Studio di alcuni metodi di calibrazione di un calorimetro elettromagnetico

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1 Università degli Studi di Trieste Dipartimento di Fisica Corso di Laurea Triennale in Fisica Studio di alcuni metodi di calibrazione di un calorimetro elettromagnetico Candidato: Ksenia de Leo Relatore: Prof. Giuseppe Della Ricca Anno Accademico 215/216

2 Indice 1 CMS e LHC Large Hadron Collider Compact Muon Solenoid ECAL Calorimetria in fisica Calorimetria Interazioni con la materia Elettroni Fotoni Sciami elettromagnetici Propagazione longitudinale Propagazione trasversa Calibrazione e risultati Calibrare il calorimetro Setup sperimentale Analisi dati Metodo Metodo Metodo Risultati e confronto Conclusioni 25 A Istogrammi 27 i

3 Introduzione Lo scopo del seguente lavoro è di proporre alcune tecniche di calibrazione del calorimetro elettromagnetico ECAL di CMS. Una calibrazione adeguata è necessaria per avere un ottima risoluzione in energia, il che è essenziale nell ambito della fisica sperimentale delle particelle, come ad esempio per la ricerca del Bosone di Higgs. La tesi si sviluppa in tre parti: nella prima si presenta l acceleratore LHC del CERN di Ginevra, soffermandosi sull esperimento CMS ed in particolare su uno dei suoi rivelatori: il calorimentro elettromagnetico ECAL. Nella seconda parte si introduce la calorimetria in fisica, con i meccanismi che regolano l interazione di elettroni e fotoni con la materia e la creazione degli sciami elettromagnetici. Nell ultima parte si discute l analisi dei dati, partendo dalla descrizione dell apparato sperimentale del fascio di test e delle variabili usate. Si illustrano quindi tre metodi di calibrazione e la loro implementazione e vengono esposti i risultati ottenuti. ii

4 Capitolo 1 CMS e LHC 1.1 Large Hadron Collider Il Large Hadron Collider (LHC) è un acceleratore di particelle situato presso il CERN (Conseil européen pour la recherche nucléaire) di Ginevra, operativo dal 1 settembre 28. È un collisore circolare di 27 km di circonferenza e si trova ad una profondità media di 1 m. Al suo interno viaggiano, in direzioni opposte, due fasci di protoni o ioni, i quali vengono fatti collidere con lo scopo di produrre fasci di particelle ad alta energia. Con LHC è possibile indagare la fisica subnucleare a energia del TeV, il che apre la strada alla ricerca in diversi ambiti, tra cui: Modello Standard e Meccanismo di Higgs Teorie Supersimmetriche (SUSY) Materia oscura Extra dimensioni spaziali e temporali Plasma di Quark e Gluoni (QGP). In LHC si studiano principalmente le collisioni protone-protone. Prima di entrare nel collisore circolare, i protoni attraversano un sistema di accelaratori che ne aumenta gradualmente l energia. Una volta iniettati nell anello di LHC, essi entrano in direzione opposta in due linee adiacenti, costituite da tubi metallici circolari, al cui interno viene creato l ultra-alto vuoto (1 7 P a). Per far sì che le particelle seguano la traiettoria, è montato un sistema di magneti: 1232 dipoli magnetici per mantenere la traiettoria circolare, e 392 quadrupoli magnetici per focalizzare il fascio. Per mantenere i magneti in regime operativo di 1.9 K si usa un sistema criogenico con He 4 superfluido. 1

5 CAPITOLO 1. CMS E LHC 2 Figura 1.1: L anello di LHC e i quattro esperimenti principali: ALICE, ATLAS, CMS e LHCb. Poichè le particelle perdono energia viaggiando su traiettorie circolari emettendo radiazione, lungo il percorso sono disposte cavità acceleratrici a radiofrequenza (RF). In LHC i protoni acquistano un energia di 7 T ev e vengono raggruppati in 28 pacchetti, detti bunches, con più di 1 miliardi di particelle per pacchetto. I pacchetti di protoni di direzione opposta vengono fatti collidere in quattro punti di interazione in una camera a vuoto. Le collisioni avvengono ogni 25 ns producendo in media 2 eventi di collisione protone-protone; la luminosità è di 1 34 cm 2 s 1 [3]. Nei quattro punti in cui i fasci collidono sono posizionati i principali esperimenti, ognuno dei quali utilizza metodi e tecniche diverse: ATLAS (A Toroidal LHC Apparatus), ALICE (A Large Ion Collider Experiment), LHCb (LHC beauty), CMS (Compact Muon Solenoid). 1.2 Compact Muon Solenoid L esperimento CMS (Compact Muon Solenoid) si trova a Cessy, in Francia, in una caverna sotterranea. È un rivelatore di particelle multi-scopo, il cui obiettivo è di indagare diversi aspetti della fisica subnucleare, tra cui: il Bosone di Higgs, la materia oscura, extra dimensioni spaziali e temporali. Il rivelatore circonda il punto di collisione dei fasci di particelle, ha struttura cilindrica (barrel), con due tappi (endcaps) alle estremità. Le dimensioni sono di 21.6 m di lunghezza e 14.6 m di diametro e pesa circa 125 tonnellate. È composto da strati di sottorivelatori concentrici che sono, a partire dal centro: tracciatore calorimetro elettromagnetico (ECAL) calorimetro adronico (HCAL) magnete solenoidale rivelatore di muoni.

6 CAPITOLO 1. CMS E LHC 3 Figura 1.2: Schema del rivelatore CMS. Tracciatore Esso ricostruisce la traiettoria di particelle cariche - elettroni, muoni e adroni di alta energia - e il loro momento, tramite la curvatura dovuta alla presenza del campo magnetico. È costituito da dispositivi al silicio: pixel all interno attorno al punto di interazione e microstrip più esternamente. Calorimetro Elettromagnetico Il calorimetro elettromagnetico (ECAL) permette di rivelare particelle che interagiscono elettromagneticamente con la materia, ossia elettroni/positroni e fotoni. È formato da cristalli di Tungstenato di Piombo PbWO 4 che assorbono le particelle cariche, le quali generano uno sciame elettromagnetico che produce un segnale misurabile. Calorimetro Adronico Il calorimetro adronico (HCAL) misura l energia degli adroni, particelle che interagiscono con la materia tramite interazione forte. È costituito da strati di materiale assorbente quale bronzo e acciaio, intervallati da scintillatore plastico. Magnete Il magnete solenoidale superconduttore crea il campo magnetico necessario a far curvare le particelle cariche e misurarne il momento. Esso genera un campo di 4 T, è lungo 13 m e ha un diametro di 6 m.

7 CAPITOLO 1. CMS E LHC 4 Rivelatore muonico L ultimo rivelatore permette di identificare i muoni, particelle cariche che interagiscono molto poco con la materia e non sono rivelate dai dispositivi precedenti. È composto da tre tipi diversi di detector: tubi a deriva (drift tubes), camere a strip (chatode strip chambers) e camere a piatti resistivi (resistive plate chambers). Questi rivelatori sono posti all esterno del magnete, nel giogo di ferro di ritorno del campo magnetico, necessario a rendere le linee di forza il più uniformi possibile [4]. Figura 1.3: Sezione trasversale di CMS con suddivisione nei vari sottorivelatori. 1.3 ECAL Un calorimetro è un rivelatore che misura l energia delle particelle entranti: è formato da materiale passivo detto assorbitore, con cui le particelle interagiscono e dove cedono progressivamente la loro energia fino a fermarsi, e da materiale attivo, che traduce in segnale misurabile l energia ceduta. Il calorimetro elettromagnetico ECAL [6] nello specifico permette di rivelare particelle cariche, che interagiscono con la materia per interazione elettromagnetica. Esso è costituito da cristalli scintillatori di Tungstenato di Piombo PbWO 4 : si tratta di un calorimetro omogeneo, perchè il materiale di cui è composto è sia attivo sia passivo. La scelta di materiale omogeneo garantisce buona risoluzione in energia, inoltre i cristalli di PbWO 4 assicurano buona granularità e sono di dimensione abbastanza ridotta da poter essere inseriti all interno del magnete solenoidale. Gli svantaggi di usare questi cristalli sono dati dalla dipendenza della risposta dalla temperatura e dalla bassa intensità prodotta del segnale da misurare; per compensare ciò si richiede l uso di un sistema di regolazione termica e di fotomoltiplicatori interfacciati con l elettronica di acquisizione.

8 CAPITOLO 1. CMS E LHC 5 La densità del materiale è di 8.3 g/cm 3, la lunghezza di radiazione è di.89 cm e il raggio di Molière è di 2.2 cm. La simmetria di ECAL rispecchia quella di CMS: il corpo centrale è cilindrico (barrel), chiuso alle estremità da due tappi (endcaps). La forma e l inclinazione dei cristalli dipendono dalla loro posizione all interno del calorimetro per garantire migliori prestazioni ed evitare buchi tra un cristallo e l altro. Nell ambito di ECAL si usa un particolare sistema di coordinate polari: l asse z, che coincide con la direzione del fascio incidente, la coordinata φ, angolo azimutale, e la coordinata η detta pseudorapidità, definita come: η = ln tanθ 2, dove θ è l angolo polare. I cristalli hanno forma di tronco di piramide a base quadrata, in modo da sottendere allo stesso angolo solido con la faccia interna e con quella esterna; nel barrel la faccia interna è di mm 2, quella esterna di mm 2, negli endcap l area è di mm 2 all interno e 3 3 mm 2 all esterno. Figura 1.4: Struttura di ECAL, in cui si evidenziano i cristalli appartenenti al barrel, ad uno degli endcap e il pre-shower Barrel Nel barrel i cristalli sono organizzati in una struttura gerarchica: 36 supermoduli contenenti 17 cristalli ognuno, disposti in matrici di φ η = 2 85, per un totale di 612 cristalli. Ogni supermodulo è diviso in un modulo di 5 e 3 moduli di 4 cristalli; questi a loro volta sono divisi in sottomoduli di 1 cristalli. Ad ogni cristallo è collegato un fotorivelatore a cascata (APD) per la misura del segnale.

9 CAPITOLO 1. CMS E LHC 6 Endcaps I due endcap hanno struttura identica e contengono in tutto cristalli: ognuno è diviso in due parti dette Dee da 3662 cristalli, raggruppati in matrici 5 5 chiamate SuperCrystals. Data la maggior quantità di radiazione a cui gli endcap sono sottoposti, i rivelatori utilizzati sono Fototriodi a vuoto (VPT). Inoltre subito prima del calorimetro è presente un pre-shower, rivelatore composto da strati di piombo e strip al silicio che ha il ruolo di innescare lo sciame elettromagnetico. Figura 1.5: Cristalli di PbWO 4

10 Capitolo 2 Calorimetria in fisica 2.1 Calorimetria Un calorimetro è un rivelatore la cui funzione è di assorbire completamente l energia cinetica delle particelle cariche entranti e trasformarla in un segnale misurabile. Il calorimetro è costituito da materiale passivo, detto assorbitore, il quale interagendo con una particella ne fa progressivamente diminuire l energia fino a farla fermare. Durante questa fase viene prodotto uno sciame di particelle secondarie via via meno energetiche e l energia viene quasi tutta dissipata sotto forma di calore. A questo punto è necessario inserire un materiale attivo: le particelle dello sciame interagendo con questo materiale producono, sotto forma di luce di scintillazione o luce Cerenkov, un segnale che viene letto grazie all uso di fotorivelatori. Questo segnale è proporzionale all energia iniziale della particella entrante e al numero di particelle secondarie dello sciame. I calorimetri si dividono in due classi: a campionamento e omogenei; i primi sono formati da strati di materiale assorbitore intervallato da materiale rivelatore, i secondi invece sono formati da un unico mezzo che svolge contemporaneamente il ruolo di materiale attivo e passivo. Le proprietà richieste ad un calorimetro sono: buona risoluzione in energia elevata granularità, ossia risoluzione in posizione tempi di risposta adeguati all intervallo di tempo tra un evento e il successivo ermeticità, per garantire la minor perdita di informazione possibile possibilità di calibrazione prima dell assemblaggio e in situ Nel caso di un calorimetro elettromagnetico è d interesse lo studio di elettroni/positroni e fotoni, i quali interagiscono con la materia tramite interazione 7

11 CAPITOLO 2. CALORIMETRIA IN FISICA 8 elettromagnetica. Nello specifico queste particelle penetrano il materiale e interagiscono a livello atomico con i campi elettromagnetici creati dai gusci elettronici e con quelli creati dai protoni nei nuclei. Di seguito si illustrano i diversi meccanismi di perdita di energia, che dipendono dall energia cinetica iniziale delle particelle e dal tipo di interazione con la materia. 2.2 Interazioni con la materia Elettroni Gli elettroni e i positroni interagiscono con la materia nei seguenti modi: Ionizzazione Effetto Cerenkov Bremsstrahlung Ionizzazione Quando un elettrone viaggia in un mezzo, interagisce con gli atomi che compongono il materiale, in particolare con gli elettroni più esterni del guscio atomico. Se l energia dell elettrone incidente è maggiore dell energia di legame, l elettrone colpito passa da uno stato legato ad uno stato libero e l atomo sarà ionizzato; se la particella colpita passa invece ad un altro stato legato, si ha eccitazione dell atomo e conseguente emissione di radiazione durante la diseccitazione. Effetto Cerenkov L effetto Cerenkov si verifica quando una particella carica (elettrone) viaggia in un mezzo a una velocità superiore di quella della luce nel mezzo stesso. Durante il tragitto, l elettrone induce negli atomi dei momenti di dipolo temporanei; dopo il passaggio della particella, il materiale così polarizzato tornerà nella sua configurazione originale, emettendo radiazione. Bremsstrahlung Ad energie più alte domina il fenomeno di bremsstrahlung, radiazione di frenamento. Esso avviene quando un elettrone entra in contatto con il campo elettromagnetico creato da un nucleo (protone): a causa dell attrazione, l elettrone viene deflesso, decelera ed emette un fotone.

12 CAPITOLO 2. CALORIMETRIA IN FISICA 9 Figura 2.1: Perdita di energia per particelle massive cariche Fotoni I fotoni interagiscono con la materia attraverso: Effetto Compton Effetto Fotoelettrico Produzione di coppie Effetto Compton L effetto Compton avviene quando un fotone sufficientemente energetico entra in collisione con un elettrone delle shell atomiche più esterne. L effetto è quello di un urto elastico: il fotone cambia direzione e perde energia (aumenta la lunghezza d onda), mentre l elettrone viene diffuso, ionizzando l atomo. Effetto Fotoelettrico L effetto Fotoelettrico consiste nell emissione di elettroni da un metallo quando questo è colpito da radiazione di una determinata lunghezza d onda. Se i fotoni hanno energia sufficiente, la cedono agli elettroni, che rompono il legame con l atomo e lo ionizzano. Produzione di coppie Il fenomeno dominante tra le interazioni dei fotoni con la materia è la produzione di coppie elettrone-positrone. Quando un fotone entra in contatto con il campo elettromagnetico di un nucleo, se la sua energia è almeno pari a 2m e c 2 = 1.22 MeV, esso si converte in e + e.

13 CAPITOLO 2. CALORIMETRIA IN FISICA 1 Figura 2.2: Perdita di energia per fotoni Alle energie di interesse, dell ordine del GeV, gli effetti predominanti sono bremsstrahlung per gli elettroni e creazione di coppie e + e per i fotoni. Le particelle che entrano nel calorimetro perdono energia, la quale viene dissipata in massima parte sotto forma di calore; una parte di essa però si converte in un segnale che può essere misurato. Ciò avviene perchè le particelle secondarie interagiscono con la parte attiva del calorimetro producendo luce di scintillazione e luce Cerenkov; questa radiazione non viene assorbita e raggiunge i fotorivelatori che sono posizionati al termine del calorimetro. La luce di scintillazione è prodotta dal passaggio di fotoni attraverso un materiale scintillatore: gli elettroni negli atomi si eccitano e viene emessa radiazione al loro diseccitamento. La radiazione così emessa ha energia bassa e cade solitamente nel visibile. Si usano quindi fotomoltiplicatori, rivelatori di luce estremamente sensibili, che convertono la radiazione in segnale elettrico. 2.3 Sciami elettromagnetici La trattazione sopra descritta mostra che elettroni e fotoni che giungono al calorimetro con energie elevate interagiscono con il materiale tramite bremsstrahlung e creazione di coppie rispettivamente. Tali processi hanno la possibilità di ripetersi diverse volte nel materiale assorbitore, creando una cascata di particelle secondarie chiamata sciame elettromagnetico.

14 CAPITOLO 2. CALORIMETRIA IN FISICA 11 Vediamo un esempio di come esso può formarsi. Consideriamo un elettrone che entra nel calorimetro con energia sufficientemente elevata, esso emetterà per bremsstrahlung un fotone che, interagendo con il mezzo, può creare una coppia elettrone/positrone. Questi ultimi a loro volta emetteranno fotoni lungo il tragitto. Tale processo illustrato in Figura 2.3 descrive la formazione di particelle secondarie via via meno energetiche. Il fenomeno continua fino a che l energia delle particelle secondarie è tale da far predominare bremsstrahlung e produzione di coppie; quando l energia scende sotto una certa soglia, detta energia critica, i fenomeni che regolano la perdia di energia delle particelle nel mezzo diventano ionizzazione e eccitazione, lo sciame smette di moltiplicarsi e viene assorbito dal calorimetro. Figura 2.3: Schema di uno sciame elettromagnetico Propagazione longitudinale Descriviamo ora brevemente come avviene la propagazione dello sciame elettromagnetico lungitudinalmente nel calorimetro [2]. Introduciamo innanzitutto la lunghezza di radiazione X : essa rappresenta il cammino necessario ad un elettrone per diminuire la propria energia di un fattore 1/e. La legge che descrive la perdita di energia per gli elettroni è E = E e x X La lunghezza di radiazione è una caratteristica dei materiali e può essere descritta da: X 18 A Z 2 [g/cm2 ], dove A è il numero di massa e Z il numero atomico dell assorbitore.

15 CAPITOLO 2. CALORIMETRIA IN FISICA 12 Analogamente, quando si ha una fascio di fotoni che penetra un materiale, si definisce l intensità come energia trasportata dal fascio per unità di superficie e di tempo. La perdita di intensità è data da: I = I e 7 9 Per la creazione e propagazione della cascata elettromagnetica sono necessarie le seguenti condizioni: La particella che dà il via allo sciame deve percorrere un tragitto X prima di incontrare un nucleo L energia persa ad ogni interazione e ± e ± γ o γ e + e si divide equamente tra i prodotti per conservazione dell energia Si definisce l energia critica ɛ c, valore per cui la perdita di energia degli elettroni per bremsstrahlung eguaglia quella per ionizzazione; è caratteristica del materiale e per il Tungstenato di Piombo è dell ordine di 1 MeV La cascata dura fino a che l energia delle particelle secondarie non raggiunge il valore dell energia critica ɛ c, valore per il quale diventano dominanti ionizzazione e effetto Compton. x X Propagazione trasversa Per la nostra trattazione è importante la propagazione trasversa degli sciami elettromagnetici. Gli elettroni che emettono radiazione tramite bremsstrahlung vengono deflessi di piccoli angoli rispetto alla direzione iniziale del moto: θ brem p e m e. A questo si aggiunge il fenomeno di diffusione multipla nel mezzo assorbitore, che causa un graduale allargamento dell apertura dello sciame con il diminuire dell energia. Per quanto riguarda i fotoni, entra in gioco la produzione di coppie e + e : l angolo tra elettrone e positrone è dato da: θ e + e E γ m e. Lo sviluppo trasverso è descritto con buona approssimazione da un andamento esponenziale; il parametro caratteristico per lo smorzamento laterale dello sciame è il raggio di Molière ρ M. Esso rappresenta il raggio di un cilindro contenente il 95% dell energia dello sciame elettromagnetico. Si tratta di una proprietà del materiale, ed è legato alla lunghezza di radiazione dalla relazione:

16 CAPITOLO 2. CALORIMETRIA IN FISICA 13 ρ M = 21 X ɛ 7 A Z [g/cm2 ], dove ɛ è l energia degli elettroni deflessi [2]. Quando si studia l energia depositata dalle particelle in un calorimetro, è fondamentale la propagazione trasversa dello sciame: una particella carica che incide su un cristallo, depositerà la sua energia su una regione ben più vasta del cristallo in questione; lo sciame elettromagnetico creato, che ci dà informazioni sull energia cinetica della particella iniziale, si propagherà e si distribuirà sui cristalli adiacenti. È convenzione considerare le energie distribuite su cluster di 3 3 e 5 5 cristalli centrati su quello colpito. Figura 2.4: Cristallo con rappresentazione grafica dello sciame elettromagnetico

17 Capitolo 3 Calibrazione e risultati 3.1 Calibrare il calorimetro Per garantire il funzionamento ottimale del calorimetro elettromagnetico, e quindi un eccellente risoluzione in energia, è necessario che esso sia correttamente calibrato. Come abbiamo visto, una particella carica incidente su un calorimetro rilascia la propria energia attraverso una serie di passaggi: l energia viene depositata sull assorbitore, viene prodotto un segnale proporzionale all energia iniziale, il segnale viene convertito da analogico a digitale ed infine registrato. È giusto aspettarsi che durante le varie fasi necessarie all acquisizione dei dati si perda dell informazione. Ciò può avvenire nei fotorivelatori e all interno dei cristalli, poichè per motivi costruttivi la risposta in uscita differisce da quella in entrata [5]. La risoluzione di energia del calorimetro elettromagnetico ECAL di CMS è: σ(e) E = 2.7% 15 MeV E[GeV ] E[GeV ].5% Il primo termine è stocastico, il secondo è dato dal rumore dell elettronica di acquisizione - importante a basse energie - e l ultimo è una costante che dipende dalla calibrazione. Un calorimetro può essere calibrato prima dell assemblaggio, analizzando diverse sue componenti separatamente prima che esso entri in funzione, oppure in situ, sfruttando eventi fisici prodotti negli esperimenti. Le principali tecniche di calibrazione usate per ECAL [1] sono: Misure di laboratorio: utilizzando dati per ogni singolo cristallo riguardanti la sua risposta di scintillazione, la precisione è del 4%; Raggi cosmici: tutti i supermoduli del barrel sono stati esposti a raggi cosmici per due settimane, si raggiunge una precisione del 2%; 14

18 CAPITOLO 3. CALIBRAZIONE E RISULTATI 15 Figura 3.1: Risoluzione energetica di ECAL Test beam: è stato utilizzato un fascio di elettroni di energia nota per calibrare alcuni supermoduli, con precisione.2%; In situ: si usano tre metodi: nel primo si calibrano anelli di cristalli del barrel sfruttando la simmetria φ, ossia il fatto che per un grande campione di eventi l energia trasversa totale depositata dev essere la stessa per i cristalli alla stessa pseudorapidità η. Il secondo metodo si basa sulla ricostruzione del picco di massa invariante di fotoni prodotti da π γγ e η γγ. L ultimo metodo è basato sul confronto tra energia E registrata del calorimetro e momento p ricostruito dal tracciatore per elettroni isolati provenienti da Z e + e e da W eν. La precisione va dallo.2% al.5%, alla quale vanno aggiunte incertezze sistematiche. Questa analisi si concentrerà sulla calibrazione dei cristalli, nello specifico sulla risposta di scintillazione (light yield), utilizzando il metodo di calibrazione su test beam con fascio di elettroni monocromatici. 3.2 Setup sperimentale I dati utilizzati provengono dalla linea di test H4 dell Area Nord del CERN. È stato allestito un fascio di elettroni di energia compresa tra i 2 e i 15 GeV, per creare il quale si è fatto uso di protoni di 45 GeV provenienti dall acceleratore SPS (Super Proton Synchrotron): essi incidevano su un bersaglio, tra i prodotti

19 CAPITOLO 3. CALIBRAZIONE E RISULTATI 16 del decadimento venivano presi quelli neutri e mandati su un secondo bersaglio, dal quale sono stati prodotti elettroni. Tra essi sono stati estratti elettroni di 1 GeV attraverso un selezionatore in impulso. Il fascio di elettroni, prima di incidere su uno dei supermoduli da testare, è stato fatto passare attraverso un odoscopio, strumento il cui scopo è di visualizzare la traiettoria di particelle cariche. Esso era composto da due pareti di 6 6 mm 2 di materiale scintillatore poste a 2.5 m di distanza, ognuna delle quali formata da due strati di fibre ottiche disposti uno orizzontalmente e uno verticalmente. Per ogni elettrone, in corrispondenza al punto di entrata e al punto di uscita dell odoscopio venivano prodotti due segnali luminosi che permettevano di individuarne la traiettoria. Passato l odoscopio, il fascio di elettroni veniva indirizzato su un cristallo di uno dei supermoduli del barrel; ogni supermodulo era montato su una piattaforma mobile in grado di muoversi orizzontalmente e di inclinarsi: in questo modo era possibile simulare la direzione d impatto delle particelle create nelle collisioni in CMS. Dietro ad ogni cristallo era montato un fotorivelatore a cascata per trasformare la luce di scintillazione in un segnale elettrico, il quale tramite un ADC veniva convertito in segnale digitale e memorizzato. Figura 3.2: Un supermodulo montato su piattaforma mobile

20 CAPITOLO 3. CALIBRAZIONE E RISULTATI Analisi dati Per l analisi dei dati è stato utilizzato Root, un software creato dal CERN per l implementazione di algoritmi per la fisica delle particelle. I dati sono immagazzinati in apposite librerie in grado di contenere una grande quantità di dati e facilitare il loro utilizzo. Le variabili usate sono: run: numero che identifica il test; event: numero di eventi registrati in ogni run; xtaleta, xtalphi: variabili che indicano la posizione dei cristalli all interno del supermodulo. I cristalli sono disposti in matrici 85 2: xtaleta è un intero compreso tra 1 e 85, xtalphi va da 1 a 2; crystal[i]: vettore di 49 componenti che indica il numero del cristallo, costruito come matrice 7 7 centrata sul cristallo colpito; amplit[i]: vettore di 49 componenti che indica l ampiezza del segnale generato nell i-esimo cristallo dallo sciame elettromagnetico; hodox, hodoy: coordinate X e Y del fascio di elettroni rispetto al centro dell odoscopio, espresse in mm; hodoqualityx, hodoqualityy: danno informazioni sulla qualità del segnale proveniente dall odoscopio; hodoslopex, hodoslopey: indicano l inclinazione degli elettroni all interno del fascio; tbmoving: variabile che può assumere valore o 1 e indica se la piattaforma si stesse muovendo durante la presa delle misure. I dati utilizzati in questo lavoro di tesi sono riferiti alle misure eseguite su un supermodulo del barrel di ECAL, costituito da 17 cristalli di Tungstenato di Piombo. In particolare è stata esplorata la zona in basso a destra del supermodulo composta da 81 cristalli, disposti come in Figura 3.3. Per lo svolgimento di un analisi adeguata sono state fatte delle selezioni sui dati utilizzati: sono stati eliminati gli eventi registrati quando la piattaforma non era perfettamente ferma (tbmoving = ). Sono stati selezionati gli elettroni la cui traiettoria passasse per il centro dell odoscopio: a tale scopo si è scelta una ragione di 6 6 mm 2 centrata sull origine ( 3 hodox 3, 3 hodoy 3). Si è preso un segnale proveniente dall odoscopio di qualità adeguata ( 1.5 hodoqualityx 1.5, 1.5 hodoqualityy 1.5). Infine si è fatta una selezione sull inclinazione degli elettroni nel fascio, per esser certi

21 CAPITOLO 3. CALIBRAZIONE E RISULTATI 18 Figura 3.3: Supermodulo analizzato, in colore sono evidenziati i cristalli colpiti dal fascio di elettroni di prendere solo quelli effettivamente incidenti sul cristallo sul quale erano indirizzati (.2 hodoslopex.2,.2 hodoslopey.2). Per ricostruire l energia E k depositata su ogni cristallo del calorimetro è stata usata la seguente formula: E k = A k c α k, dove A k è l ampiezza del segnale prodotto nel k-esimo cristallo e rivelato dal fotomoltiplicatore, espresso nell unità di misura del sistema di acquisizione ADC; c è un coefficiente di normalizzazione, uguale per tutti i cristalli; i termini α k sono i coefficienti di calibrazione associati a ciascun cristallo. Si è posta la costante di normalizzazione c = 1[GeV ] 29[ADC] in modo da rinormalizzare la scala dell energia dalle unità degli ADC ai GeV. La variabile di interesse è quindi l ampiezza registrata per ogni cristallo, che rappresenta la luce di scintillazione prodotta dallo sciame elettromagnetico ed è proporzionale all energia iniziale degli elettroni che incidono sul supermodulo. Come esposto in Sezione 2.3, quando un elettrone attraversa il calorimetro genera una cascata elettromagnetica che si propaga longitudinalmente e lateralmente. Per questo motivo la ricerca dei coefficienti è stata fatta considerando sia l energia depositata su ogni singolo cristallo colpito, sia l energia depositata su una matrice di 3 3 cristalli, costruita per ogni evento attorno al cristallo colpito.

22 CAPITOLO 3. CALIBRAZIONE E RISULTATI Metodo 1 Il primo metodo utilizzato per trovare i coefficienti α k consiste in un intercalibrazione diretta del valore registrato in ogni cristallo, eguagliandolo ad un valore di riferimento. Il primo passo è stato trovare l ampiezza massima del segnale fornito dall ADC. Per ogni cristallo colpito è stato costruito un istograma dell ampiezza registrata nel cristallo in questione, moltiplicata per la costante c. È stato poi eseguito un fit del picco di ogni istogramma usando la funzione di distribuzione Gaussiana: f(x) = Ne (x µ)2 2σ 2 dove N è il coefficiente di normalizzazione, µ è il valore d aspettazione e σ 2 la sua varianza. Il valore di aspettazione di ogni fit rappresenta l ampiezza A k del k-esimo cristallo hc1469 hc1469 Entries Mean RMS Figura 3.4: Esempio di fit del picco di un istogramma Abbiamo normalizzando le ampiezze massime trovate a quella del settimo cristallo, A 7 = GeV, il quale presentava un valore molto prossimo a quello dell energia del fascio di test: E beam = 1 GeV. Il primo set di coefficienti è stato trovato come: α k = A 7 A k, k = {1, 81}.

23 CAPITOLO 3. CALIBRAZIONE E RISULTATI Metodo 2 Il secondo metodo di calibrazione consiste nell eguagliare l energia di ciascun cristallo a quella nota del fascio di elettroni incidenti, il cui valore è E beam = 1 GeV. Per fare ciò è stata eseguita la minimizzazione del seguente funzionale: F = m (A i c α i E beam ) 2 i=1 Si tratta di una funzione di Chiquadro in cui la somma è fatta sul numero m di eventi. La condizione di minimizzazione è: F α i = 2 m (A i c α i E beam ) c A i = i=1 Per lo svolgimento dell analisi è stato usato Minuit, un insieme di librerie scritte per la minimizzazione di funzioni a più parametri. Attraverso un file di testo sono stati forniti i dati con le ampiezze riferite ad ogni cristallo, successivamente sono stati impostati i valori di partenza dell analisi. L algoritmo ha eseguito la minimizzazione degli 81 parametri, fornendo il set di coefficienti α i Metodo 3 L ultimo metodo di calibrazione consiste in una minimizzazione eseguita usando l energia deposta su cluster di 3 3 cristalli. Il funzionale da minimizzare è: F = m i=1 9 (c α i A i,j E beam ) 2 j=1 In questo caso si esegue una doppia sommatoria, una sul numero m di eventi e una sui 9 cristalli della matrice 3 3 centrata di volta in volta sul cristallo colpito. Il valore A i,j si riferisce all ampiezza del j-esimo cristallo per l i-esimo evento. L analisi è stata nuovamente eseguita con Minuit. Poichè per ogni cristallo si è scelta una matrice 3 3, è stato riscontrato un problema per i cristalli ai bordi: quelli più esterni non risultavano tra quelli colpiti e non avevamo informazioni sull ampiezza del segnale al di fuori della zona analizzata. Allora è stato posto uguale a 1 il valore dei coefficienti di calibrazione per i cristalli che non risultavano tra quelli presi in esame. È stata necessaria inoltre una riparametrizzazione dei valori in modo da garantire la corrispondenza tra ampiezza registrata e numero del cristallo interessato. Innanzitutto agli 81 cristalli, numerati da a 8, sono state assegante delle coordinate x e y come in Figura 3.5.

24 CAPITOLO 3. CALIBRAZIONE E RISULTATI 21 Per l n-esimo cristallo: x = n/9; y = n (mod 9); Figura 3.5: Schema della numerazione dei cristalli e delle coordinate assegnate Successivamente ad ogni valore k da a 8 della matrice 3 3 definita attorno al cristallo colpito, sono state assegnate le coordinate x e y nel segiente modo: Figura 3.6: Matrice 3 3 costruita attorno al cristallo colpito e le coordinate corrispondenti Infine si è potuto parametrizzare i coefficienti, assegnando ad ogni cristallo della matrice 3 3 il coefficiente corrispondente. Dato l n-esimo cristallo, il coefficiente sarà numerato come:

25 CAPITOLO 3. CALIBRAZIONE E RISULTATI 22 Figura 3.7: Assegnazione dei coefficienti ai cristalli cui si riferiscono Risultati e confronto I metodi sopra descritti hanno fornito tre diversi set di coefficienti di intercalibrazione, il cui scopo è di migliorare la risposta in energia dei cristalli del calorimetro e renderla quanto più vicina possibile a quella, nel nostro caso conosciuta, del fascio di elettroni incidenti. In Figura 3.9 sono illustrati i valori dei coefficienti, i quali sono disposti in matrici che rispecchiano la posizione dei cristalli cui si riferiscono all interno della parte del modulo analizzata. Figura 3.8: Confronto dei coefficienti di calibrazione trovati con i tre metodi

26 CAPITOLO 3. CALIBRAZIONE E RISULTATI 23 Si può notare la consistenza dei risultati, in quanto i coefficienti corrispondenti ai diversi cristalli sono molto simili tra loro. Per verificare che la calibrazione produce un miglioramento nella risposta del calorimetro, è stata ricostruita l energia depositata sui cristalli, utilizzando per ognuno la matrice 3 3 delle ampiezze. Sono stati fatti quattro istogrammi, uno con i dati non calibrati e tre con quelli calibrati con i diversi set di coefficienti. Come si può vedere in Figura 3.9, i picchi degli istogrammi dei dati calibrati sono più stretti e più alti rispetto a quello dell istogramma iniziale. È stato fatto un fit a gaussiana per ognuno degli istogrammi costruiti, il quale ci fornisce le larghezze delle distribuzioni: Dati non calibrati: σ = 4.16 Metodo 1: σ = 3.81 Metodo 2: σ = 4.1 Metodo 3: σ = Alle tre tecniche di calibrazione corrispondono le risoluzioni relative di energia: Metodo 1: σ(e) E = 3.81% Metodo 2: σ(e) E = 4.1% Metodo 3: σ(e) E = 3.98%.

27 CAPITOLO 3. CALIBRAZIONE E RISULTATI Sum amplit Sum amplit Entries Mean 1.8 RMS χ 2 / ndf 5768 / 137 Constant 1.734e+4 ± 1.792e+1 Mean 12 ±. Sigma 4.16 ± Energy (GeV) Sum amplit method 1 Sum amplit method 1 Entries Mean 99.2 RMS χ 2 / ndf 87 / 117 Constant 1.729e+4 ± 1.943e+1 Mean ±. Sigma 3.85 ± Energy (GeV) Sum amplit method 3 Sum amplit method 3 Entries Mean 1.5 RMS χ 2 / ndf 1.83e+4 / 122 Constant 1.566e+4 ± 1.81e+1 Mean 99.7 ±. Sigma 4.14 ± Energy (GeV) Sum amplit method 2 Sum amplit method 2 Entries Mean RMS χ 2 / ndf 1.252e+4 / 132 Constant 1.682e+4 ± 1.828e+1 Mean 1.7 ±. Sigma ± Energy (GeV) Figura 3.9: Ricostruzione dell energia per (a partire dall alto): dati non calibrati, dati calibrati con i metodi 1, 2 e 3.

28 Capitolo 4 Conclusioni In questa analisi sono state illustrate tre tecniche per una calibrazione del calorimetro elettromagnetico ECAL di CMS. I dati usati provenivano da un test svolto nell Area Nord del CERN nel 26, riguardanti una zona di uno dei supermoduli del barrel di ECAL. I metodi elaborati hanno prodotto tre set di coefficienti di intercalibrazione, grazie ai quali è seguito un miglioramento nella risoluzione energetica del calorimetro. Un ulteriore miglioramento nella risoluzione in energia può essere raggiunto esplorando una più ampia zona del supermodulo: fornendo le ampiezze registrate per i cristalli adiacenti a quelli qui analizzati sarebbe possibile ricostruire con più precisione l energia rilasciata dagli sciami elettromagnetici e propagata trasversalmente rispetto ai cristallo colpiti ai bordi. Inoltre una maggior luminosità per cristallo potrebbe garantire una calibrazione più precisa. 25

29 Bibliografia [1] The CMS Collaboration, Energy calibration and resolution of the CMS electromagnetic calorimeter in pp collisions at s = 7 T ev, 213 [2] C. W. Fabjan, Calorimetry in High-Energy Physics, lectures given at the NATO Advanced Studies Institute on Techniques and Concepts in High- Energy Physics (II), 1984 [3] Large Hadron Collider, From Wikipedia the free encyclopedia wikipedia.org/wiki/lhc [4] Compact Muon Solenoid, From Wikipedia the free encyclopedia en.wikipedia.org/wiki/compact_muon_solenoid [5] V. V. Babinstev, Some calibration methods for calorimeters, Institute for High-Energy Physics, 1993 [6] The CMS Collaboration, The CMS Electromagnetic Calorimeter Project: Technical Design Report,

30 Appendice A Istogrammi Di seguito sono riportati i grafici degli istogrammi dell energia registrata per ogni cristallo. Per ognuno è eseguito un fit a gaussiana del picco, che rappresenta il valore massimo dell ampiezza hc147 hc147 Entries Mean RMS hc1471 hc1471 Entries Mean 82 RMS hc1472 hc1472 Entries Mean 85 RMS hc1473 hc1473 Entries 1397 Mean RMS hc1474 hc1474 Entries 1574 Mean RMS hc1475 hc1475 Entries Mean 83.2 RMS hc1476 hc1476 Entries Mean RMS hc1477 hc1477 Entries Mean RMS Figura A.1: 27

31 APPENDICE A. ISTOGRAMMI hc1489 hc1489 Entries Mean RMS hc149 hc149 Entries Mean 82.6 RMS hc1491 hc1491 Entries Mean RMS hc1492 hc1492 Entries 1878 Mean 78.1 RMS hc1493 hc1493 Entries Mean RMS hc1494 hc1494 Entries Mean RMS hc1495 hc1495 Entries Mean RMS hc1496 hc1496 Entries Mean RMS Figura A.2:

32 APPENDICE A. ISTOGRAMMI hc1497 hc1497 Entries 147 Mean RMS hc159 hc159 Entries Mean RMS hc151 hc151 Entries 1799 Mean RMS hc1511 hc1511 Entries Mean 78.5 RMS hc1512 hc1512 Entries Mean RMS hc1513 hc1513 Entries 424 Mean RMS hc1514 hc1514 Entries Mean RMS hc1515 hc1515 Entries Mean RMS Figura A.3:

33 APPENDICE A. ISTOGRAMMI hc1516 hc1516 Entries Mean RMS hc1517 hc1517 Entries Mean RMS hc1529 hc1529 Entries 1631 Mean RMS hc153 hc153 Entries Mean RMS hc1531 hc1531 Entries 3249 Mean RMS hc1532 hc1532 Entries Mean RMS hc1533 hc1533 Entries Mean 83.3 RMS hc1534 hc1534 Entries Mean RMS Figura A.4:

34 APPENDICE A. ISTOGRAMMI hc1535 hc1535 Entries Mean 76.5 RMS hc1536 hc1536 Entries Mean 89.5 RMS hc1537 hc1537 Entries Mean RMS hc1549 hc1549 Entries Mean RMS hc155 hc155 Entries Mean RMS hc1551 hc1551 Entries Mean RMS hc1552 hc1552 Entries 6247 Mean 86.8 RMS hc1553 hc1553 Entries Mean RMS Figura A.5:

35 APPENDICE A. ISTOGRAMMI hc1554 hc1554 Entries Mean RMS hc1555 hc1555 Entries Mean 8.85 RMS hc1556 hc1556 Entries Mean RMS hc1557 hc1557 Entries Mean RMS hc1569 hc1569 Entries Mean RMS hc157 hc157 Entries Mean RMS hc1571 hc1571 Entries Mean RMS hc1572 hc1572 Entries 6625 Mean RMS Figura A.6:

36 APPENDICE A. ISTOGRAMMI hc1573 hc1573 Entries Mean RMS hc1574 hc1574 Entries Mean RMS hc1575 hc1575 Entries 369 Mean RMS hc1576 hc1576 Entries Mean RMS hc1577 hc1577 Entries Mean 9.35 RMS hc1589 hc1589 Entries Mean 86.7 RMS hc159 hc159 Entries Mean RMS hc1591 hc1591 Entries 3331 Mean RMS Figura A.7:

37 APPENDICE A. ISTOGRAMMI 34 6 hc1592 hc1592 Entries Mean RMS hc1593 hc1593 Entries Mean 9.62 RMS hc1594 hc1594 Entries Mean RMS hc1595 hc1595 Entries Mean RMS hc1596 hc1596 Entries Mean RMS hc1597 hc1597 Entries 1567 Mean RMS hc169 hc169 Entries Mean 89.4 RMS hc161 hc161 Entries 1647 Mean 8.62 RMS Figura A.8:

38 APPENDICE A. ISTOGRAMMI hc1611 hc1611 Entries 2658 Mean 8.49 RMS hc1612 hc1612 Entries Mean 79.4 RMS hc1613 hc1613 Entries Mean RMS hc1614 hc1614 Entries Mean RMS hc1615 hc1615 Entries Mean RMS hc1616 hc1616 Entries Mean RMS hc1617 hc1617 Entries Mean RMS hc1629 hc1629 Entries Mean RMS Figura A.9:

39 APPENDICE A. ISTOGRAMMI hc163 hc163 Entries Mean RMS hc1631 hc1631 Entries Mean RMS hc1632 hc1632 Entries Mean RMS hc1633 hc1633 Entries Mean RMS hc1634 hc1634 Entries Mean RMS hc1635 hc1635 Entries Mean 9.73 RMS hc1636 hc1636 Entries 1367 Mean RMS hc1637 hc1637 Entries Mean RMS Figura A.1:

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