento. A B Fig Metodo di analisi del continuo alle differenze finite (FLAC) applicato a problemi di stabilità della placca della Verna (Toscana) (da CASAGLI, 1992). Distribuzione degli sforzi principali risultante dall analisi elastica (A) ed elastoplastica (B). In rigato: zone in trazione; in puntinato: zone di plasticizzazione. 6.5 Rischio di frana Definizioni Si forniscono di seguito le principali definizioni e significati dei vari termini connessi al rischio di frana, derivanti da una recente revisione scientifica dell argomento (CANUTI & CASAGLI, 1994). Intensità (intensità I): severità geometrica e meccanica del fenomeno potenzialmente distruttivo. Può essere espressa in una scala relativa oppure in termini di una o più grandezze caratteristiche del fenomeno (velocità, volume, energia, ecc.). 6-15

108 6 Fenomeni franosi II Pericolosità (hazard H): probabilità che un fenomeno potenzialmente distruttivo di determinata intensità si verifichi in un dato periodo di tempo ed in una data area. E espressa in termini di probabilità annuale (o di tempo di ritorno). La pericolosità definita in questo modo è pertanto riferita ad una determinata intensità del fenomeno: H = H(I) Elementi a rischio (element at risk E): popolazione, proprietà, attività economiche, servizi pubblici e beni ambientali in una data area esposta a rischio. Valore degli elementi a rischio (worth of element at risk W): valore economico o numero di unità relative ad ognuno degli elementi a rischioin una data area. Il valore degli elementi a rischio può essere pertanto espresso in termini di numero o quantità di unità esposte (es. numero di persone, ettari di terreno agricolo, ecc.) oppure in termini monetari. Il valore è funzione del tipo di elemento a rischio: W = W(E) Vulnerabilità (vulnerabilità V): grado di perdita prodotto su un certo elemento o gruppo di elementi esposti a rischio risultante dal verificarsi di un fenomeno naturale di una data intensità. E espressa in una scala da 0 (nessuna perdita) a 1 (perdita totale) ed è una funzione dell intensità del fenomeno e della tipologia di elemento a rischio: V = V(I;E) Danno potenziale (potential worth of loss W L ): entità potenziale delle perdite nel caso di un evento con intensità fissata. Può essere espresso in termini di numero o quantità di unità esposte oppure in termini monetari. Per una determinata tipologia di elemento a rischio E e per una data intensità I il danno potenziale è dato da: W L (I;E) = W(E) V(I;E) Rischio specifico (specific Risk R S ): grado di perdita atteso quale conseguenza di un particolare fenomeno naturale di data intensità. E espresso in termini di probabilità annua. Per una determinata tipologia di elemento a rischio E e per una data intensità I, il rischio specifico è dato da: R S (I;E) = H(I) V(I;E) Rischio totale (total Risk R): atteso valore delle perdite umane, dei feriti, dei danni alle proprietà e delle perturbazioni alle attività economiche dovuti ad un particolare fenomeno naturale. E espresso in termini di costo annuo oppure in numero o quantità di unità perse per anno. Il rischio totale associato ad un dato elemento a rischio E e ad una data intensità I è il prodotto: R(I;E) = H(I)V(I;E) W(E) = R S (I;E) W(E) = H(I) W L (I;E) Le precedenti definizioni, così come quelle fornite dall UNESCO, hanno un carattere generale e valgono per ogni tipologia di fenomeno di instabilità potenzialmente distruttivo. La valutazione del rischio (risk assessment) consiste nell analisi dei rapporti che intercorrono fra i vari fattori di vulnerabilità del territorio e le diverse forme di pericolosità possibili in un dato territorio. La mitigazione del rischio (risk mitigation) può essere attuata, a seconda dei casi, intervenendo nei confronti della pericolosità, della vulnerabilità, o di entrambe. Sia la valutazione che la mitigazione del rischio richiedono quindi l acquisizione di informazioni territoriali sia sui caratteri geologico-ambientali che su quelli socio-economici dell area in esame. I metodi delle Scienze della Terra, e della Geologia Applicata in particolare, possono essere impiegati soprattutto nella prima fase dell analisi del rischio, ovvero nella valutazione della pericolosità (hazard assessment) Valutazione della pericolosità La valutazione completa della pericolosità comprende i seguenti passi: previsione spaziale: previsione di dove, entro una determinata area, si può verificare una frana; previsione temporale: previsione di quando uno specifico fenomeno franoso può avvenire in un determinato versante; previsione tipologica: previsione del tipo di frana che può verificarsi nell area considerata; previsione dell intensità: previsione della velocità, delle dimensioni o dell energia del fenomeno franoso; previsione dell evoluzione: previsione della distanza di propagazione, dei limiti di retrogressione o di espansione laterale. La previsione spaziale consiste nella valutazione della pericolosità relativa, ovvero nella stima del grado di pericolosità di un versante rispetto ad un altro, senza esprimere la probabilità di occorrenza dei fenomeni franosi in termini assoluti ed in senso temporale. Il grado di pericolosità relativa dei versanti può essere valutato ed espresso con diversi criteri. Quelli più comunemente impiegati si possono raggruppare nelle seguenti categorie: Valutazione empirica: viene effettuata una zonazione del territorio in base alla valutazione soggettiva della suscettibilità all instabilità dei versanti sulla base delle informazioni raccolte con l inventario delle frane e con la cartografia tematica geomorfologica (tramite i quali si identificano le tipologie di fenomeni ed in particolare quelli passibili di riattivazione). Indicizzazione degli effetti: l analisi della distribuzione dei fenomeni franosi presenti o passati viene utilizzata come base per la previsione dei fenomeni futuri, mediante la definizione di percentuali areali in frana per singole litologie (o altri tematismi). Indicizzazione delle cause: si basa sull assegnazione di pesi a diverse classi di fattori della franosità e sulla loro combinazione in modo da ricavare indici di pericolosità relativa. Analisi statistica: l integrazione dei fattori della franosità avviene mediante analisi statistiche multivariate; anche in questo caso si ottengono indici di pericolosità relativa. Analisi morfometrica: il confronto tra altezza e pendenza di pendii stabili e di pendii interessati da fenomeni franosi permette di ottenere delle indicazioni sulla pericolosità relativa nell ambito di unità litologiche omogenee. 6-16

109 6 Fenomeni franosi II Analisi deterministica: la pericolosità relativa è espressa dal fattore di sicurezza, ricavato con i metodi dell equilibrio limite. Analisi probabilistica (o di affidabilità): l incertezza nella determinazione di alcuni parametri necessari alle analisi di stabilità è ovviata considerando variabili stocastiche in modo da ottenere distribuzioni di probabilità del fattore di sicurezza. Analisi cinematica: nel caso di ammassi rocciosi, nei quali le frane sono influenzate essenzialmente dall assetto delle discontinuità, la distribuzione delle orientazioni di queste ultime può essere analizzata in base ai requisiti cinematica richiesti per l innesco del movimento. La previsione temporale consiste essenzialmente nella definizione delle probabilità di occorrenza dei fenomeni franosi. A differenza della previzione spaziale, che fornisce indicazioni sulla pericolosità relativa dei diversi versanti, la previsione temporale fornisce una pericolosità assoluta. I criteri più comunemente adottati per la previsione temporale sono i seguenti: a) Stima empirica: la ricorrenza di un fenomeno può essere stimata soggettivamente in base alle informazioni di carattere generale sul quadro della franosità in una determinata zona. b) Analisi di serie temporali relative agli effetti: l analisi di serie temporali di movimenti permette di stabilire i tempi di ritorno dei fenomeni franosi. c) Analisi di serie temporali relative alle cause: la correlazione fra eventi franosi e fenomeni naturali (piogge, terremoti, ecc.), per i quali si disponga di misure sistematiche nel tempo, permette la stima dei tempi di ritorno dei movimenti. d) Monitoraggio: l osservazione strumentale dei livelli piezometrici o delle deformazioni in singoli fenomeni franosi consente la previsione dei movimenti mediante il confronto con soglie o modelli di comportamento predefiniti. La previsione tipologica della frana che può verificarsi, con più elevata probabilità, in ogni parte dell area considerata, non costituisce generalmente un problema se si dispone di una accurata carta inventario dei fenomeni franosi. La previsione dell intensità dipende dalla quantità e dalla qualità delle informazioni raccolte in sede di inventario dei fenomeni franosi. La pericolosità dei fenomeni, ovvero la probabilità di occorrenza, dovrebbe essere differenziata in base all intensità in modo da consentire una migliore stima delle conseguenze. La previsione dell evoluzione consente di individuare l area che può essere interessata, direttamente o indirettamente, dal fenomeno franoso. Prevede i seguenti tre punti: a) previsione della distanza di propagazione; b) previsione dei limiti di retrogressione; c) previsione dell espansione areale. La previsione della distanza di propagazione è particolarmente importante nel caso di frane di crollo o di colate di terra, le quali possono coprire grandi distanze. Nel caso di crolli di blocchi esistono metodi in grado di valutarne la traiettoria. La previsione dei limiti di retrogressione si effettua essenzialmente sulla base dei caratteri osservabili (distribuzione di attività). La previsione dell espansione areale è importante nel caso di colate viscose di terra o di fenomeni di liquefazione, nei quali la massa spostata è molto fluida e può estendersi a lobo al piede del versante Gestione del rischio La zonazione del rischio in un dato territorio costituisce la base della gestione del rischio (risk management); questa prevede l interpretazione delle informazioni ed il quadro delle decisioni operative per l eventuale riduzione del rischio (risk mitigation). La fase gestionale è di natura essenzialmente politico-amministrativa; tuttavia il ruolo dei tecnici e della comunità scientifica è fondamentale nell individuazione delle priorità di intervento e nella messa a punto delle strategie di mitigazione. In aree caratterizzate da elevati valori di rischio, sono possibili due strategie di gestione: 1) Aumento delle soglie di rischio accettabile: perseguibile essenzialmente attraverso l informazione (es. installazione di segnaletica di allarme, uso dei mezzi di comunicazione di massa). Le soglie di rischio consapevole (volontario) tollerato sono in genere molto più elevate rispetto a quelle di rischio involontario. 2) Mitigazione (riduzione) del rischio: realizzabile attraverso attività di prevenzione delle conseguenze dei fenomeni franosi. La mitigazione del rischio può essere a sua volta attuata secondo le tre seguenti strategie. a) Riduzione della pericolosità. L incidenza delle frane in una determinata zona può essere ridotta in due modi: intervenendo sulle cause (opere di sistemazione idrogeologica del territorio, razionalizzazione delle pratiche agricole o di utilizzo del suolo) o intervenendo direttamente sui fenomeni franosi per prevenirne la riattivazione o limitarne l evoluzione (interventi di stabilizzazione di una frana). b) Riduzione degli elementi a rischio. Tale strategia si esplica soprattutto in sede di pianificazione territoriale e di normativa, nell ambito delle quali possono essere programmate azioni quali: evacuazione di aree instabili e trasferimento dei centri abitati franosi; linterdizione o limitazione dell espansione urbanistica in zone instabili; definizione dell uso del suolo più consono per le aree instabili (es.prato-pascolo, parchi, ecc.). c) Riduzione della vulnerabilità. La vulnerabilità può essere ridotta mediante interventi di tipo tecnico oppure intervenendo sull organizzazione sociale del territorio: consolidamento degli edifici che determina una riduzione 6-17

110 6 Fenomeni franosi II della probabilità di danneggiamento dell elemento interessato dalla frana; installazione di misure di protezione (reti o strutture paramassi, gallerie, rilevati, trincee) in modo da determinare una riduzione della probabilità che l elemento a rischio venga interessato dalla frana (senza tuttavia limitare la probabilità di occorrenza di essa); messa a punto di sistemi di allarme, che limitano la probabilità che la vita umana sia vulnerata dall evento franoso; organizzazione di piani di emergenza e di soccorso, al fine di limitare il più possibile i danni prodotti dalla frana. 6-18

111 7 Dinamica Fluviale II 7 DINAMICA FLUVIALE II 7.1 Erosione e trasporto solido dei sedimenti del fondo Caratterizzazione dei sedimenti del fondo Lo studio dei caratteri sedimentari di un alveo fluviale ed in particolare delle granulometrie presenti sul fondo riveste una particolare imp ortanza perchè fornisce indicazioni sul tipo e sulle dimensioni del materiale coinvolto nel trasporto solido di fondo. Quest'ultimo, sebbene rappresenti una frazione modesta del trasporto solido totale, costituisce tuttavia la porzione più direttamente responsabile delle modificazioni morfologiche dell alveo e delle sue condizioni di stabilità. Quando si affronta una campagna di campionamento di sedimenti d alveo, esistono due principali aspetti da definire: a) unità fisiografica in corrispondenza della quale si vuole campionare; b) metodo di campionamento. Una campagna di misure granulometriche di un fiume deve necessariamente tener conto della forte variabilità delle caratteristiche dei sedimenti sia procedendo da monte verso valle e in rapporto agli apporti laterali degli affluenti, sia in relazione alle diverse unità fisiografiche che compongono l alveo. E noto come il materiale presente in un alveo fluviale tende a ridurre progressivamente le sue dimensioni procedendo verso valle. Tale riduzione è spiegata attraverso la combinazione di due principali processi: l abrasione e l azione selettiva della corrente. Molti autori hanno attribuito al secondo dei due processi il ruolo dominante, tuttavia non è ancora del tutto chiaro il ruolo relativo svolto dai due processi soprattutto per la difficoltà di poterli studiare separatamente. L introduzione di materiale con caratteristiche granulometriche differenti da parte di affluenti o da parte delle sponde sono tra i fattori che maggiormente possono determinare una forte variabilità spaziale. Particolarmente numerosi sono gli effetti sul trasporto solido e sulle caratteristiche sedimentarie ed idrauliche dell alveo che si verificano in corrispondenza delle principali confluenze. Le principali unità fisiografiche che compongono un alveo fluviale sono le sponde, le barre, il canale (o i canali), quest ultimo suddivisibile in riffles e pools (Fig.7.1). Fig.7.1 Schema delle principali unità fisiografiche in un tratto di alveo fluviale. a) Barre. Sono i corpi sedimentari mobili di un alveo fluviale. Gli alvei ghiaiosi sono generalmente caratterizzati da differenti tipi di barre, il cui sviluppo e la cui migrazione sono connessi al trasporto solido al fondo. All interno di una stessa barra si possono distinguere varie sottounità, con caratteristiche morfologiche e granulometriche anche notevolmente differenti. Ai fini di un campionamento dei sedimenti di una barra si possono considerare tuttavia le sue tre componenti principali: testa (parte sopracorrente), corpo (parte intermedia), coda (parte sottocorrente) (Fig.7.1). b) Sponde. si possono distinguere diverse tipologie di sponde a seconda del materiale che le costituisce: 1) sponde in materiale granulare (sabbia o ghiaia); 2) sponde in materiale coesivo (limo o argilla); 3) sponde composite; 4) sponde stratificate. c) Canale. La variabilità dei sedimenti che costituiscono il canale è soprattutto legata alla presenza di sequenze riffles e pools. I riffles tendono ad avere materiale più grossolano rispetto ai pools adiacenti, come risultato dell azione di meccanismi locali legati all azione selettiva della corrente (sorting). In un alveo ghiaioso non esiste solo una differenziazione granulometrica in senso areale, ma anche in senso verticale. Si può distinguere tra sedimenti del livello superficiale corazzato (armour) e quelli sub-superficiali del sottostrato (subarmour) (Fig.7.2 e 7.3). Alcuni autori hanno suggerito una distinzione tra static e mobile armour, o hanno proposto altri termini quali censored layer o pavement, quest ultimo preferito da ANDREWS & PARKER (1987) per indicare un fenomeno di corazzamento più debole in cui le particelle che compongono lo strato superficiale sono messe in movimento con maggiore frequenza (equivalente al mobile armour ). 7-1

112 7 Dinamica Fluviale II A B Fig Livello superficiale corazzato di una barra (A) e relativo sottostrato (B). La presenza di un livello superficiale relativamente più grossolano rispetto al materiale presente nello strato sottostante è una tipica caratteristica di alvei a fondo ghiaioso. La mediana della distribuzione granulometrica dello strato superficiale è in genere da due a sei volte quella del sottostrato. Due sono le principali spiegazioni date a questo fenomeno (CHURCH et alii, 1987): a) Le particelle più fini sono più facilmente rimosse rispetto ai clasti di maggiori dimensioni a causa dell azione selettiva della corrente (winnowing), lasciando un deposito residuale di materiale più grossolano in superficie (lag). b) La seconda ipotesi assume che lo strato superficiale corazzato riflette una condizione di uguale mobilità del fondo, cioè tutte le dimensioni della distribuzione del materiale del fondo comincierebbero a muoversi in corrispondenza di un campo di condizioni della corrente relativamente ristretto (equal mobility: PARKER et alii, 1982). Il fenomeno del corazzamento occorrerebbe in condizioni di basso trasporto solido, ma non nullo, durante le quali i granuli più grossolani si concentrano in superficie mentre i più fini vanno ad occupare gli spazi compresi tra i più grandi e vengono da questi protetti. Questa ipotesi è pertanto in contrapposizione con la precedente, che invece implica una mobilità selettiva del materiale, funzione cioè delle dimensioni dei sedimenti. Per quanto riguarda il campionamento di sedimenti in alvei ghiaiosi, se ne possono considerare sostanzialmente quattro principali tipi: a) Campionamento con la griglia (grid o transect: WOLMAN, 1954): viene stabilita una griglia e vengono raccolti tutti i granuli che vanno a trovarsi immediatamente sotto i nodi di tale griglia. Il campionamento può essere condotto con lo stesso criterio anche lungo una o più linee (transect line). E considerato, anche per la sua semplicità di applicazione, il metodo più adatto per rilevare la distribuzione granulometrica di una barra. b) Campionamento areale: viene raccolto tutto il materiale compreso all interno di un area predefinita. c) Campionamento volumetrico: viene prelevato un volume predefinito di materiale. Nel caso di campionamento di parti sommerse dell alveo, il campione viene prelevato con appositi raccoglitori o talora, per fiumi relativamente profondi, con l impiego di un sommozzatore. Il metodo volumetrico risulta generalmente l unico applicabile a porzioni sommerse dell alveo e per campionare lo strato sub-superficiale. d) Campionamento fotografico: rappresenta una variazione del metodo areale, tuttavia può presentare diversi problemi e limiti quali la trasformazione dal diametro apparente osservabile sull immagine fotografica al diametro reale, il parziale ricoprimento di un ciottolo da parte di materiale fine o da un altro clasto, l impossibilità di applicarlo per le parti sommerse dell alveo a causa della mancanza di contrasto e luminosità. 7-2

113 7 Dinamica Fluviale II Fig Tipiche configurazioni del fondo di alvei ghiaiosi (da CHURCH et alii, 1987). (a) Ghiaia con struttura costituita da clasti in contatto (framework gravel): 1. strato superficiale corazzato; 2. strato sub-superficiale; 3. letto inferiore. (b) Corazzamento dello strato superficiale con dilavamento del materiale fine (censored gravel): 1. strato superficiale corazzato; 2. strato sub-superficiale. (c) Ghiaia riempita (filled gravel): 1. livello superficiale con riempimento di materiale fine; 2. strato sub-superficiale. Le analisi granulometriche effettuate successivamente sono rappresentate graficamente attraverso istogramma e curva cumulativa, i quali permettono di apprezzare qualitativamente alcune caratteristiche della dis tribuzione, quali la classe o le classi modali e la dispersione. Per un trattamento quantitativo della distribuzione granulometrica si fa invece ricorso al calcolo di alcuni parametri statistici, convenzionalmente con il metodo dei momenti (media, deviazione standard, asimmetria, appuntimento) Inizio del moto dei sedimenti del fondo I processi di erosione sono determinati in primo luogo da una rimozione da parte della corrente fluviale di particelle presenti sul fondo o sulle sponde di un alveo. Tale rimozione è quindi principalmente legata allo sforzo di taglio τ esercitato dalla corrente: τ = γ w R S dove γ w è il peso di volume dell acqua, R il raggio idraulico, S la pendenza. Le condizioni di inizio del moto dei sedimenti sono controllate dalle caratteristiche idrauliche della corrente, dalle proprietà del fluido e dalle caratteristiche dei sedimenti. Per la determinazione delle condizioni di inizio del moto dei sedimenti il diagramma di SHIELDS (1936) è normalmente accettato nella pratica applicativa. Esso è stato ottenuto tramite una serie di studi sperimentali su sedimenti uniformi con dimensioni variabili tra 0.36 e 3.44 mm e densità del materiale compresa tra 1.06 e 4.3 g/cm 3. Attraverso tali esperimenti è stata ottenuta una relazione tra numero di Reynolds al fondo: Re*= V* D / í ed un parametro adimensionale espresso come: τ* = τ / (γ -γ w ) D, dove V* = τ / ρ w è la velocità di attrito, τ lo sforzo di taglio, ρ w la densità dell acqua, D il diametro del materiale, í la viscosità cinematica, γ è il peso di volume dei sedimenti, γ w il peso di volume dell acqua (Fig.7.4). Oltre al criterio di Shields, largamente accettato in letteratura, altri numerosi autori hanno proposto equazioni empiriche o hanno trattato l inizio del moto di sedimenti attraverso analisi teoriche. HYULSTROM (1935) e SUNDBORG (1956) hanno proposto diagrammi simili che esprimono le condizioni critiche di inizio del moto in termini di velocità della corrente. Il diagramma di Shields mostra in particolare come per valori elevati del numero di Reynolds al fondo (>400), corrispondenti al campo di valori in cui il materiale ha dimensioni sufficientemente elevate per interrompere il sottostrato laminare, il parametro adimensionale di Shields τ* assume un valore costante pari a Lo sforzo di taglio critico in tali condizioni è quindi indipendente dal numero di Reynolds al fondo e dipende solo dalle dimensioni del materiale, cioè è dato da: τ c = (γ- γ w ) D In alvei naturali con materiale maggiore di 2 mm il numero di Reynolds è generalmente maggiore di 500. Pertanto, nel caso di alvei con fondo ghiaioso, comunemente si assume un valore costante dello sforzo di taglio adimensionale, seppure successivi studi riportano, in molti casi, un valore leggermente inferiore a (in genere compresi tra e 0.03). Gli studi più recenti sono abbastanza concordi nel considerare il valore di (KOMAR, 1987). Pertanto, nel caso 7-3

114 7 Dinamica Fluviale II di materiale granulare di dimensioni uniformi, si assume la seguente relazione lineare tra sforzo di taglio critico e diametro dei sedimenti: τ c = (γ - γ w ) D Fig Diagramma di SHIELDS. Re*: Numero di Reynolds al fondo; τ*: sforzo di taglio adimensionale. Un altro aspetto importante è rappresentato dall eterogeneità della distribuzione granulometrica dei sedimenti presenti sul fondo di un alveo naturale. Tale argomento riveste molta importanza dal momento che, in pressocchè tutti gli alvei naturali, la distribuzione granulometrica del fondo non è mai uniforme. Tra le formule che tengono conto dell eterogeneità del materiale, sono da citare quelle di PARKER et al. (1982) e quella di ANDREWS (1983). In particolare quest ultima è espressa nella forma: τ* ci = (D i / D s50 ) dove τ* ci è lo sforzo di taglio critico adimensionale relativo alla frazione percentile D i, mentre D s50 è la mediana del materiale costituente il sottostrato. Essa è stata ottenuta per valori del rapporto D i / D s50 compresi tra 0.3 e 4.2. Per valori maggiori di 4.2, lo sforzo di taglio adimensionale assume un valore costante di circa KOMAR (1987) ha invece ricavato la seguente equazione: τ ci =0.045 (ρ - ρ w ) g D D i 0.4 dove ρ è la densità dei sedimenti, ρ w la densità dell acqua, g l accelerazione di gravità. La precedente equazione esprime in sostanza una estensione del criterio di Shields per materiale ghiaioso uniforme al caso di materiale eterogeneo. Per applicarla è necessario inserire un valore D i rappresentativo dei clasti di dimensioni maggiori messi in movimento e trasportati dal fiume. Infine, un metodo per il calcolo dello sforzo di taglio critico per materiale eterogeneo, derivato anche in questo caso dal criterio di Shields, è stato sviluppato anche da WIBERG & SMITH (1987) (per il quale si rimanda a testi specifici di Idraulica fluviale). I differenti risultati ottenuti da KOMAR (1987) rispetto all approccio di PARKER et al. (1982) e di ANDREWS (1983) riflettono peraltro una diversità di opinioni riguardo le modalità di innesco del trasporto solido al fondo. L equazione proposta da KOMAR (1987) si basa infatti sull implicita assunzione che i granuli più fini di una distribuzione eterogenea siano messi in movimento in corrispondenza di condizioni di sforzo di taglio inferiori a quelle relative alle particelle più grandi (selective entrainment), e che di conseguenza l inizio del moto di tutte le dimensioni presenti avviene in corrispondenza di un campo molto ampio di condizioni idrauliche. Altre osservazioni sull inizio del moto in materiale di dimensioni variabili hanno invece suggerito che l esposizione dei granuli più grandi compensa sufficientemente il loro peso maggiore, con il risultato che la maggior parte dei granuli comincia a muoversi in corrispondenza all incirca dello stesso sforzo di taglio critico (equal mobility o equal entrainment). Su tale ipotesi si basano le formule ricavate da PARKER et al. (1982) e di ANDREWS (1983), le quali esprimono lo sforzo di taglio critico in funzione del cosiddetto hiding factor D i /D Cenni sulla stima del trasporto solido Esistono nel campo dell Idraulica fluviale diverse equazioni di trasporto solido, ricavate teoricamente o sperimentalmente, che esprimono la quantità di materiale che può essere trasportata per determinate condizioni idrauliche 7-4

115 7 Dinamica Fluviale II della corrente e granulometriche del fondo (capacità di trasporto). La maggior parte delle equazioni di trasporto solido al fondo può essere ridotta ad una delle seguenti forme (GARDE & RANGA RAJU, 1985): Qs = A f(τ - τ c ) Qs = A f(q - Q c ) Qs = A f(v - V c ) Qs = A f(ω - ω c ) dove Qs è il trasporto solido al fondo, τ lo sforzo di taglio, Q la portata, V la velocità, ω la potenza unitaria della corrente, τ c, Q c, V c, ω c sono i rispettivi valori critici di inizio del moto dei sedimenti, infine A è una costante che dipende dalle caratteristiche del fluido e dei sedimenti. La quantità di materiale trasportato al fondo dipende cioè prevalentemente dall eccesso di uno dei precedenti parametri idraulici rispetto al valore critico corrispondente alla condizione di inizio del moto dei sedimenti. Di seguito si riporta una rassegna sintetica delle formule di trasporto solido più comunemente usate in letteratura, rimandando ai testi specifici per i dettagli (in particolare CHANG, 1988; GARDE & RANGA RAJU, 1985). Tali formule possono essere classificate, in base al tipo di trasporto solido alle quali si riferiscono, nelle seguenti categorie: 1. Formule di trasporto solido al fondo: DuBoys, Schoklitsch, Meyer-Peter-Muller, Einstein, Einstein-Brown, Parker et al. 2. Formule di trasporto solido in sospensione: Einstein. 3. Formule di trasporto del materiale del fondo: Colby, Engelund-Hansen, Ackers-White, Yang, Brownlie. 1. Formule di trasporto solido al fondo DUBOYS (1879): ricavata teoricamente, assume che il fondo sia costituito da sabbia di dimensioni uniformi. SCHOKLITSCH (1934): formula empirica applicabile soprattutto a torrenti con elevato trasporto al fondo e sedimenti di dimensioni relativamente grossolane. MEYER-PETER-MULLER (1948): equazione di tipo empirico, basata su esperimenti in laboratorio. Applicabile a sedimenti medio-grossolani (da sabbia media a ghiaia grossolana). EINSTEIN (1950): ricavata da una analisi di tipo teorico del trasporto solido al fondo basata sulla meccanica dei fluidi e analisi probabilistiche. Si discosta dalle precedenti (e da molte di quelle successive) in quanto rinuncia a definire qualunque grandezza critica che individui l inizio del moto dei sedimenti. PARKER ET AL. (1982): applicabile a corsi d acqua costituiti prevalentemente da ghiaia o da materiale più grossolano, i quali presentano uno strato superficiale (armour) marcatamente più grossolano rispetto al sottostrato. Equazione basata su dati sperimentali relativi all Oak Creek e ad altri numerosi alvei ghiaiosi. PARKER ET AL. (1990): deriva da una serie di modifiche rispetto alla precedente formula. Tra queste, la formula del 1982 richiede le dimensioni granulometriche del sottostrato, mentre questa formula usa le dimensioni dello strato superficiale. Rimane invariato il campo di applicabilità (alvei con materiale relativamente grossolano). 2. Formule di trasporto solido in sospensione La trattazione teorica del trasporto solido in sospensione è più problematica, essendo molto complessi i meccanismi della sospensione (inizio della sospensione, mantenimento per effetto della turbolenza e della gravità) EINSTEIN (1950): basata sul principio della diffusione turbolenta (si suppone che il materiale si diffonda proporzionalmente al gradiente della concentrazione). Consente di ottenere la portata solida in sospensione in base alla ricostruzione della distribuzione della velocità e della concentrazione solida lungo una verticale. E impiegata per ottenere la portata solida in sospensione per differenti frazioni granulometriche. 3. Formule di trasporto solido del materiale del fondo Il trasporto solido del materiale del fondo rappresenta la somma del trasporto solido al fondo e di quello in sospensione escludendo la frazione che costituisce il wash load. E spesso indicato anche come trasporto solido totale. COLBY (1964): tramite dei grafici si ricava la portata solida del materiale del fondo per unità di larghezza in funzione della velocità della corrente, della profondità, del diametro medio dei sedimenti, della temperatura e della concentrazione di sedimenti fini. Applicabile al caso di alvei sabbiosi. ENGELUND-HANSEN (1967): di tipo fisicamente basato, applicabile ad alvei a fondo sabbioso con formazione di dune. ACKERS-WHITE (1973): ricavata teoricamente e basata sul concetto di minimizzazione della potenza della corrente di Bagnold. L equazione ottenuta è calibrata sulla base di numerosi dati di letteratura. 7-5

116 7 Dinamica Fluviale II YANG (1973): ricavata con un approccio simile a quella di Ackers-White (basata sul concetto di minimizzazione della potenza unitaria della corrente) e basata su dati sperimentali di laboratorio. Sono proposte due equazioni simili per alvei a fondo sabbioso e ghiaioso rispettivamente. BROWNLIE (1981): esprime la concentrazione in peso del materiale trasportato tramite una formula empirica basata su dati sperimentali di laboratorio e di campagna. A causa delle numerose formule esistenti in letteratura, si pone spesso il problema della scelta della formula da ritenere più affidabile e più appropriata al il caso in esame. La scelta della formula più adatta si può basare sul tipo di assunzioni effettuate (nel caso di una equazione ricavata teoricamente) o sul confronto di dati calcolati con dati misurati. Numerosi studi in letteratura hanno affrontato tale argomento, effettuando un confronto dei risultati forniti dalle differenti formule e del loro discostamento da dati misurati (tra queste ad es. GOMEZ & CHURCH, 1989 relativamente ad alvei ghiaiosi). Per numerosi problemi pratici, nel caso di determinazione del trasporto solido in sospensione si fa ricorso alla modellistica dei fenomeni di erosione superficiale sui versanti (nel bacino sotteso) piuttosto che a formule di trasporto nella sezione fluviale. In tal caso va tuttavia tenuto conto che il risultato dell applicazione di modelli erosivi quasi sempre rappresenta la perdita di suolo, cioè la quantità totale di materiale asportato dai versanti dai processi erosivi, la quale non coincide necessariamente con quella misurata alla sezione di chiusura, data la possibilità di risedimentazione di una parte del materiale eroso in altre porzioni del bacino. Un altro approccio per la stima del trasporto solido in sospensione è quello basato sull analisi geomorfica quantitativa del reticolo idrografico. In Italia è stata ricavata una formula empirica derivante da una regressione multipla tra dati del trasporto solido in sospensione di una serie di stazioni di misura (del Servizio Idrografico Nazionale) e parametri morfometrici del bacino di drenaggio (CICCACCI et al., 1981). In particolare i parametri che appaiono influenzare maggiormente l erosione risultano la densità di drenaggio, il gradiente di pendio, l indice di anomalia gerarchica e la densità di anomalia gerarchica. 7.2 Dimensioni di alvei naturali A partire dagli anni 30 si va affermando nel campo dell Idraulica Fluviale la cosiddetta teoria del regime. Tale teoria nasce per la progettazione di canali artificiali, i quali richiedevano di essere dimensionati in modo tale da far transitare un ristretto campo di portate liquide senza subire variazioni della sezione o del profilo. L osservazione di canali a regime ha portato alla formulazione di numerose equazioni empiriche, che legano le caratteristiche geometriche del canale con la portata di progetto. Successivamente tale approccio è stato applicato al caso di alvei naturali, i quali tuttavia, a differenza dei canali artificiali, presentano una estrema variabilità sia delle portate, sia della forma delle sezioni e delle caratteristiche dei sedimenti del fondo e delle sponde Geometria idraulica A) Geometria idraulica in una sezione In alvei fluviali a fondo mobile, i principali parametri geometrico-idraulici della sezione risultano legati alla portata liquida da funzioni di potenza, secondo le classiche relazioni di geometria idraulica proposte da LEOPOLD & MADDOCK (1953): W = aq b D = cq f V = kq m dove W è la larghezza del pelo libero, D la profondità, V la velocità della corrente, Q la portata, a, b, c, f, k, m sono i coefficienti delle regressioni. Si noti che l equazione di continuità (Q=WDV) richiede che: ack = 1 b + f + m = 1 Un tipico esempio di relazioni di geometria idraulica in una sezione è mostrato in Fig

117 7 Dinamica Fluviale II Fig Relazioni di geometria idraulica in una sezione. Fig Larghezza, profondità e velocità in funzione della portata media annua in vari sistemi fluviali. B) Variazioni di geometria idraulica verso valle Le variazioni verso valle dei parametri di geometria idraulica possono essere descritte in modo analogo alle variazioni in una singola sezione. In questo caso la portata aumenta verso valle, all aumentare delle dimensioni del bacino sotteso come risultato dell apporto dovuto agli affluenti. In genere le relazioni di geometria idraulica a scala di fiume o di sistema fluviale vengono ricavate per una portata con un dato tempo di ritorno. A tal fine si tende ad utilizzare la portata ad alveo pieno o la portata dominante, essendo quelle più significative dal punto di vista degli effetti sulla morfologia dell alveo, oppure il valore della portata media annuale, essendo in genere più facilmente disponibile. Esempi di tale tipo di relazioni di geometria idraulica sono quelli riportati in Fig.7.6 per vari sistemi fluviali. Le relazioni di geometria idraulica possono essere usate per: 1) descrivere le variazioni sistematiche della morfologia degli alvei a scala regionale o a scala di sistema fluviale; 2) predire le dimensioni di alvei stabili Dimensioni dei meandri Oltre alle classiche relazioni di geometria idraulica, esistono in letteratura numerose altre formule empiriche che mettono in relazione tra di loro sia i parametri delle sezioni sia quelli relativi alla forma planimetrica dell alveo. In particolare, per quanto riguarda i fiumi meandriformi, sono state ricavate una serie di equazioni empiriche che legano le dimensioni della sezione con i parametri planimetrici che descrivono un meandro (Fig.7.7). Esistono alcuni limiti nell utilizzo di equazioni empiriche riportate in letteratura, quali: a) andrebbero verificate per un particolare contesto geomorfoclimatico differente rispetto a quello in cui sono state ottenute; b) sono state ricavate per alvei stabili (o a regime ), quindi nel caso di alvei instabili (in degradazione o aggradazione) si possono avere forti discostamenti. 7-7

118 7 Dinamica Fluviale II Fig Relazioni tra larghezza dell alveo (W), raggio di curvatura (r m ) e lunghezza d onda dei meandri (L) Portata dominante Il concetto di portata dominante (dominant discharge) è largamente usato nel campo della Geomorfologia Fluviale e dell Idraulica Fluviale. Tale portata è spesso impiegata in equazioni empiriche per predire la geometria idraulica di alvei fluviali stabili. Esistono varie definizioni di portata dominante, riportate di seguito: è quel valore della portata che, sostituito all intero regime delle portate per uno stesso periodo di tempo, sarebbe in grado di produrre la stessa forma e le stesse caratteristiche geometriche (INGLIS, 1949). è quella portata a cui è associato il massimo della funzione portate liquide quantità di materiale trasportato (WOLMAN & MILLER, 1960) (indicata anche most effective discharge) (Fig.7.8). corrisponde alla portata ad alveo pieno (bankfull discharge), cioè a quella portata che riempie completamente l alveo senza dar luogo ad esondazione, spesso considerata come la portata formativa in alvei naturali. Tale portata è in genere associata ad un tempo di ritorno di anni, sulla base di dati relativi ad una larga varietà di fiumi. Fig Portata dominante (Qd, dominant discharge) in base alla definizione di WOLMAN & MILLER (1960). A: Portate solide; B: Curva di frequenza delle portate liquide; C: prodotto delle due curve (A e B). 7-8

119 7 Dinamica Fluviale II 7.3 Torrenti montani Variazioni verso valle delle morfologie d alveo All interno di un bacino montano, esiste una generale differenziazione progressiva verso valle delle tipologie di alveo definite in precedenza, nel seguente ordine: tratti colluviali, rapide, step pool, letto piano, pool riffle e dune ripple (Fig.7.9). Gli alvei di tipo alluvionale (quelli cioè non incisi direttamente nel substrato roccioso) presentano generalmente pendenze inferiori a valori compresi tra 0.2 e 0.3 e le differenti morfologie di canale presentano una relazione inversa rispetto alla pendenza: i canali a pool-riffle ed a letto piano sono associati alle pendenze più basse, mentre i canali a step pool e rapide sono quelli caratterizzati dalle pendenze più elevate. In base a dati relativi a vari torrenti montani è stato osservato che, sebbene le pendenze di tratti con differenti morfologie di canale presentino dei campi di parziale sovrapposizione, essi hanno valori piuttosto distinti della mediana e dei quartili superiori ed inferiori. In particolare, dal grafico di Fig.7.10 si osserva che: a) tratti con pendenze inferiori a hanno probabilità di avere una morfologia pool-riffle; b) tratti con pendenza tra e 0.03 tipicamente presentano una morfologia a letto piano; c) tratti con pendenze tra 0.03 e hanno probabilità di avere una morfologia step-pool; d) tratti con pendenze superiori a tipicamente presentano una morfologia a rapide. Inoltre, i tratti a morfologia poolriffle imposta presentano un campo di pendenze compreso tra pool-riffle e letto piano, indicando che l introduzione di detriti vegetazionali (LWD: Large Woody Debris) nel canale può estendere una morfologia imposta a pendenze più elevate rispetto alla stessa morfologia con limitata presenza o assenza di detriti vegetazionali. Fig Profilo longitudinale idealizzato attraverso un sistema fluviale che mostra la generale distribuzione delle tipologie d alveo ed i controlli sui processi di canale in un bacino montano. 7-9 Fig Campi di variabilità tipici della pendenza per tratti di canale relativi a diverse morfologie (i rettangoli indicano i quartili superiori ed inferiori; le linee orizzontali all interno dei rettangoli indicano la mediana; le linee verticali indicano i decimi percentili superiore ed inferiore). La tipica sequenza verso valle di morfologie d alveo (Fig.7.9) è anche associata ad una progressiva riduzione nel confinamento della valle, che può riflettere le opposte tendenze spaziali della portata solida (sediment supply: Qs) e della capacità di trasporto (transport capacity: Qc). La capacità di trasporto generalmente decresce verso valle a seguito della riduzione della pendenza, mentre l alimentazione complessiva di sedimenti generalmente aumenta con l area di drenaggio (sebbene la produzione di sedimenti per unità di area in genere tende a decrescere). Un accumulo di sedimenti assente o poco significativo in un tratto di alveo indica che virtualmente tutto il materiale rifornito all alveo dai versanti e dai tratti a monte del sistema fluviale è trasportato verso valle. Differentemente, la presenza di un certo spessore di depositi alluvionali implica un eccesso di alimentazione di sedimenti rispetto alla capacità di trasporto. MONTGOMERY & BUFFINGTON (1997), sulla base di tali considerazioni e di osservazioni di campo, hanno proposto un modello interpretativo della diversificazione delle varie morfologie di canale in funzione del rapporto reciproco tra portata solida e capacità di trasporto (Fig.7.11 e 7.12). I canali colluviali denotano una situazione di eccesso di Qs rispetto alla Qc disponibile (situazione di transport limited), come indicato dall accumulo di colluvium che si osserva nel fondovalle. All estremo opposto, la mancanza di un letto alluvionale indica che i tratti in roccia sono associabili ad una situazione di

120 7 Dinamica Fluviale II eccesso di Qc rispetto alla Qs disponibile (supply limited). Gli alvei alluvionali denotano un campo più ampio di variabilità di situazioni: a) canali ad elevata pendenza (cascade e step pool) sono associati ad una maggiore capacità di trasporto; b) tratti a letto piano rappresentano situazioni di transizione; c) tratti a pool riffle e dune ripple rappresentano situazioni con Qs maggiore rispetto alla Qc disponibile. Fig Schema della relazione tra morfologie fluviali e rapporto tra portata solida (Qs) e capacità di trasporto (Qc) in un bacino montano. Fig Schema del rapporto tra capacità di trasporto e portata solida per diverse tipologie di fondovalle e di canale Tipologie morfologiche caratteristiche dei torrenti alpini A partire dalla classificazione proposta da MONTGOMERY & BUFFINGTON (1997), LENZI et al. (2000) hanno introdotto una serie di integrazioni, in modo da prevedere una gamma più articolata di tipologie morfologiche che si possono riscontrare nei torrenti alpini e tenere conto, nello stesso tempo, dei condizionamenti esterni più frequenti. Questi si sovrappongono alla morfologia di base e possono anche dare luogo a delle morfologie imposte. A tal fine è stata messa a punto una scheda di rilevamento (Fig.7.13), nella quale trovano spazio, oltre alle indicazioni sul tipo di unità morfologica, anche le informazioni concernenti gli eventuali condizionamenti, la forma della sezione trasversale della valle e la granulometria dominante del letto. In particolare, le configurazioni morfologiche previste da Lenzi et al. (2000) sono le seguenti: 1) Rapida (cascade) (suddivisibile in rapida a scivolo o a gradini); 2) Step pool; 3) Riffle pool; 4) Letto piano; 5) Riffle-step pool; 6) Transverse rib; 7) Cascata; 8) Tratti a barre e raggruppamenti; 9) Tratto deposizionale; 10) Tratto inciso; 11) Dune ripple; 7-10

121 7 Dinamica Fluviale II 12) Pool isolata; 13) Tratto meandriforme; 14) Tratto sistemato; 15) Tratto colluviale. Fig Scheda di rilevamento delle unità morfologiche nei torrenti alpini (da LENZI et al., 2000). Le tipologie previste da LENZI et al. (2000) e non descritte in precedenza sono di seguito definite. 1) Rapide a scivolo o a gradini. Le prime sono caratterizzate da macroscabrezze ben distribuite all interno del canale, mentre le seconde presentano al loro interno un parziale grado di organizzazione trasversale degli elementi lapidei. 5) Riffle-step pool. Si tratta di unità morfologiche composte da un gradino costituito da un insieme di sedimenti di larghezza superiore alla media e con un profilo disteso verso valle. Una riffle-step si configura, quindi, come una rampa molto corta alla quale segue una pool. 6) Transverse rib. Sono costituiti dall allineamento di ciottoli disposti in modo trasversale rispetto alla direzione della corrente ed elevati verticalmente rispetto alla quota di base del letto. L elemento diagnostico che permette la distinzione tra i transverse rib e gli step è la mancanza di interrimento a monte del gradino. 7) Cascata. Le cascate sono dei salti più o meno verticali, in genere isolati e di altezza superiore ai 3 metri. 8) Tratti a barre e raggruppamenti (o cluster). Si distinguono dai tratti a riffle pool per una maggiore irregolarità delle barre e dalle rapide per una minore pendenza e una ridotta presenza di fenomeni di flusso a getto (jet and wake flow). Le barre possono essere mediane o laterali, ma non risultano così estese come quelle che si possono riscontrare nei tratti deposizionali. 9) Tratto deposizionale. I tratti deposizionali si localizzano generalmente in corrispondenza di allargamenti dell alveo, dove la pendenza di fondo del corso d acqua è nettamente inferiore rispetto ai contigui tratti di monte e di valle. Morfologicamente questi tratti possono avere una struttura caotica, con depositi di materiale anche molto consistenti e talora consolidati dalla vegetazione. 10) Tratto inciso. Nei tratti incisi il processo dominante è completamente opposto a quello dei tratti deposizionali: la capacità di rimozione e trasporto dei sedimenti prende il sopravvento sulla alimentazione solida da monte, dando luogo ad un approfondimento della valle. 13) Tratto meandriforme. I tratti meandriforme si sviluppano prevalentemente sulla testata dei bacini, in aree in cui la valle si allarga notevolmente ed il torrente scorre su una pianura alluvionale morfologicamente evoluta. Il tracciato planimetrico mostra delle anse che si susseguono in modo discontinuo e irregolare. A differenza dei tratti meandriforme caratteristici dei corsi d acqua di pianura, la sinuosità di quelli montani è generalmente bassa (compresa tra 1.5 e 2). 7-11

122 7 Dinamica Fluviale II 14) Tratto sis temato. Sono tratti in cui sono stati realizzati degli interventi di sistemazione più o meno intensi. 7.4 Evoluzione di alvei incisi Modelli geomorfologici di evoluzione di alvei incisi La stretta relazione tra variazioni altimetriche del fondo e aggiustamenti della larghezza nella dinamica evolutiva di un alveo fluviale è stata messa in evidenza attraverso alcuni modelli geomorfologici concettuali proposti in letteratura, basati su osservazioni relative a sistemi fluviali incisi e supportati da studi sperimentali. SCHUMM et al. (1984), basandosi su osservazioni relative all evoluzione del Oaklimiter Creek nel bacino del Mississippi che ha subìto una fase di incisione in seguito ad interventi di canalizzazione, hanno proposto un modello concettuale a cinque stadi di evoluzione della forma dell alveo. Il modello originario a cinque stadi proposto da SCHUMM et al. è stato successivamente perfezionato ed ampliato a sei stadi di evoluzione (Fig.7.14 e 7.15). Tale modello è basato sul concetto di migrazione verso monte dell abbassamento del fondo (nickpoint migration) e di conseguente migrazione spazio-temporale dei processi evolutivi. Quest ultimo concetto esprime il fatto che i processi che avvengono in una sezione ad una certa distanza verso valle dal punto di inflessione sono gli stessi di quelli che avverranno dopo un certo intervallo di tempo nei tratti a monte (space for time substitution) (Fig.7.15). Il modello si riferisce in particolare a fiumi incisi nei depositi loessici che affiorano nella parte mediorientale e sudorientale degli USA, soggetti ad una fase abbassamento del fondo dovuta ad interventi di canalizzazione. Viene considerato come stadio iniziale (stadio I) l alveo fluviale nelle sue condizioni indisturbate. Lo stadio II è idealmente rappresentativo della fase di disturbo (in questo caso la canalizzazione), in seguito alla quale si instaura uno squilibrio tra portata solida e condizioni energetiche della corrente che causa un abbassamento del fondo (stadio III). La migrazione verso monte del processo di abbassamento comporta una progressiva riduzione della pendenza dell alveo e di conseguenza della capacità di trasporto della corrente; nello stesso tempo l altezza e l inclinazione delle sponde aumentano, a causa dell'erosione fluviale alla base. Lo stadio III è quindi seguito da una fase di instabilità delle sponde ed un conseguente allargamento dell'alveo attraverso movimenti di massa (stadio IV). Man mano che l abbassamento del fondo procede verso monte, l'aggradazione diviene dominante nei tratti precedentemente soggetti ad erosione (stadio V) fino alla completa ristabilizzazione del livello del fondo ed al raggiungimento di un nuovo equilibrio dinamico (stadio VI). A B Fig.7.14 Modello a sei stadi di evoluzione (SIMON & HUPP, 1986). 7-12

123 7 Dinamica Fluviale II A: Evoluzione dell alveo; B: variazioni morfologiche delle sponde. Fig.7.15 Modello di evoluzione a sei stadi di sistemi fluviali incisi Cenni sui modelli numerici di variazioni morfologiche di alvei fluviali Per un approccio quantitativo allo studio delle variazioni morfologiche di alvei alluvionali, nel campo dell Idraulica Fluviale si fa normalmente riferimento alla equazione di continuità dei sedimenti applicata ad un tratto finito di alveo. Si consideri un tratto di alveo di lunghezza δx con larghezza omogenea L ed una portata solida per unità di larghezza Qs. L equazione di continuità dei sedimenti esprime il fatto che la differenza di portata solida entrante ed uscente da un tratto di riferimento nell unità di tempo equivale ad una variazione del volume di sedimenti nel tratto (Fig.7.16) e può essere scritta nella forma (GARDE & RANGA RAJU, 1985): 1 [ Qs L - γ s x (QsL) δx 2 }- { Qs L + x (QsL) δx 2 }] = { zlδx (1-λ)} t dove γ s è il peso di volume dei sedimenti, z la quota del fondo rispetto ad un dato livello di riferimento, λ la porosità del materiale sul fondo. Tale equazione è scritta assumendo per semplicità che la concentrazione di materiale trasportato in sospensione non varia apprezzabilmente nel tempo. Essa può essere ancora scritta nella forma: z t + 1 (Qs L) = 0 L γ s (1-λ) x e, ipotizzando ancora che la larghezza rimanga costante: z t + k (Qs) = 0 x 1 dove k = è un coefficiente che dipende dalla porosità del materiale. γ s (1-λ) L equazione precedente esprime il fatto che se la portata solida in uscita è maggiore di quella in entrata, cioè si ha un incremento di portata solida nel tratto di riferimento, ciò corrisponde ad una riduzione di quota del fondo (abbassamento). 7-13

124 7 Dinamica Fluviale II Fig Equazione di continuità dei sedimenti applicata ad un tratto finito di alveo (da GARDE & RANGA RAJU, 1985). Come schema interpretativo per comprendere come l alveo fluviale tende a modificarsi in seguito ad un disturbo dovuto a qualche intervento o attività antropica, per maggiore chiarezza.si può fare riferimento al rapporto tra le due seguenti grandezze: a) portata solida, la quale rappresenta il trasporto solido che realmente transita attraverso un determinato tratto di alveo; b) capacità di trasporto della corrente, definibile come la portata solida che potenzialmente l alveo è in grado di trasportare in un determinato tratto in base alle sue caratteristiche idrauliche, morfologiche e sedimentologiche. Esistono numerose equazioni di trasporto solido che esprimono la capacità di trasporto in funzione di diversi parametri legati alle caratteristiche idrauliche della corrente. Con riferimento alla Fig.7.17, un tratto finito di alveo si troverà in condizioni di equilibrio se la quantità di materiale in arrivo nella sezione 1 è uguale a quello uscente dalla sezione 2. Ciò è verificato nel caso in cui la capacità di trasporto del tratto è esattamente pari alla portata solida entrante (Qs1). In tal caso risulta infatti: (Qs) z = 0 da cui x t = 0 cioè non si verificano variazioni della quota del fondo. Se invece esiste uno squilibrio tra capacità di trasporto e portata solida, l alveo è soggetto ad erosione o sedimentazione del fondo, a seconda che la capacità di trasporto è rispettivamente in eccesso o in difetto rispetto alla portata solida. Nel primo caso, che si può verificare ad esempio a causa di una sottrazione di parte della portata solida o a causa di un aumento della pendenza del fondo, si ha: (Qs) z > 0 da cui x t < 0 cioè si verifica una fase di abbassamento del fondo tale da ristabilire, attraverso una nuova configurazione geometrica, il bilancio sedimentologico imposto dall equazione di continuità. L alveo tenderà cioè a modellarsi in modo da ridurre la pendenza e quindi la sua stessa capacità di trasporto, ad essa direttamente proporzionale, riacquistando un equilibrio dinamico con la portata solida proveniente da monte. A B Fig A: Bilancio schematico tra capacità di trasporto della corrente e portata solida. B: Schema dell applicazione del concetto di continuità dei sedimenti in un tratto di alveo. 7-14

125 7 Dinamica Fluviale II I modelli matematici sono utilizzabili per simulare le variazioni morfologiche di un alveo fluviale indotte da un qualche tipo di perturbazione delle sue condizioni originarie di equilibrio (o di regime). Lo schema di analisi idraulica prevede di descrivere i meccanismi di trasporto liquido e solido attraverso le seguenti equazioni di base: Fase Liquida 1) Equazione del moto 2) Equazione di continuità Fase solida 1) Equazione di trasporto solido (capacità di trasporto) 2) Equazione di continuità Esistono varie categorie di modelli previsionali: quelli che consentono di simulare il comportamento di un corso d acqua durante la fase evolutiva di transizione tra uno stato di equilibrio e quello successivo, e quelli invece che forniscono soltanto le caratteristiche dello stato di equilibrio finale, noto quello di partenza. Tra i modelli di evoluzione morfologica messi a punto e maggiormente adoperati in letteratura sono da annoverare: HEC-6 (THOMAS, 1977, U.S.Arms Corps of Engineers); GSTARS (MOLINAS & YANG, 1986, U.S.Bureau of Reclamation); FLUVIAL-12 (CHANG & HILL, 1976, University of California), MIKE 21 (DHI Water and Environment, Danimarca), ISIS (Wallingford Software, UK). Nonostante i notevoli progressi effettuati in questo campo, anche nei modelli più recenti la difficoltà principale è quella di simulare gli aggiustamenti della larghezza dell alveo, in particolare quelli dovuti a movimenti di massa sulle sponde piuttosto che ad erosione fluviale. Un notevole progresso in tal senso è quello di combinare specifici algoritmi geotecnici per l analisi di stabilità della sponda e con algoritmi idraulici in grado di effettuare, nel caso in cui si verifichi una frana, un bilancio tra fenomeni di erosione, trasporto e sedimentazione tenendo conto degli scambi di trasporto solido nella zona basale della sponda. Un modello di questo tipo è stato recentemente proposto (DARBY & THORNE, 1996) ed è tuttavia applicabile limitatamente al caso di alveo sabbioso con andamento rettilineo. Modelli quantitativi in grado di ricostruire le variazioni planimetriche nel caso di fiumi meandriformi o a canali intrecciati sono estremamente complessi. Le irregolarità planimetriche del fondo e delle sponde, come ad esempio la presenza di un meandro o l esistenza di più canali separati da barre, generano infatti significative distorsioni nella distribuzione delle velocità e degli sforzi di taglio e conseguentemente del trasporto solido molto difficili da simulare numericamente. Tuttavia le ricerche durante gli ultimi anni hanno portato a recenti sviluppi anche nel campo della simulazione del comportamento di fiumi meandriformi e a canali intrecciati. 7.5 Processi di erosione di sponde fluviali L arretramento di sponde fluviali rappresenta quel meccanismo attraverso il quale un alveo si muove lateralmente o varia la sua larghezza. Esso può avere varie conseguenze quali: a) ingenti danni alle strutture ed infrastrutture adiacenti all alveo (strade, difese di sponda, rilevati arginali ecc.); b) perdita di terreni ad elevata produttività agricola. Le condizioni di pericolosità di tale tipo di fenomeno possono riguardare anche gli aspetti connessi all inondabilità della pianura, ai quali i fenomeni di dinamica morfologica dell alveo sono spesso strettamente collegati. Quando i processi di erosione delle sponde coinvolgono ad esempio direttamente opere idrauliche quali argini o difese di sponda, possono diventare una importante causa di esondazione. Il rilascio di grandi quantità di materiale generato da tali processi può inoltre creare problemi connessi a fenomeni di sedimentazione nei tratti di fiume a valle, causando la riduzione della capacità di contenimento delle piene da parte dell alveo Tipi di sponde fluviali Da un punto di vista granulometrico, si possono distinguere alcune tipologie principali di sponde a seconda del materiale che le costituisce (Thorne, 1998): a) sponde costituite da materiale granulare (non-cohesive) (sabbia, ghiaia); b) sponde costituite da materiale coesivo (cohesive) (limo, argilla); c) sponde composite (composite), costituite da un livello basale di materiale granulare e di un livello sovrastante di materiale coesivo; d) sponde stratificate (layered), costituite da un alternanza di livelli coesivi e non coesivi. Si noti che nella categoria delle sponde coesive si fanno generalmente rientrare anche sponde costituite da materiale con caratteristiche intermedie tra granulare e coesivo (sabbia limosa o limo sabbioso), le quali assumono un comportamento coesivo in condizioni non sature a causa della presenza di coesione apparente. 7-15

126 7 Dinamica Fluviale II Processi di erosione e meccanismi di instabilità L arretramento di una sponda può risultare da una larga varietà di processi e meccanismi di instabilità. Esso raramente deriva da un singolo processo, ma è piuttosto il risultato di una complessa interazione tra vari processi e meccanismi che spesso agiscono sulla sponda simultaneamente. Questi sono raggruppati in due principali categorie: (1) Processi di erosione, attraverso i quali si ha rimozione e trasporto di particelle individuali o aggregati di particelle dalla superficie esterna della sponda in arretramento; (2) Movimenti di massa, caratterizzati da movimenti di masse di materiale costituente la sponda in seguito all'azione della gravità. Oltre a queste due principali categorie, responsabili di una effettiva perdita di materiale della sponda, esiste una varietà di processi (generalmente rientranti nella categoria dei processi di degradazione meteorica) che comportano un progressivo indebolimento nel tempo della sponda o una perdita di resistenza di materiale. Tali processi sono riportati in seguito, insieme ad altri fattori di indebolimento, tra le possibili cause dei processi di erosione e/o movimenti di massa Processi di erosione Si riportano di seguito i principali processi di erosione che possono riguardare sponde fluviali: a) Erosione fluviale da parte di corrente parallela (fluvial entrainment by parallel flow): le particelle (o aggregati) vengono asportate per azione della corrente che agisce parallelamente alla sponda. Rappresenta in genere una causa primaria di arretramento. b) Erosione fluviale da parte di corrente incidente (fluvial entrainment by impinging flow): le particelle (o aggregati) vengono asportate per azione di corrente incidente. Rappresenta in genere una causa primaria di arretramento. c) Erosione per rigagnoli e fossi (rill and gully erosion): consiste nell erosione da parte di acque di ruscellamento concentrato. Può essere causa di erosioni localizzate. d) Sifonamento (piping/sapping): si tratta della rimozione di singole particelle ad opera della filtrazione all interno della sponda. Si verifica generalmente in corrispondenza di livelli più permeabili (sabbie) compresi tra materiale meno permeabile (argille, limi) (Fig.7.18). Può creare seri ed estesi arretramenti. e) Gelo/disgelo (freeze/thaw): le particelle (o aggregati) vengono rimosse dall alternanza gelo/disgelo. Si tratta in genere di un processo significativo solo in sponde prive di vegetazione. f) Onde dovute al vento (wind waves) : le particelle (o aggregati) vengono distaccate dall azione di onde generate dal vento. Raramente sono una causa primaria di arretramento. Fig Sifonamento (piping/sapping). 7-16

127 7 Dinamica Fluviale II Movimenti di massa I principali tipi di movimenti di massa che interessano sponde fluviali sono riportati di seguito: a) scivolamenti rotazionali (rotational slip) (Fig.7.19a): si tratta di scivolamenti lungo una superficie di rottura curva o concava verso l alto. Possono coinvolgere grandi volumi di terreno e generare un serio arretramento della sponda. b) scivolamenti superficiali (shallow slide) (Fig.7.19b): si tratta di scivolamenti lungo una superficie di rottura superficiale parallela al pendio. Possono essere una seria causa di instabilità in materiali debolmente coesivi. c) scivolamenti planari (planar failure) (Fig.7.19c): sono scivolamenti lungo una superficie di rottura piana, in genere con sviluppo di una frattura di trazione. Possono generare un rapido arretramento della sponda. d) ribaltamenti (slab-type failure) (Fig.7.19d): si tratta di ribaltamenti in genere di blocchi o colonne di terra. Possono generare un rapido arretramento della sponda. e) crolli di masse aggettanti (cantilever failure) (Fig.7.19e): si tratta di crolli di blocchi di materiale in aggetto. Spesso si verificano in sponde composite, costituite da un livello di materiale granulare (sabbioso-ghiaioso) alla base ed un livello di materiale coesivo sovrastante. In combinazione con l erosione fluviale alla base, possono generare un rapido arretramento della sponda. f) crolli di terra (soil fall): si tratta di crolli di particelle individuali (o aggregati) di terra da sponde subverticali. Possono essere significativi su scarpate non vegetate indebolite da disseccamento, gelo/disgelo, ecc. g) colate granulari secche (dry granular flow): sono colamenti di materiale granulare secco. Possono essere significativi quando l erosione della parte inferiore causa instabilità della porzione superiore della sponda. h) colate di terra bagnata (wet earth flow): si tratta di colamenti, con possibile liquefazione, di materiale saturo. Possono essere importanti in sponde con forte filtrazione e scarso drenaggio. a b c d e Fig Principali processi di erosione e movimenti di massa che possono interessare sponde fluviali. a) Scivolamento rotazionale; b) scivolamento traslativo superficiale; c) scivolamento planare con frattura di trazione; d) ribaltamento; e) crollo di masse aggettanti Interazione tra movimenti di massa e processi fluviali Il materiale derivante dai vari meccanismi di rottura che non viene trasportato direttamente dalla corrente, unitamente a quello prodotto dai vari processi fluviali o di degradazione, tende a restare almeno per un certo tempo alla base della 7-17

128 7 Dinamica Fluviale II sponda. La rimozione o la stabilizzazione di tale materiale dipende principalmente dal bilancio tra tasso di alimentazione da parte dei processi che agiscono sulla sponda e tasso di asportazione ad opera della corrente, secondo un meccanismo noto come controllo del punto basale (basal endpoint control: THORNE, 1982). Si possono schematicamente distinguere tre situazioni (Fig.7.20): a) Condizioni di accumulo (accumulation condition o impeded removal): se i movimenti di massa apportano materiale alla base della sponda con una velocità maggiore rispetto al tasso di rimozione. Si forma un accumulo di materiale alla base che riduce l altezza e la pendenza della sponda e, di conseguenza, comporta una progressiva stabilizzazione della sponda. b) Condizione di equilibrio (equilibrium condition o unimpeded removal): se i processi di apporto e rimozione si bilanciano tra di loro. La sponda è in equilibrio dinamico, l altezza e la pendenza rimangono mediamente costanti e l evoluzione avviene per arretramento parallelo. c) Condizioni di erosione (scour condition o excess basal capacity): se l erosione è tale da comportare una rimozione completa del detrito alla base della sponda ed è inoltre in grado di produrre un abbassamento del fondo. In tal caso si verifica un incremento dell altezza e della pendenza della sponda e, di conseguenza, aumenta l instabilità della sponda che continua ad arretrare. Il concetto di controllo del punto basale della sponda mette in evidenza come il tasso di arretramento non dipenda esclusivamente dall entità dei processi che agiscono direttamente sulla sponda, ma anche dal rapporto tra capacità di trasporto della corrente e alimentazione complessiva di materiale solido, quest ultimo corrispondente alla somma della portata solida proveniente da monte e di quella derivante dalla sponda. Facendo riferimento ad un tratto finito di alveo, l equazione di continuità dei sedimenti utilizzata in genere come schema interpretativo bidimensionale per le variazioni altimetriche del fondo, può essere estese in senso tridimensionale includendo un termine (Q SBANK ) che rappresenta il rifornimento di sedimenti da parte dei processi di erosione delle sponde ed un termine (Q SLAT ) che rappresenta i trasferimenti laterali di sedimenti (Fig.7.21). a b c Fig Controllo del punto basale. a) condizioni di accumulo; b) condizioni di equilibrio; c) condizioni di erosione. Fig Bilancio sedimentologico alla base della sponda (THORNE & OSMAN, 1988) Metodi di misura dell arretramento di sponde fluviali Nell ambito delle varie scale temporali di applicazione (Fig.7.22), si possono identificare 8 principali metodi suddivisi in tre categorie (LAWLER, 1993; LAWLER et al., 1997): a) Tecniche applicabili su lunga scala temporale (evidenze sedimentologiche, evidenze botaniche, risorse storiche); b) Tecniche sulla media scala temporale (rilevamento planimetrico ripetuto e profili topografici ripetuti); c) Tecniche sulla breve scala temporale (picchetti metallici, fotogrammetria terrestre, sensori fotoelettronici). 7-18

129 7 Dinamica Fluviale II Fig Metodi di misura dell arretramento di sponde fluviali e scale temporali di applicazione. A) Tecniche applicabili sulla lunga scala temporale Evidenze sedimentologiche. Si basano sulla determinazione della cronologia dei sedimenti alluvionali e possono permettere di ricostruire la storia evolutiva dei depositi di fondovalle nell ambito di un lungo periodo di tempo (in genere dai 50 ai anni), fornendo indicazioni (prevalentemente di tipo qualitativo) sull attività laterale del fiume e sulle eventuali variazioni di morfologia d alveo. Evidenze botaniche. Si basano sulla datazione di superfici fluviali (pianura inondabile) tramite dendrocronologia. E possibile in alcuni casi ottenere (in particolare in corrispondenza di meandri) delle isocrone di avanzamento della pianura inondabile in modo da ricostruire le migrazioni laterali del fiume e stimare dei tassi di arretramento della sponda opposta in arretramento (Fig.7.23). Risorse storiche. Consistono nella utilizzazione di cartografie o foto aeree di anni differenti, in base alle quali si possono individuare variazioni di tracciato di un fiume e ricavare l arretramento della linea di sponda (Fig.7.24). Fig Evidenze botaniche: ricostruzione dell evoluzione di un meandro tramite isocrone. Fig Risorse storiche: esempio di sovrapposizione di cartografie di anni differenti. 7-19

130 7 Dinamica Fluviale II Fig Metodi di rilievo topografico planimetrico per la misura dell arretramento di una sponda fluviale. A B Fig Rilievi topografici del profilo di sponda ripetuti nel tempo. A: Metodi di rilievo; B: risultati. B) Tecniche applicabili sulla media scala temporale Rilevamento planimetrico ripetuto. Può essere condotto attraverso rilevamenti topografici tradizionali (distanziometro e teodolite o stazione totale) ripetuti nel tempo della posizione della linea di sponda e appoggiati a capisaldi fissi (Fig.7.25). Alternativamente, si può stabilire più semplicemente una spezzata mediante una serie di punti fissi (linea A-E in Fig.7.25) posti ad una certa distanza dalla sponda ed effettuare delle misure periodiche ortogonali ai segmenti della spezzata e con una scansione spaziale predefinita. Profili topografici ripetuti. Da condurre mediante rilievo topografico tradizionale o, nel caso di corsi d acqua di piccole dimensioni, è sufficiente uno stendimento orizzontale congiungente alle estremità due punti permanenti, e misurare lungo la verticale la distanza della superficie topografica con una scansione spaziale predefinita (Fig.7.26). A differenza dei rilievi planimetrici ripetuti, i quali permettono di ricostruire l arretramento solo della sommità della sponda, i profili ripetuti permettono di ricostruire in dettaglio le variazioni della sponda. Di solito i due metodi vanno usati combinatamente. C) Tecniche applicabili sulla breve scala temporale Picchetti metallici (Erosion pins). Si tratta di picchetti orizzontali infissi direttamente nella scarpata della sponda, lasciandone l estremità esposta e misurandone la progressiva esposizione nel tempo. Si usano talora anche picchetti o pali verticali infissi nel terreno retrostante la sponda misurandone periodicamente la distanza dalla stessa. Fotogrammetria terrestre. Può risultare molto più vantaggiosa rispetto ai metodi topografici tradizionali, soprattutto quando i punti da determinare sono molto numerosi. Il metodo comporta, in ogni caso, la determinazione topografica di alcuni punti, detti d appoggio (targets) ed il rilievo fotogrammetrico condotto attraverso una serie di riprese in corrispondenza di una linea di presa lungo la sponda opposta (Fig.7.27). La recente diffusione di appositi programmi di calcolo per l elaborazione delle immagini tramite utilizzo di stereorestitutore digitale rende tale metodo particolarmente indicato nel caso di misure di dettaglio dell arretramento di una sponda fluviale. 7-20

131 7 Dinamica Fluviale II Fig Fotogrammetria terrestre applicata alla misura dell arretramento di sponde fluviali. Sensori fotoelettronici (PEEP: Photo Electronic Erosion Pins). Permettono un monitoraggio in continuo dell arretramento di una sponda in corrispondenza del punto dove lo strumento è installato (a differenza di tutti i precedenti metodi dai quali è possibile ricavare l arretramento netto nell intervallo compreso tra due rilievi successivi). Si tratta di sensori sensibili alla luce, che quindi registrano un segnale una volta esposti a causa dell arretramento della sponda (Fig.7.28). Fig Sensori PEEP (Photo Electronic Erosion Pins) Cause Cause dei processi di erosione a. Erosione fluviale L'innesco del processo di erosione fluviale può essere ricondotto alla condizione in cui lo sforzo di taglio esercitato dalla corrente supera lo sforzo di taglio critico di inizio del moto per il materiale costituente la sponda. Nel caso di materiale granulare sciolto, un granulo posto su di una sponda è soggetto, oltre alla forza di trascinamento della corrente, anche alla componente parallela al pendio della forza peso, quindi le condizioni di inizio del moto sono raggiunte prima rispetto allo stesso granulo posto sul fondo. Facendo riferimento alla Fig.7.29, un granulo di peso immerso W posto in un punto A su di una sponda di inclinazione β è soggetto ad una forza di trascinamento F D da parte della corrente ed alla forza peso W, scomponibile nelle due componenti normale (Wcosβ) e parallela (Wsinβ) alla sponda. La risultante delle forze destabilizzanti è quindi data da: F D 2 + (W sinβ) 2, mentre la forza stabilizzante è espressa da: W cosβ tanφ, dove φ è l angolo di attrito del materiale. Alle condizioni di equilibrio limite si avrà quindi: 7-21

132 7 Dinamica Fluviale II W cosβ tanφ = F D 2 + (W sinβ) 2 da cui è possibile ricavare (F D ) s = W cosβ tanφ 1-(tanβ / tanφ) 2 dove (F D ) s è la forza di trascinamento limite sulla sponda. La condizione all equilibrio limite di un granulo posto sul fondo (dove β=0) può essere invece espressa dalla condizione: F D = W tanφ LANE (1955) ha quindi ricavato un fattore di riduzione K, minore di 1, così espresso: K = (F D)s (F D ) = τ sc τ = cosβ 1-(tanβ / tanφ)2 = 1-(sin 2 β /sin 2 φ) c Per ottenere lo sforzo di taglio critico τ sc di un granulo posto sulla sponda, si moltiplica quindi tale coefficiente per lo sforzo di taglio critico τ c per lo stesso granulo posto sul fondo Fig.7.29 Forze agenti su un granulo posto su di una sponda. Una delle limitazioni della formula precedente è che essa è applicabile solo nel caso di materiale sciolto, cioè quando l inclinazione della sponda è inferiore dell angolo di riposo del materiale. Nel caso di sponde in materiale coesivo, le condizioni di inizio del moto delle particelle a causa della corrente fluviale sono meno conosciute in quanto dipendono, oltre che le caratteristiche idrauliche della corrente, da numerosi altri fattori quali le proprietà composizionali e geotecniche del materiale e le proprietà dei fluidi interstiziali. Tuttavia si può dire che gli sforzi di taglio critici in materiali dotati di coesione sono superiori a quelli delle stesse particelle sciolte, e sono direttamente proporzionali alla resistenza al taglio del materiale. Essendo l'innesco del processo erosivo riconducibile alla condizione τ > τ sc, le cause possono sostanzialmente essere ricondotte a due gruppi: 1) Aumento degli sforzi di taglio della corrente Per aumento delle altezze idrometriche (quindi del raggio idraulico) durante le piene. Per incremento di sforzo di taglio sulle sponde esterne di meandri (o tratti curvi), dovuto alla distribuzione asimmetrica della velocità della corrente e alla formazione di correnti secondarie. Nel caso di distruzione di vegetazione riparia, per aumento della velocità della corrente (diminuzione della scabrezza) quindi degli sforzi di taglio. Viceversa, la presenza di tronchi isolati sulla sponda può talora causare erosioni localizzate per aumento di velocità e turbolenza attorno al tronco. 2) Riduzione dello sforzo di taglio critico del materiale In materale granulare: processi di degradazione meteorica, di filtrazione o circolazione di fluidi con dissoluzione dei minerali cementanti possono comportare il passaggio da materiale addensato a sciolto. In materiale coesivo, essendo lo sforzo di taglio critico proporzionale alla resistenza al taglio del materiale, una sua riduzione può essere dovuta a: riduzione della coesione (efficace) per dilavamento e disseccamento (in argille); aumento di pressioni neutre (con conseguente perdita di resistenza al taglio). La distruzione di vegetazione riparia e conseguentemente delle radici comporta una perdita di resistenza da parte del terreno. b. Sifonamento Il processo di sifonamento (piping) è legato a fenomeni di filtrazione all interno della sponda. Il processo si innesca sostanzialmente quando la velocità del flusso di filtrazione supera la velocità critica delle particelle (o, in altri termini, quando viene superato un gradiente idraulico critico). La causa principale è quindi sostanzialmente riconducibile ad un

133 7 Dinamica Fluviale II aumento della velocità di filtrazione, in seguito a forti precipitazioni ed in particolare durante e dopo la fase di svaso della piena, quando si instaura un moto di filtrazione dalla sponda verso il fiume. La natura del processo tuttavia dipende, oltre che dalla pressione di filtrazione, anche dalla composizione chimica dell acqua interstiziale e dalla mineralogia del terreno. E maggiormente prevalente dove la filtrazione nella sponda è concentrata, come nel caso di un livello sabbioso compreso tra livelli argillosi impermeabili, o dove esistono protezioni di sponda in cui è impedito un libero drenaggio. A ciò può essere aggiunto, come fattore predisponente, la presenza di radici o di percorsi sotterranei creati da animali, che possono costituire corsie preferenziali di flusso. Il sifonamento, seppure inserito tra i processi di erosione in quanto l acqua di filtrazione distacca e rimuove particelle di terreno, può costituire anche un importante fattore di indebolimento e di decadimento delle caratteristiche meccaniche del materiale a causa delle cavità all interno della sponda che a loro volta accrescono nel tempo la possibilità di circolazione di acqua interstiziale. c. Altri processi L erosione per rigagnoli e per fossi è legata alla capacità erosiva dell acqua di ruscellamento superficiale e può essere sostanzialmente dovuta a: erosività dell evento piovoso, erodibilità del terreno, morfologia della sponda (lunghezza e pendenza), copertura vegetale. I processi di gelo/disgelo e quelli dovuti alle onde dovute al vento sono sostanzialmente legati alle caratteristiche climatiche dell area ed all esposizione della sponda, nonchè alle caratteristiche del materiale Cause dei movimenti di massa Le cause di innesco di movimenti di massa su sponde fluviali sono in generale le stesse che possono determinare movimenti di versante. Pertanto esse possono essere ricondotte ai due seguenti gruppi: 1. Aumento delle forze di taglio; 2. Diminuzione della resistenza al taglio. 1) Aumento delle forze di taglio Scalzamento al piede ad opera della erosione fluviale, con conseguente variazione di geometria della sponda (aumento di pendenza), o aumento di altezza indotto da abbassamento del fondo. Aumento peso di volume del materiale per infiltrazione (verticale e laterale). Sovraccarichi sulla sommità della sponda, a causa di fattori antropici (costruzione di rilevati, case, infrastrutture, ecc.) o anche naturali (vegetazione). Sollecitazioni transitorie (terremoti, o anche vibrazioni provenienti da macchinari, treni in transito, esplosioni di mine, ecc.). 2) Riduzione della resistenza al taglio Il materiale che costituisce le sponde fluviali è, almeno per gran parte dell anno, non saturo. All interno della sponda (in particolare di quelle costituite da materiale fine) è comunemente presente una frangia di risalita capillare, la quale ha importanti effetti in termini di stabilità. Più precisamente è possibile distinguere tre zone al di sopra della falda caratterizzate da un grado di saturazione differente (Fig.7.30): a) una zona completamente satura; b) una zona di parziale saturazione, con filetti d acqua continui; c) una zona con fenomeni di capillarità locali che si può estendere fino al piano di campagna. L altezza di saturazione e l altezza massima di risalita capillare dipendono principalmente dalle dimensioni del materiale e dalle sue vicissitudini idrauliche (grado di saturazione iniziale del terreno, abbassamento o innalzamento della falda, ecc.). Fig Fenomeni di capillarità e distribuzione delle pressioni interstiziali con la profondità. 7-23

134 7 Dinamica Fluviale II Nella zona non satura i pori sono riempiti solo parzialmente d acqua, la quale forma una sottile pellicola, cioè si dispone in un modo caratteristico formando cunei ed anelli sospesi entro la matrice solida (acqua capillare). Tale acqua è attratta dalla matrice solida da forze di natura essenzialmente elettrostatica; tale forza attrattiva fa sì che l acqua si venga a trovare ad una pressione inferiore alla pressione dell aria nei pori (u a ), cioè negativa (assumendo, come si fa convenzionalmente, la pressione dell aria pari a zero). Tale pressione negativa corrisponde ad una tensione capillare positiva o suzione, indicata con: Ψ = u a -u w. L esistenza di tale suzione comporta la presenza di una coesione apparente, che conferisce maggiore stabilità alla sponda. Più precisamente, la resistenza al taglio di un materiale non saturo è espressa dal seguente criterio di rottura (FREDLUND et al., 1978) (Fig.7.31): τ = c + (u a - u w ) tanφ b + (σ - u a ) tanφ dove c è la coesione efficace, (u a - u w ) è la suzione, φ b l angolo di resistenza al taglio in termini di suzione, φ l angolo di resistenza al taglio in termini di sforzi efficaci. Fig Criterio di rottura per materiale insaturo. Nel caso piuttosto comune di sponde costituite da terreni granulari (sabbia come principale componente), tali materiali assumono un comportamento coesivo in condizioni non sature a causa della presenza di coesione apparente, sebbene la coesione efficace sia in realtà molto bassa o nulla. La resistenza al taglio dovuta alla suzione permette la stabilità di sponde molto inclinate, durante periodi di magra, cioè ad angoli di inclinazione maggiori dell angolo di attrito efficace, mentre durante forti precipitazioni e piene la coesione apparente si riduce fino a scomparire nel caso in cui il materiale diventa completamente saturo. Il termine addizionale di resistenza dovuto alla suzione tende a ridursi o a scomparire del tutto (da cui il termine di coesione apparente) a seguito di eventi meteorici (infiltrazione verticale dell acqua di precipitazione, infiltrazione laterale dell acqua del fiume durante la piena), quando il terreno si avvicina o raggiunge condizioni di saturazione, nel qual caso la resistenza al taglio è esprimibile tramite il criterio di Mohr-Coulomb: τ = (σ - u w ) tanφ' + c' Una riduzione di resistenza al taglio del materiale costituente una sponda può essere quindi in generale riconducibile ai seguenti quattro casi: 1. Condizioni iniziali che determinano bassi valori di resistenza al taglio; 2. Riduzione del termine di resistenza legato alla suzione; 3. Riduzione degli sforzi efficaci; 4. Riduzione dei parametri di resistenza al taglio (c, φ, φ b ). 2.1) Condizioni iniziali che determinano bassi valori di resistenza al taglio Condizioni legate essenzialmente alla composizione del materiale (es. presenza di minerali argillosi); alla tessitura (es. sabbie molto sciolte o argille a tessitura dispersa); all alternanza di livelli permeabili ed impermeabili (sponde composite) (con possibilità di sviluppo di sottopressioni nei livelli impermeabili). 2.2) Riduzione del termine di resistenza legato alla suzione La riduzione della suzione può essere sostanzialmente dovuta ad infiltrazione verticale di acque di precipitazione e ad infiltrazione laterale da parte dell acqua nel fiume durante le piene. Tali condizioni portano ad una parziale saturazione del materiale (quando la saturazione è totale siamo ricondotti al caso 2.3). La distruzione di vegetazione sulla sponda può causare da un lato una maggiore infiltrazione delle acque di precipitazione e di piena, dall altro il mancato incremento di suzione da parte dell apparato radicale. 7-24

135 7 Dinamica Fluviale II 2.3) Riduzione degli sforzi efficaci E essenzialmente riconducibile ad un aumento delle pressioni interstiziali (come anche nel caso precedente), dovuto a: Innalzamento superficie freatica, anche in questo caso legato ad infiltrazione verticale o laterale. Fenomeni di filtrazione dal basso verso l alto, con possibilità che la forza di filtrazione superi il peso del materiale comportando un sollevamento della base della sponda (sifonamento per sollevamento fondo scavo) (pop-out). Fenomeni di liquefazione, con annullamento degli sforzi efficaci, e quindi della resistenza al taglio in materiale non coesivo, dovuti alla generazione di elevate pressioni interstiziale, possibili soprattutto in sabbie sciolte sature e o in argille e limi sensitivi a struttura metastabile. Fenomeni che determinano il carico non drenato in terreni a bassa permeabilità. 2.4) Riduzione dei parametri di resistenza al taglio (c, φ, φ b ) I parametri di resistenza al taglio possono variare nel tempo, a causa di processi di degradazione meteorica (alterazione chimica o disgregazione fisica), così come a causa di altri fattori di indebolimento. Tra i processi di degradazione meteorica si ricordano in particolare: Fenomeni di disseccamento (dessication), fessurazione, dilavamento (leaching) e idratazione nelle argille, con conseguente perdita di coesione. In particolare la presenza di acqua in argille sovraconsolidate può favorire un processo di decadimento delle caratteristiche meccaniche noto come rammollimento (softening). Altre variazioni chimiche di minerali argillosi o dissoluzione di minerali cementanti a causa delle acque circolanti. Altri processi di degradazione fisica (crio e termoclastismo), con disgregazione del materiale e conseguente perdita di resistenza. Tra gli altri possibili fattori di indebolimento per decadimento delle caratteristiche meccaniche del materiale possono essere ricordati: Calpestìo ad opera di animali (sovrapascolamento), persone o mezzi, che indebolisce la sponda attraverso un possibile danneggiamento della struttura del terreno. Distruzione della vegetazione riparia, da parte di una varietà di fattori naturali ed azioni antropiche, con conseguente perdita dell incremento di coesione legato alle radici Condizioni di instabilità durante le piene Le piene rappresentano le fasi più critiche per la stabilità di una sponda fluviale. Mentre rispetto ai processi di erosione fluviale le condizioni più critiche sono generalmente raggiunte nella fase di picco, durante la quale le altezze idrometriche e quindi gli sforzi di taglio della corrente sono massimi, rispetto ai movimenti di massa le condizioni di massima instabilità si raggiungono in genere durante la fase discendente o di esaurimento (o svaso) della piena (Fig.7.32). Infatti, durante la fase di picco è importante il ruolo stabilizzante svolto dalla pressione di confinamento esercitata dall acqua all interno del fiume sulla sponda, nonostante l aumento di pressioni interstiziali all interno della sponda per innalzamento della superficie freatica. Durante lo svaso della piena, l abbassamento del livello idrometrico avviene generalmente in maniera più rapida relativamente all abbassamento dei livelli freatici, almeno nel caso di terreni poco permeabili, pertanto viene a mancare il sovraccarico stabilizzante dell acqua nel fiume mentre persistono per un certo tempo le elevate pressioni interstiziali nella sponda. Fig Pressioni agenti su una sponda fluviale durante la fase di picco e la fase di svaso di una piena. 7-25

136 7 Dinamica Fluviale II Principali effetti della vegetazione La vegetazione può avere molteplici effetti sulla stabilità di una sponda fluviale (Fig.7.33). I principali effetti della vegetazione nei confronti dei processi di erosione agenti su una sponda fluviale possono essere ricondotti ai seguenti: (a) riduzione degli sforzi di taglio della corrente a seguito della riduzione di velocità; (b) possibilità di erosioni localizzate, soprattutto intorno a tronchi isolati; (c) possibilità di creazione di percorsi preferenziali di filtrazione lungo le radici, con possibile innesco di fenomeni di sifonamento; (d) riduzione dell efficacia dei processi di erosione per rigagnoli e per fossi e dei processi di degradazione meteorica. Nei confronti dei movimenti di massa, la vegetazione può influire sulle condizioni di stabilità della sponda attraverso: (a) sovraccarico; (b) incremento di resistenza al taglio dovuto al rinforzo ad opera dell apparato radicale; (c) riduzione dell infiltrazione di acque di precipitazione per intercettazione e/o riduzione delle pressioni interstiziali all interno della sponda per la funzione evapotraspirativa degli apparati radicali. Vanno inoltre considerate le sollecitazioni indotte sulla sponda dovute al vento, che possono talora innescare fenomeni prevalentemente di ribaltamento. Fig Effetti della vegetazione sulla stabilità di una sponda fluviale. 7.6 Tipologie di interventi di stabilizzazione del fondo e delle sponde fluviali Interventi di stabilizzazione del fondo Facendo riferimento ai tipi di variazioni morfologiche altimetriche di alvei fluviali, si distingue di seguito tra interventi di stabilizzazione del fondo in tratti in incisione ed in tratti in sedimentazione. 1) Tratti in incisione L abbassamento del fondo, come detto precedentemente, è riconducibile ad un eccesso di capacità di trasporto della corrente rispetto all apporto solido proveniente dal tratto di alveo a monte di quello considerato. Gli interventi di stabilizzazione del fondo sono sostanzialmente orientati ad una riduzione della capacità di trasporto della corrente, attraverso le due seguenti possibili strategie (Tab.7.1): a) riduzione della pendenza del fondo (briglie, traverse); b) riduzione dell erodibilità del materiale dell alveo (rivestimenti, stabilizzazione del fondo con soglie), quindi riduzione della mobilità del materiale solido costituente l alveo. INTERVENTI DI STABILIZZAZIONE NEI TRATTI IN INCISIONE Tipo di intervento Effetti principali Applicazioni Briglie - riduzione della pendenza del fondo in torrenti montani in incisione - protezione indiretta del fondo nel tratto a monte Traverse - riduzione della pendenza del fondo in fiumi di pianura - protezione indiretta del fondo nel tratto a monte Soglie di fondo - fissaggio del profilo altimetrico del fondo in tratti in cui è richiesta una riduzione - riduzione della mobilità del materiale di erodibilità del materiale del fondo costituente il fondo senza alterazioni della pendenza Rampe in massi - riduzione della mobilità del materiale costituente il fondo in torrenti montani in corrispondenza di salti di quota 7-26

137 7 Dinamica Fluviale II Tab.7.1 Interventi di stabilizzazione del fondo in tratti in incisione. 2) Tratti in sedimentazione Nel caso di torrenti montani, o anche nei tratti vallivi e di pianura, si possono avere problemi opposti a quelli visti finora: l alveo può avere una tendenza all innalzamento del fondo a causa di una insufficiente capacità di trasporto della corrente rispetto al rilevante apporto solido da monte. In questo caso si possono avere le due seguenti strategie di intervento (Tab.7.2): a) aumento della capacità di trasporto, tramite la riduzione della larghezza e la creazione quindi di una sezione ristretta; b) riduzione della portata solida da monte, mediante interventi estensivi sui versanti di stabilizzazione dell erosione e dei fenomeni franosi, o intensivi sull alveo fluviale di contenimento del trasporto solido (briglie di trattenuta o briglie selettive). INTERVENTI DI STABILIZZAZIONE NEI TRATTI IN SEDIMENTAZIONE Tipo di intervento Effetti principali Applicazioni Cunettoni - utili per permettere il transito di elevato allo sbocco di torrenti montani nel trasporto solido (in particolare colate fondovalle, in particolare in prossimità detritiche) in aree urbanizzate verso zone più di centri abitati estese Briglie selettive o aperte - trattenimento del materiale più grossolano - trattenimento di tronchi (briglie a trave o a griglia) - modulazione delle portate solide per rigurgito a monte (briglie a fessura) Debris flow breakers - intercettazione o rallentamento di colate detritiche Interventi estensivi sui versanti (controllo erosione, stabilizzazione frane) - riduzione dell apporto solido al sistema fluviale Tab Interventi di stabilizzazione in tratti in sedimentazione. lungo torrenti montani, in particolare al loro sbocco nel fondovalle allo sbocco di torrenti montani nel fondovalle o comunque a protezione di aree urbanizzate nel bacino, in corrispondenza di versanti in erosione o in frana Interventi di stabilizzazione delle sponde Esiste una vasta gamma di interventi di stabilizzazione di sponde fluviali in arretramento, che deriva da molteplici combinazioni possibili di strategie di intervento e tipi di materiale adoperati. Non esistono pertanto interventi specifici adatti per ogni situazione particolare. Nella selezione del tipo di intervento da realizzare per proteggere un tratto di sponda, è essenziale quindi che siano innanzitutto accertate accuratamente le cause, la severità e l estensione del problema. Nel caso in cui l erosione da parte della corrente risulta il processo largamente dominante, allora gli interventi devono essere orientati o verso un incremento degli sforzi di taglio critici (protezioni e rivestimenti) o una riduzione degli sforzi di taglio della corrente (attraverso protezioni indirette quali pennelli o repellenti). Nel caso in cui invece si riconosce che i movimenti di massa rappresentano la causa più importante di arretramento della sponda, gli interventi devono essere piuttosto orientati verso una riduzione delle forze destabilizzanti (riprofilature, gradonature, ecc.), o un aumento delle forze resistenti (misure di drenaggio), o verso l applicazione di forze esterne (opere di sostegno). Sono di seguito schematicamente riportate le principali categorie di interventi, includendo tipologie comunemente adottate negli U.S.A. (U.S. Army Corps of Engineers; Streambank Stabilization Handbook, Veri-Tech Inc., 1999) alcune delle quali poco usate nel contesto nazionale. La classificazione schematica riportata è basata sulla distinzione nei processi dominanti che determinano l arretramento di una sponda e sugli effetti dei vari interventi su tali processi. Essendo l arretramento di una sponda fluviale determinato dalla combinazione di processi di erosione e meccanismi di instabilità, è opportuno suddividere anche i possibili interventi di stabilizzazione in due categorie differenti. Per quanto riguarda i processi di erosione, identificandoli per semplicità solo con quelli strettamente determinati dalla corrente fluviale, in genere dominanti rispetto agli altri, e facendo riferimento al concetto precedentemente adoperato secondo il quale l erosione si innesca quando lo sforzo di taglio esercitato dalla corrente supera lo sforzo di taglio critico del materiale, la stabilizzazione di una sponda rispetto a tali processi può essere ottenuta in due modi: 1) aumento degli sforzi di taglio critici; 2) riduzione degli sforzi di taglio della corrente. Per quanto riguarda invece la stabilizzazione della sponda rispetto ai movimenti di massa, si fa riferimento agli schemi comunemente adoperati per i movimenti franosi su di un pendio, distinguendo i tre principali sottogruppi: 7-27

138 7 Dinamica Fluviale II 1) riduzione delle forze destabilizzanti; 2) aumento delle forze resistenti; 3) applicazione di forze esterne e realizzazione di opere di sostegno Protezione dall erosione fluviale 1) Aumento degli sforzi di taglio critici Si tratta di interventi di protezione attraverso i quali la sponda viene rivestita o ricoperta da altri tipi di materiali che presentano una resistenza all erosione fluviale notevolmente maggiore. Esiste una grande varietà di interventi rientranti in questa categoria, come sintetizzato in Tab.7.3. PROTEZIONE DALL EROSIONE FLUVIALE PER AUMENTO DEGLI SFORZI DI TAGLIO CRITICI Tipo di intervento e Vantaggi Svantaggi Tipiche applicazioni caratteristiche 1. MASSI Blocchi lapidei di dimensioni variabili gettati alla rinfusa - utilizzati sia come rivestimento di tutta la sponda che di protezione al piede 2. ALTRE PROTEZIONI FLESSIBILI - Blocchi in cls prefabbricati - Blocchi di terra cementata - Rivestimenti con sacchi 3. PROTEZIONI RIGIDE - Calcestruzzo - Sistemi bituminosi - Massi cementati - Terra cementata - Stabilizzazione chimica 4. MATERASSI FLESSIBILI Materiali che non sarebbero da soli in grado di resistere agli sforzi della corrente posti in un contenitore flessibile. - Materassi in blocchi di cls prefabbricati - Materassi in gabbioni - Materassi iniettati e tubi di sabbia - Materassi di geogriglie e geocelle 5. INGEGNERIA NATURALISTICA E TECNICHE COMBINATE - Cotici erbosi - Messa a dimora di talee - Copertura diffusa - Viminata - Ribalta viva - Massi con talee - Rivestimenti combinati - flessibilità: i massi si conformano alle variazioni che può subire la sponda - consentono il drenaggio ed evitano il dilavamento in quanto assortiti granulometricamente - in genere meno costosi dei massi - consentono il drenaggio - minore influenza sulla scabrezza - resistenza ad alte velocità della corrente - limitata alterazione della scabrezza - materiali meno costosi rispetto ad altri - flessibilità - disponibili in varie configurazioni, adattabili quindi a diverse situazioni - facile accessibilità al fiume - gabbioni: effetti sulla scabrezza limitati, permeabili, favoriscono la crescita di vegetazione - costi di solito inferiori - vantaggi da un punto di vista ecologico, estetico ed ambientale in genere costosi - forte influenza sulla scabrezza - scarsa accessibilità al fiume - talora antiestetici - richiedono in genere un filtro perchè non assortiti granulometricamente - blocchi di terra cementata e sacchi: resa inferiore (minore peso specifico e durabilità rispetto a massi) - hanno poca o nessuna flessibilità a conformarsi ad irregolarità e alle variazioni che può subire la sponda - in genere antiestetiche - impermeabili (richiedono misure di drenaggio) - i materiali utilizzati possono essere soggetti a deterioramento - per alcuni tipi (materassi iniettati in cls o malta) la flessibilità è limitata (si tratta di strutture semirigide) - da evitare nel caso di velocità e sforzi di taglio troppo elevati - da evitare nel caso di forte erosione per corrente incidente o parallela - l uso di vegetazione viva può aumentare la scabrezza - canali artificiali o scolmatori - possono adattarsi su sponde con pendenza relativamente elevata adatte in una o più delle seguenti condizioni: - elevate velocità e turbolenza - canali artificiali o irrigui dove sono richiesti bassa scabrezza o prevenzione infiltrazione - ampia applicabilità - materassi in gabbioni: usati in sponde a basse pendenze o nelle porzioni inferiori della sponda in prossimità del livello di magra - molteplici applicazioni - da evitare in piccoli alvei o nei casi di rischio di esondazione per aumento di scabrezza dovuto a vegetazione viva

139 7 Dinamica Fluviale II Tab.7.3 Interventi di protezione dall erosione per aumento degli sforzi di taglio critici. 2) Riduzione degli sforzi di taglio della corrente Si usano in questo caso delle protezioni indirette, che hanno sostanzialmente lo scopo di deviare la corrente fluviale, in modo da impedirne l impatto diretto con il tratto di sponda in erosione o comunque di ridurne la velocità (Tab.7.4). PROTEZIONE DALL EROSIONE FLUVIALE PER RIDUZIONE DEGLI SFORZI DI TAGLIO Tipo di intervento e caratteristiche Vantaggi Svantaggi Tipiche applicazioni 1. PENNELLI - necessaria poca o - inducono possibili - Pennelli o repellenti nessuna preparazione modificazioni dell alveo (trasversali) della sponda, con - spesso riducono la - Pennelli longitudinali riduzione costi e impatti sezione, quindi la capacità 2. ALTRI DEFLETTORI su fascia ripariale di contenimento delle DELLA CORRENTE - possibile modificare piene - Strutture Kellner Jetty l allineamento della 3.INGEGNERIA NATURALISTICA - Traversa a cespuglio - Spazzola vivente - Graticciata con ramaglie sponda e la geometria dell alveo - miglioramento habitat ecologici e ripariali - in generale gli stessi dei pennelli, cui si aggiungono i vantaggi propri dell I.N. - in generale gli stessi dei pennelli, cui si aggiungono gli svantaggi propri dell I.N. - utilizzati in una larga varietà di condizioni - tipica utilizzazione: alvei larghi e poco profondi; sponda esterna di un meandro - spesso utilizzati in grandi fiumi per migliorare la navigabilità - applicazioni limitate Tab.7.4 Interventi di protezione indiretta dall erosione per riduzione degli sforzi di taglio della corrente Stabilizzazione dei movimenti di massa I metodi di stabilizzazione dei movimenti di massa su sponde fluviali sono riconducibili a quelli applicati in generale per la stabilizzazione di pendii: 1) Riduzione delle forze destabilizzanti (Tab.7.5). 2) Aumento delle forze resistenti. I metodi che producono un aumento delle forze resistenti consistono sostanzialmente in interventi di drenaggio. Seppure misure di drenaggio sono spesso adottate in altri tipi di interventi (soprattutto nel caso di opere di sostegno), l uso esclusivo di interventi di drenaggio (drenaggi orizzontali, verticali, trincee drenanti) è limitato ad alcuni esempi di applicazione in USA, soprattutto a titolo sperimentale, dati i costi elevati e la discutibile efficacia nel caso di sponde fluviali. 3) Applicazione di forze esterne e realizzazione di opere di sostegno (Tab.7.5). STABILIZZAZIONE MOVIMENTI DI MASSA PER RIDUZIONE FORZE DESTABILIZZANTI E APPLICAZIONE DI FORZE ESTERNE Tipo di intervento e Vantaggi Svantaggi Tipiche applicazioni caratteristiche RIDUZIONE DELLE FORZE DESTABILIZZANTI - in genere convenienti da un punto di vista - è necessario in genere uno spazio sufficiente - molteplici applicazioni, nel caso di spazio sufficiente - Riduzione pendenza economico nella zona adiacente alla adiacente al fiume - Gradonatura - comportano in genere un sommità della sponda - Appesantimento al piede aumento di sezione APPLICAZIONE DI FORZE ESTERNE - Muri a gravità - Muri cellulari a gabbia (crib walls) - Muri in c.a. (a mensola o - consentono di ottenere sponde verticali o subverticali - elevata resistenza agli sforzi di taglio della corrente strutture in genere rigide (eccetto i muri in gabbioni e terre armate/rinforzate), pertanto richiedono lavori di fondazione costosi - spesso impermeabili, - muri verticali di fiumi o canali in tratti urbani

140 7 Dinamica Fluviale II a contrafforte) - Terre armate/rinforzate - Muri in gabbioni - Paratìe INGEGNERIA NATURALISTICA o TECNICHE COMBINATE - Palificate in legname - Gabbionate o terre rinforzate rinverdite - vantaggi propri dell I.N. (costi in genere inferiori, vantaggi estetici, ecologici, ambientali) pertanto richiedono misure di drenaggio - impatto sull ambiente ripariale negativo - svantaggi propri dell I.N. (non adatti a situazioni di forte arretramento) - applicazioni piuttosto diffuse su fiumi naturali, non in contesto urbano Tab.7.5 Interventi di stabilizzazione dei movimenti di massa. 7.7 Metodi geomorfologici di identificazione ed analisi di alvei fluviali instabili L approccio geomorfologico può essere adoperato per: a) identificare la causa e la scala del problema (localizzato o generalizzato); b) dare indicazioni sul tipo di soluzione o intervento di stabilizzazione (es. protezione di sponda); b) valutare i possibili effetti di una soluzione proposta (impatti a monte e a valle sulle portate solide). Ai fini della scelta dei criteri di gestione e ristabilizzazione, è importante innanzitutto considerare opportune scale spaziali e temporali. Per quanto riguarda la scala spaziale, l analisi non dovrebbe essere limitata alla singola sezione o tratto di alveo oggetto del previsto intervento, ma estesa ad un tratto sufficientemente lungo dell alveo fluviale o al contesto generale del sistema fluviale. Schemi di stabilizzazione realizzati nell ottica di proteggere un singolo tratto di sponda e non inquadrati in un più ampio contesto spaziale hanno dimostrato molto spesso di risolvere solo localmente il problema, trasferendo lo stesso in tratti adiacenti o innescando effetti indesiderati ed imprevisti. Per quanto riguarda la scala temporale, è necessario interpretare i processi in atto nel quadro delle modificazioni avvenute nel passato e delle possibili tendenze evolutive future Definizione di alveo fluviale instabile In base ai concetti esposti nel cap.4, si possono fornire le seguenti definizioni. Un alveo fluviale può essere definito come stabile quando la sua forma e le sue dimensioni non variano significativamente in una scala temporale dell ordine dei anni. Il fiume può comunque essere definito come dinamicamente stabile, nel senso che può migrare nell ambito della pianura inondabile erodendo una sponda e deponendo contemporaneamente sedimenti sulla sponda opposta, mantenendo in questo modo mediamente invariata la sua sezione. Al contrario, un corso d acqua può essere definito instabile quando, nell intervallo di tempo sopra definito, il suo alveo cambia la forma e le dimensioni su tratti estesi. Queste variazioni differiscono dai fenomeni di tipo localizzato che sono invece limitati nello spazio e nel tempo. Mentre questi ultimi sono infatti dovuti a fattori locali, le cause dei fenomeni di tipo esteso relativi ad alvei instabili vanno ricercate in un generale disequilibrio, a scala di alveo o di sistema fluviale, tra le portate solide e la capacità di trasporto. I problemi indotti dalle variazioni morfologiche del fondo e delle sponde di alvei instabili creano la necessità di ricercare adeguate soluzioni e strategie di intervento (come discusso nel cap.6) che siano in grado di favorire una mitigazione dei processi, evitando al tempo stesso di produrre impatti ambientali negativi ed effetti talora indesiderati nel sistema fluviale. Spesso le condizioni di instabilità sono generalizzate a vaste porzioni di un sistema fluviale; risulta in questi casi già problematico stabilire dove intervenire con maggiore urgenza e dove invece è lecito aspettarsi una tendenza verso una ristabilizzazione naturale, così come è necessario decidere se operare attraverso interventi più leggeri e distribuiti o se al contrario concentrare gli sforzi verso pochi tratti a maggior rischio. Un corretto approccio richiede di affrontare il problema ad una scala spazio-temporale sufficientemente ampia, estendendo l analisi al contesto dell intero sistema fluviale e, al tempo stesso, inquadrando i processi e le attuali condizioni di instabilità nell ambito delle tendenze evolutive a più lungo termine. Una volta individuati i tratti del sistema fluviale nei quali si ritiene necessario o prioritario intervenire, è fondamentale accertare le cause, la severità e l estensione del problema prima che venga selezionata una soluzione. L identificazione e l analisi di alvei fluviali instabili richiedono un approccio multidisciplinare, nell ambito del quale, oltre ai metodi di tipo idraulico più tradizionalmente impiegati, si possono sostanzialmente distinguere: (a) metodi di tipo geomorfologico, per il riconoscimento e l interpretazione delle forme e dei processi in atto; (b) metodi di tipo geotecnico, per l analisi delle condizioni di stabilità delle sponde. 7-30

141 7 Dinamica Fluviale II Metodi geomorfologici Nell ambito dei criteri di tipo geomorfologico per l identificazione e analisi dei tratti instabili in un sistema fluviale, si possono principalmente distinguere i seguenti metodi: 1) confronto di cartografie e fotoaeree; 2) confronto di rilievi topografici; 3) analisi temporale delle quote del fondo; 4) rilevamento geomorfologico; 5) dendrocronologia; 6) classificazione del tipo di variazione morfologica (con eventuale applicazione di modelli concettuali di evoluzione) Confronto di cartografie e foto aeree Il confronto di cartografie o foto aeree relative ad anni diversi (Fig.7.34) può essere utile per definire i tratti in cui l alveo ha cambiato il suo tracciato e presenta tuttora una maggiore instabilità planimetrica, individuare e datare paleoalvei, conoscere il tipo e gli stili di aggiustamento planimetrico e l eventuale variazione della morfologia d alveo. Fig Esempio di confronto di cartografie di anni diversi Confronto di rilievi topografici Informazioni dettagliate sulle variazioni altimetriche e di sezione possono essere ricavate dal confronto di rilievi topografici (sezioni trasversali, profili longitudinali) (Fig.7.35). In base a tale tipo di analisi si possono ricavare le seguenti informazioni: (1) individuazione dei tratti interessati da fenomeni di erosione o sedimentazione distribuita; (2) misura dell abbassamento (o innalzamento) del fondo; (3) ricostruzione dell intervallo di tempo di innesco del fenomeno e della sua evoluzione temporale; (4) misura delle variazioni di forma e dimensioni della sezione. A B QUOTE (m s.l.m.) INCISA FIUME ARNO VALDARNO SUPERIORE DISTANZE DALLA FOCE (km) DIGA DI LEVANE QUOTE (m s.l.m.) FIUME ARNO SEZIONE DISTANZE (m) 7-31

142 7 Dinamica Fluviale II Fig Esempi di confronto di profili longitudinali (A) e sezioni trasversali (B) di anni diversi Analisi temporale delle quote del fondo Al fine di avere informazioni più dettagliate sull andamento temporale delle eventuali variazioni di quota del fondo, si riportano le stesse in funzione del tempo per una data sezione fluviale. Si può procedere in due modi: a) utilizzare le quote del fondo dai diversi rilievi topografici disponibili per una data sezione (bed-level adjustments at a site); b) effettuare una analisi temporale delle curve di deflusso (specific gage analysis). Il primo tipo di analisi si può condurre talora per numerose sezioni di un fiume ma in genere il numero di rilievi topografici disponibili relativi ad anni diversi è limitato (Fig.7.36a). L analisi temporale delle curve di deflusso (specific gage analysis, BLENCH, 1973) è invece applicabile solo in corrispondenza di stazioni di misura delle portate. Si può rivacare un maggiore dettaglio nella ricostruzione del trend temporale delle variazioni di quota del fondo ma in genere per un numero molto limitato di sezioni all interno di un sistema fluviale (Fig.7.36b). Il metodo si basa sul fatto che riportando in funzione del tempo il livello idrometrico associato ad una prefissata portata, ricavato in base alle curve di deflusso disponibili, le variazioni di tale livello riflettono variazioni simili nella quota del fondo della sezione in corrispondenza della stazione di misura. a Quota del fondo (m s.l.m.) F.ARNO SEZ ANNI b Zo (m s.l.m.) F.ARNO A ROSANO ANNI Fig.7.36 Esempi di analisi temporale delle quote del fondo. a) Da rilievi topografici; b) analisi di curve di deflusso F.Arno a Rosano. Z o : Livello idrometrico associato alla media delle portate minime annuali. In entrambi i casi i dati mostrano l esistenza di due fasi distinte di abbassamento del fondo. Fig.7.37 Variazioni della quota del fondo del Rutherford Fork Obion River (Tennessee), con una fase principale di incisione seguita da una fase di aggradazione secondaria. In letteratura è stato proposto l utilizzo di equazioni empiriche per descrivere l andamento temporale della quota del fondo in una sezione. Numerosi esempi riportano come le variazioni di quota del fondo nel tempo sono tipicamente descritte da una funzione non lineare, con una variazione molto rapida all inizio, immediatamente dopo la fase di disturbo, che in seguito si attenua progressivamente tendendo ad un valore asintotico. Le due seguenti equazioni sono le più comunemente usate: z = z 0 t b dove: z= quota del fondo, z 0 = quota iniziale del fondo, t= tempo dall inizio dell aggiustamento, b= coefficiente determinato dalla regressione (b<0: degradazione; b>0: aggradazione); 7-32

143 7 Dinamica Fluviale II z/z 0 = a + b e -kt dove: z= quota del fondo; z 0 = quota iniziale del fondo; a= coefficiente adimensionale (a>1: aggradazione; a<1: degradazione), b= coefficiente adimensionale (b>0: degradazione; b<0: aggradazione), k= coefficiente indicativo del tasso di variazione del fondo, t= tempo dall inizio dell aggiustamento. In Fig.7.37 è riportato un esempio relativo ad un fiume del Tennessee, per il quale si riconoscono una prima fase di incisione ed una fase successiva di aggradazione secondaria, entrambe descritte con equazioni di potenza. Riportando i coefficienti della regressione in funzione delle distanze lungo il sistema fluviale, è possibile talora ottenere modelli evolutivi basati su tale tipo di analisi o estrapolare nel tempo le quote del fondo in un tratto del sistema fluviale, stimando in tal modo le possibili tendenze evolutive future Rilevamento geomorfologico Durante la fase di rilevamento geomorfologico di campagna (geomorphological stream reconnaissance), si possono trarre informazioni sul tipo di instabilità presente (abbassamento del fondo o aggradazione, allargamento o restringimento), così come è possibile talora ottenere una stima dell entità della variazione del fondo, principalmente in base ad evidenze di tipo geomorfologico e sedimentologico (Tab.7.6). TIPO DI EVIDENZA EVIDENZE GEOMORFOLOGICHE NELLA PIANURA 1. Sistemi di canali inattivi nella pianura 2. Terrazzi nei depositi di fondovalle TIPO DI VARIAZIONE Sedimentazione seguita da incisione; restringimento Sedimentazione seguita da incisione EVIDENZE GEOMORFOLOGICHE IN ALVEO 1. Ponti e confluenze sospese, sottoescavazione strutture, radici esposte 2. Strutture sepolte, riduzione luci ponti, radici sepolte 3. Arretramento di entrambe le sponde 4. Avanzamento di entrambe le sponde Incisione Sedimentazione Allargamento Restringimento EVIDENZE SEDIMENTOLOGICHE 1. Suoli sepolti da depositi alluvionali 2. Variazioni tessiturali verticali nei depositi alluvionali Sedimentazione Sedimentazione e/o incisione Tab.7.6 Evidenze di tipo geomorfologico e sedimentologico. Il rilevamento geomorfologico si può sostanzialmente suddividere in due fasi: (1) rilevamento geomorfologico iniziale, condotto alla scala dell intero sistema fluviale; (2) rilevamento di dettaglio, condotto in corrispondenza dei tratti più rappresentativi o dei tratti critici individuati attraverso la fase precedente. Nel secondo caso, il riconoscimento geomorfologico delle forme e dei processi che caratterizzano un tratto di fiume ed in particolare le sue sponde si basa su una combinazione di osservazioni qualitative e di misure morfometriche che possono essere raccolte con l ausilio di apposite schede (THORNE, 1998). Le schede sono organizzate in sezioni (Fig.7.38): dopo una prima sezione introduttiva (non riportata in figura) che comprende le informazioni generali del progetto e del sito, la sezione 2 riguarda la descrizione generale dell area e del fondovalle. La sezione 3 contiene la descrizione delle caratteristiche morfologiche e sedimentarie dell alveo, mentre le sezioni 4 e 5 si concentrano sulle caratteristiche e sui processi che interessano le due sponde Dendrocronologia La vegetazione riparia può fornire immediate e dettagliate informazioni riguardanti i processi in atto e le condizioni delle sponde. Le tecniche di dendrocronologia possono in particolare essere applicate per stimare il tasso di allargamento dell alveo o quello di accrezione verticale e laterale delle sponde (HUPP & SIMON, 1986) (Fig.7.39). I rami avventizi forniscono una accurata datazione dei movimenti di massa che hanno interessato una sponda, attraverso il prelievo di un campione alla base del ramo e la determinazione dell età. La crescita eccentrica delle cerchie annuali risulta dalla formazione di legno di reazione che può verificarsi in seguito al piegamento della pianta. Una stima del tasso di allargamento dell alveo può essere ottenuta determinando l anno in cui è avvenuto un movimento di massa sulla sponda, attraverso una delle due precedenti tecniche, e misurando la larghezza del blocco franato o la distanza della pianta deformata dall attuale orlo della scarpata. La presenza di radici sepolte rende in altri casi possibile determinare il tasso di accrezione verticale sulle porzioni medio-basse di una sponda in via di stabilizzazione, attraverso la misura dello spessore di sedimenti depositatisi al di sopra dell apparato radicale e attraverso la datazione della pianta. 7-33

144 7 Dinamica Fluviale II Fig.7.38 Schede di rilevamento geomorfologico di THORNE (1998). 7-34

145 7 Dinamica Fluviale II Fig.7.39 Tecniche di dendrocronologia applicate a sponde fluviali (da HUPP & SIMON, 1986). A: Rami avventizi; B: Crescita eccentrica delle cerchie annuali; C: Stima del tasso medio di sedimentazione, ricavato dividendo lo spessore di sedimenti depositatisi al di sopra delle radici per l età della pianta Classificazione del tipo di variazioni morfologiche Per l identificazione delle condizioni di instabilità di un alveo e delle sue possibili tendenze evolutive, può essere utile far riferimento ai modelli geomorfologici concettuali di evoluzione di alvei incisi proposti in letteratura. L applicazione di tali modelli, una volta verificatane l applicabilità al contesto geomorfoclimatico dell area di studio, può essere utile per interpretare, durante la fase di campagna, lo stadio di evoluzione a cui si trova un determinato tratto del sistema fluviale e trarre quindi indicazioni sulle probabili tendenze evolutive spazio-temporali. Un approccio più generale, senza cioè necessariamente adottare un modello di evoluzione ed assumere che il fiume si trovi in un determinato stadio di evoluzione, è quello di classificare il tratto di alveo non tanto (o non solo) in base alla sua forma ma piuttosto in base ai tipi di variazioni morfologiche. Un problema comune a pressocchè le classificazioni delle tipologie di alvei è infatti quello di non tenere in conto degli aggiustamenti dinamici e della possibile tendenza evolutiva del fiume. Recentemente sono stati proposti dei nuovi schemi di classificazione basati sui processi di aggiustamento e sui trend evolutivi piuttosto che semplicemente sulla morfologia esistente dell alveo e sulle sue caratteristiche sedimentarie. Un esempio di tale tipo di approccio è lo schema proposto da DOWNS (1995) (Fig.7.40). Classificazioni basate sul tipo di aggiustamento si differenziano da schemi basati esclusivamente sulla morfologia dell alveo in quanto richiedono una interpretazione dei processi in atto e delle tendenze evolutive. Il confronto di cartografie, foto aeree e di rilievi topografici rappresenta in questi casi una conoscenza importante per una corretta comprensione dell evoluzione recente dell alveo. Fig.7.40 Classificazione di DOWNS (1995) basata sui tipi di aggiustamenti morfologici. 7-35

146 7 Dinamica Fluviale II Metodi di analisi di stabilità delle sponde Durante la fase di campagna, al fine di effettuare successive analisi di stabilità, è necessario abbinare alla interpretazione dei processi in atto una raccolta di dati per la caratterizzazione geotecnica del materiale costituente le sponde. In particolare è possibile effettuare prove in situ impiegate in maniera specifica per lo studio della stabilità di sponde fluviali (BST: prove di taglio in foro di sondaggio, LUTTENEGGER & HALLBERG, 1981). Esse, essendo effettuate in genere sulla porzione non satura di una sponda fluviale, hanno tra i vantaggi quello di poter permettere di ottenere una stima della coesione totale (o apparente) del materiale, incluso quindi il termine di resistenza dovuto alla presenza di pressioni interstiziali negative. A tali prove, di facile e rapida esecuzione, è comunque opportuno abbinare un numero più limitato di prove di laboratorio relative a campioni scelti nei punti più rappresentativi. Le analisi di stabilità che si possono adottare per sponde fluviali sono riconducibili a quelle normalmente usate per i pendii. In particolare, per analisi di tipo deterministico comunemente si adotta il Metodo dell Equilibrio Limite. Esistono in letteratura alcune soluzioni in forma chiusa per scivolamenti planari appositamente ricavate per sponde fluviali, basate su una geometria realistica di una sponda naturale con erosione al piede (OSMAN & THORNE, 1988) (Fig.7.41). DARBY & THORNE (1996) hanno fornito una soluzione basata sulla stessa geometria precedente che tiene conto anche del livello del fiume e del livello della falda nella sponda, una volta che essi sono specificati (Fig.7.42). Nel caso più generale di superfici di rottura curve, si rimanda ai metodi comunemente utilizzate nell analisi di stabilità dei pendii. Un problema cruciale nell applicazione di tali metodi di analisi è rappresentato dalla definizione delle condizioni di pressioni interstiziali all interno della sponda, essendo queste estremamente variabili durante gli eventi di piena (quelli più critici per la stabilità della sponda) in quanto risentono degli effetti delle precipitazioni e delle variazioni del livello del fiume. Una analisi di stabilità rigorosa che tenga in conto delle variazioni delle pressioni interstiziali durante l evento di piena è possibile attraverso: a) monitoraggio delle pressioni interstiziali a diverse profondità della sponda; b) applicazione di un modello numerico di filtrazione. In questo secondo caso la filtrazione all interno della sponda viene modellata usando un codice agli elementi finiti per l analisi del flusso saturo/non saturo, il quale ricostruisce l andamento delle pressioni interstiziali positive e negative in condizioni stazionarie o transitorie utilizzando l equazione del moto (RICHARDS, 1931) e l equazione di continuità del flusso (Fig.7.43). a I b I II II Fig.7.41 Geometria di sponde fluviali secondo l analisi di Osman & Thorne (1988). a) Rottura iniziale della sponda; b) arretramento parallelo della sponda; I) prima dell erosione fluviale al piede; II) dopo l erosione fluviale. 7-36

147 7 Dinamica Fluviale II Fig.7.42 Analisi di DARBY & THORNE (1996) STEP Fig.7.43 Analisi agli elementi finiti della filtrazione. a) Geometria del problema e caratteristiche geotecniche dei vari livelli costituenti la sponda; b) valori delle pressioni interstiziali durante uno step temporale di un evento di piena. A tal fine, la sponda in esame va discretizzata in una serie di elementi quadrilateri e/o triangolari (Fig.7.43a) e per ognuno dei materiali che la costituisce vanno specificate le caratteristiche geotecniche, la curva caratteristica e la curva di permeabilità. In generale il modello può essere applicato in regime permanente o transitorio, specificando opportunamente una serie di condizioni iniziali e, nel caso di moto transitorio, di condizioni al contorno. Nel caso di applicazione del modello ad un problema in moto transitorio, quale quello di una piena fluviale, le condizioni al contorno sono rappresentate dall idrogramma di piena e dalle precipitazioni. Per ogni passo temporale in cui è suddiviso l evento si può ricavare la distribuzione delle pressioni interstiziali all interno della sponda (Fig.7.43b), da impiegare poi per effettuare l analisi di stabilità. H (m a.s.l.) X (m) Applicazioni alla valutazione delle condizioni di instabilità di alvei in corrispondenza di ponti I processi fluviali che concorrono a determinare la pericolosità in corrispondenza delle strutture di attraversamento in generale comprendono: (1) erosione localizzata; (2) erosione da contrazione; (3) processi distribuiti di instabilità. I primi due sono direttamente legati alla presenza delle pile del ponte e all accelerazione della corrente causata dal restringimento di sezione. I processi di instabilità (degradazione o aggradazione, erosioni di sponda, allargamento dell alveo) non sono correlati a fattori locali, ma sono determinati piuttosto dall alterazione naturale o antropica dell equilibrio esistente tra portata solida del fiume e capacità di trasporto della corrente. Nell ambito di un programma a scala regionale di valutazione delle condizioni di instabilità degli alvei fluviali in corrispondenza di strutture di attraversamento (ponti), è fondamentale definire un criterio di selezione iniziale dei tratti di fiume e delle strutture potenzialmente più instabili in corrispondenza delle quali effettuare, in una fase successiva, analisi più approfondite. La metodologia deve essere in particolare capace di accertare in maniera speditiva le condizioni generali degli alvei in molti punti della rete idrografica principale, per focalizzare successivamente l attenzione su quelli più critici. Recentemente sono state proposte ed applicate specifiche procedure di valutazione delle condizioni di instabilità di un alveo fluviale in prossimità di un ponte (SIMON et al., 1989; RICHARDSON & HUBER, 1991; SCHALL & LAGASSE, 1991). La metodologia messa a punto dal Servizio Geologico Americano (U.S.G.S.) (SIMON et al., 1989), di seguito sinteticamente descritta a titolo di esempio, risulta particolarmente orientata verso il riconoscimento dei processi in atto e dei fattori geomorfologici di instabilità e meglio adattabile ad un indagine a scala regionale. Essa comprende le seguenti fasi: (1) valutazione iniziale del sito attraverso l acquisizione di informazioni in campagna basata essenzialmente sul riconoscimento e sull interpretazione dei processi geomorfologici in atto; (2) archiviazione e gestione dei dati con 7-37

148 7 Dinamica Fluviale II l ausilio di un GIS; (3) stima della instabilità osservata e potenziale ed individuazione dei punti più critici; (4) rappresentazione cartografica dei risultati e verifica del legame tra condizioni di instabilità osservate e situazioni locali (erosione localizzata o da contrazione) o situazioni a scala di bacino. La fase di raccolta dei dati prende avvio dalla valutazione iniziale del sito e consiste nell osservazione del tratto di alveo fluviale comprendente la struttura di attraversamento. Tramite l ausilio di una apposita scheda, si acquisiscono informazioni riguardanti in generale: 1) ubicazione del ponte e del tratto di fiume; 2) variabili idrauliche, geomorfologiche e vegetazionali; 3) caratteristiche tecniche della struttura e suo stato di manutenzione. In particolare si pone l'attenzione verso il riconoscimento e l'interpretazione dei processi geomorfologici in atto lungo il tratto di fiume osservato (abbassamento o innalzamento de fondo, erosione fluviale o movimenti di massa in corrispondenza delle sponde, allargamento dell'alveo, sedimentazione alla base delle sponde o accumulo di materiale detritico in prossimità del ponte) e verso i fenomeni di erosione localizzata alla base delle pile o immediatamente a valle del ponte. Nel caso in cui l'alveo sia soggetto ad una fase di degradazione ne viene interpretato lo stadio evolutivo in accordo con il modello a sei stadi di evoluzione. L'archiviazione e gestione delle informazioni è condotta con l ausilio di un GIS nel quale i dati rilevati sono inseriti in maniera georiferita assieme alla rappresentazione vettoriale del reticolo idrografico. 1. Erosione localizzata alle pile e alle nessuna osservata moderata severa Danni alle difese di sponda: sinistra destra Danni alle protezioni del fondo: sì no Allargamento dell'alveo a valle del sì no Movimenti di massa sulle sponde: sì no 3 0 Tab Variabili, caratteristiche diagnostiche e valori assegnati per il calcolo dell'indice di instabilità osservata. 1. Materiale del letto: sub.rocc. massi/ciott. ghiaia sabbia mat.alluv. silt/argilla Protezione del letto: sì no se no: 1 sponda 2 sponde Stadio di evoluzione dell'alveo: I II III IV V VI Percentuale di restringimento 0-->5 6--> > > > Numero di pile nell'alveo: 0 1-->2 > Percentuale di ostruzione orizzontale: 0-->5 6--> > > > Percentuale di ostruzione verticale: 0-->5 6--> > > > Percentuale di ostruzione totale: 0-->5 6--> > > > Erosione di sponda (per ogni sponda): nessuna fluviale mov.massa Distanza del punto d'impatto della 0--> > >30 >30 corrente dal ponte (m): Obliquità delle pile rispetto alla sì no della corrente (per ogni pila): Movimento di massa in sponde con sì no (per ogni pila): Angolo di incidenza della corrente 0--> > > > >90 in piena (in gradi): Percentuale di copertura vegetale 0--> > > > sulle sponde: Tab Variabili, caratteristiche diagnostiche e valori assegnati per il calcolo dell'indice di instabilità potenziale. La valutazione dell'instabilità dei tratti di corsi d'acqua ispezionati durante la fase di campagna si basa sulla definizione di due indici, l'indice di instabilità osservata e l'indice di instabilità potenziale, che corrispondono alla somma dei pesi assegnati alle variabili ritenute più significative. Quanto più grande è il valore del dato ottenuto, tanto 7-38

149 7 Dinamica Fluviale II maggiore è il grado di instabilità (osservata e potenziale) del ponte in questione. Nell'Indice di instabilità osservata si fa principalmente riferimento alla presenza di erosione localizzata in corrispondenza delle strutture di sostegno del ponte e alla deformazione o scalzamento di strutture di protezione del fondo e delle sponde eventualmente presenti (Tab.7.7). Anche l'indice di instabilità potenziale deriva dalla somma dei valori assegnati alle variabili che più direttamente influiscono sulla instabilità dell'alveo e sulle condizioni idrauliche della corrente in corrispondenza delle pile e delle spalle del ponte (Tab.7.8). I valori complessivi dei due indici non hanno un significato quantitativo ma forniscono un criterio utile per ordinare i luoghi esaminati secondo un grado di instabilità decrescente e che permette quindi di individuare i punti più critici. 7.8 Metodi geomorfologici per la zonazione delle aree inondabili Interazioni tra dinamica d alveo e fenomeni di esondazione I volumi che danno luogo ad eventi alluvionali comprendono, oltre alle acque di piena, anche le frazioni solide che vengono trasportate (al fondo o in sospensione) dal corso d acqua. La componente solida riveste una particolare importanza nei fenomeni alluvionali, soprattutto nel caso di torrenti ed in particolar modo al loro sbocco in pianura. In questi ultimi infatti i fenomeni alluvionali sono conseguenti in genere a flussi di detriti o di fango (trasporto di massa), cioè del movimento di una massa di materiale solido che, completamente imbevuta di acqua, si muove comportandosi essa stessa come un fluido. Nel caso di fiumi di pianura, i fenomeni idraulici diventano invece predominanti rispetto a quelli di trasporto solido, seppure quest ultimo (soprattutto il trasporto in sospensione) può rappresentare ancora una percentuale importante dei volumi di piena. Nel caso di fiumi arginati, i fenomeni di inondazione della pianura hanno origine dalla tracimazione delle acque di piena e/o da rotture del rilevato arginale. I tipi di rotture arginali più comuni sono di seguito descritti. 1) Rottura per tracimazione o sormonto (Fig.7.44a). L acqua, superato il coronamento dell argine, defluisce in cascata precipitando da alcuni metri di altezza per raggiungere il piano di campagna. Nel punto di impatto si innesca un processo erosivo la cui intensità aumenta con l aumentare sia della quantità di acqua tracimata, sia del dislivello superato. Con il perdurare della tracomazione, il rilevato arginale, generalmente costruito in terra, viene più o meno rapidamente demolito. 2) Rottura per sifonamento (Fig.7.44b). In questo caso le acque si infiltrano attraverso il materiale che costituisce l argine e, generalmente seguendo vie preferenziali, raggiungono la parte esterna del manufatto. Lungo il percorso le acque di filtrazione possono asportare singole particelle indebolendo progressivamente la struttura dell argine che può quindi giungere a rottura. 3) Erosione al piede (Fig.7.44c). Quando gli argini sono posti a diretto contatto con la sponda fluviale (in froldo), i fenomeni di erosione che eventualmente interessano la sponda possono direttamente coinvolgere il rilevato arginale stesso, causandone la rottura. a b c Fig Principali tipi di rotture arginali. a) Tracimazione o sormonto; b) sifonamento; c) erosione al piede. Oltre ai tre meccanismi di rottura più noti e più frequenti, esiste una larga varietà di altri meccanismi di instabilità che possono interessare rilevati arginali (Fig.7.45). 7-39

150 7 Dinamica Fluviale II Fig Meccanismi di rottura di argini (da COLLESELLI, 1994). Nel caso di alvei alluvionali a fondo mobile, va inoltre tenuto conto delle interazioni tra dinamica morfologica dell alveo e possibilità di innesco di fenomeni di esondazione della pianura, quali: a) processi di arretramento delle sponde, che possono direttamente coinvolgere rilevati arginali diventando causa diretta di esondazione; b) fenomeni di erosione di sponda che favoriscono una alimentazione di volumi di materiale solido ai tratti di valle ed eventualmente di detriti di vegetazione arborea (woody debris), i quali a loro volta possono causare fenomeni localizzati di esondazione per ostruzione della corrente; c) innalzamento del fondo ed altre variazioni morfologiche dell alveo che possono determinare una riduzione di capacità di contenimento delle acque di piena Metodi di zonazione dell inondabilità Il metodo storico e quello geomorfologico descritti sinteticamente di seguito costituiscono dei validi criteri di analisi ad integrazione ovviamente dei criteri di tipo idraulico più largamente usati nel campo della zonazione delle aree inondabili, per i quali peraltro si rimanda a corsi e testi specifici Zonazione in base all indagine storico-retrospettiva La ricerca storica, condotta attraverso la raccolta di informazioni riguardanti gli eventi alluvionali del passato, rappresenta un valido strumento per lo studio delle condizioni di inondabilità di un area e, se i dati disponibili sono sufficienti, può contribuire all elaborazione di modelli previsionali. Le principali informazioni che si possono raccogliere relativamente agli eventi di inondazione verificatisi nel passato sono: a) delimitazione delle aree inondate; b) punto di esondazione e causa (tipo di rottura arginale, ecc.); c) altezze idrometriche raggiunte dalle acque di inondazione. Se per 7-40

151 7 Dinamica Fluviale II un periodo sufficientemente lungo si dispone di una accurata e completa ricostruzione degli eventi di inondazione verificatisi, si può passare ad una zonazione delle aree inondabili in funzione della frequenza di inondazione (Fig.7.46). Fig Carta di zonazione dell inondabilità per frequenza di allagamenti nel diciannovesimo secolo relativa ad un tratto del F.Taro. L adozione di tale zonazione per la definizione delle attuali condizioni di rischio deve tuttavia avvenire con cautela, in quanto bisogna tener conto delle eventuali modifiche morfologiche e di strutture antropiche sia nell alveo che nella pianura e di eventuali variazioni nel regime delle portate liquide e solide del fiume. Un esempio di applicazione di criteri storici e geomorfologici per la zonazione dell inondabilità è quello adottato dalla Regione Piemonte (Fig.7.47) Criteri geomorfologici di zonazione dell inondabilità della pianura La delimitazione delle aree inondabili e la zonazione dell inondabilità della pianura si può inoltre basare su criteri di tipo geomorfologico (MARAGA, 1990). Essi si basano sostanzialmente sul riconoscimento di superfici omologhe per morfogenesi fluviale, alle quali si attribuisce una diversa incidenza dei processi d inondazione in relazione al modellamento delle forme dell alveo, alle loro caratteristiche tessiturali, ed alle strutture antropiche. Attraverso la definizione di specifiche legende, si possono realizzare carte geomorfologiche di zonazione dell inondabilità (Fig.7.48). 7-41

152 7 Dinamica Fluviale II Fig Zonazione delle aree inondabili della Regione Piemonte. Fig Esempio di carta di zonazione geomorfologica dell inondabilità relativa ad un tratto del F.Taro. Legenda. 1: Campo di inondazione associato a deflussi di piena ordinaria e straordinaria: allagabilità da inondazione diretta per tracimazione e rimodellamento della superficie topografica in caso di piena straordinaria; 2: campo di inondazione associato a deflussi di piena ordinaria e straordinaria: allagabilità da inondazione diretta per tracimazione e scorrimento preferenziale delle acque in correnti a forte capacità erosiva con riattivazione o ostruzione di canali secondari in caso di piena straordinaria; 3: campo di inondazione associato a deflussi di piena straordinaria: allagabilità da inondazione diretta e/o cedimento di opere; espansione e persistenza delle acque prevalentemente controllata da microforme della superficie; 4: campo di inondazione associato a deflussi di piena straordinaria: allagabilità da inondazione diretta e/o cedimento di opere; espansione e persistenza delle acque prevalentemente controllata da strutture antropiche. Area golenale: interessata da allagabilità con rilevante deposizione forzata di sedimenti fini entro gli argini. I criteri di tipo geomorfologico vengono applicati prevalentemente attraverso fotointerpretazione ed in parte attraverso rilevamento di campagna. Va infine ricordata l utilità del telerilevamento, per mezzo dell elaborazione di immagini rilevate da satellite, per la delimitazione delle zone inondate a seguito di un evento alluvionale. Il limite di tali 7-42

153 7 Dinamica Fluviale II applicazioni è tuttavia rappresentato dalle condizioni atmosferiche generalmente sfavorevoli che si presentano in tali occasioni e che impongono riprese da bassa quota. 7.9 Cenno ai rischi da dinamica d alveo Per il rischio idraulico ed i termini ad esso connessi (pericolosità, vulnerabilità, danno, ecc.), valgono le stesse definizioni generali relative al rischio di frana, applicabili ad ogni tipologia di fenomeno potenzialmente distruttivo. Il rischio di inondazione è il tipo di rischio idraulico più importante e più comunemente preso in esame. In base alla precedente equazione del rischio, la valutazione dello stesso consiste nella stima della pericolosità dell'evento e del danno conseguente, con riferimento ad un determinato periodo di tempo t. Nei fenomeni alluvionali, la stima della pericolosità H dell'evento di piena si valuta mediante analisi statistico-probabilistiche dei dati disponibili. Questi possono essere i dati di portata, oppure più frequentemente i dati di pioggia; in tal caso occorre procedere alla definizione degli eventi di piena adottando opportuni modelli di trasformazione afflussi deflussi. La stima del danno potenziale (= W V) associato ad un prefissato evento di piena si basa innanzitutto sulla definizione delle aree vulnerabili attraverso la delimitazione delle aree inondabili. Per l individuazione e la caratterizzazione delle aree vulnerabili è necessario procedere ad analisi basate su criteri di tipo geomorfologico e storico. Le analisi di tipo idraulico, integrate alle precedenti, permettono di ricostruire le zone caratterizzate da diversa pericolosità, cioè a diversa probabilità di inondazione. Una caratterizzazione completa del rischio idraulico comprende, oltre a quello di inondazione, anche altri tipi di rischi legati alla presenza del corso d acqua, come di seguito specificato. 1) Rischio idraulico da dinamica d'alveo, il quale trae origine dai fenomeni di erosione e/o deposito, e quindi dalla evoluzione plano-altimetrica dell'alveo che si manifesta per effetto della interazione tra la corrente liquida e il materiale mobile costituente l'alveo. In questo caso gli elementi a rischio sono rappresentati da opere in alveo (ponti, ecc.), infrastrutture o manufatti (strade, case, ecc.) adiacenti al corso d acqua che possono essere danneggiati dai processi di arretramento delle sponde, o dai terreni stessi adiacenti all alveo, in genere sede di coltivazioni. Va tenuto conto tuttavia che una analisi rigorosa del rischio da dinamica d alveo è estremamente difficoltosa. Infatti, a differenza del rischio da esondazione, il rischio da dinamica d'alveo può non essere direttamente connesso ad un singolo evento di piena. Gli effetti in termini di variazioni morfologiche dei vari eventi di piena che si susseguono sono cumulabili e talora sono anche di segno opposto (erosione o sedimentazione), a differenza dei fenomeni di esondazione la cui possibilità di occorrenza o meno può essere definita per ogni evento di piena con tempo di ritorno prefissato. 2) Rischio idraulico da inquinamento, il quale si origina per la presenza nella corrente liquida e nel materiale d'alveo di carichi inquinanti, in qualita' e/o in quantita' tali da compromettere la qualita' delle risorse fluviali (acqua e sedimenti) e le condizioni ambientali a queste connesse. Le condizioni di rischio possono essere particolarmente gravi durante i periodi di magra, quando per la modesta portata liquida i livelli di concentrazione di inquinanti possono risultare inaccetabili. Tuttavia, anche in concomitanza di eventi di piena sussistono condizioni di rischio connesse alla possibilità di diffusione di inquinanti verso le zone di esondazione nonchè alla movimentazione e trasporto di quantità rilevanti verso le zone del recapito finale (laghi, mari) Criteri geomorfologici nella rinaturalizzazione di alvei fluviali Definizioni La rinaturalizzazione di corsi d acqua sta guadagnando un sempre crescente interesse e durante gli ultimi anni si è sviluppata un ampia letteratura riguardante tali argomenti sotto svariati punti di vista. La rinaturalizzazione di corsi d acqua è un argomento che coinvolge infatti numerose discipline, tra le quali l idraulica, la geomorfologia, l ecologia, ecc., e la cui applicazione richiede pertanto un approccio fortemente multidisciplinare. Di seguito vengono sinteticamente riportate alcune metodologie e tecniche di intervento su alvei fluviali che si basano almeno in parte sui concetti espressi nei capitoli precedenti e per la cui applicazione appare pertanto indispensabile un approccio geomorfologico. Per quanto riguarda la terminologia adoperata, soprattutto nella letteratura anglosassone sono utilizzati numerosi termini per descrivere interventi atti a migliorare per qualche aspetto il corso d acqua e l ambiente fluviale (nel senso più generale indicati come stream restoration o river channel restoration). Va rimarcato a tal proposito come il termine rinaturalizzazione adoperato in letteratura italiana quasi mai va inteso come un completo ritorno ad uno stato naturale precedente ad una condizione di disturbo (full restoration), ma il più delle volte corrisponde ad una parziale 7-43

154 7 Dinamica Fluviale II rinaturalizzazione (rehabilitation), ad un miglioramento della qualità ambientale (enhancement), o alla creazione (creation) di un ambiente fluviale prima inesistente (BROOKES & SHIELDS, 1996). Per questo motivo al termine di rinaturalizzazione si tende ultimamente a preferire il concetto di riqualificazione fluviale. Va altresì osservato che rinaturalizzazione, almeno nella letteratura e nelle applicazioni a livello internazionale, non è da considerare un sinonimo (come spesso accade in Italia) di Ingegneria Naturalistica. Infatti quest ultima rappresenta una tecnica costruttiva, mentre la rinaturalizzazione è piuttosto da considerare un obiettivo, perseguibile anche con il ricorso ad opere di ingegneria naturalistica, ma non necessariamente. A tal proposito bisogna infatti tener presente che molte delle opere di sistemazione, pur se realizzate con ingegneria naturalistica, determinano una riduzione della naturalità del corso d acqua. Gli obiettivi dei vari tipi di interventi di rinaturalizzazione o di riqualificazione fluviale sono molteplici. I principali possono essere così sintetizzati: (1) migliorare o ricreare habitat ecologici, ricreare le caratteristiche naturali di alvei alluvionali, (2) restaurare il valore ambientale di corsi d acqua canalizzati o degradati; (3) mitigare i rischi di esondazione; (4) stabilizzare alvei fluviali instabili. Almeno per una parte di tali obiettivi (ad esempio ricreare le caratteristiche naturali o ristabilizzare alvei fluviali instabili), come punto di partenza è opportuno tener presente le principali caratteristiche morfologiche di un alveo in condizioni naturali (in equilibrio dinamico ) e le alterazioni che tali caratteristiche hanno subìto a seguito di eventuali interventi di canalizzazione (Fig.7.49). Il fiume, con le sue continue migrazioni laterali attraverso l alternanza di erosione e di sedimentazione, costruisce un area morfologicamente pianeggiante, la pianura inondabile, soggetta ad inondazione con una frequenza relativamente elevata (in media poco più che annualmente). Il fiume non costruisce cioè il suo alveo largo abbastanza per ospitare le portate di piena senza che si verifichi una almeno parziale esondazione. Un fiume naturale può essere schematicamente considerato come costituito da tre componenti essenziali: alveo di magra (baseflow), alveo di piena (bankfull), pianura inondabile (floodplain), mentre in un alveo canalizzato secondo i criteri di ingegneria tradizionale questi tre elementi vengono pressocchè a coincidere. Le conseguenze di ciò sono molteplici, in quanto si viene a creare un netto distacco tra fiume e pianura adiacente. Si avrà assenza di zone riparie inondate frequentemente e capaci di creare una molteplicità di habitat ecologici e una varietà faunistica e vegetazionale; assenza di ricarica delle falde; assenza di aree di espansione delle piene; aumento dell energia della corrente durante eventi intensi e quindi aumento della capacità erosiva. A B Fig.7.49 Alveo fluviale naturale e canalizzato Metodi di rinaturalizzazione Sono di seguito distinte due principali categorie di rinaturalizzazione di alvei fluviali. La prima categoria include quei metodi o tecniche che non modificano sostanzialmente la forma dell alveo e perciò non richiedono una specifica definizione della sezione e della planimetria del fiume progettato. L obiettivo di questo gruppo è tipicamente quello di aumentare le diversità ecologiche di fiumi canalizzati fortemente artificiali per recuperarne il loro valore ambientale e ricreare un corso d acqua in condizioni più naturali. Il secondo gruppo di interventi include quei metodi che richiedono un parziale o totale rimodellamento della forma dell alveo e della pianura Metodi senza modificazioni della forma dell alveo 1) Strutture in alveo (instream devices). Comprendono una serie di piccole strutture (deflettori della corrente, piccole briglie o soglie di fondo, ecc.) usate per incrementare la diversità di habitat ecologici alterando l andamento uniforme della corrente, della morfologia del fondo e delle sponde. 7-44

155 7 Dinamica Fluviale II 2) Ricreazione di riffles e pools (riffles and pools recreation). Si basa sulla ricreazione delle irregolarità morfologiche del fondo principalmente attraverso reinserimento di sedimenti relativamente grossolani per ricostituire i riffles. La spaziatura riffle-pool si basa generalmente su equazioni empiriche di letteratura (tale spaziatura risulta in genere pari a 5-7 volte la larghezza dell alveo). 3) Ripristino dei sedimenti del fondo (substrate reinstatement). Si cercano di ricostituire le condizioni naturali del fondo reimmettendo sedimenti in alvei precedentemente canalizzati ed incisi. 4) Ingegneria naturalistica (biotechnical engineering). Consiste nell utilizzare piante vive in genere in abbinamento con altri materiali (legno, pietrame, reti zincate, geotessili, biostuoie, ecc.) Metodi con modificazioni della geometria della sezione o della forma planimetrica 1) Geometria dell alveo non uniforme (non-uniform channel geometries). Esistono in letteratura internazionale alcuni esempi di metodi di rimodellazione dell alveo basati sul concetto di cercare di ricreare una situazione quanto più possibile vicina a quella naturale, con una geometria non uniforme (sia in sezione che in planimetria) (Fig.7.50). Fig.7.50 Geometria dell alveo non uniforme. 2) Geometria della sezione a due stadi (two-stage designs). Consiste nel creare (o ricreare) una sezione composta da un alveo di piena, capace di far transitare le portate di magra e le piene più frequenti, ed uno spazio adiacente frequentemente soggetto ad inondazione (Fig.7.51). In pratica si cerca di ricreare una porzione di pianura inondabile (floodplain) adiacente all alveo di piena (bankfull channel), soprattutto nel caso di alvei che hanno subìto una incisione. Fig.7.51 Geometria della sezione a due stadi. 7-45

156 7 Dinamica Fluviale II 3) Rimodellamento o creazione di una fascia di pertinenza fluviale (floodplain approaches). Un altro metodo (simile al precedente) consiste nel restituire al fiume una sua fascia di pertinenza (river corridor o streamway), che verrà a costituire la pianura inondabile, all interno della quale l alveo è relativamente libero di muoversi e di riacquistare una sua configurazione più possibile vicina a quella naturale (Fig.7.52). Tale fascia viene a costituire un area naturale di espansione delle piene contribuendo alla loro laminazione. Da un punto di vista idrogeologico la ricreazione di queste aree soggette a frequente inondazione favorisce la periodica ricarica della falda. Fig.7.52 Rimodellamento o creazione di una fascia di pertinenza fluviale. 4) Dimensionamento della sezione (sizing cross-section). Comprende quei casi nei quali si ha necessità di dimensionare la sezione e definirne la forma. Tale dimensionamento si basa in genere su equazioni empiriche di letteratura (relative ad alvei con morfologie simili) o sulle dimensioni di tratti stabili dello stesso fiume o di corsi d acqua con caratteristiche simili presenti nella stessa area. 5) Incremento della sinuosità e ricreazione di meandri (meander restoration) (Fig.7.53). Sono usati principalmente per riabilitare corsi d acqua canalizzati o stabilizzare fiumi instabili (in degradazione o aggradazione). Il corso d acqua da rinaturalizzare può essere convertito esattamente nella sua configurazione originaria, quando essa è nota, o ad una forma il più possibile simile all originale o a quella di fiumi in zone adiacenti in condizioni naturali. In questo secondo caso si possono adoperare equazioni empiriche proposte in letteratura (in particolare quelle di LEOPOLD & WOLMAN, 1957) o, quando possibile, ricavare equazioni a validità regionale. I limiti dell utilizzo di equazioni di letteratura consistono nel fatto che ne andrebbe verificata la validità nel contesto geomorfoclimatico in cui si intendono usare (se diverso da quello in cui esse sono state ottenute) e andrebbe tenuto conto che sono state ricavate per alvei in equilibrio dinamico, quindi l applicazione ad alvei instabili (in degradazione o aggradazione) andrebbe fatta con estrema cautela. Fig.7.53 Incremento della sinuosità e ricreazione di meandri (River Brede, Danimarca, BROOKES & SHIELDS, 1996). 7-46

157 7 Dinamica Fluviale II Applicabilità dei metodi di rinaturalizzazione Nonostante le ormai numerose applicazioni di tali metodi in campo internazionale e la richiesta enormemente crescente in questo campo, va tenuto presente che tuttora non esistono basi scientifiche certe e consolidate e viceversa continuano ad esservi numerose carenze metodologiche per la progettazione ed incertezze sulla riuscita o meno dell intervento una volta realizzato. A tal proposito BROOKES (1988) ha raccolto le informazioni disponibili in letteratura fino a quell anno relative alla riuscita o meno di una serie di interventi di rinaturalizzazione, mettendole in relazione con le caratteristiche dell alveo e del bacino (Tab.7.9). E osservabile come la maggior parte degli interventi non è applicabile o comunque presenta possibilità di insuccesso nel caso di alvei ad elevata energia (a canali intrecciati). Lo stesso BROOKES (1988) ha proposto un approccio quantitativo basato sulla potenza della corrente (unitaria) (Fig.7.54) che porta alle stesse conclusioni tratte dalla precedente tabella. Infatti, secondo i dati riportati nel diagramma, progetti di rinaturalizzazione realizzati in fiumi con potenza unitaria della corrente superiore ad un valore critico di circa 35 Wm -1 (alvei a canali intrecciati) sono spesso falliti a causa di processi di erosione; viceversa alcuni progetti su fiumi a bassa energia (potenza unitaria della corrente inferiore a circa 10 Wm -1 ) hanno presentato inconvenienti legati all eccessiva sedimentazione. Tab.7.9 Adattabilità dei diversi metodi di rinaturalizzazione in rapporto alle condizioni fisiche dell alveo e del bacino (BROOKES, 1988). Fig.7.54 Tipi di modificazioni morfologiche in seguito ad interventi di rinaturalizzazione in base alla potenza unitaria della corrente (BROOKES & SHIELDS, 1996). 7-47

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