Corte di Cassazione - copia non ufficiale

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1 Civile Sent. Sez. 5 Num Anno 2014 Presidente: PICCININNI CARLO Relatore: CIRILLO ETTORE Data pubblicazione: 18/12/2014 sul ricorso SENTENZA 2009 proposto da: CACCIAPUOTI NICOLA, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DI PORTA PINCIANA 4, presso lo studio dell'avvocato MARIO SANTARONI, rappresentato e difeso dagli avvocati CARMINE PASSARO, GIUSEPPE DI MEGLIO giusta delega in calce; contro AGENZIA DELLE ENTRATE DI ISCHIA; - ricorrente - - intimatq,- avverso la sentenza n. 78/2008 della COMM.TRIB.REG. di NAPOLI, depositata il 09/06/2008;

2 «udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 12/11/2014 dal Consigliere Dott. ETTORE CIRILLO; udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SERGIO DEL CORE che ha concluso per l'accoglimento del ricorso.

3 RITENUTO IN FATTO 1. Il 29 novembre 2001 l'agenzia delle entrate notificò a Nicola Cacciapuoti avviso, con il quale, rilevata l'omissione delle dichiarazioni fiscali per l'anno d'imposta 1999, procedette alla ricostruzione induttiva del reddito d'impresa così accertando imposte dirette e IVA e applicando le correlate sanzioni. Il contribuente propose ricorso alla commissione tributaria provinciale di Napoli denunciando «violazione e falsa applicazione di legge» e, in particolare, «violazione della norma di cui all'art. 51 d.p.r. 633/72 ed art. 32 d.p.r. 600/73 in relazione all'art. 5 d.p.r. 22 luglio 1998 n. 322». Il ricorrente, adducendo di essere stato dichiarato fallito sin dal 25 novembre 1998, eccepì che il curatore fallimentare era per legge l'unico soggetto al quale avrebbe dovuto essere notificato l'atto impositivo, essendo posto a carico del suddetto il dovere di adempiere agli obblighi fiscali, compreso l'obbligo di dichiarazione per anno d'imposta posteriore al fallimento. Aggiunse che, per effetto dell'apertura della procedura concorsuale, mai avrebbe potuto esservi stato alcun concreto esercizio dell'attività d'impresa, «per cui anche i criteri presuntivi di determinazione del reddito» adottati dal fisco erano da considerarsi «svincolati da qualsiasi dato reale». 2. Il primo giudice accolse il ricorso osservando che l'ufficio aveva operato in violazione dell'art. 39, comma 2, d.p.r. n. 600 del 1973 poiché (a) si era basato su un illegittimo sistema di presunzioni a catena; (b) aveva trascurato che, stante il fallimento intervenuto nel 1998, il contribuente non aveva potuto realizzare alcun reddito d'impresa nel 1999 e non era scattato, neppure a carico del curatore, alcun obbligo dichiarativo. Inoltre rilevò che, quale ausiliare del giudice e in virtù dell'art. 74-bis del decreto IVA, il curatore era tenuto unicamente agli adempimenti fiscali per operazioni successive all'apertura dalla procedura ed esclusivamente nell'ipotesi di esercizio effettivo di operazioni imponibili. 3. Il fisco ha proposto appello, eccependo la tardività del ricorso introduttivo, il vizio di ultrapetizione circa l'illegittimità dell'accertamento induttivo ex art. 39 cit. e la sussistenza, comunque, dei requisiti di legge per l'utilizzazione di parametri induttivi (omessa dichiarazione del reddito d'impresa; mancata risposta agli inviti a chiarimenti). La commissione tributaria regionale della Campania ha accolto il gravame ritenendo la sussistenza dell'eccepito vizio di ultrapetizione. Ha _7def 1

4 f osservato che, mentre il ricorso introduttivo era basato sulla «violazione della norma di cui all'art. 51 d.p.r. 633/72 ed art. 32 d.p.r. 600/73 in relazione all'art. 5 d.p.r. 22 luglio 1998 n. 322». il primo giudice aveva fondato l'accoglimento del ricorso su diverso profilo giuridico correlato alla violazione, in tema di presupposti per l'accertamento induttivo, dell'art. 39, comma 2, d.p.r. n. 600 del 1973 (e dell'art. 55 d.p.r. d.p.r. n. 633 del 1972), senza che sul punto il contribuente avesse avanzato alcuna doglianza. 4. Per la cassazione di tale decisione il contribuente propone ricorso affidato due mezzi coi quali denuncia la nullità della sentenza per violazione dell'art. 112 cod. proc. civ., e vizio motivazionale; l'agenzia delle entrate non spiega alcuna attività difensiva. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Con i due mezzi il ricorrente rileva che, a prescindere dalla formulazione della rubrica del motivo di ricorso introduttivo, era chiara nel testo dell'atto la contestuale doglianza sulla inconsistenza dei parametri di riferimento dell'accertamento induttivo di reddito d'impresa per anno d'imposta successivo al fallimento, pur senza invocare espressamente l'art. 39, comma 2, d.p.r. n. 600 del Il primo e assorbente motivo (nullità della sentenza per violazione dell'art. 112 cod. proc. civ.) è fondato. Nel processo tributario, l'erronea o incompleta indicazione delle norme violate dall'amministrazione finanziaria nella rubrica del motivo di ricorso introduttivo non determina alcuna conseguenza se il giudice di merito possa agevolmente procedere alla corretta qualificazione giuridica del vizio denunciato sulla base delle argomentazioni giuridiche e fattuali svolte dal ricorrente a fondamento della censura dell'atto impositivo. Infatti la configurazione formale della rubrica del motivo non ha contenuto vincolante, ma è solo l'esposizione delle ragioni di diritto della impugnazione che chiarisce e qualifica, sotto il profilo giuridico, il contenuto della doglianza (conf. Sez. 5, Sentenza n del 03/08/2012, Rv , in tema di ricorso per cassazione). 3. Nella specie, il giudice d'appello ha fatto malgoverno di tali principi di diritto. Così come si è enunciato nella narrazione dello svolgimento del processo, con riferimento alla domanda introduttiva trascritta nell'odierno ricorso, il contribuente ha esplicitamente dedotto che, per effetto dell'apertura della procedura concorsuale, mai avrebbe potuto _7def 2

5 esservi stato alcun concreto esercizio dell'attività d'impresa, «per cui anche i criteri presuntivi di determinazione del reddito» adottati dal fisco erano da considerarsi «svincolati da qualsiasi dato reale». Il che rappresenta critica diretta dei presupposti logico-giuridici e circostanziali dell'accertamento induttivo come delineati nell'art. 39 d.p.r. n. 600 del 1973 e nell'art. 55 d.p.r. n. 633 del 1972, pur senza menzionare né la prima né la seconda disposizione. Al giudice d'appello competeva, dunque, il potere-dovere di qualificare giuridicamente l'azione e di attribuire (anche in difformità rispetto alla qualificazione della fattispecie operata dalla parte ricorrente), il nomen iuris al rilievo dedotto in giudizio. Infatti, anche il giudice tributario deve interpretare il titolo reale della controversia e, se necessario, applicare una norma di legge diversa da quella invocata dalla parte interessata, lasciando però inalterati sia il petitum che la causa petendi, senza attribuire un bene diverso da quello domandato e senza introdurre nel tema controverso nuovi elementi di fatto. (Sez. 5, Sentenza n del 01/09/2004, Rv ). 4. Una volta accolto il primo motivo, resta assorbito il secondo che prospetta la medesima questione sotto il profilo del vizio motivazionale. La sentenza d'appello deve, dunque, essere cassata con rinvio al giudice competente che, in diversa composizione e attenendosi ai principi di diritto sopra enunciati, deciderà la causa e regolerà pure le spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara assorbito il secondo, cassa la sentenza d'appello e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla commissione tributaria regionale delle Campania in diversa composizione Così deciso in a, il 12 novembre 2014 Il Consigliere ensore Il Presidente