SEMINARIO COSTRUIRE INSIEME I PERCORSI DELL AFFIDO FAMILIARE 13 FEBBRAIO 2009
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- Ivo Bruni
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1 SEMINARIO COSTRUIRE INSIEME I PERCORSI DELL AFFIDO FAMILIARE 13 FEBBRAIO 2009 Luisa Della Rosa, psicoterapeuta. Sono contenta e orgogliosa di essere stata invitata a un appuntamento che ritengo importante. Vengo da Milano e ho sentito dire qui cose che, tal volta, a Milano non sento dire, sono per questo molto ammirata. Se fossi un bambino che deve essere affidato, forse, in qualche modo, potrei sperare in questo contesto dove sono state dette cose molto importanti e a forte contenuto valoriale, elemento fondamentale, moto straordinario che nasce dalla sinergia della mente e del cuore e che può promuovere buone azioni e pensieri attivi, pulito da quell aspetto deteriore, un po fanciullesco e pericoloso che è l enfasi della grande idealizzazione che poi non ci consente di vedere le grandi criticità, le cose complesse, le difficoltà. Direi che le molte complessità sono state evidenziate con un punto di vista professionale, non depresso, non disfattista, non triste, cosa che in momenti difficili come quelli che stiamo attraversando mi sembra un messaggio dato alle persone, alla collettività, di grande e profondo valore. Dico brevemente ciò che faccio, così potrete capirmi meglio. Sono una psicanalista con una formazione sistemica e da anni mi occupo di famiglie multiproblematiche e di bambini traumatizzati, in particolare, da dieci anni, con una cooperativa di Milano Spazio aperto servizi mi dedico a un centro specialistico CTIF (Centro per la cura del trauma nell Infanzia e nella Famiglia), caratterizzato da molte sfaccettature: da un lato è centro squisitamente clinico, dove si effettuano psicoterapie, psicodiagnosi ai bambini e alle famiglie, dall altro è un luogo di quotidiana concretezza. Abbiamo quattro comunità, tre a Milano e una in un piccolo borgo un po desolato ma con una serie di risorse, vicino a Pavia. Le nostre comunità non sono definite terapeutiche, comunità dove ci sono i neuropsichiatri e si danno gli psicofarmaci, ma sono definite come comunità specialistiche che accolgono bambini allontanati dal tribunale per eventi gravi subiti in famiglia, tali da essere definiti traumi patiti in famiglia, e stanno nella comunità per un po di tempo. Chi mi conosce sa che sono una grande appassionata della clinica e della cura nel quotidiano, quindi credo che anche cose estremamente pesanti per i bambini, secondo una mia metafora, cancri della mente e del cuore, possano essere curati non solo da specialisti ma anche da educatori competenti che nell equilibrio, nell amore, nella saggezza dell ordine della vita di tutti i giorni, possono riparare danni gravi. Questo è lo scenario da cui parto. Uno scenario grave e pesante ma continuamente illuminato dal grande fascino che questi eventi traumatici hanno perché sappiamo che il grande male non è mai separato dal grande bene. Quanto più li accostiamo con profondità tanto più vediamo dove sia possibile costruire una luce. 1
2 Ma qual è il nostro grande problema? Stando qui oggi ho sentito le straordinarie parole dei genitori affidatari. Ho sentito proprio dal loro modo di dire, qualcosa che mi ha fatto pensare che il lavoro che si fa in comunità di un educazione, di una clinica della quotidianità, può andare oltre, andare in una famiglia. Questo sarebbe, per i bambini così sofferenti e traumatizzati dei quali mi occupo, una grande fortuna che spesso, però, non hanno. Dopo osservazioni cliniche molto accurate abbiamo capito che i bambini che vengono da noi sono in condizioni abbastanza precarie e presentano un primo momento di assestamento dove magari non appaiono malandati, un momento chiamato pseudo adattamento, adattamento fasullo, dopo di ché inizia il lavoro duro, quello profondo quello del metterli a contatto con gli eventi che hanno patito e qui tutto il loro mondo da un lato crolla e dall altro deve essere ricostruito. La parte fondamentale da ricostruire è quella della relazione con il mondo degli adulti e della speranza e della fiducia nel mondo degli adulti, far capir loro che degli adulti ci si può fidare e si può essere voluti bene anche se si sono patite cose brutte e se si pensa di se stessi le cose peggiori. I bambini che arrivano da noi sono stati gravemente danneggiati da eventi familiari, parlo di casi estremi, e per questo ne parlo con voi, famiglie che, come ha detto la signora, vogliono essere definite famiglie normali. Io credo che anche con la normalità saggia e naturalmente supportata, aiutata, coordinata, si possano fare grandissime cose, anche là dove la sofferenza e la patologia siano eccelse. Quindi dobbiamo fare cose grandi attraverso cose molto semplici, ad esempio, l educatore che dice che si deve mettere il piumone sul letto, altrimenti si avrà freddo. Queste banali parole sono in realtà il distillato e l essenza dell aver cura e dell avere a cuore e sono ciò che questi bambini, nelle loro famiglie naturali, spesso non hanno avuto. Così si ricostruisce la fiducia nel mondo degli adulti e gradualmente, lavorando anche sulle esperienze patite in famiglia, che non vuol dire demonizzare i genitori naturali, spesso si dice anzi che i genitori, nel mestiere di papà e mamma, facevano fatica e ora hanno bisogno di aiuto. Non demonizziamo, perché dal genitore demonizzato è poi difficile recuperare energie per portare avanti il lavoro con un nuovo genitore. In quel momento l educatore è una figura ideale. Per ora lasciamo da parte gli psicoterapeuti. A un certo punto, insieme alla speranza nella relazione con l adulto, rinasce anche il desiderio di poter dipendere da un adulto. Quando un bambino chiede se qualcuno farà la notte siamo di fronte a un campanello straordinario: rinasce il bisogno e il desiderio di avvicinarsi a qualcosa che non è più una comunità, anche se nel momento di massima sofferenza è un elemento importante perchè non sarebbero pronti a affrontare una famiglia, ma quando hanno questa sensibilità e dicono queste cose, io vorrei che le famiglie 2
3 ci fossero. Ma le famiglie non ci sono, a Milano non le troviamo. Arriviamo così a casi drammatici, un ragazzino, ad esempio, è stato sei anni con noi, adesso ne ha quindici e speriamo che riesca a trovare un luogo che lo accoglie in una rete familiare. È chiaro che situazioni così gravi non possono approdare in una famiglia singola che sta in un grazioso appartamento con doppi locali e balconi con l edera, hanno bisogno di una famiglia dentro una rete, dove per rete non intendiamo la metafora della rete dove il bambino pesciolino muore, ma una rete come sostegno, che è fatta di nodi che tengono quando uno si perde. Questo è fondamentale, perché altrimenti il nostro lavoro, fatto con gioia ma anche con fatica personale, con il dispendio di molte energie emotive, è destinato a non andare avanti facilmente. Abbiamo fatto una piccola indagine interna, purtroppo noi del CTIF abbiamo tante qualità ma non siamo sistematici ed è un grande difetto. Viviamo troppo le cose del momento ma non descriviamo abbastanza, le si testimonia con le parole perché non si ha tempo di fare altro. Ci siamo accorti che il nostro lavoro con bambini così malandati è una rianimazione psicoemozionale che risveglia un po di competenze per essere figli. Dopo diciotto, venti mesi le competenze di base sono state risvegliate e allora questi bambini dovrebbero venire spostati dalla rianimazione al reparto, usando la metafora ospedaliera, ma noi non troviamo sempre reparti disponibili. Molti bambini si arrabbiano con noi e ritornano ai vecchi schemi che designano l adulto come traditore, imbroglione, inaffidabile, oppure ritornano a stare male e vengono nuovamente affidati all equipe di assistenti. L educatrice mi dice che il bambino non può essere dimesso, ma io so che è tornato indietro perché ha capito che non c è un luogo dove andare. Ciò che ho sentito oggi, mi ha riconfermato però, l importanza di questi luoghi, che questi luoghi ci siano e che siano davvero reti di famiglia, perché nei casi gravi come quelli di cui io mi occupo, la famiglia singola non ce la può fare. Serve un organizzazione più grande, più solida, che supporti. Vi ho portato qualche disegno per mostrarvi qual è il comportamento, il funzionamento della mente dei bambini traumatizzati, quindi abbandonati, picchiati, abusati sessualmente, denigrati di continuo, mortificati, etc. La mente di questi bambini presenta delle caratteristiche: è confusa, frammentata, scissa, ci sono cioè delle parti di cui l una non sa cosa pensa l altra e soffre un conflitto interno. Ciò che hanno detto gli illustri relatori prima di me è che per realizzare un buon percorso di affido si devono evitare la confusione, la scissione, la frammentazione, i conflitti, e queste sono le qualità patologiche e sofferenti della mente dei bambini traumatizzati. È quindi chiaro che se la loro malattia presenta tali caratteristiche, allora la cura non può che essere l opposto. Dobbiamo fare per loro progetti non frammentati, non confusi, non scissi, dove le persone non sono in conflitto. Di progetti diversi non hanno bisogno, loro li possono insegnare a noi, sono maestri. 3
4 Il disegno che vi mostro è stato fatto da un bambino in una consulenza tecnica, rappresenta delle onde, indicative della sua situazione attuale: era un bambino in affido, un buon affido. Io conclusi la consulenza dichiarando che era talmente stato utile quell affido, conobbi per altro a fondo i suoi genitori, che il bambino poteva tornare a casa. Lo stare in affido avrebbe prodotto una sorta di confusione. In fondo viveva in due famiglie uguali, dove c erano pari amore, pari affetto, non poteva stare nel doppio in eterno, c era già stato a sufficienza, la sua famiglia naturale se la cavava, e è ritornato nel nucleo familiare naturale, controllato dagli educatori a domicilio e con garantito il mantenimento del rapporto con la famiglia affidataria, perché era troppo importante, lo si vede dal disegno, non si poteva cancellare. I genitori affidatari hanno continuato a essere un grande appoggio per il bambino e, addirittura, una risorsa significativa per la sua famiglia naturale. Questo è invece il disegno straordinario, seppur nella sua tragicità, di una bambina appena arrivata in comunità. Neppure unendo questi tre pezzi di corpo si arriva a comporre una bambina intera, ma la cosa più inquietante è che la testa è aperta. La bambina mi diceva di non avere pensieri. Io le rispondevo che tutti hanno pensieri, ma lei diceva che i suoi erano andati via. Abbiamo dovuto, poco per volta, chiudere la sua testolina, fare in modo che i pensieri restassero dentro, che non litigassero l un con l altro. Se mi avessero chiesto se questa bambina poteva andare in una rete affidataria, anche la migliore, avrei detto no, prima le devo chiudere la testolina, le organizzo un po i pensieri, poi sarà pronta. Se avessimo la possibilità di fare un bel dialogo clinico, tra di noi, scopriremmo che avete molte informazioni cliniche da condividere e da insegnare a me. Questo disegno non si capisce, rappresenta forme strane, ma sotto c è scritto: fonte sanguinante scura. Le parole sono inquietanti, la bambina che le scrisse, ora è in una famiglia affidataria. Con noi era abbastanza tranquilla. Appena arrivata là ha fatto di tutto, ma i genitori affidatari sono stati tanto bravi da capire che dovevano farsi aiutare, lei si è sentita veramente a casa e ha rovesciato il sacchetto delle sue angosce. Questa bambina ha una mamma in coma da molto tempo e il padre si disinteressa di lei, è un caso molto complicato e il tribunale si chiede cosa fare. Quest altro è un disegno fattomi da una bambina in terapia quando le ho detto che avevo una rete. È una coperta, e lo trovo straordinario, perché è una rete vera e propria. Il prossimo disegno mostra una gabbia dove si tengono i pensieri terribili. La sigilliamo. Questo è un disegno intitolato: In sospensione, termine che si addice a tutto ciò che abbiamo detto. Il problema è che l affido non deve essere una realtà in sospensione, ma che ha delle certezze temporanee che devono essere continuamente seguite. 4
5 Il disegno che vi sto mostrando sembra non significhi nulla, sembra realizzato da un bambino con gravi problemi mentali, vi informo invece che è un disegno fatto in terapia, quando si libera la forza interiore, da un bambino bravissimo a scuola. È stato in affido e questo è il disegno che vi mostro. Ci sono gli stessi colori e gli stessi elementi, non è proprio un bel disegno a livello clinico, ancora non presenta figure umane, c è fissità, ma non ha nulla a che vedere con il precedente. Io me la cavo a curare i bambini, ma non avrei potuto fare niente da sola, se questo bambino non avesse avuto il supporto straordinario di una famiglia che lo ha aiutato a vivere quotidianamente. Io in terapia parlavo di tante cose ma non potevo offrirgli l importante esperienza del vivere di tutti i giorni. Versione non rivista dall autore 5
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