Stephen Crane. Il segno rosso del coraggio

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1 Stephen Crane Il segno rosso del coraggio I Il freddo si levò dalla terra con riluttanza e le nebbie, ritirandosi, svelarono un esercito spiegato sui colli, che riposava. Mentre il paesaggio mutava da bruno a verde, l'esercito si destò e cominciò a fremere di impazienza per il diffondersi di voci. I suoi occhi si volgevano alle strade, che da lunghe pozzanghere di liquida fanghiglia andavano trasformandosi in vere e proprie vie maestre. Un fiume, color ambra dove facevano ombra le rive, gorgogliava ai piedi delle truppe; e di notte, divenuto il corso d'acqua d'un nero desolato, si poteva scorgere al di là di esso il rosso occhieggiare dei fuochi di un accampamento nemico disposto sui bassi cigli di lontane colline. Una volta un soldato alto di statura rivelò spirito di iniziativa e andò risolutamente a lavarsi una camicia. Tornò indietro di corsa dal ruscello, agitando l'indumento a guisa di bandiera. Era gonfio di una notizia che aveva appresa da un amico fidato, il quale l'aveva udita da un veritiero soldato di cavalleria, che a sua volta l'aveva ricevuta dal suo attendibile fratello, ordinanza al quartier generale della divisione. Assunse l'aria importante di un araldo abbigliato in rosso e oro. «Domani ci muoviamo sicuro» disse con un sussiego a un gruppo nella strada della compagnia. «Risaliamo lungo il fiume, lo traversiamo, li aggiriamo e gli arriviamo alle spalle.» All'attento uditorio tracciò il piano, vistoso ed elaborato, di una brillantissima campagna. Quando ebbe finito, gli uomini in divisa blu si sparpagliarono a discutere in gruppetti, tra le file di tozze capanne brune. Un conducente negro, che fino allora aveva ballato sopra una cassetta di gallette fra gli ilari incoraggiamenti di una quarantina di soldati, fu abbandonato da tutti e si sedette malinconico. Spire di fumo si alzavano pigre da bizzarri camini. «Son tutte balle, balle grosse così!» disse con voce sonora un altro soldato, rosso di eccitazione nel volto liscio, le mani cacciate di malumore nelle tasche dei calzoni. Prendeva la cosa come un'offesa personale. «Io non credo che questo dannato esercito farà mai un passo. Siamo inchiodati qui. Otto volte negli ultimi quindici giorni mi sono preparato per partire, e non ci siamo ancora mossi.» Il soldato alto si sentì chiamato a difendere la verità di una notizia che aveva sparso lui stesso, e così per poco non venne alle mani con l'altro dalla voce sonora. Un caporale si mise a bestemmiare davanti a tutti. Disse che aveva appena finito di sistemare nel suo alloggio un costoso impiantito di legno. Nei primi mesi della primavera si era trattenuto dal portare rilevanti incrementi alle comodità del suo ambiente perché aveva intuito che l'esercito poteva mettersi in marcia da un momento all'altro. Di recente, però, si era fatto l'impressione che sarebbero rimasti in quell'accampamento per l'eternità. Molti soldati si impegnarono in un'appassionata discussione. Uno tratteggiò in modo particolarmente limpido tutti i piani del generale che li comandava. Gli si opposero dei compagni, sostenendo che c'erano altri piani d'operazione. Si contrastarono vociando, moltitudine che tentava inutilmente di accaparrarsi l'attenzione generale. Nel frattempo il soldato che aveva portato la notizia si agitava di qua e di là, con aria di molta importanza. Era di continuo assalito da domande. «Che succede, Jim?» «L'esercito sta per spostarsi.» «Ma che dici? Come fai a saperlo?» «Puoi credermi o no. Come ti pare. Non me ne importa un fico.» Il modo in cui rispondeva diede materia a molte riflessioni. Disdegnando di produrre prove, quasi giunse a persuaderli. Tutti furono presi da una grande eccitazione. C'era una giovane recluta, che aveva ascoltato avidamente le parole del soldato alto e i vari commenti dei compagni. Dopo essersi riempito di discussioni circa marce e offensive, se ne andò alla sua capanna e vi strisciò dentro, attraverso una complicata apertura che serviva da porta. Voleva starsene solo, con alcuni nuovi pensieri che gli erano venuti di recente. Si sdraiò su un'ampia cuccetta che occupava un'estremità dell'ambiente. All'altra estremità casse di gallette, disposte in modo da servire di mobilio, erano raggruppate intorno al focolare. Su una delle pareti di tronchi c'era una illustrazione tolta da un settimanale, e tre fucili erano allineati su pioli. A comode sporgenze erano appesi accessori dell'equipaggiamento; su una piccola catasta di legna da ardere stavano alcuni piatti di stagno. Una tenda ripiegata serviva da tetto e, battendovi sopra dall'esterno, la luce del sole la faceva risplendere di una sfumatura giallo-chiara. Una

2 finestrina gettava un obliquo quadrato di luce più bianca sul suolo ingombro. A volte il fumo del focolare disegnava il camino, attorcendo le sue spire per la baracca; quel fragile camino di argilla e stecchi di legno minacciava continuamente di appiccare il fuoco all'intero alloggio. Il giovane era come in un'estasi di stupore. Dunque, finalmente, andavano a combattere. Forse l'indomani ci sarebbe stata una battaglia, e lui vi avrebbe partecipato. Dovette faticare un po' per costringersi a crederlo. Non riusciva ad accettare con fiducia gli indizi secondo cui egli stava per essere coinvolto in uno di quei grandi fatti della terra. Aveva certo sognato di battaglie per tutta la vita di vaghi sanguinosi conflitti che lo avevano fatto fremere col loro travolgente ardore. Come in visione, si era veduto in molti scontri. Aveva immaginato uomini fidenti all'ombra del suo valore dagli occhi d'aquila. Ma da sveglio aveva considerato le battaglie come chiazze rosse sulle pagine del passato. Come cose dei tempi che furono, esse si mescolavano nella sua mente alle immagini di pesanti corone e di alti castelli. C'era una parte della storia del mondo che egli aveva considerato come l'epoca delle guerre; ma essa, pensava, aveva da tempo varcato l'orizzonte ed era scomparsa per sempre. Da casa i suoi occhi giovanili avevano guardato con sospetto la guerra in corso nel suo paese. Doveva essere una specie di gioco. Aveva a lungo disperato di assistere a combattimenti come quelli degli antichi Greci. Di quel genere non ce ne saranno più, si era detto. Gli uomini erano migliori, o più pavidi. L'istruzione laica e religiosa aveva cancellato l'istinto di afferrare alla gola, oppure il benessere teneva a freno le passioni. Più volte aveva avuto la brama di arruolarsi. Racconti di grandi movimenti scuotevano il paese. Forse non erano precisamente omerici, ma in essi pareva esserci molta gloria. L'adolescente aveva letto di marce, assedi, scontri, e aveva anelato a vedere tutto ciò. Con la fervida mente si era disegnato ampi quadri dai colori opulenti, corruschi di gesta da lasciare senza fiato. Ma la madre lo aveva scoraggiato. Aveva ostentato di considerare con un certo disprezzo la qualità del suo ardore bellico e del suo patriottismo. Si sedeva calma e, senza alcuna apparente difficoltà, sapeva fornirgli centinaia di motivi per i quali egli era di gran lunga più importante alla fattoria che non sul campo di battaglia. Certi modi di esprimersi gli dicevano che le affermazioni della madre derivavano da una convinzione profonda. Inoltre, a favore della madre, giocava anche il suo convincimento che i motivi etici in quelle argomentazioni, erano irrefutabili. Da ultimo, tuttavia, si era fermamente ribellato a quella luce di gialla viltà proiettata sul colore delle sue ambizioni. I giornali, le chiacchiere del villaggio, le proprie fantasticherie, lo avevano eccitato in modo irresistibile. Stavano davvero combattendo egregiamente laggiù. Quasi ogni giorno i giornali stampavano resoconti di vittorie decisive. Una notte, mentr'era a letto, il vento gli aveva portato il clangore della campana della chiesa: qualche entusiasta tirava freneticamente la corda per comunicare le aggrovigliate notizie di una grande battaglia. La voce della gente che si rallegrava nella notte lo aveva fatto rabbrividire in una prolungata estasi di eccitazione. Poi era sceso nella stanza della madre e le aveva parlato così: «Mamma, io vado ad arruolarmi.» «Henry, non fare lo stupido,» gli aveva risposto la madre, e si era coperta il viso con la trapunta. Per quella notte la cosa finì lì. Ma la mattina dopo egli si era recato in una città vicina alla fattoria della madre, e si era arruolato in una compagnia che vi si stava formando. Tornato a casa, aveva trovato la madre che mungeva la mucca pezzata. Altre quattro stavano aspettando. «Mamma, mi sono arruolato,» le aveva detto con voce esitante. Dopo un breve silenzio, la madre aveva finalmente risposto: «Sia fatta la volontà del Signore, Henry,» e aveva continuato a mungere la mucca pezzata. Quando s'era fermato sulla soglia, con addosso l'uniforme e negli occhi una luce di eccitazione e di speranza che quasi sconfiggeva l'ardore del rimpianto per i vincoli familiari, aveva veduto due lacrime solcare le guance scavate della madre. Eppure essa lo aveva deluso non dicendogli proprio niente circa un ritorno con lo scudo o sopra lo scudo. Segretamente si era preparato a una bella scena. Teneva pronte certe frasi che pensava di poter usare con effetti commoventi. Invece le parole materne gli avevano distrutto ogni piano. Senza smettere un'istante di pelare patate, la madre gli si era rivolta così: «Tu sta' attento, Henry, e abbi cura di te in questa faccenda; sta' attento, e abbi cura di te. Non metterti a pensare di suonarle subito a tutto l'esercito ribelle, perché è impossibile. Sei solo un poveraccio in mezzo a un mucchio di altri, e devi startene buono e fare quello che ti dicono. So come sei fatto, Henry. «Ti ho preparato otto paia di calze, Henry, e ti ho messo nel fagotto tutte le camicie migliori, perché voglio che il mio ragazzo sotto le armi stia caldo e comodo come gli altri. Quando avranno dei buchi, tu me le rimanderai subito, così te le rammendo. «E sii sempre prudente, e scegli bene i compagni. Nell'esercito, Henry, c'è un sacco di uomini cattivi. Le armi li fanno diventare come bestie e niente gli piace di più che rovinare un giovane come te, che non si è mai allontanato da casa e ha sempre avuto a fianco la madre; e gli imparano a bere e a bestemmiare. Sta' alla larga da quella gente, Henry. Non voglio, Henry, che tu faccia mai qualcosa che ti vergogneresti di farmi sapere. Fa' conto che io sia sempre lì a guardarti. Se non ti scorderai mai di questo, penso che te la caverai. «E devi anche ricordarti di tuo padre, ragazzo, ricordarti che non ha mai bevuto un goccio di liquore in vita sua, e che poche volte ha bestemmiato. «Non so che altro dirti, Henry, salvo che tu, non dovrai mai tirarti indietro pensando a me. Se viene il momento in cui dovessi essere ucciso o fare una brutta cosa, be', Henry, pensa soltanto a quello che è giusto, perché di questi tempi sono tante le donne che devono farsi coraggio davanti a cose come queste, e il Signore si prenderà cura di tutte noi.

3 «Non dimenticare, ragazzo, quello che t'ho detto per le calze e le camicie; nel fagotto ho messo anche un barattolo di marmellata di more, perché so che è la cosa che ti piace di più. Addio, Henry. Sta' attento, e fa' il bravo ragazzo.» Naturalmente, posto al cimento di questa orazione, egli si era spazientito. Non era stato affatto quel che si aspettava, e lo aveva sopportato con un'aria di irritazione. Se ne andò provando un vago senso di sollievo. Tuttavia, voltandosi a guardare indietro dal cancello, aveva veduto la madre in ginocchio fra le bucce di patate. Il viso bruno, levato al cielo, era bagnato di lacrime, e l'esile figura tremava. Curvò la testa e proseguì, vergognandosi improvvisamente dei suoi propositi. Da casa si era recato alla scuola per congedarsi da molti compagni. Gli si erano affollati intorno, stupiti e ammirati, e lui aveva sentito l'abisso che ora lo separava da loro, si era gonfiato di questo orgoglio. Insieme con qualche amico che pure aveva indossato la divisa blu era stato sommerso da cortesie per l'intero pomeriggio, ed era stata una cosa veramente deliziosa. Avevano passeggiato tronfi ed impettiti. Una ragazza bionda lo aveva preso vivacemente in giro per il suo spirito marziale; ma c'era un'altra ragazza, dai capelli più scuri, che egli aveva fissato a lungo, e che gli era parso diventasse contegnosa e mesta alla vista della sua divisa blu coi bottoni d'ottone. Scendendo per il sentiero tra le file di querce, aveva voltato la testa e l'aveva scoperta a una finestra, che osservava la sua partenza. Appena l'aveva scorta, quella si era subito messa a fissare il cielo fra gli alti rami degli alberi, e lui aveva notato parecchia agitazione e fretta in quel cambiare di posa. Ripensò spesso all'episodio. Durante il viaggio verso Washington il suo morale aveva spiccato il volo. Di stazione in stazione il reggimento veniva nutrito e vezzeggiato finché il giovane aveva finito per credere che egli doveva essere un eroe. C'era un prodigo profondere di pane, cibi freddi, caffè, sottaceti, formaggio. Mentre si crogiolava nei sorrisi delle ragazze e riceveva pacche sulle spalle e complimenti dai vecchi, aveva sentito crescersi dentro la forza di compiere grandi gesta d'armi. Dopo trasferimenti complicati, con molte soste, erano venuti mesi di vita monotona in un accampamento. Aveva creduto che la vera guerra fosse una serie di scontri mortali, con brevi intervalli per dormire e mangiare: invece, da quando il suo reggimento era entrato in linea, l'esercito poco aveva fatto se non starsene quieto e cercare di tenersi caldo. Egli fu allora gradualmente ricondotto alle sue antiche idee. Battaglie come nell'antica Grecia non ce ne sarebbero state più. Gli uomini erano diventati migliori o più pavidi. L'educazione laica e religiosa aveva cancellato l'istinto di afferrare alla gola, oppure il benessere teneva a freno le passioni. Era arrivato a considerarsi semplicemente una particella di una grande manifestazione in blu. La sua occupazione era di cercare, per quanto poteva, il proprio particolare benessere. Come svago poteva gingillarsi girando i pollici e meditare sui pensieri che dovevano agitare le menti dei generali. Ma faceva anche istruzione ed era passato in rivista: istruzione e riviste, e ancora riviste ed istruzione. Gli unici nemici che aveva veduti erano alcune sentinelle lungo la riva del fiume. Erano un'accolita di abbronzati, filosofici individui che talvolta sparavano con ponderazione alle sentinelle in divisa blu. Se rimproverati per ciò, esprimevano poi rammarico e giuravano sui loro dei che i colpi erano partiti senza il loro avallo. Una notte che era di guardia, il giovane conversò attraverso il fiume con uno di loro. Era un uomo con la divisa un po' logora, che sapeva sputare con abilità fra le proprie scarpe e possedeva una grande riserva di mite e infantile fiducia. Il giovane provò per lui una personale simpatia. «Yankee,» gli aveva comunicato l'altro «Sei proprio un bonaccione.» Tale sentimento, arrivando fino a lui per l'aria quieta, lo aveva fatto per un momento rammaricare della guerra. Parecchi veterani gli avevano raccontato delle storie. Alcuni parlavano di grigie orde dalle lunghe basette, che avanzavano imprecando senza posa e masticando tabacco con indicibile valore; masse tremende di fiere soldatesche, che tutto travolgevano come gli Unni. Altri parlavano di uomini cenciosi ed eternamente affamati che sparavano con polveri difettose. «Sono capaci di caricare attraverso il fuoco e lo zolfo dell'inferno per arraffare uno zaino, e a stomaci così non basta per molto,» gli dicevano. Da quelle storie, il giovane si immaginava ossa rosse, vive, che uscivano dagli strappi delle uniformi scolorite. Tuttavia non poteva prestare completamente fede ai racconti dei veterani, perché le reclute erano le loro vittime predestinate. Parlavano molto di fumo, fuoco, sangue, ma egli non sapeva dire quanto ci fosse di inventato. Continuavano a gridargli «Pivello!» e non c'era da fidarsi di loro. Comunque, ora si rendeva conto che non importava poi molto contro che razza di soldati stesse per combattere, dal momento che essi combattevano fatto che nessuno contestava. C'era un problema più serio e, sdraiato nella cuccetta, vi stava meditando. Cercava di provare matematicamente a se stesso che da una battaglia egli non sarebbe scappato. Prima di allora non si era mai sentito in dovere di affrontare con troppa serietà quel problema. In vita sua aveva dato certe cose per scontate, senza mai mettere in dubbio la sua fede nel successo finale, e poco preoccupandosi dei mezzi e delle vie. Ma ora si trovava di fronte a una cosa importante. Gli era di colpo venuto in mente che forse in battaglia avrebbe potuto scappare. Fu costretto a riconoscere che, per quanto riguardava la guerra, egli non sapeva nulla di se stesso. Qualche tempo prima avrebbe lasciato che tale problema aspettasse a lungo davanti alla porta della sua mente; ma ora si sentiva costretto a prestargli seria attenzione. Crebbe in lui un certo timor panico. Anticipando con la fantasia una battaglia, vide possibilità atroci. Contemplò le minacce in agguato nel futuro, e non riuscì a vedersi intrepidamente ritto in mezzo ad esse. Richiamò alla

4 mente le sue visioni di gloria con una spada spezzata in pugno, ma nell'ombra dell'incombente tumulto sospettò di esse come di immagini impossibili. Balzò dalla cuccetta e si mise a passeggiare nervosamente avanti e indietro. «Dio buono,» esclamò a voce alta, «che mi prende adesso?» Sentì che in quel frangente le sue regole di vita erano inutili. Tutto ciò che aveva appreso su se stesso non gli era di alcun profitto in quella circostanza. Egli era un'incognita. Vide che avrebbe dovuto far di nuovo esperimenti come al tempo della prima giovinezza. Doveva accumulare informazioni su se stesso, e intanto decise di restare bene in guardia perché quelle. sue qualità di cui non sapeva niente non lo disonorassero per l'eternità. «Dio buono!» ripeté sgomento. Dopo un po', destreggiandosi attraverso la complicata apertura, entrò il soldato alto. Lo seguiva quello dalla voce sonora. Litigavano. «E va bene,» disse il soldato alto entrando, e agitava la mano con gesto espressivo. «Puoi credermi o no, come ti pare. Non hai da far altro che metterti a sedere e aspettare in santa pace. Scoprirai ben presto che avevo ragione.» Il suo compagno borbottava ostinato. Per un momento parve essere alla ricerca di una risposta formidabile, e alla fine disse: «Be', mica sarà che tu sai ogni cosa, no?» «Io non ho detto che so ogni cosa,» replicò l'altro seccamente. E si mise a stipare per benino vari oggetti nello zaino. Il giovane, interrompendo il suo nervoso passeggiare, abbassò lo sguardo sulla figura affaccendata. «Allora, Jim, ci sarà una battaglia, eh?» domandò. «Sicuro che ci sarà,» rispose il soldato alto. «Sicuro. Aspetta soltanto fino a domani, e vedrai una delle più grandi battaglie che ci siano mai state. Aspetta, e vedrai.» «Caspita!» disse il giovane. «Stavolta, ragazzo mio, lo vedrai un combattimento! Un combattimento coi fiocchi!» soggiunse il soldato alto, con l'aria di uno che stia presentando una battaglia a beneficio degli amici. «Bum!» esclamò da un angolo quello dalla voce sonora. «Be',» osservò il giovane, «C'è anche caso che questa storia vada a finire come le altre.» «Nossignore,» rispose con irritazione il soldato alto. «Neanche per sogno. La cavalleria non è partita tutta stamane?» Girò intorno uno sguardo torvo; nessuno smentì la sua affermazione. «La cavalleria è partita stamane,» continuò. «Dicono che in tutto l'accampamento non sia rimasto un cavalleggero. Vanno a Richmond, o in qualche altro posto, mentre noi combattiamo tutti i ribelli. Deve essere una mossa del genere. Anche il nostro reggimento ha ricevuto ordini. Me l'ha detto poco fa uno che li ha visti andare al quartier generale. E nell'accampamento sta succedendo il finimondo! Questo può vederlo chiunque.» «Balle!» disse quello dalla voce sonora. Il giovane rimase per un po' in silenzio; alla fine si rivolse al soldato alto: «Jim!» «Che c'è?» «Come credi che si comporterà il reggimento?» «Oh, si batteranno bene, penso, una volta che ci son dentro,» rispose l'altro con giudizio spassionato. Faceva un uso elegante della terza persona. «Certo, li hanno presi in giro un bel po', perché sono dei novellini e via dicendo; ma si batteranno bene, penso.» «Credi che qualcuno scapperà?» insistette il giovane. «Può darsi che qualcuno scappi, ma di quella razza ce n'è in ogni reggimento, specialmente quando vanno sotto il fuoco per la prima volta,» disse l'altro con tono tollerante. «Naturalmente può succedere che tutto il branco si metta a scappare, armi e bagagli, se si comincia subito con una battaglia grossa, ma poi può darsi che si fermino e si battano che è un piacere. Però non si può scommettere su niente. Certo, finora questi non sono mai stati sotto il fuoco, e non è probabile che le suonino a tutto l'esercito ribelle al primo assalto; ma penso che combatteranno meglio di certi, anche se peggio di altri. Io la vedo così. Chiamano il reggimento Pivelli e via dicendo; ma i ragazzi vengono di legno buono, e la maggior parte di loro combatteranno come dannati, una volta che si mettono a sparare,» concluse, pronunciando con forte enfasi le ultime parole. «Sì, tu ti credi di sapere...» ricominciò con tono di scherno il soldato dalla voce sonora. L'altro gli si rivoltò furibondo, ed ebbero un rapido alterco nel quale si affibbiarono a vicenda vari epiteti curiosi. Alla fine il giovane li interruppe per domandare: «Jim, hai mai pensato che potresti scappare anche tu?» e terminando la frase rise, come se avesse inteso dire una battuta. Anche il soldato dalla voce sonora ridacchiò. Quello alto agitò una mano. «Be',» disse con aria profonda «Ho pensato che in qualche scontro la faccenda potrebbe diventare troppo calda per Jim Conklin, e se un bel po' di compagni si mette a scappare, be', penso che mi metterei a scappare anch'io. E una volta presa la corsa, correrei come il vento, questo è sicuro. Ma se ognuno resta al suo posto e combatte, diamine, anch'io farei lo stesso. Perdiana, se non farei così! Sono pronto a scommetterci.» «Bum!» fece il soldato dalla voce sonora. Il giovane che è il protagonista di questo racconto provò gratitudine per quelle parole del compagno. Aveva temuto che gli uomini non ancora messi alla prova possedessero tutti una grande, naturale fiducia in se stessi. Ora era in certa misura rassicurato. II

5 La mattina dopo il giovane scoprì che il compagno alto era stato l'alato messaggero di una falsa notizia. Questi fu preso molto in giro da quelli che il giorno prima erano stati saldi seguaci delle sue teorie, e subì anche qualche motteggio da parte di compagni che non avevano mai creduto a quella voce. Infine venne alle mani con uno di Chatsfield Corners e lo picchiò ben bene. Il giovane, tuttavia, sentiva di non essere stato affatto sollevato del suo problema; anzi, la sua soluzione subiva un fastidioso rinvio. La falsa notizia aveva creato in lui un gran turbamento nei confronti di se stesso. Ed ora, col nuovo interrogativo nell'animo, era costretto a riaffondare nella vecchia situazione di semplice particella di una manifestazione in blu. Per giorni fece incessanti calcoli, ma tutti risultarono stranamente insoddisfacenti. Scoprì che non poteva stabilire niente. Alla fine concluse che l'unico modo di saggiare se stesso era di entrare nel rogo, e poi, metaforicamente, osservarsi le gambe per scoprirne pregi e difetti. Riconobbe con riluttanza che non poteva starsene tranquillamente seduto, a ricavare con un'immaginaria matita e lavagna una risposta. Per ottenere la risposta, gli servivano fuoco, sangue e pericolo, proprio come un farmacista ha bisogno di questo e quell'ingrediente. Così, si consumava nell'attesa di un'occasione. Frattanto cercava continuamente di misurare se stesso alla stregua dei commilitoni. Il soldato alto, per esempio, gli dava una certa sicurezza. La serena noncuranza di quell'uomo gli ispirava un senso di fiducia: lo conosceva sin dall'infanzia, e da quell'intima conoscenza non riusciva a vedere come potesse essere capace di qualcosa di cui non fosse capace anche lui. Tuttavia pensò che il compagno potesse sbagliarsi sul proprio conto; o che, d'altro canto, condannato fino allora alla pace e all'oscurità, potesse essere in realtà un uomo fatto per splendere in guerra. Al giovane sarebbe piaciuto scoprire un altro che come lui avesse dei dubbi circa se stesso. Un cordiale confronto delle caratteristiche mentali lo avrebbe reso felice. Di quando in quando cercava di sondare, con frasi allettanti, qualche commilitone. Si guardava intorno cercando uomini che fossero nell'umore adatto. Fallì ogni suo tentativo di farli uscire in un'affermazione che in qualche modo somigliasse a una confessione di quei dubbi che egli segretamente riconosceva in se stesso. Aveva paura di dichiarare apertamente ciò che lo crucciava, perché temeva di elevare qualche confidente privo di scrupoli al rango superiore di chi non ha confessato, e quindi esserne deriso. Riguardo ai compagni, la sua mente oscillava, secondo lo stato d'animo, fra due opinioni. Talvolta era incline a crederli tutti eroi. Anzi, di solito, negli altri ammetteva segretamente un superiore sviluppo delle più alte qualità. Poteva concepire che uomini che andavano per il mondo senza farsi notare, portassero nascosta una carica di coraggio e, sebbene conoscesse molti dei commilitoni sin dalla fanciullezza, cominciò a temere che il suo giudizio su di loro fosse stato ottuso. Ma in altri momenti respingeva con disprezzo tali teorie e si sentiva sicuro che nel loro intimo tutti i suoi compagni erano perplessi e vacillanti. I suoi turbamenti facevano sì che egli si trovasse a disagio in presenza di uomini che parlavano eccitati di una futura battaglia come di un dramma al quale avrebbero assistito, rivelando in volto nient'altro che impazienza e curiosità. Spesso sospettò che mentissero. Non formulava tali pensieri senza condannare severamente se stesso. A volte tuonava rimproveri e si accusava di molti vergognosi crimini contro di dèi delle tradizioni. Nella sua grande inquietudine il cuore vociferava continuamente contro quella che egli considerava l'intollerabile lentezza dei generali. Parevano contenti di starsene tranquillamente appollaiati sulla riva del fiume e di lasciarlo curvo sotto il peso di un grande problema. Un problema che egli voleva risolto al più presto. Non poteva sopportare più a lungo un simile peso, si diceva. Talvolta la sua ira verso i comandanti raggiungeva una fase acuta, e allora andava mugugnando per l'accampamento come un veterano. Ma una mattina si trovò inquadrato nelle righe del reggimento in assetto. Gli uomini bisbigliavano congetture e ripetevano le vecchie voci. Nell'oscurità che precede lo spuntar del giorno, le uniformi brillavano di un porpora intenso. Da oltre il fiume scrutavano ancora i rossi occhi dei fuochi. Nel cielo a oriente c'era una macchia gialla, come un tappeto steso per i piedi del sole veniente; e sullo sfondo di essa, si profilava nera e ben rilevata la gigantesca figura del colonnello in groppa a un gigantesco cavallo. Nell'oscurità, giungeva da lontano un calpestio di passi. Il giovane riusciva di quando in quando a vedere ombre scure che si muovevano come mostri. Il reggimento restò sul riposo per un tempo che parve lunghissimo. Il giovane diventò impaziente. Era insopportabile il modo con cui venivano trattate queste cose. Si domandò per quanto tempo ancora sarebbero stati tenuti in attesa. Mentre si guardava tutto intorno meditando sulla misteriosa oscurità, cominciò a credere che da un momento all'altro l'inquietante lontananza avrebbe potuto fiammeggiare, e al suo orecchio giungere lo strepito rimbombante di un'azione. A un tratto, fissando i rossi occhi di là del fiume, gli parve che si facessero più grandi, come le orbite di una schiera di draghi avanzanti. Voltandosi verso il colonnello, lo vide alzare un braccio gigantesco e lisciarsi con calma i baffi. Finalmente dalla strada ai piedi del colle gli giunse lo scalpitio di un cavallo al galoppo. Dovevano esserci ordini in arrivo. Si piegò in avanti, trattenendo il respiro. L'eccitante clic-clac, facendosi sempre più forte, era come se gli battesse sull'anima. Ed ecco, con tintinnio di speroni e sciabola, un ufficiale a cavallo tirare le briglie davanti al colonnello. I due ebbero un breve colloquio, fatto di parole taglienti; i soldati delle prime righe allungarono il collo.

6 L'ufficiale, girò il cavallo e, galoppando via, si volse per gridare sopra le spalle: «Non dimentichi quella scatola di sigari.» Il colonnello borbottò qualcosa in risposta. Il giovane si domandò che ci avesse a fare con la guerra una scatola di sigari. Un momento dopo, il reggimento si immergeva ondulando nell'oscurità. Ora pareva uno di quei mostri che camminano con molti piedi. L'aria era greve, e fredda per la rugiada. Una massa di erba umida, calpestata, frusciava come seta. A tratti un lampo, uno scintillio d'acciaio appariva sulle schiene di tutti quegli enormi rettili che avanzavano strisciando. Dalla strada giungevano cigolii e brontolii: trainavano via alcuni arcigni cannoni. Gli uomini avanzavano inciampando di continuo, e ancora bisbigliavano congetture. C'era un dibattito sommesso. A un tratto un uomo cadde e, mentre stendeva il braccio per afferrare il fucile, un compagno che non l'aveva visto gli pestò la mano. Quello dalle dita contuse bestemmiò invelenito a voce alta. Un ridacchiare represso serpeggiò fra i compagni. Presto imboccarono una strada e procedettero con passo spedito. Davanti a loro si muoveva uno scuro reggimento, e anche da dietro giungeva il tintinnio di armi su corpi di uomini in marcia. L'irrompente giallo del giorno che avanzava crebbe alle loro spalle. Quando alla fine i raggi del sole colpirono la terra con pastosa pienezza, il giovane vide che il paesaggio era striato da due lunghe e sottili colonne nere che sparivano sul ciglio di un colle di fronte, mentre le retroguardie si perdevano in un bosco. Erano come due serpenti che strisciassero fuori dalla caverna della notte. Il fiume non si vedeva. Il soldato alto proruppe in elogi di quelle che egli riteneva le sue brillanti capacità di intuito. Alcuni suoi compagni gridarono con enfasi che anche loro avevano elaborato la stessa idea, e se ne felicitarono con se stessi. Ma altri dicevano che il piano del soldato alto non era affatto quello vero, e si ostinavano con altre teorie. Ci fu un'animata discussione. Il giovane non vi prese parte. Procedeva incurante del proprio allineamento, impegnato com'era nel suo eterno dibattito. Non poteva trattenersi dall'indugiare sulla questione. Era depresso e di umore tetro; gettava all'intorno occhiate fuggevoli. Guardava avanti, spesso aspettandosi di udire dai reparti di testa un crepitio di fucileria. Ma i lunghi serpenti strisciavano lentamente da una collina all'altra senza eruzioni di fumo. Una nuvola grigiastra di polvere si sperse fluttuando sulla destra. In alto il cielo era di un azzurro fatato. Il giovane studiava le facce dei compagni, sempre all'erta per scoprire emozioni affini alle sue. Fu deluso. Un certo ardore che era nell'aria e faceva sì che i reparti dei veterani si muovessero con allegria, quasi cantando, aveva contagiato il nuovo reggimento. Gli uomini cominciavano a parlare di vittoria come di cosa a loro nota. Cosi, anche il soldato alto ebbe la sua rivincita. Stavano di sicuro facendo una manovra aggirante per prendere il nemico alle spalle. Espressero commiserazione per quella parte dell'esercito che era stata lasciata sulla riva del fiume, si congratularono di appartenere alle schiere d'assalto. Il giovane, considerandosi come separato dagli altri, era rattristato dai discorsi sereni ed allegri che passavano da una riga all'altra. Tutti i burloni della compagnia si esibirono al meglio delle loro capacità. Il reggimento marciava a tempo di risate. Più di una volta il soldato chiassone travolse in accessi di risa intere file, coi suoi mordaci sarcasmi diretti al soldato alto. E prima di non molto sembrò che tutti avessero dimenticato la loro missione. Intere brigate sogghignavano all'unisono, ridevano reggimenti. Un soldato grassoccio tentò di portarsi via un cavallo dall'ingresso di un cortile; faceva conto di caricarci sopra lo zaino. Stava svignandosela con la preda quando dalla casa si precipitò fuori una ragazzetta che afferrò la bestia per la criniera. Seguì una colluttazione. La ragazza, con le guance rosse e gli occhi scintillanti, si erse intrepida e statuaria. Il reggimento, che assisteva alla scena fermo sulla strada per un riposo, schiamazzò subito parteggiando con tutta l'anima per la fanciulla. Gli uomini si accalorarono a tal segno da dimenticare completamente la loro grande guerra. Sbeffeggiarono il piratesco soldato, richiamando l'attenzione su vari difetti del suo aspetto fisico, e spiegarono un frenetico entusiasmo a sostegno della ragazza. Da qualche distanza le giunse un audace consiglio: «Prendilo a bastonate.» Quando il soldato si ritirò senza il cavallo, piovvero su di lui fischi e versacci. Il reggimento esultò per la sua sconfitta. Congratulazioni chiassose e rumoreggianti piovvero invece sulla fanciulla che, ritta e ansante, guardava le truppe con aria di sfida. Al crepuscolo la colonna si frantumò in unità reggimentali, e quei frammenti si sparsero nei campi per accamparsi. Le tende spuntarono come strane piante. I fuochi punteggiarono la notte come bizzarri fiori rossi. Per quanto glielo permettevano le circostanze il giovane si tenne lontano dal contatto con i compagni. A sera, fece qualche passo nelle tenebre. Da breve distanza, tutti quei fuochi, con le nere figure di uomini che passavano su e giù davanti ai loro rossi bagliori, producevano effetti arcani, satanici. Si sdraiò nell'erba; i fili gli premevano teneramente contro la guancia. La luna era stata accesa, e pendeva dalla cima d'un albero. Lo avvolse il liquido silenzio della notte e gli fece sentire una profonda pietà per se stesso. C'era una carezza nell'aria dolce e la disposizione dell'oscurità, pensò, era tutta di simpatia per lui e la sua angoscia. Con tutto il cuore desiderò di essere di nuovo a casa, di fare quegli interminabili giri dalla casa al granaio, dal granaio ai campi, dai campi al granaio, dal granaio alla casa. Ricordò di avere spesso maledetto la mucca pezzata e le sue compagne, di avere a volte scagliato via gli sgabelli per la mungitura. Ma ora, dal suo nuovo punto di vista, un alone di felicità circondava ognuna di quelle teste, e avrebbe sacrificato tutti i bottoni lucenti del continente per poter

7 tornare da esse. Si disse che non era fatto per diventare soldato. E meditò seriamente sulle profonde differenze fra lui e quegli uomini che saltellavano come folletti intorno ai fuochi. Mentre meditava così, udì frusciare l'erba. Voltò la testa e scorse il soldato dalla voce sonora. Lo chiamò: «Ehi, Wilson!» L'altro si avvicinò e abbassò lo sguardo: «Salve, Henry, sei tu? Che fai qui?» «Sto pensando,» rispose il giovane. L'altro si sedette e accese con cura la pipa: «Sei un po' giù, ragazzo mio. Hai l'aria di chi ha preso una batosta! Che diavolo hai?» «Niente,» rispose il giovane. Il soldato dalla voce sonora si lanciò allora nel tema della prevista battaglia: «Questa volta li abbiamo incastrati!» Mentre parlava, il suo volto da ragazzo si inghirlandò di un sorriso giulivo, e la voce aveva un timbro esultante. «Li abbiamo incastrati. Finalmente, per mille fulmini, gliele suoneremo di santa ragione!» «Se si sapesse la verità,» proseguì con tono più calmo, «finora sono stati loro a suonarle a noi quasi ogni volta; ma stavolta.., stavolta saremo noi a suonargliele ben bene.» «M'era parso che poco fa tu protestassi contro questa marcia,» osservò freddamente il giovane. «Oh, non è questo,» spiegò l'altro. «A me non rincresce marciare, se alla fine si tratta di combattere. Ciò che non mi va è questo doversi spostare ora qua ora là, senz'altro risultato, a quel che posso vedere, che piaghe ai piedi e razioni maledettamente ridotte.» «Be', Jim Conklin dice che stavolta di combattere ne avremo a sfamo.» «Per una volta tanto mi sa che ha ragione, anche se non riesco a vedere come è successo. Stavolta ci siamo; sarà una grande battaglia e abbiamo preso la cosa dalla parte giusta, questo è sicuro. Dio buono, come li conceremo!» Si alzò e si mise a passeggiare avanti e indietro tutto eccitato. Il fremito dell'entusiasmo lo faceva camminare con passo elastico. Era allegro, vigoroso, infiammato dalla fiducia nel successo. Guardava nel futuro con occhi limpidi, orgogliosi, imprecava con l'aria di un vecchio soldato. Il giovane lo guardò per un momento in silenzio. Quando finalmente parlò, la sua voce fu amara come la feccia: «Tu farai certo grandi cose, immagino!» Il soldato dalla voce sonora sbuffò dalla pipa una meditabonda nube di fumo. «Oh, non lo so,» osservò con dignità; «non lo so. Suppongo che non farò peggio degli altri. Ci darò dentro come un demonio.» Evidentemente si complimentava con se stesso per la modestia di tale affermazione. «Come fai a sapere che non scapperai, quando viene il momento?» domandò il giovane. «Scappare?» ripeté l'altro, «scappare? oh, no di certo!» e rise. «Be',» continuò il giovane, «un sacco di uomini in gamba pensavano di fare grandi cose prima della battaglia, e poi quando è venuto il momento se la sono squagliata.» «Questo è vero, credo,» rispose l'altro; «ma io non me la squaglierò. Chi punta sulla mia fuga perderà il suo denaro, ecco tutto.» E asseverò le sue parole con un cenno del capo. «Balle! Non sarai mica l'uomo più coraggioso del mondo?!» disse il giovane. «No, non lo sono,» proruppe indignato l'altro, «e non l'ho neanche mai detto di essere l'uomo più coraggioso del mondo. Ho detto che farò la mia parte in battaglia, ecco che cosa ho detto. E la farò. E poi, tu chi sei? Parli come se credessi di essere Napoleone Bonaparte.» Squadrò per un momento il giovane con occhio torvo, poi s'allontanò a grandi passi. Il giovane chiamò il compagno con voce impetuosa: «Be', non c'è bisogno di prendersela tanto!» Ma l'altro continuò per la sua strada senza rispondere. Scomparso l'offeso compagno, il giovane si senti solo nello spazio. Il non essere riuscito a scoprire una pur minima somiglianza fra i loro punti di vista lo rendeva ancor più infelice di prima. Gli pareva che nessuno lottasse con un problema personale così tremendo. Si sentiva un reietto. Tornò lentamente nella sua tenda e si stese su una coperta, a fianco del soldato alto che russava. Nell'oscurità ebbe visioni di una paura dalle mille lingue che gli borbottava alle spalle e lo costringeva a fuggire mentre altri badavano tranquillamente agli interessi del loro paese. Riconobbe che non sarebbe stato capace di tener testa a quel mostro. Sentiva che ogni nervo del suo corpo sarebbe diventato un orecchio per ascoltare quelle voci, mentre altri uomini sarebbero rimasti imperturbabili e sordi. Mentre sudava per l'angoscia di quei pensieri, udiva frasi sommesse e serene. «Punto cinque.» «Facciamo sei.» «Sette.» «A sette ci sto.» Fissò il riflesso rosso e palpitante di un fuoco sul bianco telo della tenda, finché, esausto e infelice per la monotonia della sua sofferenza, si addormentò. III Quando sopravvenne un'altra notte, le colonne, trasformate in strisce purpuree, sfilarono su due ponti di barche. Un fuoco abbagliante tingeva color vino le acque del fiume. I suoi raggi, splendendo sulle masse di truppa in

8 movimento, producevano improvvisi scintillii d'argento o d'oro. Sull'altra riva si incurvava contro il cielo una scura e misteriosa catena di colline. Le voci degli insetti notturni cantavano solennemente. Dopo aver traversato il fiume, il giovane si convinse che da un momento all'altro potevano subire un improvviso e tremendo assalto dalle latebre dei boschi digradanti. Tenne lo sguardo ben vigile verso l'oscurità. Ma il suo reggimento arrivò senza ricevere molestie a un luogo per accamparsi, e i soldati dormirono il sonno gagliardo degli uomini esausti. Al mattino presto furono strappati al sonno con energia, e sospinti per una strada stretta che si addentrava nella foresta. Proprio durante quella rapida marcia il reggimento perdette molte delle caratteristiche del reparto di nuova formazione. Gli uomini avevano cominciato a fare il conto delle miglia sulle dita, e a sentire la stanchezza. «Piaghe ai piedi, razioni maledettamente ridotte, e basta,» diceva il soldato dalla voce sonora. I corpi sudavano, la colonna brontolava. Dopo qualche tempo cominciarono a disfarsi dello zaino. Alcuni lo gettarono senza scrupolo per terra; altri lo nascosero con cura, attestando l'intenzione di venirselo a riprendere con comodo. Gli uomini si liberavano delle pesanti camicie. Presto furono pochi quelli che portavano qualcosa in più degli indumenti necessari, coperte, tascapane, borraccia, armi e munizioni. «Ora puoi mangiare e sparare» disse il soldato alto al giovane. «Non c'è altro da fare.» Rapido fu il passaggio dalla fanteria pesante della teoria alla fanteria leggera e celere della realtà. Il reggimento, alleviato di un fardello, acquistò un nuovo slancio. Ma ci fu una gran perdita di preziosi zaini e, tutto sommato, di ottime camicie. Tuttavia il reggimento non aveva ancora un aspetto veterano. I reggimenti di veterani erano per lo più unità molto esigue. Una volta, quando il reparto era appena giunto al fronte, alcuni veterani che bighellonavano lì intorno, notata la lunghezza della colonna, domandarono ai nuovi arrivati: «Ehi, compagni, che brigata è la vostra?» E quando quelli risposero che essi formavano soltanto un reggimento, non già una brigata, i soldati anziani si erano messi a ridere, esclamando: «Dio buono!» I cappelli, poi, erano troppo simili l'uno all'altro: i cappelli di un reggimento, invece, dovrebbero propriamente rappresentare la storia del copricapo nel corso degli anni. Inoltre, non c'erano testimonianze in lettere di oro sbiadito sulle bandiere. Queste erano belle nuove, e l'alfiere ne ungeva regolarmente l'asta. L'esercito si accampò di nuovo, ed ebbe tempo di pensare. I soldati avevano nelle narici l'odore dei placidi pini. Per la foresta risuonavano monotoni colpi d'ascia, e gli insetti, sonnecchiando sui loro sostegni, cantilenavano come vecchie. Il giovane tornò alla sua teoria di una manifestazione in blu. Ma, in un'alba grigia, lo svegliò con un calcio nella gamba il soldato alto, e ancor prima di essere del tutto desto, si trovò a correre giù per una strada di bosco, in mezzo a uomini che ansavano per i primi effetti della corsa. La borraccia gli batteva ritmicamente sulla coscia, il tascapane sobbalzava lieve. A ogni passo il moschetto gli rimbalzava un tantino dalla spalla, facendogli sentire precariamente in testa il berretto. Udiva gli uomini bisbigliare frasi smozzicate: «Ehi, che diamine succede?» «Accidenti, perché scappiamo a questo modo?» «Billie, attento ai miei piedi. Corri come una vacca.» E si fece udire anche il soldato dalla voce sonora: «Ma perché diavolo hanno tanta fretta?» Il giovane pensò che la nebbia umida del primo mattino esalasse dall'impetuoso spostarsi di una gran massa di truppe. Improvvisamente arrivò da lontano un crepitio di fucileria. Ne fu sbalordito. Mentre correva coi compagni fece ogni sforzo per pensare, ma l'unica cosa che sapeva era che, se fosse caduto, quelli che venivano dietro lo avrebbero calpestato. Sembrava che tutte le sue facoltà fossero necessarie per guidarlo al di là degli ostacoli. Si sentiva trascinato da una folla tumultuante. Il sole diffuse raggi rivelatori e, ad uno ad uno, si offrirono alla vista i reggimenti, come guerrieri appena generati dalla terra. Il giovane si rese conto che il grande momento era arrivato. Stava per essere messo alla prova. Per un attimo, di fronte al grande cimento, si sentì come un bimbo, e gli parve molto sottile la carne che gli copriva il cuore. Colse il momento per guardarsi intorno e calcolare le possibilità. Vide subito che gli sarebbe stato impossibile fuggire dal reggimento. Questo lo racchiudeva. E dai quattro lati c'erano le ferree norme della tradizione e della legge. Si trovava in una scatola semovente. Quando si rese conto di quella realtà di fatto, gli venne in mente di non aver mai desiderato di andare in guerra. Non si era arruolato di suo libero volere. Era stato trascinato dallo spietato governo, e ora lo conducevano al macello. Il reggimento scivolò giù per un argine e attraversò sguazzando un piccolo corso d'acqua. La lugubre corrente si muoveva lenta, e dall'acqua, ombrata di nero, occhi di bolle bianche guardavano gli uomini. Mentre risalivano la collina, sull'altro fianco cominciò a tuonare l'artiglieria. A questo punto il giovane scordò molte cose, provando un improvviso impulso di curiosità. S'inerpicò su per l'argine con una sveltezza quale non avrebbe potuto avere un uomo assetato di sangue. Si aspettava una scena di battaglia. C'erano dei campicelli cinti strettamente da una foresta. Sparsi nell'erba e fra i tronchi d'albero, vide gruppi e linee ondeggianti di esploratori, che correvano qua e là sparando al paesaggio. Su una radura che, colpita dal sole, brillava di colore arancione si stendeva scura una linea di battaglia. Una bandiera sventolava. Altri reggimenti s'inerpicarono faticosamente su per l'argine. La brigata era disposta in linea di battaglia e, dopo una sosta, avanzò lentamente nei boschi, alle spalle degli esploratori che, ritraendosi, si confondevano continuamente con lo scenario per riapparire subito più in là. Erano instancabili come api e intensamente assorti nelle loro piccole schermaglie.

9 Il giovane cercò di osservare ogni cosa. Non si curava di schivare alberi e rami, e i suoi piedi, dimenticati, urtavano di continuo contro i sassi o s'impigliavano nei rovi. Si rendeva conto che quei battaglioni, con il loro agitarsi, formavano un ordito rosso e sorprendente nel delicato tessuto di morbidi bruni e verdi. Era il posto sbagliato per un campo di battaglia. L'avanzare degli esploratori lo affascinava. Il loro sparare dentro boschetti e contro alberi lontani e bene in vista gli parlava di tragedie: nascoste, misteriose, solenni. A un certo punto la linea incontrò il corpo di un soldato morto. Giaceva supino, fissando il cielo. Portava goffamente una divisa di un bruno giallastro. Il giovane notò che le logore suole delle scarpe avevano la sottigliezza della carta da lettere e che da un grande squarcio in una di esse miseramente sporgeva il piede morto. Era come se il destino avesse tradito quel soldato: nella morte palesava ai nemici quella povertà che da vivo aveva forse nascosto agli amici. Le file si scostarono furtivamente per evitare il cadavere. L'invulnerabile morto si apriva una strada. Il giovane guardò intensamente quel volto cinereo. Il vento sollevò la barba fulva, che si mosse come se una mano la lisciasse. Il giovane desiderò vagamente di continuare a girare intorno a quel corpo fissandolo; provava l'impulso dei vivi a cercar di leggere negli occhi dei morti la risposta alla Grande Domanda. Durante la marcia lo slancio acquistato dal giovane mentre non era ancora in vista del campo si spense rapidamente. La sua curiosità era stata facilmente soddisfatta. Se, arrivando in cima all'argine, l'avesse afferrato con impeto selvaggio una scena intensa, sarebbe stato capace di slanciarsi con foga. Invece quell'avanzata sulla Natura era calma, troppo. Ebbe modo di riflettere. Ebbe il tempo per meravigliarsi di se stesso e tentare di sondare le sue sensazioni. Idee assurde si impossessarono di lui. Pensò di non gustare il paesaggio: esso lo minacciava. Un senso di freddo gli percorse la schiena e si sentiva i calzoni come se non fossero della sua misura. Una casa che sorgeva pacifica in campi lontani acquistò per lui un aspetto sinistro. Le ombre dei boschi erano spaventose. Era sicuro che in quel panorama si appiattavano milizie dagli sguardi feroci. Gli venne rapido il pensiero che i generali non sapevano che cosa si facessero. Era tutto un tranello. Ad un tratto quelle spesse foreste sarebbero diventate irte di canne di fucile. Alle spalle sarebbero apparse ferree brigate che li avrebbero sacrificati tutti. I generali erano stupidi. Il nemico avrebbe presto ingoiato l'intero reparto. Si guardò intorno con occhi torvi, aspettandosi di veder avvicinarsi furtiva la sua morte. Pensò che doveva uscire dalle file e arringare i compagni. Non dovevano finire tutti ammazzati come porci: ciò che, ne era sicuro, sarebbe accaduto se non fossero stati informati di quei pericoli. I generali erano degli idioti a mandarli a marciare dentro un vero e proprio mattatoio. In tutto il reparto non c'era che un paio d'occhi. Si sarebbe fatto avanti e avrebbe tenuto un discorso. Gli vennero alle labbra parole aspre e appassionate. La linea, rotta dal terreno in mobili frammenti, proseguì la sua calma avanzata per campi e boschi. Il giovane guardò gli uomini più vicini a lui e vide, nei più, espressioni di intenso interesse, come se indagassero su qualcosa che li aveva affascinati. Uno o due marciavano dandosi arie di prodi, come se fossero già stati tuffati nella guerra. Altri pareva che camminassero su ghiaccio sottile. La maggior parte degli uomini non ancora messi alla prova appariva quieta e assorta. Andavano a dare un'occhiata alla guerra: la bestia rossa, la dea gonfia di sangue. Ed erano profondamente concentrati in quella marcia. Guardandoli, il giovane ricacciò in gola il suo grido. Vide che sebbene barcollassero per la paura, quegli uomini avrebbero riso del suo avvertimento. Lo avrebbero schernito e, se possibile, colpito con proiettili. E quand'anche si sbagliasse in tale previsione, una frenetica arringa del tipo che aveva in mente lo avrebbe ridotto a un verme. Allora assunse il contegno di uno che sa di essere, lui solo, condannato a responsabilità non scritte. Rimase indietro, lanciando tragiche occhiate al cielo. E così fu sorpreso, poco dopo, dal giovane tenente della sua compagnia, che si mise a percuoterlo cordialmente con la sciabola, gridandogli con voce forte e insolente: «Avanti, giovanotto, rientra nelle file. Qui non serve tirarsi indietro.» Il giovane affrettò il passo con la dovuta sollecitudine, e odiò il tenente che non sapeva apprezzare una mente sottile. Era semplicemente un bruto. Dopo un po' la brigata fece tappa nella luce chiesastica di una foresta. Gli alacri esploratori sparacchiavano ancora. Attraverso le navate della foresta si scorgeva il fumo fluttuante dai loro fucili. A volte saliva in piccoli gomitoli compatti e bianchi. Durante quella sosta molti uomini del reggimento cominciarono a erigere davanti a sé minuscoli ripari. Si servivano di pietre, pezzi di legno, terra, e di ogni cosa che, a loro parere, potesse deviare una pallottola. Alcuni ne costruivano di relativamente grandi, mentre altri parevano contentarsi di piccoli. Tale attività suscitò una discussione fra i soldati. Alcuni volevano combattere come duellanti, ritenendo corretto lo stare in piedi e offrire bersaglio dai piedi alla fronte. Dicevano di spregiare gli accorgimenti dei guardinghi. Ma gli altri li schernivano a loro volta, additando i veterani che sulle ali scavavano il terreno come cani terrier. In breve sorse una specie di trinceramento lungo il fronte dei reggimenti, ma subito dopo ricevettero l'ordine di ritirarsi da quel luogo. Ciò sbalordì il giovane. Dimenticò la sua agitazione per il movimento di avanzata. «Ma perché ci hanno fatto marciare sin qui?» domandò al soldato alto, e quello con fede tranquilla cominciò una noiosa spiegazione, benché costretto ad abbandonare una piccola protezione di pietre e fango alla quale aveva dedicato molta cura e perizia.

10 Quando il reggimento si allineò su un'altra posizione, la sollecitudine di ogni uomo per la propria incolumità fece sorgere un'altra linea di piccoli trinceramenti. Consumarono il pasto di mezzogiorno dietro una terza linea. Ma furono spostati anche da quella. Dovettero marciare di luogo in luogo senza uno scopo palese. Al giovane avevano insegnato che in battaglia un uomo diventa un'altra cosa, e in tale mutamento vide la sua salvezza. Quell'attesa era quindi una dura prova per lui: lo teneva in un'impazienza febbrile. Giudicò che essa denotava la mancanza di un piano nei generali e cominciò a lagnarsene col soldato alto. «Io non resisto più,» gridò. «Non vedo l'utile di fiaccarci le gambe per nulla.» Voleva tornare all'accampamento, sapendo che quella faccenda era una semplice manifestazione in blu; oppure andare in battaglia e scoprire che era stato uno sciocco a dubitare, mentre in realtà era dotato del coraggio che esige la tradizione. La tensione nervosa in quelle circostanze gli diventava intollerabile. Il filosofico soldato alto, con gallette e carne di maiale si dosò un panino e lo ingurgitò con noncuranza. «Abbiamo da compiere delle ricognizioni nella zona, penso, tanto per impedirgli di farsi troppo sotto, o per invitarli a scoprirsi, o che so io.» «Bum!» fece il soldato dalla voce sonora. «Be',» gridò il giovane, sempre eccitato. «Farei qualsiasi altra cosa piuttosto che scarpinare per la campagna tutto il giorno, senza far del bene a nessuno e solo straccandoci.» «E io lo stesso,» disse il soldato dalla voce sonora. «Non è giusto. Io vi dico che se questo esercito lo comandasse qualcuno con un po' di giudizio...» «Sta' zitto, scemo!» ruggì il soldato alto. «Sei un rompiscatole della malora. Non sono sei mesi che porti codesta divisa, e parli come se...» «Comunque, ci ho voglia di combattere un po',» lo interruppe l'altro. «Non sono venuto qui per andare a spasso. Potevo farlo a casa, tutto intorno al granaio, se proprio ne avevo voglia.» Il soldato alto, rosso in viso, buttò giù un altro panino come se prendesse del veleno per disperazione. Ma a poco a poco, masticando, la sua faccia ridiventò calma e soddisfatta. In presenza di panini come quelli, non poteva accanirsi in una disputa violenta. Durante i pasti aveva sempre un'aria di beata contemplazione del cibo che inghiottiva. Il suo spirito pareva allora in comunione con le vivande. Accettava un nuovo ambiente, una nuova circostanza, senza scomporsi, a ogni occasione traendo cibo dal tascapane. Durante le marce procedeva a grandi passi come un cacciatore, senza protestare né contro l'andatura né contro la distanza. E non aveva alzato la voce ricevendo l'ordine di lasciare quei tre mucchietti difensivi di terra e pietre, ognuno dei quali era un trionfo d'ingegneria degno di essere dedicato alla memoria della nonna. Nel pomeriggio il reggimento si dispose sullo stesso terreno che aveva occupato la mattina. Allora il paesaggio cessò di minacciare il giovane. Gli era già stato vicino e aveva preso familiarità con esso. Tuttavia, quando cominciarono a penetrare in una nuova regione, lo riassalirono le vecchie paure di essere stupido e inetto, ma questa volta fu tenace nel non prestare orecchio al loro blaterare. Il suo problema lo assorbiva, e nella disperazione concluse che la stupidità non importava gran che. A un tratto pensò di essere arrivato alla conclusione che sarebbe stato meglio essere ucciso subito e così finirla coi crucci. Guardando la morte così, con la coda dell'occhio, la concepì come nient'altro che un riposo, e per un momento lo riempì lo stupore di aver provato tanta commozione per il semplice fatto di poter essere ucciso. Sarebbe morto, sarebbe andato in qualche luogo dove l'avrebbero capito. Era inutile aspettarsi un apprezzamento della sua sensibilità profonda e fine da uomini come il tenente. Per ottenere comprensione doveva guardare alla tomba. La fucileria delle scaramucce aumentò, diventò un lungo fragoroso crepitio. Ad esso si mescolarono lontani evviva. Una batteria disse la sua. Subito dopo il giovane vide gli esploratori che correvano. Li inseguiva il rumore della fucileria. Ancora un momento e furono visibili i caldi, pericolosi baleni dei fucili. Nuvole di fumo traversarono con lenta insolenza i campi, come fantasmi di scolta. Lo strepito ebbe un crescendo, simile al fragore di un treno che si avvicina. Una brigata che li precedeva sulla destra entrò in azione con lacerante rimbombo. Fu come se fosse esplosa. Poi si distese, in lontananza, dietro una lunga muraglia grigia, che bisognava guardare due volte per esser sicuri che si trattava di fumo. Dimenticando il geniale progetto di farsi uccidere, il giovane fissava affascinato. I suoi occhi si dilatavano, si ravvivavano secondo lo svolgersi dell'azione. E la bocca restava dischiusa. Ad un tratto sentì posarsi sulla spalla una mano pesante e mesta. Svegliato dall'estatica contemplazione, si voltò e vide il soldato dalla voce sonora. «Amico mio, questa è la mia prima e ultima battaglia,» gli disse con intensa tristezza. Era pallidissimo, e gli tremava il labbro delicato, da ragazza. «Cosa?» mormorò stupefatto il giovane. «Questa è la mia prima e ultima battaglia, amico mio,» continuò l'altro. «Qualcosa mi dice che...» «Che?» «Che questa prima volta sarò spacciato e... e voglio che tu porti... questa roba... ai miei.» Terminò con un tremolante singhiozzo di pietà per se stesso. Consegnò al giovane un pacchetto fatto su in un involucro giallo. «Ma perché? che diavolo?...» riprese il giovane. Ma l'altro gli lanciò un'occhiata come dal profondo della tomba, alzò stancamente la mano con gesto da profeta, e se ne andò.

11 IV La brigata ricevette l'ordine di fermarsi al margine di un boschetto. Gli uomini si accovacciarono fra gli alberi e puntarono verso i campi gli infaticabili fucili. Cercavano di guardare di là del fumo. Dalla foschia videro emergere uomini che correvano. Pur nella fretta, alcuni gridavano informazioni e gesticolavano. I soldati del nuovo reggimento osservavano e ascoltavano avidamente, mentre le loro lingue mulinavano chiacchiere sulla battaglia. Si passavano voci giunte a volo come uccelli da chissà dove. «Dicono che Perry è stato ricacciato con gravi perdite.» «Si. Carrott è andato all'ospedale. Ha detto che stava male. Quel furbacchione di tenente comanda la compagnia G. Gli uomini dicono che non staranno più sotto Carrott, dovessero disertare tutti. Sapevano da un pezzo che lui era un...» «Hanno preso la batteria di Hannises.» «Neanche per sogno. La batteria di Hannises l'ho vista sulla nostra sinistra non più di un quarto d'ora fa.». «Be'...» «Il generale dice che prenderà il comando di tutto il 304 quando entreremo in azione, e allora, dice, noi combatteremo come nessun altro reggimento ha mai combattuto.» «Dicono che stiamo prendendole sulla sinistra. Dicono che il nemico spinge la nostra linea in una maledetta palude, e ha preso la batteria di Hannises.» «Macché. La batteria di Hannises era da queste parti circa un minuto fa.» «Quel giovane Hasbrouck è proprio un buon ufficiale. Non ha paura di niente.» «Ho incontrato uno del 148 del Maine, e dice che la sua brigata ha tenuto impegnato l'intero esercito ribelle per quattro ore laggiù, sulla strada maestra, e ne ha uccisi circa cinquemila. Un'altra battaglia così, dice, e la guerra è finita.» «Bill mica era spaventato. Nossignore. Non era paura. Bill non è uno che si spaventa facilmente. Era soltanto incavolato, ecco cos'era. Quando quell'altro gli ha camminato sulla mano, è saltato su e ha detto che era pronto a dare la sua mano alla patria ma potesse perdere la parola se lasciava che ci passeggiasse sopra il primo cretino di volontario. Cosi è andato all'ospedale infischiandosene della battaglia. Aveva tre dita stritolate. Quel dannato dottore voleva amputargliele, e Bill, mi dicono, ha fatto un putiferio. É una sagoma!» Il fragore sul fronte si gonfiò in un coro tremendo. Il giovane e i suoi compagni tacquero raggelati. Vedevano una bandiera che si agitava iraconda nel fumo. Vicino ad essa, indistinte e sconvolte forme di combattenti. Attraverso i campi arrivò una tumultuosa fiumana di uomini. Una batteria che cambiava postazione a galoppo frenetico sparpagliò gli sbandati a destra e a manca. Urlando come uno spirito annunciatore di morte nella bufera, una granata passò sopra le teste accalcate delle riserve. Finì nel boschetto, sollevando con una rossa esplosione la terra bruna. Ci fu un breve scroscio di aghi di pino. Le pallottole cominciarono a fischiare fra i rami e a mordere gli alberi. Ramoscelli e foglie venivano giù veleggiando. Era come se venissero brandite migliaia di accette minuscole e invisibili. Molti degli uomini scansavano e abbassavano continuamente la testa. Il tenente della compagnia del giovane fu colpito a una mano. Si mise a bestemmiare così stupendamente che la linea del reggimento fu percorsa da un riso nervoso. La bestemmia dell'ufficiale suonò scontata, ma rilassò i sensi tesi delle giovani reclute. Era come se si fosse pestato le dita a casa sua, con un martello da tappezziere. Stava attento a tenere la mano ferita lontano dal fianco perché il sangue non gli gocciolasse sui calzoni. Il capitano della compagnia si mise la sciabola sotto il braccio, tirò fuori un fazzoletto e cominciò a fasciare la ferita del tenente. E discussero sul modo di fare la fasciatura. In lontananza, la bandiera sussultava follemente nella mischia. Pareva lottare per liberarsi da un'agonia. Le ondate di fumo erano piene di lampi orizzontali. Dal fumo sbucarono uomini in rapida corsa. Crebbero di numero finché si vide che tutto il reparto era in fuga. Ad un tratto la bandiera si accasciò come moribonda. Il movimento con cui cadde fu un gesto di disperazione. Urla selvagge giungevano da oltre le cortine di fumo. La composizione grigia e rossa si dissolse in una masnada di uomini che galoppavano come cavalli selvaggi. I reggimenti di veterani a destra e a sinistra del 304 presero subito a canzonarli. Al canto appassionato delle pallottole e alle urla sinistre delle granate si mescolarono fischi sonori e frammenti di beffardi consigli circa possibili rifugi. Ma il nuovo reggimento era senza fiato per l'orrore. «Dio! Saunders le ha prese sode!» bisbigliò l'uomo che stava a gomito col giovane. Arretrarono e si accovacciarono, quasi fossero costretti ad aspettare una piena. Il giovane gettò una rapida occhiata alle file blu del reggimento. I profili erano immobili, come scolpiti; in seguito ricordò che il sergente portabandiera si teneva ritto, a gambe larghe, come se si aspettasse di essere gettato a terra. L'ondata successiva passò turbinando sul fianco. Qua e là vi erano ufficiali travolti dalla fiumana, impotenti come fuscelli. Menavano colpi intorno a sé, con la sciabola, col pugno della mano sinistra, pungolando ogni testa che riuscivano a raggiungere. Bestemmiavano come ladroni.

12 Un ufficiale a cavallo diede sfogo alla rabbia furiosa di un bimbo viziato. Smaniava con la testa, le braccia, le gambe. Un altro, il comandante della brigata, galoppava intorno urlando. Aveva perduto il cappello, e l'uniforme era in disordine. Somigliava a uno che avesse lasciato il letto per accorrere sul luogo di un incendio. Spesso gli zoccoli del suo cavallo minacciavano le teste degli uomini in fuga, che però riuscirono a scampare con singolare fortuna. In quella corsa precipitosa sembravano tutti sordi e ciechi. Non stavano certo ad ascoltare le elaborate imprecazioni scagliate contro di loro da ogni parte. Sopra quel tumulto si udivano ogni tanto gli spietati motteggi dei veterani, ma evidentemente gli uomini in fuga non si rendevano nemmeno conto della presenza di un pubblico. Il riflesso della battaglia che per un attimo brillava sui volti di quella pazza fiumana fece sentire al giovane che neppure una mano possente dal cielo sarebbe riuscita a tenerlo al suo posto, se egli avesse ancora avuto un razionale controllo delle proprie gambe. Su quei volti era stampato lo sgomento. La lotta nel fumo aveva dipinto la propria immagine esasperata sulle guance livide e negli occhi stravolti da un unico desiderio. La vista di quella rotta sprigionava un impeto diluviale che pareva capace di trascinare dal suolo pezzi di legno, pietre ed uomini. Quelli delle riserve dovettero tener duro. Diventarono pallidi e saldi, rossi e tremanti. In mezzo a quel caos il giovane riuscì a completare un pensiero. Il mostro composito che aveva causato la fuga delle altre truppe non era ancora apparso. Decise di dargli un'occhiata, e poi, pensava, avrebbe potuto sempre scappare meglio dei più veloci. V Ci furono momenti di attesa. Al giovane venne in mente la strada del villaggio, a casa, prima che arrivasse il circo in parata, un giorno di primavera. Ricordò come avesse sostato, bimbetto minuto ed emotivo, pronto a seguire la scalcagnata dama sul cavallo bianco, o la banda sul carro fatiscente. Vide la strada gialla, le file di gente in impaziente attesa, le case modeste. In particolare ricordò un vecchio che soleva sedere su una cassa di gallette davanti allo spaccio e fingeva di disprezzare simili spettacoli. Nella sua mente fervevano mille particolari di colore e di forma. Il vecchio seduto sulla cassa di gallette appariva a mezzo rilievo. Qualcuno gridò: «Eccoli che arrivano!» Fra gli uomini ci fu del trambusto, un mormorio diffuso. Tutti rivelarono un desiderio febbrile di avere a portata di mano ogni possibile cartuccia. Le cassette furono trascinate di qua e di là in varie posizioni, e sistemate con gran cura. Fu come se venissero provati settecento cappellini nuovi. Il soldato alto, dopo aver preparato il fucile, tirò fuori una specie di fazzoletto rosso. Mentre se lo annodava intorno alla gola, con delicata attenzione a come gli stava, il grido si ripeté su e giù per la linea come un ruggito in sordina. «Eccoli che arrivano! Eccoli che arrivano!» Scattarono gli otturatori dei fucili. Per i campi infestati di fumo veniva un bruno sciame di uomini che correvano gettando urla acute. Avanzavano curvi, agitando i fucili in ogni direzione. Una bandiera, inclinata in avanti, volava tra le prime file. Nel momento in cui li avvistò, il giovane fu per un attimo allarmato dal pensiero che il suo fucile forse non era carico. Cercò di fare appello al suo intelletto vacillante, di ricordare il momento in cui l'aveva caricato, ma non vi riuscì. Un generale privo di copricapo fermò il cavallo grondante sudore presso il colonnello del 304. Gli agitò un pugno davanti alla faccia, e «Dovete trattenerli!» gridò fuori di sé, «dovete trattenerli!» Nell'agitazione del momento il colonnello si mise a balbettare: «Be-bene, Generale, benissimo, per Dio! Fa-faremo.., fa-faremo del nostro meglio, Generale.» Il generale fece un gesto iracondo e ripartì al galoppo. Il colonnello, forse per sfogarsi, prese a rimbrottare come un pappagallo infastidito. Voltandosi un attimo per accertarsi che la retroguardia non subiva molestie, il giovane vide che il comandante guardava i suoi uomini con un'aria molto risentita, come se gli rincrescesse sommamente di aver a che fare con loro. L'uomo che stava a gomito col giovane borbottò come a se stesso: «Ora sì che ci siamo! Ora sì che ci siamo!» Il capitano della compagnia aveva continuato a camminare eccitato, in su e in giù, dietro la prima linea. Parlava suadente come una maestrina a un'accolta di bambini alle prese col sillabario. Il suo discorso non faceva che ripetere le stesse frasi: «Risparmiate il fuoco, ragazzi... non sparate finché non ve lo dico io.., risparmiate il fuoco... aspettate che siano più vicini... non fate gli stupidi...» Il sudore colava giù per la faccia del giovane, imbrattata come quella di un monello in lacrime. Spesso, con un gesto nervoso, si asciugava gli occhi con la manica della giubba. La sua bocca era ancora dischiusa. Con uno sguardo abbracciò il campo davanti a sé, brulicante di nemici, e immediatamente cessò di dibattere la questione se l'arma fosse carica o no. Prima di essere pronto a cominciare prima di aver annunciato a se stesso che si accingeva a combattere mise in posizione l'obbediente, ben calibrato fucile e sparò un primo colpo a casaccio. Ben presto adoperava l'arma come un automa. Ad un tratto smise di preoccuparsi di se stesso, dimenticò di contemplare un fato minaccioso. Diventò non un uomo ma un numero. Sentiva che qualcosa di cui egli era parte un reggimento, un esercito, una causa, un paese si

13 trovava in un pericoloso frangente. Egli era saldato entro una comune personalità, dominata da un unico desiderio. Per alcuni momenti non fu in grado di fuggire più di quanto il mignolo possa staccarsi dalla mano. Se avesse pensato che il reggimento stava per essere annientato, forse sarebbe riuscito ad amputarsi da esso. Ma il rumore che faceva gli dava sicurezza: il reggimento era come un fuoco d'artificio che, una volta acceso, procede superiore a tutto, finché la sua fiammeggiante vitalità non svanisce. Il reggimento ansava e palpitava con forza.possente. Il giovane si immaginò il terreno antistante disseminato di sconfitti. Aveva sempre coscienza della presenza dei compagni intorno a lui. Sentiva l'impalpabile fratellanza della battaglia ancor più fortemente che non la causa per la quale combattevano. Era un misterioso sodalizio nato dal fumo e dal pericolo di morte. Lui aveva un compito. Era come un falegname che, dopo aver fatto molte casse, ne sta facendo un'altra; soltanto, c'era una fretta furiosa nei suoi movimenti. Col pensiero galoppava lontano, in altri luoghi, proprio come il falegname che lavorando fischietta e pensa all'amico o al nemico, alla casa o all'osteria. E quei sogni a singhiozzo non gli si precisarono mai, dopo, ma rimasero una massa di forme confuse. Ora cominciò a sentire gli effetti dell'atmosfera di guerra: un sudore enfiante, la sensazione che i bulbi degli occhi stessero per spaccarsi come pietre infocate. Un frastuono rovente gli empiva le orecchie. Ad esso segui un rosso furore. Nel giovane crebbe l'esasperazione acuta dell'animale molestato, di una mite mucca vessata dai cani. Provò una folle avversione per il suo fucile, che si poteva usare contro una sola vita per volta. Voleva precipitarsi avanti e strozzare con le sue dita. Bramò un potere che gli permettesse di fare un gesto ampio come il mondo e di spazzare via tutto. Gli apparve la sua impotenza, e trasformò il suo furore in quello di una bestia incalzata. Sepolta nel fumo di molti fucili, la sua collera era diretta non tanto contro gli uomini che, egli sapeva, stavano avventandosi verso di lui, quanto contro i turbinanti fantasmi della battaglia che lo soffocavano, ficcandogli le loro vesti di fumo giù per la gola riarsa. Lottò freneticamente per dar sollievo ai sensi, per avere aria, come fa un bimbo che vogliono soffocare e che lotta contro le mortali coperte. Su tutti i visi c'era una vampa di rabbia collerica, mista a una certa espressione intenta. Molti producevano con la bocca suoni di tono basso, e quei sommessi evviva o ringhi, quelle imprecazioni o preghiere, componevano un selvaggio canto barbarico che fluiva come uno strano e salmodiante sottofondo sonoro, in armonia coi risonanti accordi della marcia di guerra. L'uomo a gomito col giovane farfugliava, e in ciò vi era qualcosa di delicato e tenero come il monologo di un bimbo. Il soldato alto imprecava a voce alta, dalle sue labbra usciva una nera processione di curiose bestemmie. Ad un tratto un altro proruppe in modo querulo, come uno che abbia smarrito il cappello: «Be', ma perché non ci danno una mano? Perché non mandano rinforzi? Credono forse che...» Nel torpore che gli infondeva la battaglia, il giovane udì quelle parole come uno che sonnecchia. Era singolare l'assenza di pose eroiche. Curvandosi o ergendosi con fretta rabbiosa, gli uomini assumevano ogni più strano atteggiamento. Le bacchette d'acciaio tintinnavano con strepito incessante mentre venivano ficcate con furia dentro le canne roventi dei fucili. I risvolti delle scatole di cartucce, tutti sollevati, erano liberi di sventolare insensatamente a ogni movimento. Una volta caricati, i fucili venivano portati di scatto alla spalla, e sparavano non a un bersaglio visibile ma dentro il fumo, o a una di quelle confuse e mutevoli forme che, sul campo davanti al reggimento, erano diventate sempre più grandi come fantocci sotto la mano di un mago. Gli ufficiali, ognuno nel suo settore, dietro la truppa, avevano messo da parte le pose pittoresche. Andavano su e giù berciando istruzioni e incoraggiamenti. I loro urli erano di straordinaria potenza: consumavano con prodigalità i loro polmoni. E spesso protendevano la testa, nell'ansia di osservare il nemico al di là delle volute di fumo. Il tenente della compagnia del giovane aveva incontrato un soldato che alla prima scarica dei compagni era fuggito gridando. I due stavano ora recitando una breve scena a sé dietro le linee. L'uomo singhiozzava e fissava con occhi da pecora il tenente, che l'aveva afferrato per il colletto e lo tempestava di pugni. Sempre percotendolo lo risospinse nei ranghi. Il soldato camminava meccanicamente, come istupidito, gli occhi animaleschi fissi sul tenente. Forse gli si manifestava una divinità nella voce dell'altro: severa, dura, senza alcuna traccia di sgomento. Tentò di ricaricare il fucile, ma il tremito delle mani glielo impedì. Dovette aiutarlo il tenente. Qua e là gli uomini cadevano come fagotti. Il capitano della compagnia del giovane era stato ucciso in una delle prime fasi dell'azione. Il suo corpo giaceva disteso, nella posizione di un uomo affaticato che riposi, ma sul viso c'era un'espressione attonita e dolente, come se pensasse che qualche amico gli aveva giocato un brutto tiro. L'uomo che farfugliava come un bimbo fu sfiorato da un proiettile che gli fece colare sangue copioso per la faccia. Si afferrò la testa con entrambe le mani, esclamò «Oh!» e fuggì. Un altro all'improvviso grugnì come se l'avessero colpito allo stomaco con una mazza. Si sedette e guardò fisso, con una espressione dolente: nei suoi occhi c'era un muto, vago rimprovero. Più in là lungo la linea, un uomo che stava ritto dietro un albero, aveva avuto l'articolazione di un ginocchio frantumata da una pallottola. Aveva lasciato cadere subito il fucile per aggrapparsi all'albero con entrambe le braccia. E là rimaneva, avvinghiato disperatamente, implorando aiuto per lasciare la presa dell'albero. Finalmente un urlo di esultanza percorse la linea palpitante. La fucileria diminuì, dal fragore a un ultimo botto vendicativo. Quando il fumo lentamente mulinò via, il giovane vide che l'assalto era stato respinto. I nemici erano sparsi in gruppi restii. Vide un uomo arrampicarsi in cima alla staccionata e, a cavalcioni della sbarra, sparare un colpo di commiato. Le ondate avevano arretrato, lasciando sul terreno frammenti di scuri detriti. Alcuni del reggimento si misero a lanciare grida frenetiche. Molti tacevano. Pareva che stessero cercando di guardare in se stessi. Dopo che non si senti più la febbre nelle vene, il giovane pensò che avrebbe finito per soffocare. Si

14 rese conto dell'aria mefitica nella quale aveva combattuto. Era lercio e stillante come un manovale di fonderia. Afferrò la borraccia e bevve un lungo sorso di acqua ormai calda. Una frase con variazioni echeggiava per tutta la linea. «Be', li abbiamo ricacciati. Li abbiamo ricacciati; diavolo, se ci siamo riusciti!» Gli uomini la dicevano con aria beata, ammiccandosi l'un l'altro, con sudici sorrisi. Il giovane si voltò per guardare dietro a sé, e poi alla sua destra e poi alla sua sinistra. Provò la gioia di un uomo che finalmente trova il tempo per guardarsi intorno. Sul terreno c'erano alcune figure spettrali immobili. Giacevano irrigidite in contorsioni fantastiche. Le braccia erano piegate, le teste rivolte in guise incredibili. Per giacere in posizioni simili, sembrava che quei morti dovessero essere caduti da una grande altezza. Si sarebbe detto che erano stati rovesciati sul terreno dal cielo. Da una posizione alle spalle del boschetto una batteria tirava granate al di sopra di esso. La vampa dei cannoni dapprima allarmò il giovane. Pensò che fossero puntati direttamente contro di lui. Fra gli alberi osservò le nere figure degli artiglieri, mentre lavoravano rapidi e intenti. La loro fatica sembrava una cosa complicata. Si domandò stupito come riuscissero a ricordare la formula in mezzo a quella confusione. I cannoni stavano accoccolati in fila come capi selvaggi. Argomentavano con brusca violenza. Era un truce consesso. I serventi correvano affaccendati avanti e indietro. Una breve processione di feriti si dirigeva tristemente verso le retrovie. Era un fiotto di sangue dal corpo straziato della brigata. A destra e a sinistra si stendevano le linee scure di altre truppe. Di fronte, lontano, gli parve di scorgere masse più chiare che in vari punti traboccavano dalla foresta. Facevano pensare a innumerevoli migliaia. A un tratto scorse una minuscola batteria a galoppo lungo la linea dell'orizzonte. I minuscoli cavalieri battevano i minuscoli cavalli. Dal pendio di un colle giungevano evviva e il rumore di scontri. Il fumo sgorgava lentamente attraverso il fogliame. Le batterie parlavano con tonante piglio oratorio. Qua e là vi erano bandiere, e dominava il rosso delle strisce. Esse spruzzavano tocchi di colore caldo sulle linee scure delle truppe. Alla vista dell'emblema il giovane provò l'antico fremito. Quelle bandiere erano come bellissimi uccelli stranamente impavidi nella bufera. Mentre ascoltava il fragore dalle pendici del colle, un tuono profondo che giungeva pulsando da lontano a sinistra e i clamori minori provenienti da molte direzioni, gli venne in mente che anche laggiù si combatteva, e pure da quella parte, e pure da quell'altra. Fino allora s'era immaginato che la battaglia si svolgesse tutta sotto il suo naso. Guardandosi intorno, il giovane trasalì stupito per il cielo azzurro, limpido, e per i barbagli di sole su alberi e campi. Era sorprendente che la Natura avesse continuato tranquillamente nel suo dorato cammino in mezzo a tante diavolerie. VI Il giovane si svegliò lentamente, e a poco a poco tornò a una posizione da cui poteva osservarsi. Per un po' aveva esaminato sbalordito la propria persona, come se per l'innanzi non si fosse mai veduto. Poi raccattò il berretto dal suolo. Si rigirò dentro la giubba per sentirsi più comodo, si inginocchiò e si allacciò una scarpa. Pensosamente si pulì la faccia annerita dal fumo. Così, era tutto finito finalmente! La prova suprema era stata superata. Erano state vinte le rosse, tremende difficoltà della guerra. Entrò in uno stato di estatico compiacimento. Ebbe le sensazioni più deliziose di tutta la sua vita. Ponendosi come a distanza da se stesso, rivide l'ultima scena. Si rese conto che l'uomo che aveva combattuto così era magnifico. Sentì di essere un tipo in gamba. Si vide all'altezza di quegli ideali che aveva considerati molto al di sopra di sé. Sorrise con profondo piacere. Sui compagni irradiava affetto e benevolenza. «Dio buono, fa un bel caldo, eh?» disse affabilmente a uno che si puliva la faccia grondante con le maniche della giubba. «Accidenti!» rispose l'altro, ghignando socievole. «Mai visto un caldo così bestiale.» Si stese voluttuosamente per terra. «Sì, Dio buono! E spero che per una settimana a partire da lunedì non avremo più da combattere.» Scambiò strette di mano e discorsi profondi con soldati le cui fisionomie gli erano familiari, ma coi quali ora sentiva vincoli che univano i cuori. Aiutò un compagno che imprecava a fasciarsi una ferita allo stinco. Ma ad un tratto grida di stupore esplosero lungo le file del reggimento. «Eccoli che tornano! Eccoli che tornano!» L'uomo che s'era sdraiato al suolo balzò in piedi e disse:«accidenti!» Volgendo un rapido sguardo al campo di battaglia, il giovane distinse forme che uscivano da un bosco lontano e cominciavano a dilatarsi in masse. Rivide la bandiera che volava inclinata in avanti. Le granate, che per qualche tempo avevano cessato di molestare il reggimento, ripresero ad arrivare turbinando, ed esplodevano nell'erba o tra le foglie degli alberi. Parevano strani fiori di guerra che scoppiassero in crudele fioritura.

15 Gli uomini gemettero. Dai loro occhi svanì la luce. Sotto lo sporco i visi ora esprimevano un profondo abbattimento. Mossero lentamente i corpi intorpiditi, osservarono con umore tetro il frenetico appressarsi del nemico. Gli schiavi che faticavano nel tempio di quella dea cominciavano a provare un senso di ribellione contro i suoi duri ordini. Angustiati, si lagnavano uno con l'altro. «Ma di', questo è troppo godere! Proprio nessuno può mandare rinforzi?» «Non ce la faremo a parare questa seconda botta. Non sono venuto qui per combattere contro tutto l'esercito di quei maledetti ribelli!» Uno levò un grido sconsolato: «Oh, se Bill Smithers avesse camminato sulla mia mano, invece che io sulla sua!» Le giunture doloranti del reggimento scricchiolarono mentre con lenta e penosa fatica prendeva posizione per respingere l'assalto. Il giovane sbarrò gli occhi. No, pensò, quella cosa impossibile non sarebbe successa. Attese come se si aspettasse che il nemico ad un tratto si fermasse, chiedesse scusa e si ritirasse con un inchino. Era tutto un malinteso. Invece, in qualche punto della linea tenuta dal reggimento cominciarono gli spari e si propagarono in entrambe le direzioni. Le uniformi cortine di vampe produssero grandi nubi di fumo che si avvilupparono per un attimo nel lieve vento rasente il suolo, e poi rotolarono attraverso le righe come attraverso una porta. Sotto i raggi del sole, le nubi assumevano una sfumatura di giallo terroso e, nell'ombra, erano di un mesto azzurro. In quell'ammasso di vapori la bandiera veniva ogni tanto inghiottita, persa; ma più spesso svettava, toccata dal sole, splendente. Negli occhi del giovane apparve quell'espressione che si può scorgere nelle pupille di un cavallo sfinito. Il collo gli tremava di debolezza nervosa; sentiva i muscoli delle braccia intorpiditi e privi di sangue. Anche le mani gli parevano grandi e goffe, come se portasse invisibili guantoni. E quanto alle giunture delle ginocchia, erano molto malsicure. Presero a tornargli alla mente le parole dette dai compagni prima dell'inizio degli spari. «Ma, di', questo è troppo godere! Per chi ci prendono? Perché non mandano rinforzi? Non sono mica venuto qui per combattere contro tutto l'esercito di quei maledetti ribelli!» Cominciò a esagerare la resistenza, l'abilità, il valore di quelli che stavano venendo avanti. Siccome lui barcollava esausto, si stupì oltremodo della tenacia di quelli. Dovevano essere macchine di acciaio. Era una prospettiva molto cupa lottare contro ordigni simili, caricati, forse, per combattere fino al tramonto. Alzò lentamente il fucile e, gettata un'occhiata al campo brulicante, sparò contro un gruppo che avanzava a passo di corsa. Quindi si fermò e si mise a scrutare come meglio poteva attraverso il fumo. Ebbe mutevoli immagini del terreno coperto di uomini che correvano tutti come folletti inseguiti e lanciavano grida acute. Al giovane parve un assalto furioso di formidabili draghi. Diventò come quell'uomo che perdette le gambe all'avvicinarsi del mostro rosso e verde. Aspettò in una specie di atterrito ascolto. Parve chiudere gli occhi, nell'attesa di essere ingoiato. Un uomo vicino a lui, che fino allora si era applicato febbrilmente al suo fucile, improvvisamente si fermò e scappò urlando. Un ragazzo il cui volto aveva mantenuto un'espressione di sublime coraggio, l'espressione maestosa di colui che non teme di dare la vita, in un attimo fu preda della disperazione. Sbiancò come uno che nel fondo della notte arriva sul ciglio di una scogliera, e se ne rende conto d'un tratto. Fu come una rivelazione. Egli pure gettò per terra il fucile e fuggi. Sul suo viso non c'era alcuna vergogna. E correva come una lepre. Anche altri cominciarono a battersela attraverso il fumo. Il giovane girò la testa: quel movimento lo scosse dal suo stato ipnotico: il reggimento lo stava lasciando indietro! Vide alcune forme in fuga. Allora gridò di paura e si volse di scatto. Per un momento, nel gran clamore, fu come il pulcino del proverbio. Perdette la direzione in cui cercare salvezza. La distruzione lo minacciava da ogni parte. Ora si precipitò a grandi balzi verso le linee retrostanti. Berretto e fucile erano andati. La giubba sbottonata si gonfiava al vento. La chiusura della giberna danzava follemente, e la borraccia, appesa alla sua sottile corda, gli dondolava dietro. Sul suo volto era dipinto tutto l'orrore delle cose che stava immaginando. Il tenente balzò avanti sbraitando. Il giovane ne vide la faccia rossa per l'ira, vide che mulinava la sciabola. L'unico pensiero ispiratogli da quell'incidente fu che il tenente era una creatura ben strana per interessarsi a simili cose in quella circostanza. Corse come un cieco. Cadde due o tre volte. Una volta urtò una spalla contro un albero così pesantemente da finire lungo disteso. Dacché aveva voltato le spalle alla battaglia, le sue paure si erano enormemente ingrandite. La morte che sta per colpire fra le scapole era assai più terribile della morte che sta per colpire fra gli occhi. Quando in seguito ci ripensò, concepì l'impressione che il terrore è meglio averlo sotto gli occhi che non udirlo soltanto. I rumori della battaglia erano come pietre e lui credette di poterne essere schiacciato. Correndo si mescolò ad altri. Vide confusamente uomini sulla sua destra e sulla sua sinistra, udì passi dietro di sé. Pensò che tutto il reggimento fosse in fuga, inseguito da quegli scoppi sinistri. Mentre fuggiva, il rumore dei passi che lo seguivano gli diede l'unico, magro conforto. Aveva la vaga sensazione che la morte doveva fare una prima scelta fra gli uomini che aveva più vicini, e allora i primi bocconi per i draghi sarebbero stati quelli che venivano dietro a lui. Cosi, spiegò l'ardore di un folle velocista allo scopo di lasciarseli dietro. Fu una gara.

16 Mentre guidava la corsa attraverso un campicello, si trovò in una zona di granate. Roteavano sopra la sua testa con lunghe urla selvagge. Ascoltando, immaginò che avessero fila di denti crudeli che gli sogghignavano. Una gli cadde davanti e il lampo bluastro dell'esplosione gli sbarrò praticamente la via nella direzione che aveva scelto. Strisciò al suolo; poi, balzato in piedi, traversò di gran corsa alcuni cespugli. Provò un brivido di stupore giungendo in vista di una batteria in azione. Là gli uomini parevano essere d'umore normale, del tutto ignari dell'incombente sterminio. La batteria disputava con un'antagonista lontana, e gli artiglieri erano tutti presi da ammirazione per i loro tiri. Si curvavano continuamente sui cannoni in pose affettuose. Pareva che li accarezzassero sul sedere e li incoraggiassero con parole. I cannoni, imperturbabili e impavidi, parlavano con tenace valore. I precisi artiglieri mostravano un composto entusiasmo. Ad ogni occasione alzavano gli occhi verso la collinetta inghirlandata di fumo donde li apostrofava la batteria nemica. Correndo il giovane li compatì. Metodici idioti! Pazzi automi! La gioia squisita di piantar granate in mezzo alla formazione dell'altra batteria non sarebbe apparsa gran cosa, quando la fanteria fosse piombata fuori dai boschi. Il viso giovanile di un cavaliere, che strattonava il suo frenetico cavallo con l'impeto collerico cui avrebbe potuto abbandonarsi in un pacifico cortile, si impresse a fondo nell'animo del giovane. Capì di guardare un uomo che fra poco sarebbe morto. Provò anche pietà per i cannoni, per quei buoni compagni ritti fianco a fianco in balda fila. Vide una brigata che muoveva in aiuto dei reparti messi a dura prova. Si arrampicò su un monticello e la osservò mentre avanzava bellamente, mantenendo la formazione in punti difficili. Il blu della linea era incrostato di color acciaio, le bandiere svettavano vistose. Gli ufficiali gridavano ordini. Anche quello spettacolo lo empì di meraviglia. La brigata accorreva alacre per essere ingoiata dalle bocche infernali del dio della guerra. Ma che specie di uomini erano mai? Dovevano essere di una razza prodigiosa! Oppure non capivano, gli stolti. Un comando concitato provocò scompiglio nell'artiglieria. Un ufficiale su un cavallo saltellante fece gesti frenetici con le braccia. Dalle retrovie arrivarono oscillando i traini, i cannoni furono virati e la batteria se la squagliò. I cannoni, con le volate puntate di sghembo al suolo, borbottavano e brontolavano come uomini risoluti, coraggiosi, ma contrari alla fretta. Il giovane proseguì, rallentando il passo dopo che ebbe lasciato la zona dei rumori. Più tardi arrivò in vista di un generale di divisione, in sella a un cavallo che drizzava le orecchie come se si interessasse alla battaglia. Sella e finimenti davano un gran luccichio di cuoio giallo verniciato. Su un destriero così fulgente il tranquillo uomo in sella appariva color topo. Uno stato maggiore tintinnante di speroni galoppava avanti e indietro. Talvolta il generale era circondato da uomini a cavallo, talaltra era completamente solo. Appariva molto angustiato. Aveva l'aria di un uomo d'affari le cui azioni oscillano su e giù. Il giovane girò di soppiatto intorno a quel punto. Gli andò più vicino che osò, cercando di afferrare qualche parola. Forse il generale, incapace di capire il caos, si sarebbe rivolto a lui per informazioni. E lui avrebbe potuto dargliele. Sapeva tutto al riguardo. Senza dubbio le forze si trovavano nei guai, e anche uno sciocco poteva vedere che, se non si ritiravano mentre ne avevano la possibilità... allora... Sentì che gli sarebbe piaciuto suonarle a quel generale, o almeno avvicinarsi e dirgli in parole schiette che cosa pensava di lui. Era da criminale starsene tranquillo in un punto e non fare alcuno sforzo per fermare la distruzione. Indugiò, nella febbrile impazienza che il comandante di divisione si rivolgesse a lui. Mentre si aggirava cautamente, udì il generale chiamare con voce irritata: «Tompkins, vada a vedere Taylor e gli dica, porca miseria, di non avere tanta fretta; gli dica di far fermare la sua brigata al margine dei boschi; gli dica di distaccare un reggimento... dica che io penso che il centro cederà se non lo aiutiamo un po'; gli dica di sbrigarsi.» Ricevette quei rapidi ordini dalla bocca del superiore un esile giovane su un bel cavallo sauro. Nella furia di assolvere la missione fece partire il cavallo al galoppo. Si levò una nube di polvere. Un momento dopo il giovane vide il generale dimenarsi eccitato sulla sella. «Si, Dio onnipotente, ce l'hanno fatta!» L'ufficiale si curvò in avanti col volto acceso per l'eccitazione. «Si, ci sono riusciti! L'hanno fermato!» Si mise a gridare allegramente al suo stato maggiore: «Ora gliele daremo. Ora gliele daremo. Sicuro, li abbiamo bloccati.» A un tratto si rivolse a un aiutante: «Lei... Jones... presto... raggiunga Tompkins vada da Taylor gli dica di entrare in azione... immediatamente... come un fulmine... in qualunque modo.» Dopo che un altro ufficiale spronò il cavallo dietro al primo messaggero, il generale raggiò sulla terra come un sole. Nei suoi occhi v'era il desiderio di intonare un peana. Continuava a ripetere: «Li hanno fermati, Dio buono! Li hanno fermati!» La sua eccitazione fece fare uno scarto al cavallo, ed egli gaiamente gli assestò dei calci imprecandogli contro: in sella, si concedeva un piccolo festino di gioia. VII

17 Il giovane si fece piccolo, come se scoperto a commettere un delitto. Perdiana, avevano vinto dopo tutto! Quella linea di stolti aveva tenuto duro e ora erano i vincitori. Gli giungevano i loro evviva. Si alzò sulla punta dei piedi e guardò in direzione della battaglia. Una nebbia gialla si voltolava ancora sulla cima degli alberi. Da sotto arrivava il frastuono della fucileria. Rauche grida facevano supporre un'avanzata. Si volse confuso e adirato. Senti di avere ricevuto un torto. Era fuggito, si disse, perché si avvicinava l'annientamento. Aveva fatto bene a salvare se stesso, che era una particella dell'esercito. Aveva ritenuto, si disse, che quello fosse un momento in cui ogni particella aveva il dovere di salvarsi, se possibile. Più tardi gli ufficiali avrebbero potuto rimettere insieme quelle particelle, e apprestare un fronte di battaglia. Se nessuna di esse fosse stata così saggia da salvarsi dalla raffica della morte, dove sarebbe stato ora l'esercito? Era più che evidente che egli si era comportato secondo regole molto corrette e lodevoli. I suoi atti erano stati sagaci, pieni di strategia. Erano l'opera di gambe di un maestro. Gli vennero alla mente i compagni. La fragile linea blu aveva retto ai colpi e vinto. Se ne amareggiò. Gli parve che la cieca ignoranza e la stupidità di quelle particelle lo avessero tradito. Era stato sconfitto e schiacciato dalla loro mancanza di buon senso nel tenere la posizione, mentre un'intelligente riflessione li avrebbe convinti che ciò era impossibile. Lui, l'uomo illuminato che guarda lontano nelle tenebre, era fuggito grazie alle sue percezioni e cognizioni superiori. Provò una grande ira contro i compagni. Era certo che si poteva dimostrare che erano stati degli sciocchi. Si domandò quali commenti avrebbero fatto quando più tardi fosse comparso nell'accampamento. Con la mente udì urla di scherno. La loro ottusità non avrebbe permesso loro di capire il suo superiore punto di vista. Cominciò a provare una gran pietà per se stesso. Era maltrattato. Lo calpestava sotto i piedi una ferrea ingiustizia. Aveva agito con saggezza e secondo i più onesti motivi sotto l'azzurro del cielo, soltanto per essere deluso da odiose circostanze. Crebbe in lui una ribellione sorda, quasi animalesca, contro i compagni, la guerra in astratto, il fato. Continuò a trascinarsi con passi lenti, a testa bassa, il cervello in un tumulto di angoscia e disperazione. Quando alzava al cielo uno sguardo torvo, tremando a ogni suono, i suoi occhi avevano la stessa espressione di quelli di un criminale che giudica grandi colpa e castigo, e sa di non poter trovare parole. Dai campi passò in un folto bosco, quasi avesse deciso di seppellirsi. Voleva non sentir più gli spari crepitanti che gli parevano voci. Il terreno era ingombro di viticci e cespugli, gli alberi crescevano fitti e si allargavano come mazzi di fiori. Fu costretto ad aprirsi una strada facendo molto rumore. I rampicanti, impigliandosi nelle sue gambe, levavano aspre grida quando le loro frasche erano strappate dalla corteccia degli alberi. Gli arbusti fruscianti cercavano di render nota al mondo la sua presenza. Non riusciva a cattivarsi la foresta. Facendosi strada, suscitava continue proteste. Quando separava abbracci di viticci e alberi, il fogliame molestato agitava le braccia e gli presentava il verso delle foglie. Temette che quei movimenti rumorosi, quelle grida, portassero uomini a guardarlo. Cosi si allontanava, cercando luoghi bui e intricati. Dopo qualche tempo il rumore della fucileria si attenuò, e il cannone tuonò in lontananza. Il sole, comparso ad un tratto, fiammeggiò fra gli alberi. Gli insetti producevano rumori ritmici. Sembravano arrotare i denti all'unisono. Un picchio sporse la testina petulante dal fianco di un albero. Un uccello si levò a volo su ali spensierate. Via dal rombo di morte. Ora pareva che la Natura non avesse orecchie. Quel paesaggio gli dava sicurezza. Era un bel campo pieno di vita. Era la religione della pace, e sarebbe morta se i suoi timidi occhi fossero stati costretti a vedere il sangue. Egli concepiva la Natura come una donna con una profonda avversione per la tragedia. Tirò una pigna a un gioviale scoiattolo, e quello corse via con garrula paura. Si fermò in alto, sulla cima d'un albero e, sporgendo cautamente la testa da dietro un ramo, guardò giù con aria trepidante. Il giovane provò un senso di trionfo a quella dimostrazione. La legge c'era, si disse. La Natura gli aveva dato un segno. Lo scoiattolo, riconoscendo immediatamente il pericolo, se l'era data a gambe senza tanto chiasso. Non era rimasto a offrire stolidamente il pancino peloso al proiettile, per morire con uno sguardo levato a cieli comprensivi. Per contro era scappato con tutta la velocità che gli permettevano le zampe; e per di più era uno scoiattolo qualsiasi, di certo non un filosofo della sua razza. Il giovane prosegui nel cammino, sentendo che la Natura la pensava come lui. Essa consolidava la sua argomentazione con prove che vivevano dovunque splendeva il sole. A un certo momento si trovò quasi dentro un acquitrino. Dovette camminare sopra ciuffi di erba palustre, stando attento a non immergere i piedi nella viscida melma. Una volta, sostando per guardarsi attorno sul margine di una pozza nera, vide una bestiola piombarci dentro e risalire subito con un pesce luccicante. Il giovane rientrò in macchie profonde. I rami scostati facevano un rumore che soffocava il rombo dei cannoni. Continuò a camminare, passando dall'oscurità a promesse di un'oscurità più grande. Alla fine raggiunse un luogo dove i rami alti e arcuati formavano una cappella. Scostò leggermente i verdi battenti ed entrò. Gli aghi di pino formavano un morbido tappeto bruno. C'era una penombra religiosa. Vicino alla soglia si fermò, inorridito alla vista di una cosa. Seduto, con la schiena contro un albero simile a una colonna, un morto lo stava guardando. Il cadavere portava un'uniforme che già era stata blu, ma ora si era scolorita in una melanconica sfumatura di verde. Gli occhi che fissavano il giovane avevano assunto quella tinta opaca che si vede sul fianco di un pesce morto. La bocca era aperta, e il suo

18 rosso s'era cambiato in un giallo orribile. Sulla grigia pelle del viso correvano minute formiche. Una sospingeva una specie di involto lungo il labbro superiore. Nel trovarsi di fronte a quella cosa, il giovane diede un grido. Per qualche momento impietrì e rimase a fissare quegli occhi che parevano liquidi. Il morto e il vivo si scambiarono un lungo sguardo. Poi, cautamente, il giovane si mise una mano dietro e la posò contro un albero. Appoggiandosi a questo arretrò passo passo, con il viso sempre rivolto alla cosa. Temeva che, se girava le spalle, quel corpo potesse balzare in piedi e inseguirlo furtivo. Premendo contro di lui, i rami parevano volerlo gettare sul cadavere; anche i piedi, privi di guida, s'impigliavano in modo esasperante nei rovi: e nonostante tutto egli provava un vago impulso a toccare il morto. Ma, pensando alla propria mano posata su di esso, rabbrividì profondamente. Alla fine spezzò i ceppi che l'inchiodavano in quel posto e fuggi, senza badare ai rovi. Lo insegui la visione delle formiche nere che sciamavano avide sul grigio volto e orribilmente si avventuravano verso gli occhi. Dopo qualche tempo si fermò, senza fiato e ansante, in ascolto. Immaginò che dalla gola del morto uscisse una voce strana e gli gridasse dietro, rauca, terribili minacce. Gli alberi intorno ai portali della cappella si muovevano sussurrando a un lieve vento. Un mesto silenzio posava sul piccolo edificio protettore. VIII Sommessamente gli alberi presero a cantare un inno del crepuscolo. Il sole declinò finché obliqui raggi bronzei colpirono la foresta. Ci fu una tregua nei rumori degli insetti come se questi avessero chinato la testa e facessero una pausa devota. Era silenzio, a parte il coro salmodiante degli alberi. Poi, nella quiete, irruppe improvvisamente un tremendo fragore di suoni diversi. Da lontano giunse un ruggito rosso. Il giovane si fermò, paralizzato da quella terrificante mescolanza di tutti i rumori. Era come se si stessero squarciando mondi. C'era il crepitio della fucileria e lo schianto dirompente dell'artiglieria. La sua mente volò in ogni direzione. Immaginò i due eserciti alle prese come pantere. Ascoltò per un momento. Poi si mise a correre in direzione della battaglia. Vide l'ironia del correre a quel modo verso ciò che si era dato tanta pena di evitare. Ma in fondo, si disse, se la terra e la luna stessero per scontrarsi, molte persone diviserebbero senza dubbio di salire sui tetti per assistere alla collisione. Correndo, si accorse che la foresta aveva sospeso la sua musica, come se finalmente fosse divenuta capace di udire i rumori estranei. Gli alberi tacevano e ristavano immobili. Ogni cosa pareva ascoltare lo scoppiettio, il fragore, il tuono che rintronava le orecchie. Il coro rimbombava sopra la quieta terra. Al giovane venne ad un tratto in mente che la battaglia alla quale aveva partecipato, altro non era stata, dopo tutto, che una svogliata sparatoria. Udendo ora quel frastuono dubitò di aver mai visto vere scene di battaglia. Quel tumulto indicava una battaglia celeste; erano orde sfrenate che lottavano nell'aria. Riflettendo, si rese conto di un certo umorismo nel punto di vista suo e dei suoi compagni durante il recente scontro. Essi avevano preso molto sul serio se stessi e il nemico, s'erano immaginati che stavano decidendo la guerra. I singoli uomini avevano sicuramente ritenuto di star incidendo le lettere dei loro nomi in sempiterne tavole d'ottone, di star chiudendo per sempre la loro fama nei cuori dei compatrioti come in un santuario, mentre, stando ai fatti, l'episodio sarebbe apparso nei resoconti a stampa sotto un titolo modesto e di poco risalto. Ma capi che era bene così: altrimenti, si disse, in battaglia tutti sarebbero certamente scappati, salvo quelli impegnati in missioni speciali e i loro simili. Continuò a camminare svelto. Voleva pervenire al margine della foresta e spaziare così con lo sguardo. Mentre si affrettava, gli passarono per la mente immagini di stupendi conflitti. I pensieri accumulati su tali argomenti gli servirono.per comporre scene. Il rumore era come la voce di un eloquente commentatore. A volte i rovi formavano catene e cercavano di trattenerlo. Gli alberi, fronteggiandolo, allungavano le braccia e gli impedivano di passare. Dopo la precedente ostilità, quella nuova resistenza della foresta lo riempi di un bel risentimento. Pareva che la Natura non fosse ancora pronta a ucciderlo. Ma prendendo ostinatamente per vie traverse, si ritrovò a vedere lunghe muraglie grigie di vapori là dove si stendevano le linee di battaglia. Lo scossero le voci dei cannoni. La fucileria echeggiava a lunghe ondate irregolari che gli straziavano le orecchie. Si fermò per un attimo a guardare. I suoi occhi assunsero un'espressione atterrita mentre fissava attonito in direzione del combattimento. Poi riprese a camminare procedendo in linea retta. La battaglia era per lui come il macinare di un'immensa e terribile macchina. La sua complessità, la sua potenza, i suoi feroci procedimenti lo incantavano. Doveva avvicinarsi per vederla produrre cadaveri. Arrivò a una staccionata e la scavalcò. Dall'altra parte, il terreno era disseminato di divise e di fucili. Un giornale giaceva ripiegato nel fango. Un soldato morto era disteso con la faccia nascosta nella curva del braccio. Più in là vi era un gruppo di quattro o cinque cadaveri che si tenevano funerea compagnia. Il sole ardente aveva dardeggiato su quel luogo. Là il giovane si senti un intruso. Quella parte dimenticata del campo di battaglia apparteneva ai morti, ed egli si allontanò in fretta con il vago timore che una di quelle figure tumefatte si alzasse per dirgli di andarsene.

19 Finalmente giunse su una strada dalla quale poté scorgere in lontananza scure masse di truppa in movimento, in un alone di fumo. Sulla strada una moltitudine sporca di sangue defluiva verso le retrovie. I feriti imprecavano, gemevano, si lamentavano. Nell'aria, sempre un poderoso crescendo di rumori che parevano in grado di squassare la terra. Alle coraggiose parole dell'artiglieria e alle frasi astiose della fucileria si mescolavano rossi evviva. E da quella regione di rumori proveniva la continua fiumana degli storpiati. Uno dei feriti aveva una scarpa piena di sangue. Saltellava come uno scolaretto che gioca e rideva in modo isterico. Un altro giurava di essere stato colpito al braccio per colpa del cattivo impiego delle truppe da parte del generale comandante. Un altro ancora marciava imitando l'aria ineffabile di un tambur-maggiore. Nei suoi lineamenti v'era un'empia mescolanza di allegria e di angoscia. Marciando, cantava un pezzo di filastrocca con voce alta e tremula: «Canta un canto di vittoria, una tascata di pallottole, venticinque sono i morti cotti al forno in una... torta.» Una parte della processione zoppicava e barcollava a tempo. Un altro aveva già sul volto il grigio sigillo della morte. Le labbra erano piegate in linee dure, i denti serrati. Le mani erano insanguinate là dove le aveva premute sulla ferita. Pareva attendere il momento di ruzzolare a capofitto. Camminava rigido, simile allo spettro di un soldato, con gli occhi ardenti di uno che ha il potere di fissare l'ignoto. Alcuni procedevano accigliati, pieni di rancore per le ferite, pronti a sfogarsi su qualsiasi cosa che giudicassero oscura causa di esse. Un ufficiale veniva trasportato da due soldati. Era stizzoso. «Non scuotermi così, Johnson; sei un cretino,» gridava. «Credi che la mia gamba sia di ferro? Se non sai portarmi come si deve, mettimi giù e lascialo fare a un altro.» Muggì contro la moltitudine barcollante che bloccava il rapido cammino dei suoi portatori. «Ohè, fate largo, no! Fate largo, che tutti i diavoli vi portino!» Di malumore i feriti si divisero, disponendosi sui due lati della strada. Mentre passava, gli rivolsero commenti insolenti. Quando l'ufficiale replicò adirato minacciandoli, gli dissero di andare all'inferno. Uno dei portatori, avanzando a fatica, urtò pesantemente con la spalla il soldato spettrale che fissava l'ignoto. Il giovane si unì alla turba e camminò con essa. I corpi straziati davano un'idea del terribile meccanismo nel quale gli uomini erano rimasti impigliati. Attendenti e portaordini irrompevano di quando in quando nella calca che occupava la sede stradale, disperdevano i feriti a destra e a sinistra e galoppavano via, inseguiti da urla. La malinconica marcia era continuamente disturbata da messaggeri e talvolta da frenetiche batterie che arrivavano addosso rollando fragorose, con gli ufficiali che gridavano ordini per sgombrare la strada. C'era un soldato con la divisa a brandelli, sporco dalla testa ai piedi di terra, sangue e polvere da sparo, che arrancava quieto a fianco del giovane. Ascoltava avidamente e con molta umiltà le impressionanti descrizioni di un barbuto sergente. I suoi lineamenti smunti esprimevano riverenza e ammirazione. Era come uno che in uno spaccio di campagna ascolta storie mirabolanti narrate fra i barili di zucchero. Guardava il narratore con indicibile meraviglia. Ascoltava a bocca aperta, come un bifolco. Il sergente se ne accorse e, facendo una pausa nell'elaborato racconto, elargì un commento sardonico: «Sta' attento, cocco mio, che non ti ci entrino le mosche.» Il soldato con la divisa a brandelli si ritrasse confuso. Dopo un po' prese ad avvicinarsi timidamente al giovane, e in modo diverso tentò di farselo amico. La sua voce era gentile come quella di una fanciulla, e i suoi occhi imploranti. Il giovane vide con sorpresa che il soldato aveva due ferite, una alla testa, fasciata con un cencio zuppo di sangue, l'altra a un braccio, e questa faceva dondolare l'arto come un ramo spezzato. Dopo che ebbero camminato insieme per un po', il soldato con la divisa a brandelli radunò coraggio sufficiente per parlare. «É stata una discreta battaglia, no?», disse timidamente. Il giovane, immerso nei suoi pensieri, alzò lo sguardo a quel volto insanguinato e tetro con gli occhi da agnello. «Che?» «É stata una discreta battaglia, no?» «Si,» rispose asciutto il giovane e affrettò il passo. Ma l'altro s'ingegnò a tenergli dietro zoppicando. Nei suoi modi vi era come un'aria di scusa, ma evidentemente pensava che gli sarebbe bastato parlare un po', e il giovane si sarebbe accorto che era un tipo a posto. «É stata una discreta battaglia, no?», cominciò a voce bassa, e poi trovò la forza d'animo per proseguire: «Mi prendesse un colpo se ho mai veduto della gente combattere così. Dio, come combattevano! Lo sapevo che ai ragazzi gli sarebbe piaciuto, una volta che ci si fossero messi di buzzo buono. Non avevano avuto delle occasioni buone finora, ma stavolta hanno fatto vedere quel che valgono. Lo sapevo che le cose sarebbero andate così. A questi ragazzi non gliele suona nessuno. Nossignore! Sono dei combattenti, eccome!» Trasse un profondo respiro di umile ammirazione. Aveva guardato varie volte il giovane cercando incoraggiamento. Non ne ricevette, ma a poco a poco parve essere assorbito dal suo argomento:

20 «Ho parlato con una sentinella nemica una volta, e quel ragazzo della Georgia mi dice: I tuoi compagni scapperanno tutti come il vento al primo colpo di cannone, dice. E io gli dico: Può darsi, ma non ci credo ; e perdiana!, gli ribatto, i tuoi compagni sì, può darsi che scappino tutti come il vento al primo colpo di cannone, gli dico, e lui rideva. Be', oggi non sono scappati, no?... Nossignore! Si sono battuti, e battuti e battuti.» Il suo viso insignificante era soffuso da una luce d'amore per l'esercito, che rappresentava per lui tutte le cose belle e possenti. Dopo un po' si rivolse al giovane. «Te, dove t'hanno colpito, amico?» chiese con tono fraterno. A quella domanda il giovane provò un panico istantaneo, anche se sulle prime non si rese conto di tutto ciò che essa implicava. «Che?» chiese a sua volta. «Dove ti hanno colpito?» ripeté il soldato con la divisa a brandelli. «Ma,» cominciò il giovane, «io... io... cioè... ma... io...» Si volse di scatto e sgattaiolò in mezzo alla calca. Il sangue gli era salito alla fronte, le dita giocavano nervosamente con un bottone. Piegò la testa e fissò attentamente gli occhi sul bottone come se fosse un piccolo problema. Il soldato con la divisa a brandelli lo segui con sguardo attonito. IX Il giovane si attardò nel corteo finché non perdette di vista il soldato con la divisa a brandelli. Allora si mise a camminare insieme agli altri. Ma era in mezzo alle ferite. La gran massa degli uomini sanguinava. In seguito alla domanda del soldato con la divisa a brandelli, ora sentiva che non era impossibile scorgere la sua vergogna. Gettava continue occhiate oblique, se mai i compagni di marcia contemplassero le lettere di colpa che sentiva bruciargli la fronte. A volte guardava con invidia i soldati feriti. Immaginava particolarmente felici le persone coi corpi martoriati. Avrebbe voluto avere egli pure una ferita, un rosso distintivo del coraggio. Il soldato spettrale era al suo fianco come un furtivo rimprovero. Gli occhi dell'uomo fissavano ancora l'ignoto. Il suo volto grigio, da far spavento, aveva suscitato attenzione nella folla dei soldati, e alcuni, rallentando sul suo lugubre passo il loro, gli si accompagnarono. Discutevano il suo stato pietoso, lo interrogavano, gli davano consigli. Egli li respingeva caparbiamente, facendo segno che proseguissero e lo lasciassero in pace. Nel viso le ombre si approfondivano, le labbra serrate parevano trattenere il gemito di una grande disperazione. Si poteva notare una certa rigidità nei movimenti del corpo, come se egli si prendesse infinita cura di non svegliare il patimento delle ferite. Mentre procedeva, pareva che stesse cercando un luogo, come uno che va a scegliersi una tomba. Qualcosa nel gesto con cui l'uomo allontanava i soldati insanguinati e compassionevoli fece trasalire il giovane come se fosse stato morso. Gettò un grido di orrore. Facendosi avanti con passo incerto, pose una mano tremante sul braccio dell'uomo. Questi volse lentamente verso di lui il viso cereo, e allora il giovane gridò: «Dio mio! Jim Conklin!» Il soldato alto fece un sorrisetto di convenienza e disse: «Salve, Henry.» Il giovane vacillò sulle gambe e, smarrito, lo guardò in modo strano. Balbettò, tartagliò: «Oh, Jim.. oh, Jim.. oh, Jim...» Il soldato alto porse una mano sulla quale c'era una curiosa combinazione rosso-nera di sangue fresco e sangue secco. «Dove sei stato, Henry?», domandò; e continuò con voce monotona: «Ho pensato che forse ti avevano ammazzato, cannonate oggi ce ne sono state in abbondanza. Ho pensato parecchio a cosa t'era successo.» Il giovane rinnovò il lamento: «Oh, Jim.. oh, Jim... oh, Jim...» «Sai,» disse il soldato alto, «io ero laggiù!» e fece un cauto gesto «Dio, che sarabanda! E, perbacco, mi hanno colpito... mi hanno colpito. Si, perbacco, mi hanno colpito.» Ripeteva con aria sbalordita la constatazione di quel fatto, come se non sapesse come s'era verificato. Il giovane tese ansiosamente le braccia per aiutarlo, ma il soldato alto continuò a procedere risoluto, come se qualcosa lo spingesse. Dopo che il giovane era venuto a prendere in custodia il suo amico, gli altri feriti avevano smesso di mostrare molto interesse e tornarono a preoccuparsi di trascinare le loro personali tragedie verso le retrovie. Ad un tratto, mentre i due amici camminavano a fianco, il soldato alto parve sopraffatto dal terrore. La sua faccia prese un aspetto come di pasta grigia. Agguantò il braccio del giovane e si guardò intorno, come se temesse di essere udito. Poi cominciò a parlare in un bisbiglio tremulo: «Ti dico di cosa ho paura, Henry... te lo dico. Ho paura che se cado... capisci... quei maledetti carri dell'artiglieria... mi passino sopra. Ecco di che ho paura...» Il giovane gli gridò istericamente: «Io avrò cura di te, Jim! Io avrò cura di te! Lo giuro su Dio!» «Davvero lo farai, Henry?» implorò il soldato alto. «Si... si... ti assicuro... avrò cura di te, Jim,» protestò il giovane. Non riusciva a parlare chiaramente per il nodo che aveva in gola. Ma il soldato alto continuò a pregare in tono umile, appeso come un bambino al braccio del giovane. Gli occhi roteavano in un selvaggio terrore. «Sono sempre stato un buon amico per te, no, Henry? Non sono mai stato una

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