Il rischio di confusione e il rischio di associazione nel diritto dei marchi del Benelux e comunitario: nozioni, interpretazioni ed evoluzioni.
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1 1 Il rischio di confusione e il rischio di associazione nel diritto dei marchi del Benelux e comunitario: nozioni, interpretazioni ed evoluzioni. 1. Evoluzione del diritto del Benelux dal punto di vista materiale e formale Quando i tre paesi fondatori del Benelux hanno firmato il trattato del 3 febbraio 1958, hanno costituito tale organizzazione per una durata limitata di cinquant anni a decorrere dal 1 novembre 1960, prorogabile di ulteriori periodi di dieci anni. Trattandosi di un unione economica, i tre paesi hanno ritenuto che occorresse, tra l altro, istituire un marchio unico anziché giustapporre un marchio comune e una serie di marchi nazionali, scopo che è stato raggiunto promulgando nei tre paesi una legge uniforme (attraverso il trattato del 19 marzo 1962), entrata in vigore il 1 gennaio La Corte di giustizia del Benelux (CGB), che, come sottolineeremo nel prosieguo, ha svolto il suo ruolo più importante proprio nel campo dei marchi, è stata istituita con un ulteriore trattato siglato il 31 marzo 1965 ed entrato in vigore il 1 gennaio Essa non ha pressoché altre competenze se non quella di pronunciarsi sulle questioni pregiudiziali. La legge è poi stata rimaneggiata una prima volta nel 1983 per garantire la tutela dei marchi di servizi, ma le sue modifiche fondamentali, apportate rispettivamente nel 1992, nel 1996 e nel 2001, sono avvenute sulla scia delle evoluzioni comunitarie e internazionali. Nel 1992 la legge uniforme è stata rivista in seguito all adozione della prima direttiva del 21 dicembre 1988 (dir. 89/104/CEE GUCE L 40 dell 11 febbraio 1989). Nel 1996 è stato necessario adeguarla agli accordi di Marrakech (OMC), e più specificamente all accordo sugli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale attinenti al commercio (TRIPS). Infine, la sua quarta modifica, risalente al 2001, ne ha comportato l adeguamento all interpretazione data dalla Corte di giustizia delle Comunità europee (CGCE) della direttiva, segnatamente a seguito della sentenza Puma/Sabel dell 11 novembre 1997, che ha stabilito l interpretazione della nozione di rischio di confusione comportante anche un rischio di associazione e l interpretazione dell articolo 5, paragrafo 1, lettera b), della direttiva. Ultimamente, l aspetto formale del diritto del Benelux è completamente mutato: alla legge uniforme è infatti subentrata una convenzione internazionale, la Convenzione del Benelux in materia di proprietà intellettuale (CBPI), firmata il 25 febbraio 2005 ed entrata in vigore il 1 settembre 2006 a tempo indeterminato, per cui ormai è una sola convenzione stipulata tra i tre paesi a disciplinare il loro diritto dei marchi, disegni e modelli. Tale convenzione, appena entrata in vigore, è già stata modificata da un atto del 1 dicembre 2006 (entrato in vigore il 1 febbraio 2007) al fine di garantirne la conformità alla direttiva 2004/48/CE del Parlamento e del Consiglio sul rispetto dei diritti di proprietà intellettuale. Le modifiche riguardano unicamente gli articoli relativi al risarcimento dei danni e alle altre azioni che possono essere intentate dal titolare di un marchio.
2 2 2. Origine delle nozioni di rischio di associazione e rischio di confusione Le nozioni di rischio di associazione e rischio di confusione sono contenute, da un lato, nei paragrafi 3 e 20 dell articolo 2 della CBPI (precedentemente negli articoli 3, paragrafo 2, e 13.A, paragrafo 1, lettera b), o 13.A, paragrafo 1, della legge uniforme) per quanto concerne il Benelux e, dall altro, negli articoli 4, paragrafo 1, lettera b), e 5, paragrafo 1, lettera b), della prima direttiva per quel che riguarda il diritto comunitario. Le disposizioni corrispondenti del diritto dei marchi comunitario sono gli articoli 8, paragrafo 1, lettera b), (impedimenti relativi alla registrazione) e 9, paragrafo 1, lettera b), (diritti conferiti dal marchio comunitario) del regolamento n. 40/94 (sul marchio comunitario) e gli articoli 4, paragrafo 1, lettera b), e 5, paragrafo 1, lettera b), della prima direttiva. L articolo 2, paragrafo 3, della CBPI riguarda la priorità di deposito del marchio e, dunque, è una condizione di validità del marchio (il corrispondente impedimento alla registrazione è ripreso nell articolo 2, paragrafo 28, della CBPI). L articolo 2, paragrafo 20, della CBPI delimita la portata della tutela conferita al titolare del marchio. Il comma 1b dell articolo, 2, paragrafo 20, tutela, in particolare, i diritti conferiti al titolare dei diritti esclusivi in caso di segno identico o simile per prodotti o servizi identici o simili. I passaggi corrispondenti della direttiva sono quelli relativi agli altri impedimenti alla registrazione o motivi di nullità relativi ai conflitti con diritti anteriori (articolo 4, paragrafo 1, lettera b)) e ai diritti conferiti dal marchio di impresa (articolo 5, paragrafo 1, lettera b)). L attuale articolo 2, paragrafo 3, della CBPI stabilisce che la priorità di deposito debba essere valutata tenendo conto dei diritti esistenti all atto del deposito e mantenuti in essere al momento della controversia su marchi identici o somiglianti depositati per prodotti o servizi identici o simili allorquando esiste per il pubblico un rischio di confusione comportante anche un rischio di associazione con il marchio anteriore. Il comma 1a dell articolo 2, paragrafo 20, della CBPI dispone che il titolare del marchio possa vietare a qualunque terzo di far uso nell attività commerciale di un segno per il quale, in ragione della sua identità o somiglianza con il marchio, nonché dell identità o somiglianza tra i prodotti o servizi coperti dal marchio e dal segno, esista per il pubblico un rischio di confusione comportante anche un rischio di associazione tra il segno e il marchio. Si tratta, in ambedue i casi, di una fedele trasposizione dell articolo 4, paragrafo 1, lettera b), della direttiva. Prima della trasposizione della detta direttiva, realizzata in due fasi, la situazione era sensibilmente diversa. Nella sua versione originale, ossia prima della trasposizione della direttiva, l articolo 3, paragrafo 2, della legge uniforme, relativo alla priorità di deposito, non faceva in alcun modo riferimento a una nozione di associazione: esso semplicemente stabiliva che la priorità di
3 3 deposito deve essere valutata tenendo conto dei diritti esistenti ( ) su singoli marchi somiglianti depositati per prodotti simili. Sempre nella sua versione originale, l articolo 13.A, paragrafo 1, della legge uniforme, relativo alla portata della tutela, stabiliva che il diritto esclusivo sul marchio permette al titolare di opporsi a qualunque uso che venga fatto del marchio o di un segno somigliante per i prodotti per i quali il marchio è registrato o per prodotti simili. Le due nozioni sono chiaramente legate al fenomeno dell identità o somiglianza del marchio, o anche dell identità o somiglianza dei prodotti o servizi designati da due marchi. Inizialmente, pertanto, a livello di disposizioni giuridiche, il rischio di associazione non veniva in alcun modo menzionato. Dove trae origine, dunque, il concetto di rischio di associazione? Lo dobbiamo alla Corte di giustizia del Benelux. La Corte di giustizia del Benelux è stata adita dalla Corte di cassazione del Belgio in merito all interpretazione degli articoli 3, paragrafo 2, lettera b), e 13.A, paragrafo 1, della legge uniforme nella formulazione in cui all epoca erano in vigore. Il problema concreto da risolvere era quello di stabilire se i marchi Union e Union Solere (per orologi) fossero somiglianti (caso Jullien/Verschuere). Nel prosieguo rileveremo come le somiglianze rientrino, per eccellenza, nel campo delle percezioni degli individui. Con sentenza del 20 maggio 1983, la CGB ha interpretato la nozione di somiglianza come segue: vi è somiglianza tra un marchio e un segno allorquando, tenuto conto delle peculiarità del caso di specie, e segnatamente del carattere distintivo del marchio, il marchio e il segno, considerati di per loro e l uno in rapporto all altro, presentano, a livello uditivo, visivo o concettuale, un analogia tale da stabilire un associazione tra il segno e il marchio. La Corte si è pronunciata in un momento in cui l articolo 4 della prima direttiva non esisteva ancora. 3. Spiegazione dell approccio del Benelux Una siffatta interpretazione da parte della CGB non era certo scontata! Per concorrere a stabilire l entità del danno arrecato al marchio, era realmente necessario ricorrere al concetto di associazione tra il marchio e un segno asseritamente somigliante? Cos è in realtà un associazione nel campo delle percezioni o degli atti cognitivi?
4 4 Gli psicologi spiegano che l associazione è un legame esistente tra due rappresentazioni mentali. Si tratta della capacità cognitiva dell essere umano, ossia la capacità di mettere in relazione percezioni di entità diverse. Una rappresentazione mentale, o rappresentazione cognitiva, è l immagine che un individuo si crea di una determinata situazione richiamandosi alle sensazioni e alla memoria. Sono possibili più rappresentazioni: immagine mentale, memoria semantica, concetti e categorie. L approccio difeso dalla CGB implica, quindi, che basta il solo fatto che un individuo stabilisca un legame cognitivo tra il marchio e un segno perché i diritti del titolare del marchio siano violati. L idea soggiacente è che, nel momento in cui un segno è in grado di far nascere un associazione con un marchio, il pubblico stabilisce un legame che può essere pregiudizievole per il marchio. È tuttavia appurato che la capacità di associare rappresentazioni mentali costituisce, per l individuo, una necessità assoluta per orientarsi nella massa di rappresentazioni mentali: l associazione, infatti, è intimamente legata alla capacità di differenziare! Non vi può essere associazione senza preliminare distinzione! Con questo approccio, il titolare del marchio gode, in realtà, di una tutela che pare superare di gran lunga quella che potrebbe costituire una difesa contro le somiglianze. 4. Nascita e consolidamento del principio del rischio di confusione Successivamente, nel dicembre 1988, è stata emanata la prima direttiva del Consiglio, la cui genesi illustra perfettamente la differenza tra i concetti di associazione e confusione. Una prima apparizione del concetto di rischio di confusione può essere letta nella prima proposta di detta direttiva risalente al L articolo 3 concede al titolare del marchio la possibilità di opporsi quando l uso di un segno identico o simile per prodotti identici o simili crea un rischio di confusione per il pubblico. Tuttavia, nel 1983, il Parlamento ha scartato tale soluzione optando per un sistema differenziato che prevedeva due casi: 1) è vietato qualunque uso di un segno identico per prodotti identici (contraffazione pura e semplice) e 2), per quanto concerne un segno simile o identico per prodotti simili, è decisivo il rischio di confusione per il pubblico (indipendentemente dal fatto che la confusione sia correlata o meno all origine dei prodotti). La Commissione ha abbracciato questa soluzione, come rivela un esperto indiscreto, e, a seguito delle pressioni esercitate dai rappresentanti belgi all interno del gruppo di lavoro costituito presso la Commissione, l espressione comportante anche un rischio di associazione è stata infine aggiunta alle parole rischio di confusione, formulazione che figura negli articoli 4, paragrafo 1, lettera b), e 5, paragrafo 1, lettera b), della direttiva (nonché negli articoli 8 e 9 del regolamento).
5 5 Si riteneva che, con questa aggiunta, la giurisprudenza della Corte di giustizia del Benelux avrebbe conservato la propria validità. Speranza vana: come vedremo nel prosieguo, la CGCE ha deciso diversamente in merito. La trasposizione di tale direttiva ha imposto una modifica radicale della legge uniforme del Benelux nel Ritenendo che il rischio di associazione fosse compreso nel rischio di confusione, i paesi del Benelux hanno inizialmente fatto menzione, nelle corrispondenti disposizioni giuridiche, soltanto dell ipotesi in cui esiste per il pubblico un rischio di associazione tra i marchi, o anche tra il marchio e il segno somigliante. In tal modo, hanno mantenuto l interpretazione della CGB. Eppure, una volta emanata la direttiva, non potevano più sussistere grossi dubbi in merito al fatto che si trattasse di due nozioni profondamente diverse. Il decimo considerando della direttiva afferma inequivocabilmente che è indispensabile interpretare la nozione di somiglianza in relazione al rischio di confusione. Tale scelta era peraltro logica. La confusione presuppone l esistenza di un associazione: l impossibilità di distinguere o l errore nella distinzione implica una previa associazione. Viceversa, l associazione non deve dare adito a confusione e, pertanto, non la implica in alcun modo. L interpretazione del diritto comunitario da parte della CGCE ha posto fine all esistenza del concetto di rischio di associazione. Con quattro sentenze, la Corte di giustizia ha definito l interpretazione dell articolo 4, paragrafo 1, lettera b), nel senso del rischio di confusione e successivamente ha dovuto pronunciarsi su diversi aspetti che richiedevano chiarimenti in riferimento all ipotesi di marchi identici o simili, o anche prodotti identici o simili coperti da tali marchi. Si tratta delle sentenze Puma/Sabel dell 11 novembre 1997, Canon/Metro Goldwin del 29 settembre 1998, Lloyd Schuhfabrik Meyer/Klijsen del 22 giugno 1999 e Adidas/Marca Mode del 22 giugno In una quinta sentenza, Medion/Thomson del 6 ottobre 2005, la Corte ha ripreso e confermato tutti i principi precedentemente stabiliti. In sintesi, la sentenza Sabel/Puma enuncia il seguente concetto: la semplice associazione tra due marchi che potrebbe essere stabilita dal pubblico in ragione del loro contenuto semantico coincidente non è sufficiente, in sé, per concludere che esista un rischio di confusione. Tale insegnamento è confermato dalla sentenza Canon/Metro Goldwin. La Corte si è basata sia sul testo dell articolo 4, paragrafo 1, lettera b), sia sul decimo considerando della direttiva per spiegare che la nozione di rischio di associazione non rappresenta un alternativa alla nozione di rischio di confusione, bensì serve a definirne la
6 6 portata. Il decimo considerando precisa con chiarezza che il rischio di confusione costituisce la condizione della tutela. Va notato altresì che, nella sentenza Puma, la CGCE ha optato per il principio della confusione senza però fornire una definizione positiva del concetto di rischio di confusione comportante anche un rischio di associazione, cosa che avrebbe fatto successivamente, nella sentenza Canon, circoscrivendolo come segue: il rischio di confusione va interpretato come il rischio che il pubblico possa credere che i prodotti o servizi provengano dalla stessa impresa o, eventualmente, da imprese economicamente legate tra loro. Vi si ravvisa la possibilità di un rischio diretto e indiretto: il primo riguarda il legame tra i marchi e i segni, il secondo quello tra i titolari dei marchi e dei segni. Evoluzione della giurisprudenza della CGB Dalla pronuncia della sentenza Puma/Sabel, la CGB non aveva più margine interpretativo e, nella sua sentenza del 2 ottobre 2000 (Brouwerij Haacht/Grandes Sources belges in merito ai marchi Val e Valvert), ha dovuto allinearsi con la giurisprudenza comunitaria. Non ha tuttavia mancato di operare una distinzione tra i periodi antecedente e successivo al 31 dicembre 1992, data ultima stabilita per l adeguamento della legislazione alla direttiva da parte degli Stati membri. La CGB interpreta la legge del Benelux in senso conforme alla direttiva soltanto per i fatti verificatisi dopo il 31 dicembre La CGB ha peraltro confermato la propria posizione nella sentenza Adidas/Marca Mode del 7 giugno 2002 (dopo la sentenza della CGCE del 22 giugno 2000 sullo stesso caso). 5. Elaborazione del principio del rischio di confusione Poiché il rischio di confusione è legato alla questione dei marchi somiglianti e dei prodotti somiglianti, analizziamo in maniera più approfondita i diversi aspetti da chiarire nell ottica di tale rischio, ossia la somiglianza tra i segni, la somiglianza tra i prodotti o servizi, le modalità di valutazione del rischio di confusione e il pubblico per il quale occorre valutarlo. a. Come procedere alla valutazione? Nel caso Puma/Sabel, la Corte tedesca che ha interpellato in via pregiudiziale la CGCE doveva pronunciarsi in merito alla questione se un contenuto semantico coincidente dei marchi fosse sufficiente per concludere che esisteva un rischio di confusione. Orbene, non è sufficiente. La risposta della Corte è stata chiara: occorre valutarlo globalmente, tenendo presenti tutti i fattori pertinenti della fattispecie, e segnatamente la notorietà del marchio sul mercato, l associazione che può essere stabilita con il segno utilizzato o registrato e il grado di somiglianza tra i prodotti o servizi designati (sentenza Puma).
7 7 Inoltre, globalmente significa che la somiglianza visiva, uditiva o concettuale deve essere fondata sull impressione complessiva prodotta dai marchi tenendo presenti, in particolare, gli elementi distintivi e dominanti del marchio. Per quale motivo occorre valutarlo globalmente? Perché il consumatore medio percepisce un marchio con un entità unitaria e non effettua analisi. Di quale consumatore si tratta? Si tratta del consumatore medio del tipo di prodotti specificamente in questione. Va peraltro rilevato che, nell approccio globale, un elemento di somiglianza (per esempio, auditiva) può essere neutralizzato da dissomiglianze visive e/o concettuali (sentenza Ruiz Picasso del 12 gennaio 2006). Ultimamente, la Corte ha avuto occasione di rammentare l importanza dell applicazione dell approccio globale in riferimento al caso di un marchio complesso di tipo visivo che contiene un elemento dominante: solo quando tutte le altre componenti del marchio sono trascurabili, la valutazione della somiglianza può avvenire unicamente sulla base dell elemento dominante (sentenza Shaker del 12 giugno 2007 marchio limonchello). Nelle circostanze molto particolari della sentenza Medion del 6 ottobre 2005 (marchi Thomson Life Thomson), la Corte doveva esprimersi sul caso in cui un marchio anteriore complesso, che contiene la denominazione dell impresa, mantiene una posizione distintiva autonoma, pur senza costituirne l elemento dominante. Nella fattispecie, l impressione complessiva prodotta dal segno composto può indurre il pubblico a credere che i prodotti o servizi provengano perlomeno da imprese economicamente legate tra loro. La Corte ha ammesso che può sussistere un rischio di confusione per il pubblico, in caso di identità dei prodotti o dei servizi, quando il segno controverso è costituito dalla giustapposizione, da un lato, della denominazione dell impresa del terzo e, dall altro, del marchio registrato, dotato di normale capacità distintiva, e quando quest ultimo, pur senza determinare da solo l impressione complessiva del segno composto, conserva nell ambito dello stesso una posizione distintiva autonoma. b. Ruolo della capacità distintiva del marchio Nella sentenza Canon, la Corte si è occupata di due questioni relative all articolo 4, paragrafo 1, lettera b), della direttiva: a) l incidenza della capacità distintiva sulla valutazione della somiglianza e il rischio di confusione b) il rischio di confusione allorquando per il pubblico i prodotti hanno luoghi di origine diversi. Essa ha affermato a) che, per appurare se la somiglianza sia sufficiente per dare luogo a confusione, occorre tenere presenti la capacità distintiva e la notorietà del marchio, e ha rilevato b) che può esistere un rischio di confusione allorquando per il pubblico i prodotti e servizi hanno luoghi di produzione diversi. Viceversa, tale rischio è escluso nel momento in cui il pubblico non è indotto a credere che i prodotti provengano dalla stessa impresa o da imprese economicamente legate tra loro.
8 8 Un altro insegnamento della sentenza Canon è che la valutazione globale implica un interdipendenza tra i fattori considerati, e segnatamente la somiglianza tra i marchi e quella tra i prodotti: un tenue grado di somiglianza tra i prodotti può essere compensato da un elevato grado somiglianza tra i marchi e viceversa. Il ruolo svolto dalla capacità distintiva in tale approccio globale dipende dalla sua importanza: quanto più importante è tale capacità, tanto più elevato è il rischio di confusione. Tale principio, indubbiamente logico in un approccio basato sul rischio di associazione, forse lo è meno nell ottica della confusione. Si è sostenuto, forse non a torto, che quanto più il marchio ha una capacità distintiva, tanto più il consumatore medio riesce a distinguerlo facilmente e a differenziarlo dai segni che gli somigliano. Infine, quando è importante tale capacità? Occorre stabilirlo in funzione della capacità di un segno di identificare i prodotti per i quali il marchio è registrato come prodotti provenienti da una determinata impresa e, dunque, distinguerli dai prodotti di altre imprese. La Corte ha tuttavia dichiarato nella sentenza Adidas/Marca Mode che la notorietà di un marchio non permette in sé di presumere l esistenza un rischio di confusione per il solo fatto dell esistenza di un rischio di associazione. Da un raffronto con la giurisprudenza della CGB emergono parallelismi sorprendenti. Quest ultima Corte aveva, in particolare, stabilito il principio dell approccio sintetico e la necessità di tener conto di tutti gli elementi della fattispecie, ponendo inoltre l accento sulla capacità distintiva e l importanza di tale capacità in funzione del rischio di associazione. c. Problema della somiglianza tra i prodotti, strettamente legato a quello della somiglianza tra i marchi La Convenzione del Benelux cita sempre insieme i due elementi, e lo stesso dicasi per la giurisprudenza comunitaria. Quanto più elevata è la somiglianza tra i marchi, tanto più elevata deve essere la dissomiglianza tra i prodotti. Peraltro, è norma che le somiglianze siano più importanti delle differenze. L idea soggiacente è che, se il legame tra i prodotti è sufficientemente stretto, il pubblico che li percepisce può credere che abbiano un origine comune. Quando vi è dunque somiglianza tra prodotti e servizi? Dal caso Canon si evince che sono simili prodotti o servizi che presentino un legame tra loro sufficientemente stretto affinché il pubblico, vedendo apposto su di essi un marchio identico o somigliante, possa attribuire loro un origine comune.
9 9 In funzione di cosa viene valutata la somiglianza? Quali sono gli indicatori più importanti? Gli elementi decisivi sono la natura del prodotto e la sua destinazione. Sempre la sentenza Canon precisa che, per valutare la somiglianza tra i prodotti o servizi, si deve tener conto di tutti i fattori pertinenti che caratterizzano il rapporto tra i prodotti o i servizi. La Corte aggiunge inoltre che i fattori più importanti sono: la loro natura, la loro destinazione, il loro impiego, nonché la loro concorrenzialità o complementarità. La classificazione amministrativa adottata per la registrazione dei marchi (classificazione di Nizza) non ha invece alcuna rilevanza. La Convenzione del Benelux (CBPI) lo stabilisce espressamente (articolo 2, paragrafo 20, comma 3)). Quanto alla giurisprudenza della CGB in materia di somiglianza tra prodotti o servizi, nella sentenza Linguamatics/Stichting Polyglot del 16 giugno 1995 (marchio Polygot), la Corte ha statuito che per stabilire se i prodotti o servizi siano simili o meno, è decisivo appurare in che misura il pubblico ritenga che i prodotti o servizi siano accomunabili, dal punto di vista commerciale, tecnico o altro, ai prodotti o servizi del titolare del marchio. d. Per quale pubblico occorre valutare il rischio di confusione? La sentenza Lloyd Schuhfabrik Meyer del 22 giugno 1999 (marchio Loint s) che peraltro riprende i principi di massima già affermati sostiene che occorre valutarlo in relazione al consumatore medio considerato normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto. Ciò in quanto il consumatore ha solo raramente la possibilità di procedere a un confronto diretto tra i vari segni e marchi e deve, pertanto, fare affidamento sull immagine non perfetta che ne ha mantenuto nella memoria. Occorre inoltre tener presente il fatto che il livello di attenzione può variare in funzione della categoria di prodotti o servizi. Il consumatore deve dunque fare affidamento su rappresentazioni mentali successive vista, udito, memoria e raramente ha l opportunità di vedere i marchi in un medesimo contesto. 6. Uniformità interpretativa degli articoli 4, paragrafo 1, lettera b), e 5, paragrafo 1, lettera b), della direttiva Nella quarta sentenza citata, ossia la sentenza Adidas del 22 giugno 2000, la Corte è stata interpellata in via pregiudiziale dall Hoge Raad dei Paesi Bassi, il quale ha peraltro posto questioni identiche a quelle della CGB, sul criterio del rischio di confusione comportante anche un rischio di associazione e, più precisamente, sulle eventuali differenze tra il tenore degli articoli 4, paragrafo 1, lettera b), e 5, paragrafo 1, lettera b), della direttiva. Vi si potrebbe ravvisare un ultimo tentativo estremo di riconquistare terreno da parte dei difensori del rischio di associazione.
10 10 La risposta della Corte è stata negativa: non vi è alcuna differenza tra il tenore delle due disposizioni per quanto concerne il rischio di confusione comportante anche un rischio di associazione. La loro interpretazione è identica. 7. Conclusione a) Il criterio del rischio di confusione comportante anche un rischio di associazione è nettamente distinto dal criterio del rischio di associazione. Si potrebbe asserire che, alla luce del decimo considerando della direttiva, l aggiunta dell espressione comportante anche un rischio di associazione negli articoli 4 e 5 non è stata molto felice, poiché logicamente tale espressione era superflua e dava luogo soltanto ad ambiguità. b) L influenza concreta della CGCE sulla giurisprudenza della CGB e la sua supremazia paiono evidenti. La CGB ha abbandonato il criterio del rischio di associazione per delimitare la tutela del marchio contro qualunque segno somigliante per prodotti identici o simili sin dalla sua prima pronuncia successiva alla sentenza Puma/Sabel, ancor prima che la legge uniforme fosse modificata nel 2001 per renderla conforme alla giurisprudenza della CGCE. c) L influenza si manifesta anche in un senso inverso. Anche la CGCE si è innegabilmente ispirata alla giurisprudenza della CGB in materia di marchi e segni somiglianti per prodotti o servizi identici o somiglianti: valutazione sintetica o globale dei marchi, criteri di somiglianza (visiva, auditiva, concettuale), importanza della capacità distintiva (marchi piuttosto deboli o forti), somiglianza tra prodotti o servizi.
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