Olimpiade e contestazione: il 68 a Città del Messico

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1 Olimpiade e contestazione: il 68 a Città del Messico Mi dicono spesso che se Obama ora può correre per la presidenza, è anche merito nostro. Quello che io e i miei compagni abbiamo rappresentato a Città del Messico è stato come l apertura di una strada, su cui poi ragazzi come Obama si sono potuti muovere con maggiore libertà, in un sistema che ancora non li rappresentava pienamente. Ci siamo sacrificati in modo che altri potessero avere un opportunità. Sono riflessioni di Tommy Smith enunciate nel 2008, alcuni mesi prima dell elezione di Barak Obama - il primo presidente nero della storia americana - alla Casa Bianca. Questo sì, a dispetto dell abuso che si fa d un simile aggettivo, un avvenimento epocale. La corsa presidenziale di Obama è stata infine vinta e, forse, a cominciarla sfrecciando nell Olimpiade atzeca, furono proprio Smith e John Carlos. L altro contestatore che lasciò una traccia indelebile nel 68 dello Sport. I due protagonisti assoluti - 1 e 3 a ritmo di record del mondo sui 200 m. (19 83 a 20 10) - di un edizione dei Giochi olimpici che non fece registrare boicottaggi. Ma dalla quale, coloro i quali rinunciarono a un boicottaggio che pure era stato preso in seria considerazione, trassero comunque tutto ciò che politicamente e culturalmente può ricavarsi da una simile modalità di protesta. La vicenda celeberrima - già ampiamente esaminata altrove e su cui non torneremo - di Smith e Carlos, racconta quindi di un boicottaggio venuto meno. Di semplici, potenziali boicottatori. Conseguentemente ci soffermeremo prevalentemente sui fermenti che, tra il 1966 e il 1968, muovendo dalla questione razziale, percorsero lo sport afro-americano più consapevole: un area di atleti radicali, legatasi organicamente alle battaglie per l uguaglianza e i diritti civili. Due erano sempre state le tendenze che, rispetto alle discriminazioni patite, avevano diviso gli intellettuali neri d America. Nel 1909 Medgar Evers fondò l Associazione Nazionale per il Progresso della Gente di Colore (NAACP), che si batteva per una equiparazione giuridica con i bianchi. Nel 1920 Marcus Garvey diede vita all intransigente Movimento per il ritorno in Africa. Tali diverse impostazioni, oltre a una terza di carattere più religioso e integralistico diffusasi successivamente, quella dei Black Muslims che perseguivano l indipendenza e la separarazione della Nazione Nera islamica, si rinvengono pure negli anni 60, quando più acuto si fece il rivendicazionismo della minoranza di colore. Il lento allargamento della parità formale nei diritti (1954: Dichiarazione di incostituzionalità nella segregazione scolastica; 1957 Desegregazione elettorale; 1961 Desegregazione nei trasporti; 1963 Desegregazione nelle condizioni di impiego; 1964 Legge nazionale sui diritti civili) non bastava più. La discriminazione e la povertà continuavano a connotare le condizioni concrete di vita della popolazione nera, e il metodo non violento fu scavalcato dalla radicalizzazione del conflitto. L assassinio a

2 Menphis, il 4 aprile 1968, di Martin Luther King segnò la sconfitta del pacifismo. Il suo grande sogno, evocato nell agosto 1963 al termine della marcia dei su Washington, era stato spezzato. I profeti disarmati risultavano perdenti, per liberarsi dalle catene dei bianchi servivano altri mezzi, altre forme di organizzazione politica. Dopo l uccisione di Malcom X (21 febbraio 1965) a opera di sicari del Black Muslims, Heuy Newton e Bobby Seale crearono pertanto nel 1966 a Oakland il partito marxista - favorevole alla lotta armata - del Black Panthers, mentre Stokely Carmichael nel 1967 lanciava la parola d ordine Potere Nero, Black Power. Lo slogan si rifaceva al romanzo omonimo di Richard Wright (1954), e nella sua teorizzazione Carmichael proponeva di contrapporsi anche violentemente, stringendo legami di solidarietà con i movimenti rivoluzionari terzomondisti, alla società americana dominante e razzista. Un progetto che suggestionerà Smith, Carlos, Evans e molti altri. Tant è in un incontro che richiamò rappresentanti di 42 città e 36 stati, svolto a Newark dopo i disordini razziali dell estate 1967, fu il Black Panthers a ventilare per primo il boicottaggio olimpico di Città del Messico. A prefigurare questa presa di coscienza dello sport colorato fu tuttavia, nel 1966, un affermazione agonistica di denso contenuto simbolico. Il successo, nel campionato NCCA di basket, dell Università Texas Western di El Paso - allenata da un bianco senza pregiudizi, Donald Lee Haskins - su Kentuky, i Wildcats bianchi di Adolph Rupp. Nei Miners della Texas University giocavano 7 neri su 12: uno scandalo - al massimo sino ad allora le squadre di College ne schieravano uno o due a gara per minutaggi parziali -. E ancor più scandaloso fu il fatto che Haskins, in finale, mise sul parquet un quintetto interamente All Blacks. Per questo Pat Riley, il leggendario coach dei Lakers di Los Angeles, giungerà a definire quella partita la Dichiarazione di emancipazione del L obiezione di coscienza del pugile Muhammad Alì, che a Houston il 28 aprile 1967 rifiutò d indossare la divisa per combattere in Vietnam, suscitò indubbiamente maggior risonanza; eticamente screditò ancor più gli USA guerrafondai in campo internazionale. Tuttavia nell immaginario collettivo del popolo nero furono i campioni di El Paso a risvegliare dei profondi sentimenti d orgoglio e appartenenza. In essi si riconoscevano politicizzati e no. I pacifisti alla Luther King e gli arrabbiati del Black Panther. Non sorprende dunque che pure la lotta di Harry Edwards, ex discobolo e giocatore di pallacanestro, professore di sociologia e mente della rivolta afro-americana nello sport, prendesse le mosse da quel quintetto di El Paso. Nel 1967 la formazione vittoriosa su Kentucky venne rapidamente smantellata. Haskins aveva osato troppo, si doveva ristabilire l ordine. Una normalizzazione che spinse Edwards, docente all Università di San Josè in California, a promuovere il boicottaggio dell incontro di football tra la compagine del suo ateneo e quella della Texas Western. Un boicottaggio riuscito, giacchè il rettore californiano ebbe la saggezza di annullare quel match divenuto assai scomodo. Edwdars fu anche il maestro di Tommy Smith, John Carlos e Lee Evans, studentiatleti a San Josè. Per certi versi rappresentò per loro quello che Malcom X era stato

3 per Muhammad Alì. Guida spirituale del campione del mondo dei massimi Malcom X, guida politica dei tre sommi velocisti Edwards. Allievi che impararono presto la lezione, come si evince da un intervista di Dick Drake a Smith ed Evans pubblicata sul periodico specializzato Track & Field News nel Una fonte che per il suo particolare interesse - a metà tra il materiale storico e l intensa testimonianza umana - merita d esser riprodotta integralmente: Domanda: C è qualche particolare motivo che vi ha spinto a boicottare le Olimpiadi? Evans: Io penso che già parecchi negri comprendano quanto è accaduto. Quando ero alle medie non sapevo nulla, ma giunto al College ho capito tutto anch io. Domanda: cosa comporterebbe per i negri, in pratica, un boicottaggio? O dovrebbe essere solo un atto simbolico? Evans: Dovrà semplicemente accadere qualcosa, e qualcos altro potrà cambiare fino alle Olimpiadi del 72. Se ora noi torniamo dai Giochi con una medaglia d oro, siamo festeggiati per un mese. Poi diventiamo di nuovo uno fra i tanti. Un esempio: Bob Richards è commentatore televisivo. Perché nessuno ha ingaggiato Bob Hayes o Henry Carr? Io so già la risposta: se si reclamizza un prodotto con un negro, si deve sopportare che alcuni bianchi rinuncino ad acquistarlo. Smith: Ci sono state marce, proteste ed altre manifestazioni per le condizioni dei negri in America. Non credo che questo boicottaggio possa risolvere il problema, ma penso che la gente saprà, che noi non abbiamo più intenzione di lasciar stare le cose come stanno. Siamo molto orgogliosi del nostro popolo e vogliamo essere trattati in modo degno. Il nostro traguardo di atleti non è quello di migliorare la nostra condizione personale, ma quella di tutta la nostra gente. Dovete considerare il boicottaggio come un passo su questa via. In altre parole: se mi danno un morso, lo restituisco. Non staremo ad aspettare che i bianchi escogitino qualcos altro contro di noi. Ho lavorato molto e a lungo per le Olimpiadi, e mi dispiace ora che non se ne faccia più niente. Ma penso che il boicottaggio sia una buona cosa, e vale portarlo avanti soffocando quel che può personalmente farci piacere. Evans: Siamo uomini e poi atleti. Domanda: C è qualche gruppo o qualche personalità dietro questo boicottaggio? Smith: non lo so, ma personalmente non sono mai stato avvicinato da nessuno. Ogni negro deve decidere da sé. Perciò abbiamo indetto la Conferenza di Los angeles. In definitiva non sono mica l avvocato del boicottaggio. Domanda: Che possibilità di riuscita ha questo boicottaggio? Evans: I negri della California si assoceranno, malvolentieri, ma lo faranno. Ma ci sono negri anche negli altri 49 stati. Andrei con immenso piacere in Messico, ma sono pronto a fare questo sacrificio. Domanda: Cosa l ha spinta ad assumere un ruolo attivo in questa situazione? Smith ed Evans: La riflessione. Domanda: Perché il boicottaggio è limitato ai Giochi olimpici? E le high schools? Evans: Le high schools sono solo una parte del Paese. Noi, penso, dobbiamo partire dall alto. Non posso assolutamente comprendere perché gli USA abbiano votato la partecipazione del Sudafrica ai Giochi olimpici. I sudafricani hanno mandato qui Paul Nash. Se io volessi andare in Sudafrica, lì mi vieterebbero di gareggiare contro Nash. Ma lui ha potuto tranquillamente allinearsi alla partenza, qui, con noi. Prendo atto di essere un americano, ma non sono certo trattato da americano. Stan Wright, allenatore di Smith, gli ha scritto una lettera, ricordandogli che in primo luogo deve considerarsi americano e poi negro. Ma nessuno vede in me prima l americano. Smith: Non è logico che Nash possa gareggiare qui, mentre Evans o Boston o io non possiamo gareggiare contro di lui in Sudafrica. Ora, se siamo tutti americani, come Ryun, perché questa disparità di trattamento, lì? Perché boicottiamo solo le Olimpiadi? Una gran parte dei negri è nei colleges, poiché lì guadagna uno stipendio. Così io perderei il fondamento della mia educazione.

4 Senza di essa non potrei possedere quel bagaglio di conoscenze necessario a comprendere quel che è possibile fare per il mio popolo. C è, naturalmente, dietro a ciò, anche un problema economico. In breve: c è poco da prendere e molto da guadagnare a boicottare i Giochi olimpici, mentre per i colleges sarebbe l opposto. Domanda: Come vi trattano i professori dell Università di San Josè? Evans: Essi sanno che siamo i più veloci niggers del college. Parlano con noi perché siamo atleti. Il negro che passa davanti a loro non lo vedono nemmeno. Smith: Spesso vengono da me per congratularsi. Allora io chiedo loro: Grazie per cosa? Per il mio matrimonio o per gli esami? E loro: No, per il record mondiale Non parlano mai con te del tuo matrimonio o dei tuoi risultati universitari. Evans: Tu sei solo un nigger veloce. Loro non dicono nigger ma lo pensano. Drake effettuò la sua intervista nel novembre 1967, un giorno prima dell Assemblea che in un tempio battista di Los Angeles riunì circa duecento atleti di colore. Le tesi di Edwards a sostegno del boicottaggio, riprese nelle espressioni fortemente critiche di Tommy Smith e Lee Evans, prevalsero largamente. Non mancarono però, all interno della comunità sportiva di colore, diverse voci dissenzienti. In disaccordo con le posizioni di Edwards, invitando a una maggior moderazione, si dichiararono ex campioni dello spessore di Jesse Owens, Rafer Johnson, Bob Hayes, e tra quelli in attività Ralph Boston - primatista mondiale del salto in lungo - e Charlie Greene - tra i più accreditati sprinter del momento -. Boston ribattè così a Smith ed Evans: Cercherò di ricondurre sulla terra alcuni miei amici. E insensato pensare di prepararsi per quattro anni ad un Olimpiade per poi boicottarla. E Greene affermava: La domanda fondamentale è se uno è americano o no. Io lo sono, e perciò andrò in Messico. Il consenso di cui godeva Edwards si basava sull esser non solo l ideologo del boicottaggio, ma di un più più articolato Programma olimpico per i diritti umani al quale aveva assicurato il suo appoggio il medesimo Martin Luther King. Adesione che Avery Brundage, con sprezzante sarcasmo, liquidò alla stregua d un tentativo del pastore battista - Premio Nobel per la Pace nel di farsi pubblicità. Tra i suoi molteplici obiettivi quel Programma si poneva l irrigidimento delle sanzioni sportive applicate al Sudafrica e, non a caso, la destituzione del razzista Brundage da presidente del CIO. Il 16 febbraio 1968 gli atleti che si riconoscevano nelle posizioni di Harry Edwards, cui si unirono anche sette sovietici invitati a gareggiare al Madison Square Garden, boicottarono le competizioni indoor dell Athletic Club newyorkese: il più blasonato d America, forte di 8000 soci nessuno dei quali nero perché lo Statuto dell anziata società - costituita l 8 settembre non li ammetteva. Idem nel 1968, allorché Arthur Ashe vinceva gli Internazionali d America, al West Side Tennis Club. E sempre a New York, in quegli anni, esisteva anche una Police Athletic League che, mischiando paternalismo da bianchi illuminati e integrazionismo alla zio Tom, si occupava del recupero dei giovani di colore per mezzo dello sport. Nel marzo 1968 la rivista Life diffuse un sondaggio condotto tra i massimi atleti universitari afroamericani che confermava la loro disponibilità al boicottaggio, e il

5 seguente 7 luglio anche il reverendo Jesse Jackson diede indicazioni in tal senso. Ma avvicinandosi la scadenza olimpica il fronte contrario ai Giochi s incrinò. In una votazione tenuta tra i selezionati olimpici di colore dell atletica leggera, le istanze partecipazionistiche di Boston ebbero il sopravvento. I boicottatori si ridussero a un terzo, 12 su 36. E Smith, Carlos ed Evans, per non rompere l unità interna del gruppo, desistettero dalle risoluzioni adottate a Los Angeles a novembre. Fu Harry Edwards, in un convegno del Black Panthers a fine estate 68, a renderne notizia, precisando che per contestare le discriminazioni razziali negli Stati Uniti gli atleti avrebbero comunque portato una fascia nera sul braccio destro. Fascia che venne poi sostituita da un distintivo del Programma olimpico per i diritti umani. La marcia indietro per rispettare i voleri della maggioranza non significò rinnegare i propri convincimenti. Anzi, si deve alla forzosa rinuncia al boicottaggio integrale la clamorosa azione politica sostitutiva - attuata il 16 ottobre 1968, nel corso delle premiazioni dei di Tommie Smith e John Carlos. Quella che, abbattendo definitivamente i tabù neutralistico-sportivi, desacralizzando il retorico ritualismo olimpico, s insinuerà nei testi di storia contemporanea come la protesta del pugno chiuso in in guanto nero. Le Pantere Nere di Seale e Newton salutavano in quel modo, tuttavia con i palmi guantati Smith e Carlos volevano altresì evitare di sporcarsi le mani dovendo eventualmente stringerne una di Brundage. Le scarpette che recavano con sé verso la premiazione non volevano pubblicizzare alcun marchio. Bensì vendicare un ennesima recente, ingiustizia inflittagli dai bianchi. La revoca d un primato mondiale sui 200, per un problema regolamentare di chiodi in sovrannumero, stabilito da Carlos (19 91) a Echo Summit il 12 settembre Ogni dettaglio di quella protesta era stato curato, rispondeva a un cifrario semiologico: i piedi scalzi, i pantaloni della tuta rialzati quasi al ginocchio, il foulard al collo, il capo reclinato, i pugni serrati, i guanti, le scarpette. La comunicatività emozionale di quell atto recitato silenziosamente fu percepita, decodificata ovunque, trasmettendo un messaggio chiaro di solidarietà con i disagi e le frustrazioni del popolo afroamericano. Nel contempo espresse con prepotenza la rivoluzione politicoculturale innescata dal 68. Ha scritto in merito Augusto Illuminati: La protesta dei due atleti ebbe un enorme rilievo mondiale [ ] e si iscrisse nella galleria dei memorabili gesti che tracciarono mediaticamente il Certo, non è una novità. Quante sequenze storiche le ricordiamo perché incastrate e riassunte in un immagine simbolica o in una frase performativa - il dado è tratto di Cesare, la Libertà a seno nudo sulle barricate del 1848, il miliziano morente di Robert Capa sul fronte di Cordoba. Il 1968, però, moltiplicò il numero e il peso di tali atti, non li collegò obbligatoriamente a grandi figure storico-epocali ma li disseminò in una miriade di protagonisti, di prese di parola e irruzione nello spazio pubblico. Al podio olimpico si affiancarono i palcoscenici dei concerti (il denudamento di Jim Morrison, le chitarre spezzate di Jimi Endrix), le presidenze delle assemblee studentesche La diffusione e l innovazione dei mezzi di comunicazione di massa contribuì moltissimo, senza dubbio, e gettò subito un sospetto di banalizzazione, ma per l essenziale si trattò di una democratizzazione radicale della soggettivizzazione in una dimensione del comune. In altri termini fu rimodulato in termini di massa e di sovversione quel concetto di onore che un tempo aveva contrassegnato i ceti aristocratici o l etica del politico.

6 La presenza sul podio di Smith e Carlos, che irrideva l onore tradizionale e quello sportivo in particolare, doveva fare e fece molto più male di un boicottaggio. La coppia di velocisti dell Università di San Josè riuscì così appieno nel suo boicottare, essendoci. A riconoscerglielo il Comitato organizzatore messicano e il CIO, i quali, nel timore di ulteriori disordini e contestazioni nel loro solco, optarono precauzionalmente per una modifica dell abituale cerimonia di chiusura, limitando a sei il numero di rappresentanti per nazioni. E un nuovo riconoscimento, non meno significativo, gli provenne da un altro indomabile combattente per i diritti dei neri d America: Arthur Ashe. Il grande tennista che, di Tommy Jet Smith e John Carlos Primero, ebbe a dire: Il loro gesto è stato un faro di speranza e d ispirazione per un intera generazione.

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