Il Codice del consumo

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1 Attenzione: la Guida che state stampando è aggiornata al 13/11/2014. I file allegati con estensione.doc,.xls,.pdf,.rtf, etc. non verranno stampati automaticamente; per averne copia cartacea è necessario aprire il singolo allegato e stamparlo. File PDF creato in data 13/11/2014 Per maggiori informazioni rivolgersi: Servizio Legale e Urbanistica Piazza Castello, Vicenza tel fax legale@confindustria.vicenza.it CODICE DEL CONSUMO E LEGISLAZIONE A TUTELA DEL CONSUMATORE Introduzione Capitolo n. 1. Informazione al consumatore Capitolo n. 2. Indicazione dei prezzi al consumatore per unità di misura Capitolo n. 3. Pratiche commerciali sleali Capitolo n. 4. Particolari modalità della comunicazione pubblicitaria (rafforzamento della tutela del consumatore in materia di televendite) Capitolo n. 5. Clausole vessatorie Capitolo n. 6. Contratti negoziati fuori dei locali commerciali e contratti a distanza Capitolo n. 7. Contratti a distanza per l'erogazione di servizi finanziari Capitolo n. 8. Commercio elettronico Capitolo n. 9. Tutela dell'acquirente per taluni aspetti dei contratti relativi all'acquisizione di un diritto di godimento a tempo parziale di beni immobili Capitolo n. 10. Sicurezza dei prodotti Capitolo n. 11. Servizi turistici Capitolo n. 12. Responsabilità per danno da prodotti difettosi Capitolo n. 13. Vendita di beni di consumo Capitolo n. 14. Tutela giudiziaria, conciliazione e ruolo delle Associazioni dei consumatori Capitolo n. 15. Azione di classe risarcitoria - "class action" Capitolo n. 16. Tutela degli acquirenti degli immobili da costruire Capitolo n. 17. Prodotti che avendo un aspetto diverso da quelli che sono in vendita, compromettono la salute e la sicurezza dei consumatori Capitolo n. 18. Testo del codice del consumo Introduzione Codice del consumo e legislazione a tutela del consumatore Da molti anni si è sviluppata, soprattutto per iniziativa del legislatore comunitario, una disciplina speciale il cui denominatore comune è quello di precostituire una particolare tutela per una parte contraente (il c.d. consumatore ), considerata per definizione parte debole. Il Codice del consumo Il nuovo Codice del consumo, emanato con il D. lgs. 6 settembre 2005 n. 206, è entrato in vigore il successivo 23 ottobre Si tratta, precisamente, del decreto legislativo con il quale viene data attuazione alla delega conferita al Governo con la Legge 9 luglio 2003 n. 229, legge di semplificazione

2 per il Il Codice rappresenta il frutto di un'importante operazione di riordino e di armonizzazione della disciplina vigente in materia, che è stata adeguata agli orientamenti europei e coordinata al fine di incrementare i livelli di tutela del consumatore in sede nazionale e sopranazionale. Vi si riconoscono in forma chiara ed esplicita i diritti e gli interessi individuali e collettivi dei consumatori e degli utenti e ne viene promossa la tutela, anche in forma collettiva. Per quanto si tratti di una normativa di tutela, il Codice interseca direttamente i rapporti tra imprese e consumatori proponendosi di rendere omogenei gli standard di tutela del consumatore su base europea; il sistema di tutela delineato dal Codice è incentrato essenzialmente sul principio di trasparenza dei rapporti consumatore/professionista (ai nostri fini, quindi, l impresa) e sul diritto di ripensamento, con una tendenziale omogeneizzazione delle procedure relative al diritto di recesso del consumatore nelle diverse tipologie di contratto. Entrambi i principi si fondano sull idea che l ordinamento debba garantire condizioni di fondo idonee a compensare l affermata debolezza strutturale del privato consumatore. Il Codice del consumo è suddiviso in sei Parti che raccolgono per grandi linee tematiche le discipline settoriali finora sparse in molteplici fonti normative: Disposizioni generali (Parte I) Educazione, informazione, pubblicità (Parte II) Il rapporto di consumo (Parte III) Sicurezza e qualità (Parte IV) Associazioni dei consumatori e accesso alla giustizia (Parte V) Disposizioni finali (Parte VI) Nozione di consumatore Il Codice del consumo introduce una nozione unitaria di consumatore, ponendo così fine alle incertezze determinate, anche in fase applicativa, da definizioni molteplici ed in parte difformi contenute nei vari spezzoni di cui si compone il blocco normativo a tutela del consumatore nel suo complesso. L art. 3, comma 1, lett. a) del codice definisce consumatore o utente la persona fisica che agisce per scopi estranei all'attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta. Pertanto, i requisiti essenziali della nozione sono: il consumatore è sempre esclusivamente una persona fisica (e non un'impresa) il soggetto qualificato come consumatore (nel rapporto contrattuale, ma non solo) deve agire per scopi estranei all'eventuale attività imprenditoriale o professionale svolta la controparte deve essere un'impresa o un professionista. Da tale definizione si evince che l'impresa non può mai avvalersi delle tutele poste a favore del consumatore non potendo mai la stessa rivestire la qualifica di "consumatore"; le imprese, in questa prospettiva, rappresentano le parti contrattuali che instaurano rapporti con il consumatore. Occorre però formulare da subito un avvertenza importante ai fini della consultazione della presente guida: ove singole discipline di settore ora raccolte quasi nella loro interezza nel Codice del consumo assumano una definizione di consumatore (come parte debole del rapporto commerciale) anche solo in parte diversa da quella generale tendenzialmente uniforme, la singola scheda riportata nella presente guida ne darà puntualmente conto evidenziando i tratti peculiari della specifica nozione adottata. Ad esempio, l art. 5, comma 1, in tema di informazioni ai consumatori definisce Consumatore o utente anche la persona fisica destinataria di comunicazioni commerciali. Nozioni di professionista e produttore Alla figura del consumatore si affianca quella della sua naturale controparte, vale a dire il professionista, inteso dall art. 3, comma 1, lett. c) quale persona fisica o giuridica che agisce nell'esercizio della propria attività imprenditoriale o professionale, ovvero un suo intermediario e quindi qualsiasi impresa. A questo punto si impone una ulteriore rilevante precisazione: non tutte le discipline assorbite oggi nel Codice del consumo riguardano in senso stretto il rapporto professionista /consumatore. Alcune (ad esempio quella sulla responsabilità del produttore, ma è soltanto un esempio tra i diversi possibili) esulano da questa relazione commerciale e quindi hanno un ambito di applicazione ben più ampio, che oltrepassa di gran lunga i limiti di quel rapporto. E evidente che, alla luce di questa semplice considerazione, i riflessi delle disposizioni contenute nel Codice in questione sulle imprese e sulle loro attività commerciali si presentano ancor più diretti ed immediati. In questa prospettiva allargata, appare centrale anche la nozione di produttore definito in via generale

3 dall art. 3, comma 1, lett. d) del Codice, quale fabbricante del bene o fornitore del servizio, o suo intermediario, nonché importatore del bene o del servizio nel territorio dell Unione Europea o comunque persona fisica o giuridica che si presenta come produttore identificando il bene o il servizio con il proprio nome, marchio o altro segno distintivo. Infine, altra nozione rilevante contenuta nell art. 3 in commento, cui non si può in questa sede che fare rinvio, è quella di prodotto (vedasi art. 3, comma 1, lett. e). Educazione del consumatore La disposizione dell art. 4 del Codice mette a fuoco uno degli obiettivi fondamentali cui è ispirato il provvedimento generale di riordino: l educazione del consumatore. La norma riflette la seguente valutazione di fondo radicata in ambito comunitario: il consumatore considerato quale soggetto economico soprattutto mediante l informazione e la conseguente educazione è posto nella situazione di poter apprezzare esattamente i termini essenziali dell operazione economica di cui è partecipe e quindi solo così può operare scelte realmente consapevoli. Attraverso le informazioni offerte al consumatore e tramite l educazione del medesimo (stando al Codice da promuovere ed incentivare) si punta a ridurre ed a colmare la disparità a livello informativo che si ritiene caratterizzare la relazione tra professionista e consumatore. Inderogabilità dei diritti del consumatore Il Codice del consumo stabilisce, con una disposizione largamente innovativa e di sicuro impatto anche per le imprese (art. 143), l irrinunciabilità dei diritti attribuiti al consumatore, disponendo la nullità di ogni pattuizione contraria alle previsioni del Codice. In questo senso, anche la scelta di una legislazione diversa da quella italiana non può pregiudicare le condizioni di tutela minima previste dal Codice. Abrogazioni Il riordino all interno di un testo unico del complesso delle disposizioni in materia di tutela del consumatore ha comportato la trasposizione delle specifiche disposizioni nel nuovo Codice del consumo con la conseguente espressa abrogazione dei relativi provvedimenti normativi (art. 146). Fra questi è opportuno menzionare almeno i seguenti, in quanto di diretto interesse per le imprese: il DPR 24 maggio 1988, n. 224, in materia di responsabilità per danno da prodotti difettosi; il D. lgs. 15 gennaio 1992, n. 50, in materia di contratti negoziati fuori dei locali commerciali; il D. lgs. 25 gennaio 1992, n. 74, in materia di pubblicità ingannevole; il D. lgs. 22 maggio 1999, n. 185, in materia di contratti a distanza; il D. lgs. 21 maggio 2004, n. 172 (che aveva già sostituito il precedente D. lgs. 115/95), relativo alla sicurezza generale dei prodotti. Per gli sviluppi futuri del blocco normativo ora consolidato nel Codice, il legislatore prevede che ogni intervento normativo riguardante le materie nello stesso disciplinate, vada attuato solo con espressa disposizione del legislatore, escludendosi pertanto forme di abrogazione implicita, e quindi mediante esplicita modifica integrazione, deroga o sospensione delle specifiche disposizioni nel medesimo Codice contenute. Altre discipline extra codice Il complesso di provvedimenti legislativi considerati dall estensore del Codice del consumo, non esauriscono però l intera normativa a tutela del consumatore presente nel nostro ordinamento. Non viene infatti considerato il D. lgs. 73 del 1992 relativo ai prodotti che, avendo un aspetto diverso da quello che sono in realtà, compromettono la salute o la sicurezza dei consumatori; né vengono compresi nel Codice, in quanto chiaramente successivi alla delega per il riordino della materia, il D. lgs n. 122 del 2005 sulla tutela degli immobili da costruire ed il D. lgs. 190 del 2005 relativo ai contratti a distanza per l erogazione di servizi finanziari. Orientamenti della giurisprudenza La giurisprudenza prevalente sia di merito (Tribunale di Firenze, ; Tribunale di Lanciano, ) che di legittimità (Cass. civile, sez. III, , n ; sez. III, , n ; sez. I, , n ; sez. III, , n. 4843) fino ad ora formatasi sulla nozione di consumatore ha ribadito i requisiti indicati nel paragrafo sopra dedicato a tale nozione. Anche la Corte di Giustizia europea ha più volte ribadito che la nozione di consumatore si riferisce esclusivamente alla

4 persona fisica (sentenza della terza sezione della Corte del cause C-541/99 e C-542/99). La stessa Corte ha peraltro stabilito, molto recentemente (sentenza della seconda sezione della Corte del causa C-464/01), che, qualora un contratto abbia come oggetto un bene destinato ad un uso in parte professionale ed in parte estraneo a tale attività, non si verta in ipotesi di contratto del consumatore (per lo meno, ai fini dell applicazione delle regole più favorevoli sulla competenza di cui agli artt della Convenzione di Bruxelles del 1968 concernente la competenza giurisdizionale e l esecuzione delle sentenze in materia civile e commerciale), a meno che l uso professionale sia del tutto trascurabile nel contesto dell operazione. Esiste, tuttavia, un orientamento sempre più minoritario, per quanto non ancora del tutto superato, che ha cercato di ampliare sotto diversi profili la nozione di consumatore, per comprendervi il piccolo imprenditore considerandolo, nei singoli casi sottoposti all attenzione degli organi giurisdizionali, alla stregua di parte debole del rapporto (Tribunale di Lucca ; Tribunale di Roma ; Tribunale di Ivrea ). Un esempio di tale assai circoscritto orientamento è dato anche da pronunce della Cassazione Civile che, prima nel 2001 e poi nel 2004, hanno esteso la tutela propria dei consumatori anche al soggetto giuridico condominio, sulla base della considerazione che chi (nel caso di specie l amministratore) agisce per il condominio assume vincoli non in proprio ma per i condomini, cui in questa opinabile ricostruzione competerebbe la qualifica di consumatori, a meno che non si tratti di esercizi commerciali (Cass. civile, sez. II, , n. 3640; sez. III, , n ). Deve comunque essere ricordata anche la Sentenza n. 469 del 2002, con la quale la Corte Costituzionale ha respinto la censura di incostituzionalità delle norme sulle clausole abusive per i "consumatori" sotto il profilo di una presunta discriminazione tra piccolo imprenditore e artigiano rispetto al privato consumatore, ribadendo la nozione rigorosa e limitata di "consumatore" tutelato. Oggi il consumatore appare un soggetto economico a tutti gli effetti ed un attore rilevante sul mercato a tal punto che viene riconosciuto allo stesso un interesse diretto alla conservazione del carattere liberamente concorrenziale e competitivo del mercato stesso (con conseguente legittimazione a proporre azioni in sede giurisdizionale); per questa via, imboccata di recente dalla giurisprudenza di legittimità (da ultimo Cass. civile, sez. I, , n ), il consumatore acquista voce in capitolo anche sulle problematiche concorrenziali in senso ampio (o anti-trust) e diventa un interlocutore quasi obbligato per le imprese nella loro attività di gestione contrattuale e commerciale. La struttura delle schede informative L'analisi di questa guida pratica si concentra sulle principali discipline settoriali che devono essere conosciute dalle imprese produttive (oggi contenute in buona parte nel Codice del consumo ), ma non esaurisce del tutto il panorama delle normative relative ai consumatori, per quanto cerchi di rivolgere la propria attenzione anche al di là del Codice che presenta già in partenza significative lacune. Le disposizioni di ampia portata che interessano le imprese nei rapporti commerciali sono state esaminate seguendo in larga misura lo schema sistematico adottato dal Codice del consumo. La guida permette, con delle brevi schede per ogni argomento, di fornire precise informazioni sulla fonte normativa (compresa l indicazione delle norme precedenti abrogate), sull entrata in vigore della legge (solo per le schede relative alle norme non ricompresse nel Codice del consumo), sul suo campo di applicazione (oggettivo e soggettivo), sul contenuto, sulle sanzioni e, se di interesse, anche sugli orientamenti della giurisprudenza. Ogni scheda è conclusa da una breve nota che evidenzia sinteticamente gli aspetti più importanti dello stesso provvedimento per il mondo delle imprese. La guida è stata realizzata nell ambito delle attività del Coordinamento Legale Triveneto, che riunisce i giuristi d impresa delle seguenti Associazioni Industriali, e Collegi costruttori: Associazione Industriali della provincia di Belluno Associazione Industriali della provincia di Bolzano Collegio Costruttori Edili di Bolzano Unione degli Industriali di Padova Associazione Industriali della provincia di Rovigo Associazione degli Industriali della provincia di Trento Collegio Costruttori Edili di Treviso Unione degli Industriali della provincia di Treviso Associazione degli Industriali della provincia di Trieste Associazione degli Industriali della provincia di Udine Collegio Costruttori Edili di Venezia Unione degli Industriali della provincia di Venezia

5 Associazione Industriali della provincia di Verona Associazione Industriali della provincia di Vicenza Gli autori dei testi sono: Paolo Angheben Marcella Calderari Felice Costa Francesca D Incà Daniele Longo Giorgia Guarda Tiziana Miglior Fiammetta Nicoletti Paolo Rizzotto Paola Trevisani Giuseppe Trivisonno

6 Capitolo n. 1 Informazione al consumatore Fonti normative Artt. da 5 a 12 del D. Lgs. 6 settembre 2005, n. 206: Codice del consumo (pubblicato nella GU n. 235 del 08 ottobre 2005). Decreto attuativo D.M. 8/2/1997, n. 101 "Regolamento di attuazione della legge 10 aprile 1991, n. 126, recante norme per l'informazione del consumatore" - GU n. 91 del 19/4/1997, valido fino alla data di entrata in vigore delle nuove norme di attuazione (art. 10 del Codice del Consumo). Legge del , n. 126 "Norme per l'informazione al consumatore" (ABROGATA). Campo di applicazione Ambito soggettivo Fatto salvo quanto disposto dall art. 3, comma 1, lettera a) del Codice del Consumo, che definisce il consumatore o l utente come persona fisica che agisce per scopi estranei all attività imprenditoriale o professionale eventualmente svolta, ai fini delle informazioni ai consumatori disciplinate nel Titolo II si intende per consumatore o utente anche la persona fisica alla quale sono dirette le informazioni commerciali (art. 5 Codice del Consumo). Ambito oggettivo Prodotti o confezioni di prodotti destinati al consumatore, commercializzati sul territorio nazionale. Particolari categorie di prodotti possono peraltro essere assoggettate a specifiche normative comunitarie o nazionali; in questo caso, la normativa illustrata nella presente scheda potrebbe intervenire per gli aspetti non disciplinati (art. 2, commi 2 e 3 del D.M. 101/97; art. 8 Codice del Consumo). Contenuto Disposizioni generali La legge stabilisce che sulle confezioni o sulle etichette dei prodotti destinati al consumatore o su altra documentazione illustrativa (art. 3 comma 2 del decreto 101/97; art. 7 Codice del Consumo), debbano essere riportate le seguenti indicazioni (art. 1 comma 1 del decreto 101/97; art. 6 Codice del Consumo): a) la denominazione legale o merceologica del prodotto; b) il nome o ragione sociale o marchio e la sede del produttore o di un importatore stabilito nella Unione Europea; c) il Paese di origine se situato fuori dell Unione Europea; d) l'eventuale presenza di materiali o sostanze che possono arrecare danno all'uomo, alle cose o all'ambiente; e) i materiali impiegati e i metodi di lavorazione ove questi siano determinanti per la qualità o le caratteristiche merceologiche del prodotto; f) le istruzioni, le eventuali precauzioni e la destinazione d'uso ove utili a fini di fruizione o sicurezza del prodotto. Tali indicazioni devono avere le seguenti caratteristiche: - essere in lingua italiana; - risultare in forme visibili e leggibili; - essere contenute in un unico campo visivo, in un punto evidente; - figurare al momento della vendita; - essere indelebili; - non essere deformate o dissimulate. Qualora le indicazioni siano proposte in più lingue oltre a quella italiana, queste ultime non devono essere meno visibili e leggibili. Sono consentite espressioni non in lingua italiana divenute di uso comune (art. 5 del decreto 101/97; art. 9 Codice del Consumo).

7 Rispetto alle indicazioni previste dalla previgente legge 126/91 per quanto riguarda l elenco delle indicazioni per il consumatore che i prodotti o le loro confezioni devono riportare, per poter venir commercializzati nel territorio nazionale, l art. 6 del nuovo Codice del consumo ha aggiunto che debba essere data indicazione del Paese di origine del prodotto se situato fuori dell'unione europea. Si ribadisce, comunque, che l art. 8, comma 1, del Codice del Consumo precisa che sono esclusi dal queste disposizioni i prodotti oggetto di specifiche disposizioni contenute in direttive od in altre disposizioni comunitarie e nelle relative norme nazionali di recepimento. Disposizioni operative Il regolamento di attuazione (D.M. 101/97) detta disposizioni operative in ordine alle diverse indicazioni obbligatorie. Come modalità di apposizione delle indicazioni, per i prodotti preconfezionati (art. 3) le indicazioni stesse devono figurare alternativamente: - sull imballaggio; - sull etichetta fissata o legata al prodotto; - su anelli; - su fascette; - su dispositivi di chiusura; - su documentazione illustrativa fornita unitamente al prodotto, per le istruzioni, precauzioni e destinazioni d uso; - su un documento commerciale, per le fasi di commercializzazione che precedono la vendita al consumatore. Invece, per i prodotti sfusi (o i prodotti preconfezionati frazionati, art. 4) le indicazioni possono essere apposte su un apposito cartello applicato ai recipienti o affisso all interno dei locali di vendita, in prossimità del prodotto venduto. La denominazione legale o merceologica (art. 6 e 7) può essere omessa solo qualora appaia manifesta dall aspetto del prodotto, ma nel caso in cui l aspetto del prodotto possa trarre in inganno i consumatori e compromettere la loro salute, deve obbligatoriamente essere specificata. L art. 1, comma 2, D. L.gs. n. 73 del 25/01/1992, tutt ora vigente, individua infatti il rischio di confusione per i prodotti che pur non essendo prodotti alimentari, hanno forma, odore, aspetto, imballaggio, etichettatura, volume o dimensioni tali da fare prevedere che i consumatori, soprattutto i bambini, li possano confondere con prodotti alimentari e pertanto li portino alla bocca, li succhino o li ingeriscano con conseguente rischio di soffocamento, intossicazione, perforazione od ostruzione del tubo digerente. La presenza di sostanze e i preparati pericolosi (art. 8 e 9) elencati dal D.M. 3/12/85 che ha abrogato e sostituito la Legge n. 256/74, relativa all etichettatura delle sostanze pericolose, deve essere sempre dichiarata se si prevede che i prodotti che li contengono possano essere ceduti in quantità tali da rappresentare un rischio per l uomo, le cose o l ambiente. Secondo il criterio di visibilità e leggibilità, le indicazioni relative a tali sostanze devono essere proporzionate alle dimensioni del prodotto o della confezione, e comunque devono essere maggiormente visibili rispetto alle altre indicazioni. Qualora il prodotto possa essere confuso con altri per il suo aspetto, a causa della sua presentazione o pubblicizzazione, devono essere dichiarati i materiali impiegati e/o i metodi di lavorazione (art. 10) che, rispetto agli altri prodotti, gli attribuiscono caratteristiche d impiego o durata diverse, o impongono limitazioni o cautele nell uso. La dichiarazione è facoltativa in assenza di tale rischio, mentre è esclusa (art. 11) se i materiali o i metodi di lavorazione si possono evincere dalla denominazione legale o merceologica, o se sono assoggettati per tali aspetti a discipline speciali. Con riferimento alla fruizione del prodotto, è fatto obbligo di fornire: - le istruzioni per l uso (art. 12 comma 1) qualora necessarie in relazione alle sue caratteristiche, possibilmente specificate da disegni ed esemplificazioni pratiche; - le limitazioni e le cautele (art. 12 comma 2) particolari da seguire, se non chiaramente desumibili dalle indicazioni fornite sui materiali impiegati o sui metodi di lavorazione; - le precauzioni d uso (art. 13), che richiamano la valutazione e la prevenzione dei pericoli derivanti dall utilizzo anche non appropriato del prodotto, in particolare per le sostanze e i materiali pericolosi e le loro combinazioni. Per garantire la rintracciabilità è fatto obbligo di marcare il singolo prodotto o il lotto di produzione. E bene evidenziare che corrette e precise indicazioni sulla fruizione del prodotto sono necessarie anche per ottemperare agli obblighi derivanti dalle disposizioni sulle sicurezza generale dei prodotti e sulla responsabilità da prodotto difettoso, per le quali si rimanda alle relative schede.

8 Con ulteriori provvedimenti possono essere approvate modalità tecniche di adempimento in relazione a particolari categorie di prodotti (art. 14 decreto 101/97). Sanzioni La legge prevede infine che ai trasgressori venga applicata una sanzione amministrativa da 516 a , determinata in base al prezzo di listino di ciascun prodotto e al numero delle unità in vendita (art. 12 Codice del Consumo). Orientamenti della giurisprudenza Sulle indicazioni concernenti l uso del prodotto e le relative avvertenze, è stato precisato che la pericolosità del prodotto deve valutarsi con specifico riferimento all uso al quale esso è destinato; il caso specifico riguardava il diffuso utilizzo delle tute sportive quale capo d abbigliamento quotidiano da indossare indipendentemente dallo svolgimento di un attività sportiva: il giudice di merito ha precisato che il produttore non è obbligato a tener conto di questo particolare uso nel fornire informazioni al consumatore sulla ignifugabilità di una tuta sportiva (Trib. Roma ). In evidenza per le imprese Dal 30 giugno 1996 è espressamente vietato il commercio su territorio italiano di prodotti e confezioni destinati al consumatore finale che non riportano le indicazioni previste d 1 legge n. 126/91 (denominazione del prodotto, ragione sociale o marchio e sede del produttore, Paese di origine se extra UE [punto introdotto dal Codice del Consumo], mate sostanze dannose, materiali e metodi di produzione, istruzioni e precauzioni) L art. 11 del Codice del Consumo, che abroga la legge 126/91, ribadisce questo divieto per i pro che non riportino le indicazioni di cui agli artt. 6, 7 e 9 del suddetto Codice. Dal 4 maggio 1997 inoltre, devono essere rispettate le disposizioni del decreto di attuazione n. 101/97 relative alle modalità di applicazione delle indicazioni di cui sopra, seco diversi tipi di prodotti e di imballaggi. Sicurezza, composizione e qualità dei prodotti e dei servizi costituiscono contenuto essenziale degli obblighi formativi. Queste informazioni al consumatore, da chiunque provengano, devono essere adeguate alla tecnica di comunicazione impiegata ed espresse in modo chiaro e comprensibile tenuto anche conto delle modalità di conclusione del contratto o delle caratteristiche del settore, tali da assicurare la consapevolezza del consumatore (Art. 5 Codice del Cons La legge prevede infine che ai trasgressori venga applicata una sanzione amministrativa da 516 a 25823, determinata in base al prezzo di listino di ciascun prodotto e al n delle unità in vendita.

9 Capitolo n. 2 Indicazione dei prezzi al consumatore per unità di misura Fonte normativa Artt. da 13 a 17 del D. Lgs. 6 settembre 2005, n. 206, Codice del consumo (pubblicato nella GU n. 235 del 08 ottobre 2005). Decreto Legislativo 25/02/2000, n. 84 Attuazione della direttiva 98/6/CE relativa alla protezione dei consumatori in materia di indicazione dei prezzi offerti ai medesimi (ABROGATO). Campo di applicazione Ambito soggettivo I commercianti (cfr. l art. 14), vale a dire tutti coloro che svolgono attività di vendita rivolta ai consumatori (fra questi possono chiaramente rientrare anche quelle imprese che attraverso i propri spacci o propri negozi, hanno rapporti diretti con i consumatori) sono assoggettati all'obbligo di aggiungere al prezzo di vendita del prodotto (ossia il prezzo finale, comprensivo di IVA e di ogni altra imposta) il prezzo per unità di misura. Ambito oggettivo L attuale normativa si applica indistintamente sia ai prodotti non alimentari che a quelli alimentari (salvo, per questi ultimi, le esenzioni valevoli per prodotti preconfezionati esentati ex art. 9 del D. Lgs , n. 109 e sue successive modificazioni). Valgono espresse esenzioni dall obbligo di tale indicazione, stabilite dall art. 16 per i seguenti prodotti: - prodotti commercializzati sfusi che possono essere venduti a pezzo o a collo secondo le norme di esecuzione della Legge , n. 441 ( disposizioni sulla vendita a peso netto delle merci ) e sue successive modificazioni; - beni di diversa natura inseriti in una stessa confezione; - prodotti venduti tramite distributori automatici; - prodotti destinati ad essere mescolati per una preparazione, proposti in un unico imballaggio. Va infine ricordato che le disposizioni del codice, e quindi anche le norme sull indicazione del prezzo per unità di misura, non si applicano nei casi di: - somministrazione di alimenti e bevande presso esercizi di ristorazione; - prodotti forniti nell ambito di una prestazione di servizi; - beni in vendita all asta; - oggetti d arte e antiquariato. Contenuto Definizioni Le definizioni di: prezzo di vendita; prezzo per unità di misura; prodotto commercializzato sfuso; prodotto venduto al pezzo; prodotto venduto a collo; prodotto preconfezionato, sono contenute nell art. 13 del Codice del consumo. Indicazioni di prezzo obbligatorie I prodotti offerti in vendita ai consumatori debbono recare: 1) L'indicazione del prezzo di vendita del prodotto, cioè il prezzo finale valido per unità di prodotto o per una determinata quantità di prodotto, comprensivo di IVA e di tutte le altre imposte; 2) L'indicazione del prezzo per unità di misura, vale a dire il prezzo finale, comprensivo di Iva e di ogni altra imposta, valido per una quantità di un chilogrammo, di un litro, di un metro, di un metro quadrato o di un metro cubo del prodotto o per una singola unità di quantità diversa, se essa è impiegata generalmente e abitualmente per la commercializzazione di prodotti specifici. Va sottolineato che ogni mezzo pubblicitario diretto al consumatore che indichi il prezzo di vendita (compresi i listini, i cataloghi, i depliant promozionali, ) deve contenere anche l indicazione del prezzo per unità di misura. Il prezzo per unità di misura non va indicato quando è identico al prezzo di vendita. Per i prodotti commercializzati sfusi va indicato solamente il prezzo per unità di misura.

10 Il prezzo per unità di misura deve essere riferito alla quantità netta dichiarata; nel caso di prodotti alimentari preconfezionati immersi in liquido di governo, il prezzo deve riferirsi al peso netto del prodotto sgocciolato. Come sopra evidenziato, al prezzo di vendita del prodotto deve aggiungersi il prezzo per unità di misura. In difetto di tale indicazione, i commercianti potranno essere sanzionati anche nel caso che il prezzo per unità di misura sia stato apposto sul prodotto o sulla confezione prima della fase di commercializzazione, anche da parte di terzi (produttore, grossista, ecc.). Modalità di indicazione del prezzo Le modalità di indicazione del prezzo di vendita del prodotto e del prezzo di unità di misura sono identiche e sono quelle stabilite dall'art. 14 del D.lgs. n. 114/98 come di seguito riportato. I prodotti esposti per la vendita al dettaglio nelle vetrine esterne o all'ingresso del locale e nelle immediate adiacenze dell'esercizio o su aree pubbliche o sui banchi di vendita, ovunque collocati, debbono indicare, in modo chiaro e ben leggibile, il prezzo per unità di misura accanto al prezzo di vendita al pubblico, mediante l'uso di un cartello o con altre modalità idonee allo scopo. E' importante che il prezzo di vendita e il prezzo per unità di misura siano chiaramente riferibili al prodotto e distinguibili tra loro. Quando siano esposti insieme prodotti identici dello stesso valore è sufficiente l'uso di un unico cartello. E' inutile esporre il cartello se il prezzo per unità di misura e il prezzo di vendita al dettaglio sono già riportati sulle confezioni in modo chiaro, con caratteri ben leggibili e facilmente visibili dal pubblico (cioè nel caso in cui il prezzo per unità di misura e quello di vendita siano indicati sulla confezione dal produttore). L indicazione del prezzo Negli esercizi di vendita e nei reparti di tali esercizi organizzati con il sistema di vendita del libero servizio (self service) l'obbligo dell'indicazione del prezzo deve essere osservato in ogni caso per tutte le merci comunque esposte al pubblico. Il prezzo per unità di misura deve essere riferito alla quantità netta dichiarata e, nel caso di prodotti presentati immersi in liquido di copertura, deve riferirsi al peso del prodotto sgocciolato. Indicazione del prezzo nelle vendite straordinarie Ai sensi dell'art. 15 del D.lgs. n. 114/98, per vendite straordinarie si intendono le vendite di liquidazione, le vendite di fine stagione e le vendite promozionali nelle quali l'esercente dettagliante offre condizioni favorevoli, reali ed effettive, di acquisto dei propri prodotti. Lo stesso articolo stabilisce che per tali vendite lo sconto o il ribasso effettuato deve essere espresso in percentuale sul prezzo normale di vendita che deve essere comunque esposto. Naturalmente, l'obbligo dell'indicazione del prezzo di vendita comporta, anche in questo caso, quello dell'indicazione del prezzo per unità di misura. Comunque, in ossequio al principio contenuto nella direttiva di prevedere la possibilità di limitare il numero massimo di prezzi da indicare per ogni prodotto, quando ciò possa essere causa di confusione per il consumatore, si può ritenere che l'assolvimento dell'obbligo stabilito sia raggiunto quando in tali casi siano indicati il prezzo di vendita e il prezzo di unità di misura originari e la percentuale di sconto. Ove poi sia possibile e non generi confusione per il consumatore, il commerciante può indicare anche il prezzo per unità di misura riferito al prezzo di vendita realmente praticato, cioè scontato. Sanzioni Per chi contravvenga all obbligo di indicazione del prezzo per unità di misura, non ponendo le indicazioni o fornendo indicazioni difformi da quelle previste dagli artt del Codice del consumo, si applica la sanzione amministrativa prevista dall art. 22, comma 3, del D.Lgs. n. 114/98 (pagamento di una somma da Euro 516,46 a Euro 3.098,74). Orientamenti della giurisprudenza In tema di disciplina del commercio, la disposizione di cui all'art. 14 del D.Lgs , n. 114, secondo la quale i prodotti esposti per la vendita al dettaglio nelle vetrine o all'ingresso del locale e nelle immediate adiacenze dell'esercizio, o su aree pubbliche o su banchi di vendita, ovunque collocati, debbono essere corredati, in modo chiaro e ben leggibile, del prezzo di vendita al pubblico, mediante l'uso di un cartello o con altre modalità idonee allo scopo, è violata nel caso in cui il prezzo venga indicato su un cartellino collocato sotto l'oggetto esposto in vendita, in quanto tale modalità, se è idonea ad assicurare la immediata riferibilità del prezzo all'oggetto, non consente la diretta visibilità del prezzo, che la norma intende garantire (Cass. civile, Sez. I, , n. 3115)

11 In evidenza per le imprese Il codice, nel condensare la disciplina delle indicazioni obbligatorie dei prezzi per unità di misura per i prodotti destinati ai consumatori, abroga espressamente il D.Lgs , n. 84, prima norma di recepimento della Direttiva Comunitaria 98/6/CE. Vengono poste poche norme generali (artt. 13, 14 e 15) e contestualmente vengono indicati i casi di prodotti o di sistemi di commercializzazione esentati dagli obblighi (a Per chi contravvenga all obbligo di indicazione del prezzo per unità di misura, non ponendo le indicazioni o fornendo indicazioni difformi da quelle previste dagli artt applica la sanzione amministrativa da Euro 516,46 a Euro 3.098,74.

12 Capitolo n. 3 Pratiche commerciali sleali Fonte normativa Artt. da 18 a 27-quater del D. Lgs. 6 settembre 2005, n. 206: Codice del consumo (si evidenzia come gli artt. da 18 a 27 siano stati sostanzialmente modificati dal D.Lgs. 2 agosto 2007, n. 146, il quale ha inoltre introdotto gli artt. da 27-bis a 27-quater). Campo di applicazione Ambito soggettivo Gli articoli sopra specificati disciplinano le pratiche commerciali sleali fra professionisti e consumatori, ove, per "consumatore" deve intendersi qualsiasi persona fisica che, nelle pratiche commerciali, agisce per fini che non rientrano nel quadro della sua attività commerciale, industriale, artigianale o professionale. Per "professionista", invece, qualsiasi persona fisica o giuridica che, nelle pratiche commerciali, agisce nel quadro della sua attività commerciale, industriale, artigianale o professionale e chiunque agisce in nome o per conto di un professionista. La definizione sopra riportata è in parte differente da altre definizioni di professionista rinvenibili nel Codice del consumo, avendo, infatti, ampliato tale definizione in modo da comprendervi anche le figure degli agenti o altrimenti intermediari i cui comportamenti, se chiaramente non riconducibili a specifiche istruzioni ricevute dalle case mandanti, potrebbero venir sanzionati ai sensi della normativa in commento, qualora anch essi considerati pratiche commerciali sleali. Ambito oggettivo La disciplina in commento trova applicazione per le "pratiche commerciali tra professionisti e consumatori" (di seguito denominate: "pratiche commerciali"), intendendosi tali, secondo la definizione riportata nell art. 18 del Codice del consumo, qualsiasi azione, omissione, condotta o dichiarazione, comunicazione commerciale ivi compresa la pubblicità e la commercializzazione del prodotto, posta in essere da un professionista, in relazione alla promozione, vendita o fornitura di un prodotto ai consumatori. Per prodotto", invece, si considera qualsiasi bene o servizio, compresi i beni immobili, i diritti e le obbligazioni. Con tale definizione si è voluto ricondurre alle pratiche commerciali sleali anche eventuali atti, non solo antecedenti rispetto alla conclusione del contratto fra professionista e consumatore, ma anche successivamente alla conclusione stessa. Le pratiche scorrette fra professionisti e consumatori possono quindi venir poste in essere prima, durante o dopo un operazione commerciale relativa ad un prodotto (es. comportamenti di un assicuratore che richieda al consumatore, che intende richiedere un risarcimento, documentazione indebita o che sistematicamente rifiuti di rispondere alla corrispondenza inviatagli dal consumatore). Si ricorda, infine, che le decisioni di natura commerciale del consumatore che vengono salvaguardate dalla disciplina in commento, inibendo le pratiche scorrette, riguardano se acquistare o meno un prodotto, in che modo farlo e a quali condizioni, se pagare integralmente o parzialmente, se tenere un prodotto o disfarsene o se esercitare un diritto contrattuale in relazione al prodotto ; esse possono portare il consumatore a compiere un'azione o all'astenersi dal compierla. Contenuto La struttura della disciplina delle pratiche commerciali scorrette fra professionisti e consumatori si articola su: - una clausola generale di divieto delle pratiche commerciali scorrette, definite come quelle contrarie alla diligenza professionale, e false o idonee a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico del consumatore medio in relazione al prodotto; - l identificazione di due categorie di pratiche commerciali scorrette, vale a dire le pratiche commerciali ingannevoli e le pratiche commerciali aggressive, dettandone precisi criteri distintivi; - due distinti elenchi di pratiche commerciali, rispettivamente ingannevoli ed aggressive, da considerarsi in ogni caso scorrette (cd. liste nere).

13 Clausola generale di divieto Le pratiche commerciali scorrette sono vietate. Una pratica commerciale deve intendersi scorretta se, ai sensi dell art. 20 del Codice del consumo, risulta contraria alla diligenza professionale, ed è falsa o idonea a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico, in relazione al prodotto, del consumatore medio che essa raggiunge o al quale è diretta o del membro medio di un gruppo qualora la pratica commerciale sia diretta a un determinato gruppo di consumatori. Perché sia considerata tale è necessario che entrambi i requisiti (contrarietà alla diligenza e idoneità a falsare) siano presenti. Con riferimento al primo requisito, applicabile al divieto di carattere generale, si definisce diligenza professionale il normale grado della specifica competenza ed attenzione che ragionevolmente i consumatori attendono da un professionista nei loro confronti rispetto ai principi generali di correttezza e di buona fede nel settore di attività del professionista. Per le pratiche commerciali ingannevoli ed aggressive non deve essere dimostrata la non conformità alla diligenza professionale. Invece, con riferimento al secondo requisito, con l espressione falsare in misura apprezzabile il comportamento economico del consumatore si intende l'impiego di una pratica commerciale idonea ad alterare sensibilmente la capacità del consumatore di prendere una decisione consapevole, inducendolo pertanto ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso. Sono pertanto necessari la compresenza di due elementi: a. il consumatore deve essere portato ad assumere una decisione di natura commerciale (in pratica se acquistare o meno un determinato prodotto) che non avrebbe altrimenti preso; b. deve essere stato indotto ad assumere una tale decisione attraverso una pratica idonea ad alterare sensibilmente la sua capacità di assumere una decisione consapevole, vale a dire con cognizione di causa. E sufficiente anche la semplice idoneità a falsare per ricadere nella categoria sanzionabile. La norma si riferisce, inoltre, al cd. consumatore medio e, quindi, al consumatore normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto, tenendo conto dei fattori sociali, culturali e linguistici. Si pone però anche attenzione a consumatori particolarmente vulnerabili, prevedendo che le pratiche commerciali che, pur raggiungendo gruppi più ampi di consumatori, sono idonee a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico solo di un gruppo di consumatori chiaramente individuabile, particolarmente vulnerabili alla pratica o al prodotto cui essa si riferisce a motivo della loro infermità mentale o fisica, della loro età o ingenuità, in un modo che il professionista poteva ragionevolmente prevedere, sono valutate nell'ottica del membro medio di tale gruppo.. Pratiche commerciali ingannevoli Deve considerarsi ingannevole una pratica commerciale che induce il consumatore, o è idonea a indurre il consumatore, ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso, ed inoltre presenta una delle seguenti caratteristiche: - contiene informazioni non rispondenti al vero, o - seppure tali informazioni risultino di fatto corrette, in qualsiasi modo, anche nella sua presentazione complessiva, induce o è idonea ad indurre in errore il consumatore medio riguardo ad uno o più degli elementi indicati nell elenco previsto all art. 21, comma 1 (fra cui, natura del prodotto, prezzo, origine, ecc.). Il comma 2 dell art. 21, considera inoltre ingannevole una pratica commerciale che, nella fattispecie concreta, tenuto conto di tutte le caratteristiche e circostanze del caso, induce o è idonea ad indurre il consumatore medio ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso e comporti: a) una qualsivoglia attività di commercializzazione del prodotto che ingenera confusione con i prodotti, i marchi, la denominazione sociale e altri segni distintivi di un concorrente, ivi compresa la pubblicità comparativa illecita; b) il mancato rispetto da parte del professionista degli impegni contenuti nei codici di condotta che il medesimo si è impegnato a rispettare, ove si tratti di un impegno fermo e verificabile, e il professionista indichi in una pratica commerciale che è vincolato dal codice. Particolare attenzione dovrà essere posta dalle imprese - in particolare per le numerose casistiche che potrebbero potenzialmente ricadere in questa fattispecie - alle previsioni normative di cui al nuovo art. 22 del Codice del consumo, ove vengono equiparate alle pratiche commerciali ingannevoli le cd. omissioni ingannevoli, riscontrabili ogniqualvolta l impresa, in considerazione anche dei mezzi di

14 comunicazione impiegati, ometta al consumatore informazioni rilevanti sul prodotto o sulla vendita, tali cioè da consentirgli di assumere una decisione consapevole di natura commerciale. Rientrano ugualmente in questo contesto quei casi in cui l impresa presenti in modo oscuro, incomprensibile, ambiguo o intempestivo le informazioni rilevanti. Quali siano però le informazioni rilevanti non viene detto. Nel caso di un invito all'acquisto le informazioni rilevanti che devono necessariamente venir fornite al consumatore sono elencate a livello normativo all art. 22, comma 4. Il successivo comma 5 considera inoltre rilevanti gli obblighi di informazione previsti dal diritto comunitario, connessi alle comunicazioni commerciali, compresa la pubblicità o la commercializzazione del prodotto. Pratiche commerciali aggressive È considerata aggressiva una pratica commerciale che, nella fattispecie concreta, tenuto conto di tutte le caratteristiche e circostanze del caso, mediante molestie, coercizione, compreso il ricorso alla forza fisica o indebito condizionamento, limita o è idonea a limitare considerevolmente la libertà di scelta o di comportamento del consumatore medio in relazione al prodotto e, pertanto, lo induce o è idonea ad indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso (art. 24). Si richiedono, quindi, tre elementi cumulativi: 1. che si tratti di molestie, coercizione o indebito condizionamento; 2. che tale pratica limiti o sia idonea a limitare considerevolmente la libertà di scelta o di comportamento del consumatore medio in relazione al prodotto; 3. che tale limitazione lo induca o sia idonea ad indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso. L art. 25 indica quindi una serie di elementi che devono venir presi in considerazione per determinare se una pratica commerciale comporti molestie, coercizione o indebito condizionamento. Le liste nere L art. 23 del Codice del consumo elenca ventitre pratiche commerciali ingannevoli per le quali vi è una presunzione di scorrettezza. L art. 25 del Codice, invece, elenca otto fattispecie di pratiche da considerarsi, in ogni caso, aggressive. I Codici di condotta Con l inserimento nel Codice del consumo dei nuovi articoli 27-bis e 27-ter, viene prevista anche una specifica disciplina per i cd. Codici di condotta promossi ed adottati da associazioni od organizzazioni imprenditoriali e professionali, in relazione a una o più pratiche commerciali o ad uno o più settori imprenditoriali specifici, e contenenti specifiche norme di condotta che le imprese aderenti si impegnano a rispettare. Attraverso i Codici di condotta viene anche garantita la autodisciplina degli aderenti, nel senso che i consumatori e le imprese concorrenti, prima di avviare la procedura presso l Autorità garante, possono convenire con l impresa una risoluzione concordata volta a vietare o a far cessare la continuazione della pratica commerciale scorretta. In ogni caso, qualunque sia l'esito della procedura attivata ai sensi dell art. 27-ter del Codice del consumo, questa non pregiudica il diritto del consumatore di adire l'autorità o il giudice competente. Iniziata la procedura davanti ad un organismo di autodisciplina, le parti possono convenire di astenersi dall'adire l'autorità garante fino alla pronuncia definitiva, ovvero possono chiedere la sospensione del procedimento innanzi all'autorità, ove lo stesso sia stato attivato anche da altro soggetto legittimato, in attesa della pronuncia dell'organismo di autodisciplina. L'Autorità potrà disporre la sospensione del procedimento per un periodo comunque non superiore a trenta giorni. In evidenza per le imprese L autorità competente ad accertare l esistenza di pratiche commerciali scorrette ed a inibirne la continuazione nonché eliminarne tutti gli effetti, viene individuata dal nuov 27 del Codice del consumo nell Autorità garante della concorrenza e del mercato, alla quale vengono ampliate le competenze già conferite in materia di pubblicità ingann e comparativa. A detta Autorità vengono riconosciuti particolari poteri istruttori (l Autorità potrà agire anche d ufficio, non solo su istanza di ogni soggetto - sia consumator professionista - o organizzazione che ne abbia interesse, servendosi della Guardia di finanza e chiedendo a imprese, enti o persone che ne siano in possesso le informaz i documenti rilevanti al fine dell'accertamento dell'infrazione), cautelativi (venendo anche previsto che, nei casi d urgenza, possa disporre la sospensione provvisoria della pratica commerciale ritenuta scorretta), inibitori (l Autorità, accertata la responsabilità dell impresa, vieta la diffusione della pratica commerciale scorretta, qualora non anc portata a conoscenza del pubblico, o la sua continuazione se fosse già iniziata) e sanzionatori. In quest ultimo senso, l Autorità, con il provvedimento che vieta la pratica commerciale scorretta, potrà disporre a carico dell impresa l'applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria da 5.000,00 euro a ,00 euro, tenuto conto de gravità e della durata della violazione. Sono previste decisioni con impegno, nel senso che l'autorità, ad eccezione dei casi di manifesta scorrettezza e gravità della pratic commerciale, potrà ottenere dall impresa responsabile un espresso impegno di porre fine all'infrazione stessa, eliminando ogni effetto conseguente. In questa ipotesi, val

15 l'idoneità di tale impegno, l'autorità potrà renderlo obbligatorio per l impresa e concludere il procedimento stesso senza procedere all'accertamento dell'infrazione. Nei cas però, di mancato rispetto dell impegno assunto dall impresa, così come nei casi di inottemperanza ai provvedimenti d'urgenza o a quelli inibitori o di rimozione degli effetti l'autorità potrà applicare una sanzione amministrativa pecuniaria da a euro. Nei casi di reiterata inottemperanza l'autorità potrà anche giungere a disporre sospensione dell'attività d'impresa per un periodo non superiore ai trenta giorni.

16 Capitolo n. 4 Particolari modalità della comunicazione pubblicitaria (rafforzamento della tutela del consumatore in materia di televendite) Fonte normativa Artt. da 28 a 32 del D. Lgs. 6 settembre 2005, n. 206: Codice del consumo. Campo di applicazione Gli artt. da 28 a 32 del Codice del consumo, disciplinano la comunicazione pubblicitaria effettuata attraverso le televendite. Tali disposizioni si applicano alle televendite (come definite nel Regolamento dell Autorità per le garanzie nelle comunicazioni adottato con delibera n. 538/01/CSP del 26 luglio 2001), comprese quelle di astrologia, di cartomanzia ed assimilabili e di servizi relativi ai pronostici concernenti il gioco del lotto, enalotto, superenalotto, totocalcio, totogol, totip, lotterie e altri giochi similari. Le medesime disposizioni trovano altresì applicazione agli spot di televendita. Le televendite devono evitare ogni forma di sfruttamento della superstizione, della credulità o della paura. Non devono contenere scene di violenza fisica o morale o tali da offendere il gusto e la sensibilità dei consumatori per indecenza, volgarità o ripugnanza. L art. 30 vieta altresì la televendita che vilipenda la dignità umana, che comporti discriminazioni di razza, sesso o nazionalità, che offenda convinzioni religiose e politiche ovvero che induca a comportamenti pregiudizievoli per la salute o la sicurezza o la protezione dell ambiente. E inoltre vietata la televendita di sigarette o di altri prodotti a base di tabacco. Le televendite non devono infine contenere dichiarazioni o rappresentazioni che possono indurre in errore gli utenti o i consumatori, anche per mezzo di omissioni, ambiguità o esagerazioni, in particolare per ciò che riguarda le caratteristiche e gli effetti del servizio, il prezzo, le condizioni di vendita o di pagamento, le modalità della fornitura, gli eventuali premi, l identità delle persone rappresentate. Tutela dei minori (art. 31) Il Codice del consumo detta inoltre specifiche prescrizioni con riguardo ai minori. In particolare, le televendite non devono esortare i minorenni a stipulare contratti di compravendita o di locazione di prodotti o di servizi. La televendita non deve, inoltre, arrecare pregiudizio morale o fisico ai minorenni e rispettare, per la loro tutela, i seguenti criteri: - non esortarli direttamente ad acquistare un prodotto o un servizio, sfruttandone l inesperienza o la credulità; - non esortarli direttamente a persuadere genitori o altri ad acquistare tali prodotti o servizi; - non sfruttare la particolare fiducia che essi ripongono nei genitori, negli insegnanti o in altri; - non mostrare minorenni in situazioni pericolose. Sanzioni Salvo che il fatto costituisca reato, e fatte salve le disposizioni ed il regime sanzionatorio stabiliti per i contratti a distanza (V. art. 62 del Codice del consumo), nonché le ulteriori disposizioni stabilite in materia di pubblicità, alle televendite sono applicabili anche specifiche sanzioni previste da leggi speciali (di competenza dell Autorità garante per le comunicazioni) previste dall art. 32 del Codice del consumo.

17 Capitolo n. 5 Clausole vessatorie Fonte normativa Artt. da 33 a 38 e art. 142, del D. Lgs. 6 settembre 2005, n. 206: Codice del consumo (pubblicato nella GU 235 del 08 ottobre 2005). Codice civile, capo XIV-bis, art bis, art sexies, (ABROGATI). Gli articoli da 33 a 37 del Codice del consumo riproducono esattamente, salvo lievissime variazioni, le disposizioni finora contenute negli articoli dal 1469-bis al 1469-sexies del codice civile oggi abrogate; permane all interno del codice civile un residuo art bis che prevede in generale l applicazione anche ai contratti con i consumatori delle disposizioni dettate dallo stesso per i contratti in generale, ove però non derogate dal Codice o da altre norme più favorevoli per il consumatore (art. 142 ). Disposizione del tutto simmetrica inserita con la preoccupazione evidente di non lasciare buchi di disciplina è quella che rinvia al codice civile per quanto non previsto in merito ai contratti tra professionista e consumatore dal Codice del consumo (art. 38). Campo di applicazione In via generale, l'ambito di applicazione della disciplina coincide in senso molto ampio con tutti i contratti stipulati tra il consumatore ed il professionista. Nello specifico, le norme dettano misure protettive a favore di una parte presunta debole per quelle clausole del contratto che non siano negoziate. Si tratta cioè delle c.d. clausole predisposte in via unilaterale, nel senso di redatte preventivamente dal professionista, cosicché l'altra parte contraente, cioè il consumatore, non abbia potuto esercitare alcuna influenza sul loro contenuto. E' da rilevare - a scanso di possibili equivoci - come non vi sia coincidenza sul piano oggettivo tra le clausole unilateralmente predisposte di cui alla disciplina di protezione in commento e quelle condizioni generali di contratto o pattuizioni inserite in moduli o formulari che, se attinenti a determinati profili del regolamento contrattuale, richiedono per la loro efficacia la doppia o espressa sottoscrizione ai sensi degli artt.1341 e 1342 cod. civ. Anche una singola clausola di un contratto individuale (unilateralmente predisposto) potrebbe infatti tranquillamente ricadere nell'ambito di applicazione della normativa sui contratti con i consumatori, così come reciprocamente - una doppia firma non basta a salvare una condizione contrattuale da una possibile dichiarazione di nullità della stessa a favore del consumatore. AI di là di queste poche note sul piano oggettivo delle operazioni cui la disciplina si rivolge, ai fini di circoscriverne l'ambito di operatività è importante l'esatta qualificazione delle parti contraenti interessate. A tal fine si rinvia a quanto già specificato nel capitolo introduttivo alla presente guida. Contenuto Innanzitutto la normativa individua un criterio generale nel definire come "vessatorie" ("abusive" nel linguaggio del legislatore comunitario) tutte quelle clausole che introducono a danno del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto (art. 33). In linea di massima, una pattuizione procura "squilibrio" quando altera l'ideale iniziale parità di posizioni giuridiche tra i contraenti in senso sfavorevole al consumatore; ai fini della vessatorietà occorre altresì non un qualunque squilibrio, ma uno squilibrio significativo. La definizione di quest'ultimo parametro non può che essere affidata di volta in volta alla discrezionalità degli organi giudicanti. E' appena il caso di osservare che non rileva la buona o la mala fede del professionista che predispone il contratto, ed in questo senso l'eventuale buona fede dello stesso (il quale magari non si accorge dello sbilanciamento contrattuale che si viene a creare) non esclude la vessatorietà della clausola poiché essa risponde a parametri puramente oggettivi. Anzi, la Relazione al Codice con riferimento al profilo specifico - afferma espressamente che è consentito qualificare come abusive, purché si ravvisi il ricordato squilibrio, le clausole disposte in danno del consumatore nonostante la buona fede soggettiva del professionista, senza necessità cioè di alcun accertamento ulteriore sulla violazione della buona fede medesima. Naturalmente la disciplina non si limita ad offrire nelle mani dei giudici un criterio generale (lasciando poi alla discrezionalità dei medesimi di riempirlo di contenuti) e quindi il legislatore si preoccupa di

18 individuare e di catalogare una serie di pattuizioni che avrebbero carattere di vessatoriet à. Tale elenco di clausole si presenta sotto forma di presunzioni valide fino a prova contraria : l'onere di provare la non vessatorietà delle pattuizioni grava per intero sul professionista, che vede quindi la propria posizione notevolmente appesantita sul piano probatorio, a tutto vantaggio del consumatore. L'elenco contenuto nell' art. 33 comprende ben venti tipologie di clausole, talune assai ricorrenti nella prassi contrattuale, per la cui esatta individuazione non si può che rinviare al testo della norma. Comunque, volendo assumere un criterio schematico di classificazione, esse potrebbero essere distinte in due categorie: quella delle clausole cosiddette di sbilanciamento e quella delle clausole di sorpresa. Nelle clausole di sbilanciamento il significativo squilibrio emerge come disparità delle posizioni delle parti, vale a dire come precostituzione di determinati vantaggi o agevolazioni solo per il professionista o di determinati pesi o limiti a carico esclusivamente del consumatore. A titolo d'esempio, in questa tipologia di clausole rientrano quelle che prevedono un aggravamento delle responsabilit à del consumatore (lett. e) ed f) art. 33), quelle che limitano la responsabilità del professionista (lett. a) e q) art. 33) o quelle che si risolvono in una compressione delle possibilità di far valere pretese da parte del consumatore o di difendersi da parte sua nei confronti di pretese avanzate dal professionista (lett. c) e t) art. 33). Nelle clausole di sorpresa, invece, il significativo squilibrio si manifesta soprattutto nell'esposizione esclusiva del consumatore, dopo la conclusione del contratto, a situazioni o circostanze imprevedibilmente diverse da quelle che era ragionevole per lo stesso attendersi all inizio (esempio ne sono quelle di cui alle lett. d), h), l) e s) art. 33). La vessatorietà di una clausola si determina in relazione alla natura del bene o del servizio oggetto del contratto, in rapporto alle circostanze della stipulazione e ai fini della valutazione possono assumere rilevanza anche le ulteriori condizioni del medesimo contratto o di altro al primo collegato. Una clausola, in sé e per sé fonte di squilibrio significativo, potrebbe infatti risultare non vessatoria se viene riequilibrata da diversa clausola dello stesso contratto (o di altro collegato) che ad esempio disponga, per converso, apprezzabili vantaggi a favore del consumatore. La valutazione non riguarda l'aspetto economico dell'operazione : lo squilibrio che determina la vessatorietà è uno squilibrio "normativo" di posizioni e non "economico", poiché il profilo della convenienza economica di un contratto - rappresentato in particolare dal prezzo o dal corrispettivo - è espressione esclusiva dell'autonomia contrattuale e come tale non viene di per se stesso intaccato dalle norme in commento. Analogamente -e per ovvie ragioni- non si può dare il caso di una vessatorietà insita puramente nella determinazione dell'oggetto del contratto, riservato anch'esso all'autonomia delle parti contraenti. Tale importante riconoscimento dell'autonomia negoziale, sia sul piano dell'adeguatezza del corrispettivo pattuito che su quello della determinazione dell'oggetto, incontra un solo rilevante limite, vale a dire che tali elementi siano individuati con chiarezza ed in modo comprensibile e quindi vi sia trasparenza nell'operazione contrattuale: non sono cioè le scelte nel merito della convenienza per il consumatore ad essere giudicate, ma si intende garantire che il medesimo sia posto nella condizione di comprendere bene ciò che sta facendo. In generale, vi sono due fattori che impediscono comunque una valutazione di vessatorietà di una clausola contrattuale. Il primo è dato dal fatto che clausole riproduttive di disposizioni di legge si presume automaticamente che non contengano elementi di vessatorietà: tale previsione ha dato origine a qualche discussione per quanto concerne le condizioni generali di contratto utilizzate nei servizi pubblici e adottate con norme regolamentari, ma oggi si ritiene che anche tali clausole possano essere assoggettate ad una valutazione di vessatorietà. Il secondo fattore che, in linea di principio, impedisce un giudizio di vessatorietà delle clausole è il fatto che risulti, in modo effettivo ed inequivocabile, che sulla clausola sbilanciata (e quindi possibile oggetto di contestazione) si è svolta una specifica trattativa. Non sono in proposito ritenute sufficienti formule di stile che attestino trattative più o meno fittizie e neppure dichiarazioni confessorie del consumatore circa l'avvenuta negoziazione. Un'importanza fondamentale riveste in questo caso la distribuzione dell'onere della prova, che si reputa incomba in via generale sul professionista: per salvare la clausola spetta infatti al professionista dimostrare che la medesima è stata oggetto di reale trattativa. E' da rilevare come per tre tipologie di clausole tassativamente indicate, neppure l'intervenuta negoziazione sia in grado di salvarle da un giudizio di vessatoriet à. In queste tre ipotesi - che sono peraltro già comprese nel lungo elenco cui sopra si è fatto riferimento il Codice del consumo, all' art. 36 (cui necessariamente si rinvia per la loro esatta individuazione), detta una presunzione assoluta di vessatorietà, che non ammette cioè alcuna prova contraria. Si tratta evidentemente di quelle clausole negoziali (lett. a), b) e l) dell'elenco completo fornito dall'art. 33 che vengono reputate particolarmente penalizzanti per il consumatore e di cui pertanto la legge stessa dà per scontata la vessatorietà.

19 Sanzioni Una volta che sia accertato il carattere vessatorio delle clausole ai sensi delle norme in commento, tali pattuizioni sono nulle, mentre il contratto rimane valido per il resto. La nullità, che opera solo a vantaggio del consumatore, può essere peraltro rilevata d'ufficio dal giudice. Tale meccanismo, basato sulla nullità parziale e relativa delle clausole ritenute vessatorie nella permanente sopravvivenza del contratto nel suo complesso, può rappresentare un grave rischio per il professionista: in alcune ipotesi, per lo stesso potrebbe risultare più vantaggioso il venir meno del contratto nel suo complesso - che invece non può pretendere - venendosi in definitiva a trovare "prigioniero" di un contratto tutto favorevole al consumatore. Non vi è - è appena il caso di sottolineare ancora una volta - doppia sottoscrizione che possa comunque salvare dall'invalidità le clausole di cui sia accertata la vessatorietà. L'azione di nullità individualmente promossa, si ritiene debba considerarsi imprescrittibile. Un rimedio particolare, per il suo carattere preventivo e per il fatto di vedere riconosciuta la legittimazione attiva di enti portatori di c.d. interessi diffusi, è dato dall'azione inibitoria (art. 37), che può essere promossa in sede giurisdizionale per inibire l'uso di clausole vessatorie contenute in condizioni generali di contratto, ovunque inserite e a prescindere da qualsiasi specialità di settore. Va notato che lo strumento assai incisivo dell'azione inibitoria vede in queste norme una delle prime ipotesi di sua introduzione nel nostro ordinamento; soltanto in seguito, lo strumento ha ricevuto ampio riconoscimento, in particolare per quanto attiene alla sua diffusione nella normativa speciale sulla protezione dei consumatori. I soggetti legittimati a promuovere l'azione inibitoria sono le associazioni di consumatori e di professionisti, nonché le Camere di Commercio, che possono anche richiedere la concessione di provvedimenti cautelari quando ricorrano motivi di urgenza; soggetti passivi dell'azione inibitoria sono, per effetto di una ancor recente modifica legislativa, non solo i professionisti o le associazioni di professionisti che concretamente fanno uso di condizioni generali ritenute vessatorie, ma anche quelli che si limitano solo a raccomandarne l'adozione. Orientamenti della giurisprudenza La giurisprudenza sulla materia è senz altro copiosa. Di seguito viene indicata quella ritenuta più rilevante degli ultimi anni. Un soggetto che ha stipulato un contratto relativo ad un bene destinato ad un uso in parte professionale ed in parte estraneo alla sua attività professionale non ha il diritto di avvalersi dei benefici connessi allo status di consumatore, a meno che l uso professionale sia talmente marginale da avere un ruolo trascurabile nel contesto globale dell operazione di cui trattasi, essendo irrilevante a tale riguardo il fatto che predomini l aspetto extraprofessionale; spetta al giudice interpellato decidere, in base a tutti gli elementi di fatto oggettivamente rilevanti, se il contratto sia stato concluso per soddisfare, in misura non trascurabile, esigenze attinenti all attività professionale del soggetto ovvero se, al contrario, l uso professionale rivestisse solo un ruolo insignificante (Corte Giustizia CE, Sez. II, 20/1/2005, C-464/01). Le clausole contrattuali riproduttive di regolamenti sono sottoposte al giudizio di vessatorietà posto che tali atti hanno natura contrattuale e che l esenzione da detto giudizio è prevista per le sole clausole riproduttive di disposizioni di legge (Trib. Roma, 4 febbraio 2002). La disciplina dei contratti dei consumatori si applica anche ai contratti conclusi per atto pubblico (Trib. Venezia, 17 maggio 2000). La dichiarazione, resa dal consumatore in calce alle clausole vessatorie, circa la loro preventiva negoziazione con il professionista, se espressa nell ambito delle contrattazioni di massa, non è sufficiente a dimostrare che sia realmente intercorsa tra le parti una trattativa individuale (Trib. Bologna, 14 giugno 2000). Ogni operatore professionale od economico, e non solo il professionista liberale, rientra nella definizione di professionista, ed un ruolo di primo piano come controparte contrattuale del consumatore non può che rivestire l' imprenditore ai sensi dell'art cod. civ. (Trib. Palermo, 3 febbraio 1999), in qualsiasi forma d impresa esso operi (anche, ad esempio, quale ditta individuale). Non rileva la buona o la mala fede del professionista che predispone il contratto, ed in questo senso l'eventuale buona fede dello stesso (il quale magari non si accorge dello sbilanciamento contrattuale

20 che si viene a creare) non esclude la vessatorietà della clausola poiché essa risponde a parametri puramente oggettivi (Trib. Roma, 31 agosto 1998). Una clausola, in sé e per sé fonte di squilibrio significativo, potrebbe risultare non vessatoria se viene riequilibrata da diversa clausola dello stesso contratto (o di altro collegato) che ad esempio disponga, per converso, apprezzabili vantaggi a favore del consumatore (Pretura Bologna, 6 agosto 1998). Soggetti passivi dell'azione inibitoria sono, per effetto di una ancor recente modifica legislativa, non solo i professionisti o le associazioni di professionisti che concretamente fanno uso di condizioni generali ritenute vessatorie, ma anche quelli che si limitano solo a raccomandarne l'adozione (Corte d'appello Roma, 10 giugno 2002). In evidenza per le imprese La chiarezza e la comprensibilità sono richieste per tutte le clausole presentate per iscritto e, in caso di dubbio sull'interpretazione, prevale quella più favorevole al consumatore (art. 35 codice). Dovrebbero quindi essere eliminate quelle clausole che le imprese redigono utilizzando caratteri minuscoli o terminologia estremamente tecnica, adducendo magari come giustificazione la presunta complessità di alcune operazioni economiche; in caso contrario, tali accorgimenti potrebbero essere assu come indici di vessatorietà delle clausole medesime (nel senso che anche le clausole che riproducono disposizioni di legge devono sempre essere redatte in modo c comprensibile, vedasi Corte costituzionale n. 71/2003). Dal momento che non sono vessatorie le clausole o gli elementi di clausola che siano stati oggetto di trattativa individuale, conviene sempre negoziare le clausole "sbilanciate" e quindi attestare esplicitamente che la trattativa è stata - come richiede la giurisprudenza - "vera e reale". Sui profili economici delle operazioni disciplinate mediante il contratto è decisivo, ai fini di poter comunque salvare le clausole, redigere condizioni contrattuali chiare. L'imprenditore non è tenuto a preoccuparsi degli squilibri economici, poichè ciascun consumatore, se correttamente informato sui patti contrattuali, è lilbero di accetta anche condizioni economiche per sè in assoluto penalizzanti. Il venditore dispone di un'azione di regresso nei confronti del fornitore per i danni subiti a causa della dichiarazione di nullità di clausole vessatorie (art. 36). La discip consente cioè al venditore finale di ribaltare sul soggetto a monte nella catena distributiva il rischio a carico del professionista derivante dalle norme di protezione del consumatore. Una volta che si accertato il carattere vessatorio delle clausole ai sensi delle norme in commento, tali pattuizioni sono nulle, mentre il contratto rimane valido per il rest nullità che opera solo a vantaggio del consumatore, può essere peraltro rilevata d'ufficio dal giudice.

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