SPECIALE PROTEZIONE ATTIVA Agenti Estinguenti le moderne tecniche di protezione antincendio Introduzione

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1 Milano, luglio 2012 SPECIALE PROTEZIONE ATTIVA Agenti Estinguenti le moderne tecniche di protezione antincendio Introduzione La protezione attiva contro l incendio dispone al momento di tecniche e strumenti evoluti e mirati che specializzano l impianto finalizzandolo alle peculiari caratteristiche dell ambiente destinatario. Quando poi la protezione attiva si concretizza nella realizzazione di un impianto fisso si evidenzia immediatamente il rapporto: valore della protezione/costo della installazione, da cui si esige un valore comunque superiore all unità. La determinazione di questo rapporto non sarà sempre semplice sia per la discrezionalità che si presenta nel determinare il numeratore che discende da ipotesi di probabilità calcolate senza disponibilità obiettive di banche dati sicure, sia per la monetizzazione dell ammortamento del denominatore che deve mantenere rapporti temporali con il valore precedente. Il problema economico viene ad essere superato quando l elemento sociale ed umano diventa predominante e fondamentale. La salvaguardia della vita e l integrità fisica sono valori che trascendono l economicità di un impianto e quindi ne condizionano le scelte solo in funzione della sicurezza in una via obbligata e regolata soprattutto dalla efficienza ed efficacia di azione dello stesso. Questo profilo evidenzia con forza ancora maggiore l importanza di una scelta da parte del progettista che non deve sottrarsi da una indagine preventiva che sia estesa a tutte le possibili logiche di attuazione in connessione a tutti i sistemi tecnologici attuativi di cui oggi si può disporre. Ciascun impianto antincendio opera attraverso un particolare agente inibitore dell incendio.

2 Gli effetti sono determinati dalla capacità intrinseca dell agente inibitore, della capacità del sistema di farlo interagire con la reazione, del tempo e della potenza di intervento. Agenti estinguenti - inibitori Gli agenti estinguenti generalmente utilizzati per spegnere incendi generatisi sono: l acqua; le schiume; i gas inerti; le polveri chimiche. Caratteristica comune di un buon agente estinguente è l assenza di tossicità, di corrosività ed abrasione: l agente estinguente non deve cioè danneggiare i materiali con i quali viene a contatto e non deve essere nocivo per l uomo. Agente inibitore - Schiuma L importanza della schiuma quale agente estinguente si puo essenzialmente individuare nel fatto che in essa sono riassunte le principali caratteristiche degli altri estinguenti (quali acqua e gas): come l acqua la schiuma agisce sul FATTORE T (temperatura) e come i gas agisce sulla eliminazione dell ossigeno tramite il proprio effetto soffocante. Pertanto, in sintesi, un unico agente estinguente opera simultaneamente in maniera attiva sia provocando l abbassamento della temperatura, sia separando il combustibile dal comburente agendo a guisa di coperta tramite il soffocamento delle fiamme. Al pari dell acqua la schiuma e probabilmente l estinguente piu largamente usato in installazioni industriali per l estinzione di combustibili liquidi. La estrema diffusione di questo agente estinguente e dovuta al suo costo (sia relativo al prodotto che all impiantistica vera e propria) relativamente basso, alla sua facile reperibilita (la schiuma e reperibile ormai su tutti i mercati dei paesi industrializzati) e, soprattutto, alla estrema facilita di impiego. La presente esposizione sara suddivisa in 5 aspetti fondamentali: 1. Illustrazione generale del concetto di SCHIUMA e delle sue varieta da un punto di vista morfologico e strutturale 2. Illustrazione delle varie tipologie di impianti schiuma: differenziazione tra bassa, media ed alta espansione. 3. Illustrazione piu specifica dei criteri relativi al dimensionamento di un impianto schiuma, con i riferimenti tecnico e normativi 4. Illustrazione delle principali apparecchiature applicate alla miscelazione e alla erogazione di schiuma 5. Illustrazione delle casistiche su cui individuare, prescrivere e progettare gli impianti schiuma.

3 CONCETTO DI SCHIUMA: TIPOLOGIA E VARIETA DEI DIVERSI LIQUIDI SCHIUMOGENI Poniamoci una semplice domanda: cosa e la schiuma? Innanzitutto va fatta una doverosa differenziazione tra: LIQUIDO SCHIUMOGENO MISCELA SCHIUMOGENA SCHIUMA Prima di scendere nel dettaglio di questa terminologia, diciamo semplicemente che l estinguente vero e proprio schiuma e il prodotto della MISCELAZIONE con acqua, espansa con aria, di un LIQUIDO SCHIUMOGENO. Cosa significa questo? Significa molto semplicemente che esiste un prodotto chimico (il liquido schiumogeno) che ha determinate proprietà estinguenti, il quale miscelandosi con l acqua, forma appunto una miscela che erogata da appositi erogatori aspiranti aria, consente la formazione di SCHIUMA vera e propria. A seconda della scelta sia del liquido schiumogeno che, soprattutto, degli erogatori, la schiuma che si viene a formare puo essere piu o meno espansa con aria. E per questo che le varie tipologie degli impianti a schiuma, sono catalogate in impianti a bassa, media ed alta espansione. Tanto e maggiore il volume delle bolle di schiuma che si formano in erogazione, tanto e evidentemente maggiore il livello di espansione della schiuma prodotta. Possiamo dire pertanto che la schiuma antincendio e una massa di bolle formate da una SOLUZIONE di acqua e agente schiumogeno espansa con aria. Di conseguenza, la schiuma e pertanto piu leggera della soluzione acquosa da cui deriva e di tutti i combustibili su cui si va ad agire; per cui galleggia sulla superficie dei prodotti infiammabili, formando una coltre CONTINUA, IMPERMEABILE ai vapori, che SEPARA il combustibile dal comburente. Il principale effetto estinguente della schiuma e quindi l AZIONE MECCANICA di separazione del combustibile dal comburente. A questa proprieta si deve aggiungere, come dicevamo all inizio, l elevato effetto raffreddante, dovuto alla percentuale di acqua contenuta, che riduce la quantita dei vapori emessi dal combustibile. Si ricorda che normalmente la percentuale di miscelazione delle schiume con acqua e dal 3% al 6% : va da se quindi che il 94% o 97% per presenza acquosa risulta essere determinante per l azione raffreddante della miscela prodotta. Ritornando alla tripartizione dei termini sopra enunciati, (liquido schiumogeno; miscela schiumogena; schiuma) risulta evidente che per la produzione di un efficace sistema a SCHIUMA, e necessario che vengano adottati dei buoni sistemi di EROGAZIONE, dei corretti sistemi di MISCELAZIONE e che venga impiegato il corretto LIQUIDO SCHIUMOGENO.

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5 Un uso di un liquido schiumogeno non idoneo all intervento che si affronta, potrebbe causare una produzione di schiuma non efficace. Risulta pertanto evidente come sia primariamente importante la scelta della SCHIUMA corretta per ogni singolo caso specifico. Iniziamo pertanto la disamina dei LIQUIDI SCHIUMOGENI Come si e detto poc anzi la schiuma viene formata espandendo una miscela di acqua e liquido schiumogeno opportunamente proporzionati. Il LIQUIDO SCHIUMOGENO e quindi il componente che definisce all origine le caratteristiche peculiari della schiuma ed il relativo campo di impiego. Fra i diversi tipi di schiumogeno oggi disponibili, alcuni sono adatti ad interventi rapidi, altri per interventi massivi, altri sono specifici per applicazione su determinate categorie di prodotti, altri hanno un piu esteso campo di impiego. Da cio si deduce che la scelta del tipo di schiumogeno e un elemento di vitale importanza e deve tenere conto di fattori di sicurezza ed impiantistici, fra cui si evidenziano: -Necessita di ottenere tempi di estinzione particolarmente rapidi, qualora nell incendio possano essere coinvolte direttamente persone -Caratteristiche chimico-fisiche del prodotto su cui si deve effettuare l intervento di estinzione -Dimensione e ubicazione dell incendio stesso -Modalita di erogazione della schiuma In sostanza quanto sopra stigmatizzato, si puo riassumere in un semplice concetto: a seconda del tipo di prodotto che si vuole proteggere (proprieta dell infiammabile), della ubicazione dello stesso prodotto stoccato, della conseguente tipologia dell impianto schiuma che si vuole realizzare (se a bassa a media o ad alta espansione) si deve scegliere il corretto liquido schiumogeno. I liquidi schiumogeni si dividono nelle seguenti categorie: PROTEINICI SINTETICI FLUOROPROTEINICI FLUOROSINTETICI FILMANTI FLUOROPROTEINICI FILMANTI UNIVERSALI UNIVERSALI FILMANTI ALCOOL RESISTANT

6 I liquidi schiumogeni sono classificati in base alla loro composizione chimica e si possono sommariamente distinguere le seguenti tipologie: 1. le schiume proteiniche che sono ottenute dalla decomposizione di proteine di origine animale o vegetale (che sono sostanze tensioattive) combinate con sali metallici stabilizzanti. Si tratta delle schiume di base, resistenti e stabili anche se poco scorrevoli, non hanno un azione rapida ma sono resistenti al calore per tempi prolungati. Vengono utilizzate, con formazione di schiuma a bassa espansione, per incendi di prodotti petroliferi. 2. le schiume sintetiche che sono ottenute componendo tensioattivi sintetici con sostanze stabilizzanti, si ha una schiuma scorrevole e resistente utilizzata con qualsiasi grado di espansione per incendi di idrocarburi e liquidi infiammabili. Tale schiuma può anche essere usata negli impianti sprinkler, ma è soprattutto adatta per la saturazione degli ambienti. 3. le schiume fluoro proteiniche che sono sostanze proteiche idrolizzate con fluorocarburi tensioattivi e con stabilizzanti. I tensioattivi facilitano la formazione di un film liquido permettendo di ottenere schiume con alta scorrevolezza, alta tenuta dei vapori, elevata resistenza e stabilità chimica. Queste proprietà consentono l impiego delle schiume in lance a grande portata e per lo spegnimento di incendi impegnativi, per esempio delle cisterne del carico di una nave petroliera o grossi serbatoi di stoccaggio prodotti petroliferi. Sono schiume utilizzate a bassa e media espansione. 4. le schiume fluoro sintetiche che sono ottenute combinando tensioattivi fluorurati con tensioattivi sintetici e sostanze stabilizzanti: in questo modo vengono migliorate tutte le caratteristiche, in particolare la scorrevolezza. Esse sono adatte agli interventi rapidi su grandi superfici anche per incendi di idrocarburi e quando drenano si forma un film liquido sulla superficie del combustibile dovuto alla bassissima tensione superficiale della soluzione acquosa drenata dalla schiuma, queste schiume vengono infatti dette Acqueous film forming foam (AFFF). Sono detti anche filmanti. Vengono usate a bassa e media espansione. Esistono poi anche schiume specifiche, per esempio per spegnere incendi in cui sono presenti alcoli ed in generale solventi polari, liquidi che tendono a distruggere la schiuma (le schiume normali non resistono che pochi secondi). Si osservi in conclusione che lo spegnimento con le schiume avviene per soffocamento, ma anche per soppressione dei vapori, per raffreddamento ed, inoltre, grazie alla formazione di una barriera termica che riduce la trasmissione del calore nell ambiente circostante, come sopra specificato.

7 La loro efficacia dipende, inoltre, dal tempo di applicazione, mentre il tempo di attesa è importante per scongiurare la re ignizione. Anche le schiume conducono l elettricità e presentano perciò gli stessi rischi dell acqua

8 In sintesi, possiamo riassumere quanto sopra esposto, fornendo una elencazione delle principali PROPRIETA FONDAMENTALI DELLE SCHIUME -CONCENTRAZIONE Si intende la miscelazione percentuale del liquido schiumogeno con l acqua -TEMPO DI DRENAGGIO In particolare si intende per TEMPO DI DRENAGGIO il tempo occorrente per separare dalla schiuma prodotta il 25% o il 50% della soluzione impiegata a produrla. I tempi di drenaggio variano dai 5 agli 8 minuti per le schiume fluoro-sintetiche ai 40/60 minuti per quelle resistenti agli alcoli. Bisogna tenere presente che la temperatura e un fattore accelerante del drenaggio. 9 -FLUIDITA Indica la capacita della schiuma di dilagare e richiudersi. E essenziale infatti che una schiuma prodotta scorra bene sulle superfici liquide e solide. Si deve tenere presente che la SCORREVOLEZZA aumenta col diminuire della espansione -STABILITA Si Intendende con questo termine sia la stabilita al drenaggio; sia la stabilita al calore; sia alla stabilita meccanica del manto prodotto. In particolare la stabilita meccanica indica la capacita di una schiuma a non rompersi per l azione del vento o degli urti. Chiudiamo la disamina di questo primo punto, riassumendo tutto quanto esposto con la tabella relativa che fornisce in sintesi la lettura relativa alle TIPOLOGIE dei vari liquidi schiumogeni; la idoneita per ciascuna tipologia relativa alla ESPANSIONE dell impianto che si prevede; la IDONEITA PER IMPIEGO sulle varie SOSTANZE.

9 TIPOLOGIE DEGLI IMPIANTI SCHIUMA Gli impianti a schiuma si suddividono in impianti a bassa, media ed alta espansione. Il rapporto di espansione indica i litri di schiuma che si ottengono da ogni litro di soluzione schiumogena. Impianti bassa espansione Gli impianti a Bassa espansione si realizzano nella formazione di schiuma a bolle d aria di minima consistenza, tendente alla formazione di una coltre che si forma e si espande sulla superficie del prodotto infiammato. Oltre che sugli impianti fissi, la schiuma a bassa espansione trova comune applicazione sui sistemi di pronto intervento (monitori, carrellati) o mezzi portatili Un corretto rapporto di espansione nei sistemi a bassa espansione e da intendersi ìn un rapporto 1:10. Gli impianti a schiuma a bassa espansione presentano caratteristiche di marcata stabilita della schiuma rispetto agli agenti distruttivi (calore, fumi, inquinanti): la schiuma e tanto piu stabile quanto minore e la dimensione delle bolle che la compongono. Inoltre la schiuma a bassa espansione si predilige nei sistemi a lancio di schiuma (per esempio da monitori) in quanto la gittata (distanza di lancio tra l erogatore ed il bersaglio) e tanto maggiore quanto minore e la espansione della schiuma. Impianti media espansione Gli impianti a Media espansione si realizzano nella formazione di schiuma a bolle d aria di consistenza gia piu elevata. Un buon rapporto di espansione in un impianto a media e da ritenersi 1:60. E un sistema che viene utilizzato per impianti prevalentemente fissi, nell obiettivo di formazione di una coltre di schiuma con un certo spessore e sufficientemente statica. Ovviamente la schiuma a media espansione presenta caratteristiche di stabilita e gittata inferiori a quelle illustrate per gli impianti a bassa espansione. La formazione di una buona schiuma a media espansione dipende in maniera determinante dalla bonta dell erogatore impiegato. La caratteristiche di una lancia a media espansione e quella di offrire una buona presa d aria e di avere al proprio interno un sistema di reti su cui il liquido schiumogeno, impattando e contemporaneamente addizionandosi con l aria prelevata dall erogatore, possa montare adeguatamente espandendosi. Per questa ragione l erogatore di schiuma a media espansione ha delle dimensioni ben piu marcate rispetto all erogatore a bassa espansione.

10 Impianti Alta espansione Gli impianti ad Alta Espansione si realizzano nella formazione di schiuma a bolle d aria di consistenza estremamente elevata. Il rapporto ottimale di espansione in un impianto ad Alta Espansione e di 1:600/1:700 (600/700 lt di schiuma da 1 litro di miscela schiumogena). Vogliamo rimarcare l attenzione su un punto, soprattutto per i progettisti. C e una consuetudine, probabilmente di derivazione commerciale di ritenere peraltro prevista effettivamente nella normativa UNI-EN che qualifica le alte espansioni fino ad un rapporto 1:1000, che quanto piu elevato sia il rapporto di espansione tanto migliore sia da considerarsi la performance dell impianto (e pertanto degli erogatori adottati). Per noi non e cosi : altissime espansioni superiori ai rapporti sopra indicati, non sono assolutamente sinonimo di alta performance di impianto. Tanto piu e espansa la schiuma, tanto piu fragile risulta essere meccanicamente e pertanto meno resistente. Gli erogatori normalmente in commercio possono raggiungere rapporti di espansione piu elevati di quelli indicati come ottimali, ma riteniamo che sia piu corretto attenersi ad un rapporto non eccessivamente spinto per individuare nel dimensionamento dell impianto il quantitativo corretto di apparecchi che insieme possano fornire schiuma a giusta consistenza. Gli erogatori schiuma ad alta espansione devono essere costruiti per potere aspirare molta aria e per offrire meccanicamente importanti superfici per favorire l impatto della miscela e la conseguente alta espansione. Ragione per cui i generatori a schiuma ad alta espansione hanno delle dimensioni ragguardevoli e trovano impiego pressoche esclusivamente in impianti fissi. DIMENSIONAMENTO DEGLI IMPIANTI A SCHIUMA. COEFFICIENTI E RIFERIMENTI NORMATIVI A questo punto entriamo piu direttamente nel vivo della materia: come vengono dimensionati gli impianti a schiuma? Quali sono i parametri che devono essere utilizzati per dimensionare un sistema a schiuma? Esistono delle normative di riferimento che forniscono tali parametri? Cominciamo da quest ultimo punto Come si deduce dalla lettura della tabella, minor spazio viene lasciato alla normativa Comunitaria, rispetto al rilievo che viene dato alla normativa extraeuropea internazionale NFPA. Perche questo? Semplicemente perche la normativa completa di riferimento che fornisce gli elementi per potere DIMENSIONARE un sistema a schiuma e a tutt oggi la normativa internazionale americana NFPA, la quale fornisce con buona particolarita quelli che sono i criteri da applicarsi per il dimensionamento degli impianti schiuma. Per quanto riguarda la normativa comunitaira UNI-EN, la EN fornisce alcuni parametri di dimensionamento dei sistemi a schiuma a bassa/media/alta espansione, nei paragrafi

11 Per quanto riguarda i sistemi a bassa e media espansione, la normativa citata verte sulla individuazione del COEFFICIENTE DI SCARICA (che rappresenta la quantita di miscela schiumogena espressa in L/1 che deve essere erogata per M2 di area protetta. Ora, senza volere tediare piu del dovuto con differenziazioni di casistiche eccessive, sintetizziamo che la densita di scarica e definita dalla normativa UNI EN citata partendo dal coefficiente 4,0 l/1 /m2, moltiplicato per una serie di coefficienti correttivi i quali possono essere diversi a seconda della casistica che si affronta di volta in volta e a seconda del liquido schiumogeno che viene considerato nella singola progettazione. Per quanto riguarda i dimensionamenti degli impianti ad ALTA ESPANSIONE la normativa UNI-EN citata prevede ne piu ne meno quanto previsto dalla normativa NFPA 11 A di riferimento. Motivo per cui, nell approcciare la progettazione di un sistema a schiuma, e bene attenersi ai parametri standard internazionali che la normativa NFPA fornisce. Ora, senza volerci addentrare piu di tanto nelle pieghe della normativa internazionale citata, per propria natura estremamente articolata, diamo di seguito un sunto sui criteri fondamentali di base richiamati. Innanzitutto vanno individuati i coefficienti di scarica, ovvero le portate al 1 /mq che devono essere applicati per definire la portata complessiva del sistema. Tali criteri vanno applicati per i sistemi a bassa e media espansione. In particolare si differenziano i coefficienti sulla base della categoria dei rischi: RISCHIO BASSO 4,1 LTS/1 /MQ (coefficiente medio considerato) RISCHIO MEDIO 6,5 LTS/1 /MQ (coefficiente medio considerato) RISCHIO ELEVATO 10,5 LTS/1 /MQ (coefficiente medio considerato) Ripetiamo: quanto esposto e una semplificazione, una presentazione della tipicita degli impianti a schiuma bassa/media/alta. Per la identificazione dello specifico coefficiente di scarica e bene approfondire ogni singolo caso con le normative richiamate, per la corretta applicazione dei coefficienti correttivi da applicarsi caso per caso. Una volta determinata la portata richiesta, sulla base della applicazione di tali coefficienti sulla estensione della area da proteggere, si deve determinare il sistema di miscelazione che deve formare ed alimentare l impianto a schiuma. A tal fine occorre definire l autonomia dell intervento che si dimensiona. I tempi medi previsti dalle normative sopra richiamate sono compresi tra i 15 ed i 30 Sulla base di detti parametri, applicando infine il valore della % di miscelazione del liquido schiumogeno prescelto, si determina la capacita del gruppo di stoccaggio/miscelazione liquido schiumogeno.

12 A titolo esemplificativo: come illustrato in tabella immaginiamo di dovere intervenire su una superficie rappresentata da una vasca di contenimento di crude oil, di estensione pari a 450 m2. Individuazione del rischio: Rischio Basso Coefficiente di scarica 4,1 lts/1 /m2 Totale portata richiesta lts/1 Questo dato rappresenta la totale portata di miscela schiumogena che deve essere erogata al 1 su tale area oggetto della protezione. Schiumogeno adottato schiumogeno Sintetico al 3% Autonomia richiesta per il sistema schiuma tot. 20 Il gruppo di miscelazione/stoccaggio pertanto risulta dimensionato come segue: TOT. PORTATA LTS/1 MISCELA SCHIUMOGENA PERCENTUALE 3% 1845/100 x 3 TOT. 56 LTS STOCCAGGIO/1 AUTONOMIA 20 TOTALE STOCCAGGIO PER 20 = LTS Nel ns. caso l IMPIANTO A SCHIUMA (a bassa espansione) sara costituito da una serie di erogatori opportunamente distribuiti sull area, tali da fornire in Tot lts/1 di miscela schiumogena al 3% e da un gruppo di Miscelazione/stoccaggio da lts di LIQUIDO SCHIUMOGENO. Per quanto riguarda gli impianti ad alta espansione, il dimensionamento va fatto sulla base della SATURAZIONE VOLUMETRICA dell ambiente che si vuole completamente saturare. La normativa di riferimento NFPA 11 A, considera di saturare il VOLUME IN UN TEMPO MINIMO DI 3 AD UN MASSIMO DI 5. La riserva di LIQUIDO SCHIUMOGENO deve essere tale da garantire 3 sommergenze consecutive. Inoltre, la determinazione del Volume dell ambiente deve tenere in considerazione quanto segue: ALTEZZA MASSIMA DI IMPILAMENTO DELLE MERCI STOCCATE AUMENTO DI +0,60 cm SU TALE ALTEZZA Si procede al calcolo della VOLUMETRIA DEL LOCALE, che si andra ad incrementare mediante l applicazione di due coefficienti peggiorativi, quali: COEFFICIENTE ABBATTIMENTO SCHIUMA 1.15 FATTORE DI COMPENSAZIONE PER DISTRIBUZIONE SCHIUMA 1,20 Al termine di tali semplici calcoli avremo il VOLUME EFFETTIVO su cui dimensionare il sistema a schiuma ad alta espansione, che sulla ipotetica VOLUMETRIA risultante di mc, verra dimensionato come illustra la tabella specifica

13 -VOLUMETRIA RIUSULTANTE MC -RESA SCHIUMA GENERATORI 1:650 -PORTATA MISCELA CAD. GENERATORE 400 LTS/1 -PORTATA SCHIUMA CAD. GENERATORE 260 MC/1 -TEMPO SATURAZIONE DEL SISTEMA 4 Sulla base dei suddetti parametri si va a determinare il N dei generatori ad alta espansione necessari per saturare a norme il ns. Volume Ipotetico di Mc. Nel seguente modo: V (5.000)/260 (mc schiuma/1 )/ 4 (T di saturazione richiesto) = N 5 GENERATORI Di conseguenza si determina il quantitativo di liquido schiumogeno da stoccarsi nel gruppo di miscelazione/stoccaggio: TOT. GENERATORI N 5 PORTATA SINGOLA MISCELA SCHIUMOGENA 400 LTS/1 MISCELAZIONE SCHIUMOGENO ADOTTATO 3% AUTONOMIA DI INTERVENTO 16 5x400 lts/1 = Tot lts/1 al 3% per 16 autonomia = 1000 lts stoccaggio Liquido Schiumogeno Nel ns. caso l IMPIANTO A SCHIUMA (ad alta espansione) sara costituito da una serie di generatori (N 5) tali da fornire in Tot lts/1 di miscela schiumogena al 3% e da un gruppo di Miscelazione/stoccaggio da 1000 lt di LIQUIDO SCHIUMOGENO.

14 Dimensionamento dell impianto di protezione E importante approcciare il dimensionamento dell impianto schiuma basandosi sulle effettive condizioni (interne ed al contorno) in cui si trova il potenziale sistema di combustione: ne consegue un dimensionamento su misura dell impianto di estinzione. E necessario modellare l incendio come un sistema termodinamico aperto a regime del quale sono note le equazioni che ne descrivono il comportamento. Il bilancio energetico del sistema è il meccanismo regolatore delle condizioni di stabilità ed instabilità dello stesso. La transizione alla condizione di negatività del bilancio energetico del sistema porta all incipiente arresto della catena di reazioni e quindi all estinzione dell incendio. Essendo noto il meccanismo di estinzione esercitato dall acqua è possibile stimare il quantitativo di estinguente per unità di tempo da inviare sul focolaio d incendio per ottenerne il controllo (equivalenza nel bilancio energetico) e quindi lo spegnimento. Per il dimensionamento di un impianto antincendio di tipo diverso è essenziale conoscere la classe di rischio della particolare attività. In base alla classe di rischio si decide sul particolare impianto da utilizzare (N.F.P.A. - National Fire Protection Association ; B.S.I. - British Standards Institution ; C.I.I. - Concordato Italiano Incendi ; etc.). Tale metodo è, come noto, di natura empirica e fonda i suoi contenuti sull analisi statistica di eventi storici. La categoria di rischio viene individuata sulla base di parametri qualitativi rappresentativi dell attività in esame (tipologia dell attività, tipo di materiale in deposito). L individuazione della categoria di rischio conduce alla determinazione delle caratteristiche dimensionali dell impianto e sulla particolare scelta della tipologia. Il metodo, che ha indubbiamente a proprio vantaggio una certa semplicità applicativa, non tiene conto delle caratteristiche particolari che possono differenziare, anche notevolmente, l attività in esame da quelle classificate in condizioni di equirischio. Ciò può portare ad una sottostima del livello di rischio e quindi ad una erronea valutazione dei parametri dimensionali dell impianto antincendio nonché alla scelta del particolare impianto (acqua, schiuma, gas inerte, ecc). L approccio deve essere di tipo ingegneristico, in particolare è necessario porre attenzione a quanto di seguito riportato.

15 Combustione Con riferimento alla combustione che porta all insorgere di una fiamma, si possono identificare le seguenti fasi: l inizio del focolaio è la fase di innesco per effetto in genere di un azione esterna alla sostanza combustibile (ma anche per auto-ignizione); la combustione corrisponde alla fase di formazione e sviluppo della fiamma, prima lenta e poi vivace: la durata dei due periodi è assai variabile in funzione delle condizioni della combustione, si pensi alla combustione di una balla di cotone oppure per contro a quella dei vapori emessi da un idrocarburo; il flash over questa fase corrisponde alla diffusione della fiamma nell ambiente circostante per effetto del riscaldamento, per convezione, conduzione e soprattutto per irraggiamento, dei materiali contigui: la temperatura nell ambiente aumenta uniformandosi e provocando l innesco della combustione per auto ignizione del materiale presente nell ambiente (in questa fase vengono raggiunte le temperature più elevate); la regressione l esaurirsi del combustibile comporta la riduzione della fiamma ma, per inerzia termica, le temperature si abbassano molto lentamente. La pericolosità del materiale combustibile è funzione dell energia disponibile dalla combustione dello stesso (misurabile per esempio tramite il potere calorifico), che viene ad essere ovviamente proporzionale alla quantità di combustibile presente, e della velocità con cui il combustibile cede energia all ambiente, usualmente indicata come heat release rate (HRR). E sempre importante definire un modello di incendio reale (o naturale) mediante una procedura nella quale specificare i parametri globali di riferimento, quali: lo scenario di incendio; la configurazione del compartimento o area in cui può svilupparsi l incendio; il carico di incendio tasso di calore rilasciato (curva RHR o HRR) ( sostanza e tipologia di materiale coinvolto)

16 E importante evidenziare che il carico di incendio definisce il quantitativo di energia disponibile per la combustione sotto forma di materiale presente in un dato locale: non definisce le modalità di rilascio dell energia. Per descrivere la dinamica di sviluppo di un incendio, del resto, sono proprio le modalità di rilascio energetico a giocare un ruolo fondamentale. La variazione sparzio-temporale della liberazione di energia dal materiale combustibile governa gli scambi del sistema termodinamico materiale combustibile-ambiente e l andamento delle temperature dei gas sviluppati. Si pensi come, infatti, uno stesso carico di incendio possa bruciare con differenti velocità a seconda delle particolari condizioni che si instaurano, dipendenti e dal materiale (quantitativo, tipologia, pezzatura, ecc) e dall ambiente (volumetria, apertura, ambiente aperto, ecc), dando origine a temperature nel locale coinvolto o volume di controllo (se all aperto) anche molto diverse da caso a caso. Sulla base di numerosi test eseguiti, su base internazionale, l andamento delle modalità di rilascio energetico, chiamato anche tasso di calore rilasciato oppure HRR o potenza rilasciata, è descritto da tre fasi caratteristiche: Fase iniziale Fase intermedia Fase finale

17 E importante conoscere e definire le curve T-t. Nella curva sopra riportata si riscontrano comportamenti del fenomeno di tipo diverso. In particolare: 1. Nel tratto iniziale la curva cresce con in genere con legge quadratica con incremento di pendenza più o meno accentuato in funzione della velocità di combustione. Questa fase iniziale di RHR in funzione del tempo può comprendere oltre la fase di ignizione e sviluppo dell incendio, anche la fase di ignizione generalizzata (flashover) dell incendio stesso; 2. Il tratto intermedio è assunto stazionario, nell ipotesi che la massa bruciata di combustibile, proporzionale in vario modo al tasso di rilascio del calore, rimanga costante nel tempo; 3. Il tratto finale della curva RHR decresce dal valore stazionario al valore nullo, secondo un andamento in genere lineare, a partire da un certo quantitativo di carico di incendio bruciato, ad esempio il 70%. L importanza della curva RHR risiede nel duplice fatto di descrivere la dinamica di un incendio e di costituire uno dei dati di ingresso (input) e di uscita (output) per i modelli di simulazione a zone e per definire la particolare scelta di un impianto/agente inibitore dell incendio.

18 Curve di incendio nominali temperature dei gas Temperature dei gas nel compartimento Energia rilasciata dall incendio

19 E importante conoscere anche il tasso di pirolisi e/o gassificazione Tasso di pirolisi dell incendio Nel caso di incendio di liquido infiammabile/combustibile è fondamentale conoscere a fissata temperatura e pressione il tasso di evaporazione in corrispondenza dell incendio.

20 Le condizioni necessarie affinché il fuoco si sviluppi e si mantenga sono rappresentate dalla disponibilità di combustibile e di comburente e dalla presenza di un opportuna temperatura ossia, in altri termini, di una sufficiente quantità di calore detta energia di attivazione. Lo spegnimento dell incendio può quindi basarsi sull eliminazione di una delle tre componenti (combustibile, comburente, temperatura), ma un altro fattore importante è rappresentato dalla catena di reazioni che si sviluppano nel processo di combustione (autocatalisi).

21 Di seguito è rappresentata una reazione di combustione idrogeno-ossigeno a catena ramificata Risulta, infatti, che la combinazione fra combustibile ed ossigeno non avvenga in via diretta, ma si manifesti in stati successivi solo tra l ossigeno (o meglio gli ioni ossigeno) ed i radicali liberi emessi dal combustibile portato al suo punto d ignizione. Nella combustione che da origine al fuoco si formano perciò composti chimici a breve vita che, diffondendosi nei gas incombusti, trasmettono la reazione stessa. La fiamma può quindi essere spenta inibendo il mantenimento di questo processo a catena, ma è importante osservare che per evitare la successiva re ignizione bisogna sempre intervenire sugli altri fattori (temperatura o combustibile). I quattro fattori fondamentali per il sostentamento del fuoco sono illustrati dal cosiddetto tetraedro del fuoco, essi sono rappresentativi anche dei quattro principi su cui si basano i diversi metodi di spegnimento. Nella selezione dell agente estinguente o inibitore più adatto per ogni tipo di incendio può essere utile richiamare la classificazione degli incendi. Si definiscono, infatti, quattro classi di incendi: classe A causati dalla combustione di materie solide organiche a base cellulosica, dalla quale si formano braci incandescenti (si tratta in genere di combustibili solidi di comune utilizzo); classe B causati dalla combustione di idrocarburi e di liquidi infiammabili (quali vernici, solventi, ecc); classe C causati dalla combustione di gas infiammabili; classe D causati dalla combustione di sostanze reattive con l aria o con l acqua, quali i metalli combustibili (sodio, potassio, alluminio, magnesio, titanio, etc. e loro leghe).

22 Non si definisce più come tipologia a sé stante quella relativa ad incendi su apparecchiature elettriche sotto tensione, infatti tale caso è riconducibile all incendio di classe A oppure di classe B se interessa anche sostanze liquide (per esempio l olio di raffreddamento di apparecchiature elettriche) un tempo si definiva tali casi come incendi di classe E. Modalità dio applicazione degli agenti estinguenti inibitori Le modalità di applicazione variano a seconda del materiale che ha causato l incendio. Si possono distinguere due metodi: l applicazione locale sul focolaio d incendio; la saturazione totale del volume del locale ove l incendio si è sviluppato. Con il primo metodo l estinguente viene inviato solo sul fuoco, mentre con il secondo l ambiente chiuso in cui si è sviluppato l incendio viene inondato completamente con l estinguente. Si fa presente che per l estinzione, la quantità di estinguente erogata per unità di superficie nell unità di tempo dovrà essere superiore alla sua portata critica, ovvero a quella portata al di sotto della quale l incendio non si spegnerà per quanto lunga possa essere l erogazione dell estinguente. PORTATA ESTINGUENTE > PORTATA CRITICA Nozioni importanti per un corretto dimensionamento L acqua Il raffreddamento con acqua è molto efficace grazie all alto valore del calore specifico e del calore latente di vaporizzazione da essa posseduto. Inoltre, nella vaporizzazione essa crea un vapore che a pressione atmosferica ed alle alte temperature dell incendio ha un elevato volume specifico (indicativamente l aumento del volume specifico è di 1700 volte): il vapore satura il volume sopra il fuoco spostando l ossigeno ed i vapori infiammabili, favorendo lo spegnimento per soffocamento. L azione dell acqua è efficace quando la temperatura d infiammabilità del liquido supera i 45 C, altrimenti si ha solo un effetto di controllo. In quest ultimo caso è bene che l acqua si limiti al raffreddamento, sia dei vapori emessi, sia dell ambiente circostante, mentre ad altri agenti estinguenti deve essere demandato il compito di agire sulle fiamme. Quando, invece, il liquido ha zone calde a temperature superiori a 100 C, l acqua può creare, con la sua improvvisa vaporizzazione, spruzzi di combustibile nell area circostante. Un altro caso in cui l acqua è sconsigliata è quello in cui l incendio interessa apparecchiature elettriche in tensione, infatti essa, da buon conduttore elettrico, può creare situazioni di pericolo per le persone coinvolte nello spegnimento.

23 Lo spegnimento di incendi con acqua non va effettuato quando sono interessati combustibili che reagiscono con essa dando luogo a reazioni fortemente esotermiche, ossia esplosive (come con il carburo di calcio), causando quindi ulteriore riscaldamento e produzione di vapori infiammabili, oppure quando dà origine a composti chimici che liberano idrogeno (come con sodio e potassio), quando da origine a gas infiammabili, come nel caso per esempio dei metalli leggeri con magnesio, zinco, alluminio, oppure ancora quando dal contatto con il combustibile si sviluppano sostanze corrosive (composti di cloro e fluoro). Anche lo spegnimento di incendi in cui è interessato il carbone deve essere effettuato con attenzione poiché dal contatto del carbone rovente con l acqua si genera pericoloso ossido di carbonio. Infine, non è adatta a spegnere incendi che sviluppano temperature superiori a 2000 C perché in tal caso si genera il fenomeno di piroscissione della molecola dell acqua, con produzione di idrogeno e ossigeno che vanno ad alimentare l incendio. In conclusione l acqua è efficace per incendi di solidi ed esercita un azione combinata di raffreddamento e soffocamento. Nel caso di combustibili liquidi essa può avere un certo effetto operando la diluizione del liquido che brucia. L acqua possiede una tensione superficiale piuttosto elevata e tende perciò a formare gocce di grandi dimensioni, inoltre a contatto con una superficie tende a formare gocce separate invece di spargersi e bagnare la superficie con un film sottile. Nell acqua per lo spegnimento di incendi possono essere perciò aggiunte sostanze detergenti ottenendo un vantaggio sia nell uso di acqua nebulizzata, sia nella formazione di schiume. Da una parte infatti, miscelata nelle lance di nebulizzazione, l acqua fornisce un getto polverizzato con gocce più piccole, dall altra parte, miscelata con sostanze schiumogene, dà una schiuma più scorrevole che forma un film tale da sigillare la superficie del combustibile e bloccare il movimento dei vapori verso la fiamma.

24 Scelta schiumogeno La scelta di una schiuma di classe B (si parlerà principalmente di queste) ed in particolare del relativo impianto/sistema di miscelazione ed erogazione in modo che, visto nella sua totalità, sia efficace ed efficiente, per la particolare azione da svolgere, è necessario avere una buona conoscenza pratica del nemico da combattere: in genere i liquidi infiammabili e combustibili. La maggior parte dei liquidi infiammabili sono estratti dal petrolio greggio. Il greggio è il materiale di petrolio grezzo formato nel sottosuolo dalla decomposizione, compressione e da altre azioni geologiche di materiali organici evolutisi in un periodo di tempo di milioni di anni. Dal greggio sono derivati i gas di petrolio liquefatto (GPL) come il propano ed il butano, i carburanti come la benzina, la nafta, il gasolio, il kerosene, il combustibile per aviogetti, gli oli combustibili per riscaldamento, i lubrificanti, i bitumi ed i residui petroliferi per pavimentazioni stradali come l asfalto. Essi sono chiamati idrocarburi perché le loro molecole sono in prevalenza composte da atomi di idrogeno legati a catene o rami di atomi di carbonio. Maggiori sono gli atomi di carbonio nella molecola dell idrocarburo, più denso o più viscoso sarà il materiale il quale avrà, inoltre, un più alto punto di infiammabilità e sarà anche meno volatile. E bene fare sempre riferimento alla SDS. Ad esempio:

25 Materiali non polari e materiali polari Gli idrocarburi comuni sono facilmente riconoscibili e mostrano caratteristiche simili quando sono in fiamme. Essi bruciano vigorosamente, con una fiamma arancione, in modo incompleto, producendo grandi quantità di denso e sporco fumo nero. Tali idrocarburi di base normalmente presentano un colore naturale o ottenuti con coloranti e le densità dei loro vapori sono maggiori di uno, ossia sono più pesanti dell aria. I vapori di benzina, ad esempio, sono tre volte più pesanti dell aria. I vapori generati dagli idrocarburi si muovono naturalmente a livello del terreno e si concentrano nelle zone basse. Questi idrocarburi di base hanno densità specifica inferiori ad uno e sono quindi più leggeri dell acqua. Inoltre, dal momento che l acqua è un materiale polare e gli idrocarburi di base sono non polari, questi ultimi non possono essere miscelati con acqua e non sono solubili in essa. A causa di tali qualità, gli idrocarburi non polari galleggiano sulla superficie dell acqua con una netta demarcazione tra i due materiali. L obiettivo principale dei liquidi schiumogeni di Classe B è di creare una situazione in cui l acqua sia in grado di fare l esatto opposto: galleggiare sulla superficie del carburante e non al contrario. Questo scopo viene raggiunto miscelando un concentrato di liquido schiumogeno con acqua e produzione di relative bolle d aria. Le bolle mantengono l acqua in sospensione, facendola galleggiare sopra la superficie dell idrocarburo. La bolla è il veicolo che permette all acqua di controllare l incendio di carburante. Sfortunatamente, essa non resiste illimitatamente, ma scoppia rilasciando la soluzione, e l acqua defluisce tornando sotto la superficie dell idrocarburo. Questa è una spiegazione molto semplificata di come funzionano gli schiumogeni di Classe B. Alcuni liquidi schiumogeni hanno altre caratteristiche quali gli strati filmanti e polimerici che sono ugualmente coinvolti nel processo di estinzione. Qualunque schiumogeno di Classe B estingue un incendio che coinvolge idrocarburi non polari come la benzina, il gasolio o il kerosene mentre non tutti gli schiumogeni di Classe B controllano un incendio nel quale siano coinvolti idrocarburi o solventi polari come l alcool, l acetone o il metiletilchetone. Di seguito sono riportati a titolo di esempio schematizzazioni di molecole polari e apolari.

26 Ad esempio nel caso dell acetone: Mek In questo caso, si rivela necessaria la schiuma multiuso (nota anche come schiuma resistente all alcool). Un solvente polare è solitamente una molecola di idrocarburo (unione di idrogeno e carbonio) con un gruppo funzionale contenente una aggiunta di atomo o atomi di ossigeno. L ossigeno è un elemento a valenza ionica assai reattivo. L addizione di ossigeno può rendere l idrocarburo di base polare anziché non polare, dandogli la capacità di miscelarsi con l acqua. Alcuni comuni gruppi polari funzionali, legati ad idrocarburi ed ai loro materiali solventi polari risultanti, sono: OH (gli alcoli); CO (i ketoni); CO2 (gli esteri); COH (gli aldeidi); O (gli eteri).

27 Gli atomi di idrogeno e di carbonio nell idrocarburo non polare sono in un legame di covalenza o condividono elettroni. Tale legame dà una carica neutra alla molecola di idrocarburo. L opposto è vero con gli idrocarburi polari, nei quali l intera molecola ha una carica elettrica o polarità. Con l alcool, questa addizione dello ione negativo (OH) ad un lato della molecola fornisce ad essa un lato o polo negativo ed un lato o polo positivo. Una situazione simile si verifica nella molecola dell acqua, rendendola materiale ugualmente polare. Come le sostanze si diluiscono in sostanze simili, l alcool si mischia con l acqua. L ampia gamma di materiali infiammabili polari mostra ugualmente caratteristiche deboli e forti. Il punto chiave da ricordare è che gli idrocarburi polari o solventi si miscelano con l acqua. Uno strato di schiuma è quasi interamente formato da acqua con l aggiunta di una piccola percentuale di schiuma concentrata. Un solvente polare si mischia immediatamente con l acqua tirandola fuori da uno strato di schiuma filmante AFFF o fluoroproteinica. Una volta che l acqua è eliminata non rimane nulla dello strato di schiuma. Quest ultima si dissolve e si distrugge tanto velocemente quanto più se ne versa. Un concentrato di schiuma polivalente contiene un polimero che reagisce immediatamente con il solvente polare e forma uno strato polimerico o barriera tra la perdita di carburante e lo strato di schiuma. Questo strato spesso protegge la coltre di schiuma ed impedisce al solvente polare di miscelarsi con i suoi contenuti acquosi. I liquidi polari bruciano spesso in modo pulito, liberando meno fumo rispetto agli idrocarburi non polari. Alcuni degli alcool utilizzati nelle gare automobilistiche, quando bruciano, sono quasi invisibili. Altri bruciano con una fiamma azzurra, verde, arancio chiaro oppure, ovviamente, colorata chimicamente. Si tratta spesso di liquidi chiari che assomigliano all acqua e, per il fatto che si mischiano ad essa, possono essere irrorati e diluiti fino ad estinzione delle fiamme. Tuttavia, una tale operazione richiede una notevole quantità di acqua per essere compiuta e di solito si rivela una tattica poco logica da intraprendere.

28 Liquidi infiammabili e liquidi combustibili Il maggiore rischio rappresentato da qualsiasi liquido in grado di bruciare è rappresentato dai suoi vapori. Lo scopo principale dei liquidi schiumogeni è quello di controllare l emissione di vapore. I liquidi che bruciano sono spesso catalogati o classificati secondo i propri punti o temperatura di infiammabilità. Il punto di infiammabilità è la temperatura minima alla quale un liquido emana vapori sufficienti ad incendiarsi (quando è introdotta una sorgente di accensione). Di seguito è riportata la categorizzazione/classificazione italiana degli oli minerali - liquidi infiammabili/combustibili. Si riporta anche per completezza la classificazione dei combustibili secondo NFPA.

29 Con i liquidi infiammabili sussiste una costante minaccia di accensione, riaccensione e ritorno di fiamma. Il luogo di qualsiasi incidente può presentare numerose sorgenti di accensione, comprese frizione, archi elettrici, apparecchiature elettriche e superfici calde di motori, apparecchi elettrici e a motore, elettricità statica, attrezzature per l illuminazione, telecamere e cineprese, torce elettriche, razzi di segnalazione, materiali fumogeni ed anche radio e telefoni che in sè non sono intrinsecamente sicuri. Una volta incendiati, i liquidi infiammabili bruciano velocemente con una diffusione di fiamma o fronte di fiamma molto elevato. Il kerosene ed il gasolio, i due più comuni combustibili liquidi hanno una scarsa tendenza ad evaporare e di solito non sono pronti a bruciare. Con temperature e condizioni atmosferiche normali, i liquidi combustibili non sono caldi abbastanza per emanare vapori sufficienti all accensione ed hanno spesso difficoltà ad accendersi anche con una torcia o un fiammifero. Un liquido combustibile più è riscaldato più aumenta la pressione del vapore prodotto. Durante i mesi estivi, non è cosa insolita che la temperatura ambientale superi i 37 C. In condizioni di questo genere, il substrato sul quale si è avuto il rilascio potrebbe essere sufficientemente caldo da far produrre al liquido combustibile quantità pericolose di vapori Infiammabili/esplosivi. Un altra situazione potenzialmente pericolosa è quella in cui un incendio di liquido combustibile è stato appena spento dai Vigili del fuoco: il terreno, il container ed il carburante sono infatti ancora molto caldi, condizione perfetta per un ritorno di fiamma. L effetto progressivo è una situazione in cui un combustibile liquido agisce come un liquido infiammabile. Tale effetto si verifica quando un piccolo focolaio localizzato in una perdita di liquido combustibile scalda una sufficiente quantità di carburante da provocarne l accensione, diffondendo le fiamme attraverso l intera superficie. Una simile situazione può essere provocata, ad esempio, nel caso di incidente aereo, dalle parti calde di un motore di aeromobile a contatto con una perdita di carburante. Infine, tutti i liquidi combustibili danno origine ad esplosione a qualsiasi temperatura - in condizioni di nube di vapore. Questa è una situazione comune nel caso degli incidenti aerei, quando i serbatoi delle ali si spezzano, facendo fuoriuscire una specie di nube di carburante, oppure nel caso occasionale di rotture di oleodotti ad alta pressione o di tubature idrauliche. I liquidi combustibili non devono essere affrontati con superficialità: si pianifichi l intervento in previsione del peggio e si intervenga sulle situazione di fuoriuscita come se si trattasse di liquidi infiammabili. A riguardo basti ricordare anche la pericolosità degli oli lubrificanti e/o oli diatermici ad alta pressione e temperatura. Benché i liquidi combustibili abbiano maggiori difficoltà ad incendiarsi in condizioni normali, emanano calore quanto i liquidi infiammabili.

30 I liquidi schiumogeni estinguenti di Classe B sono efficaci sui liquidi a bassa tensione di vapore come le benzine e gli alcoli. I liquidi ad alta tensione di vapore o gas compressi, come il GPL ed il gas naturale liquefatto (LNG), hanno enormi tensioni di vapore e tendono a passare dallo stato liquido a quello gassoso, sfuggendo velocemente attraverso qualunque tipo di strato schiumogeno (trattasi di incendi tridimensionali).

31 Come funzionano i liquidi schiumogeni di Classe B L incendio si verifica quando i lati del triangolo - carburante, ossigeno (o ossidante) e calore si uniscono e raggiungono una condizione di stabilità. La coltre di schiumogeno elimina o controlla tutti e tre i lati del triangolo, impedendo all aria di miscelarsi con i vapori infiammabili, separando il carburante dall ossidante. La sua azione elimina sia il lato del triangolo rappresentato dal carburante, riducendo e sopprimendo il rilascio di vapore dalla superficie del liquido infiammabile, sia il lato del calore, agendo come una barriera contro le fiamme e separando queste ultime ed il vapore dal liquido infiammabile mediante raffreddamento ed assorbimento del calore dal liquido infiammabile stesso e dalle superfici adiacenti, grazie al proprio contenuto rappresentato per la maggior parte da acqua. Tuttavia, il liquido schiumogeno non inibisce la reazione a catena della combustione (tetraedro del fuoco). Quando i liquidi idrocarburi bruciano, il carbonio, l idrogeno e gli altri atomi nella molecola di carburante cominciano a reagire con gli atomi di ossigeno nell aria. Maggiore e più calda è la zona dell incendio, più veloce sarà anche la reazione chimica che si verifica. Soltanto gli agenti estinguenti chimici fermeranno questa reazione a catena di combustione dei radicali liberi chimici nel fuoco, perciò i liquidi schiumogeni solitamente non funzionano nei casi di incendi di liquidi infiammabili che siano a getto vaporizzato, in movimento, correnti ed alimentati dalla pressione, come sopra specificato. Tali tipi di incendi tridimensionali necessitano di un agente che inibisca la reazione a catena della combustione, mentre gli schiumogeni agiscono principalmente nei casi di incendio di liquidi infiammabili piatti e bidimensionali (lunghezza in rapporto ad ampiezza).

32 Qualità di un buon liquido schiumogeno Che qualità cercare in un liquido schiumogeno di Classe B? Bisogna chiedersi sempre a cosa serve e dove dobbiamo utilizzarlo. Che criteri vengono usati per misurarlo e valutarlo? Il liquido schiumogeno perfetto non esiste, ogni tipo presenta punti forti e punti deboli, caratteristiche negative e positive. Uno schiumogeno dovrebbe fluire liberamente attorno agli oggetti, essere in grado di raggiungere le zone dell incendio più difficilmente accessibili rinsaldandosi o riacquistando la propria compattezza se disturbato. Le moderne schiume sintetiche sono molto mobili e possono facilmente coprire distanze considerevoli attraverso la superficie del carburante. Le schiume organiche o proteiniche meno moderne sono, invece, più rigide e non sono in grado di fluire altrettanto bene. Lo schiumogeno ideale deve essere sufficientemente leggero da galleggiare sulla superficie del liquido infiammabile e tuttavia abbastanza denso da resistere all azione disgregatrice del vento, del calore, delle fiamme e degli sbalzi termici. Dovrebbe, inoltre, formare uno strato resistente e compatto, resistere all attacco e all azione del carburante e trattenere l acqua in sospensione nelle bolle più a lungo possibile. Queste ultime caratteristiche costituiscono più una funzione dell espansione o aerazione della soluzione di liquido schiumogeno che il tipo di schiuma di Classe B, benché molta documentazione sugli schiumogeni di Classe B scritta nel corso degli anni affermi che un liquido schiumogeno a base proteinica forma uno strato più consistente, duraturo e resistente al fuoco. Il rapporto di espansione il rapporto tra il volume dell aria e la soluzione schiumogena nella schiuma finita è un modo per misurare l efficacia della schiuma. Più la schiuma è spessa, o aerata, ed espansa, maggiore sarà la durata dello strato. L espansione o aerazione dei liquidi schiumogeni di Classe B è determinata principalmente dalla lancia o dispositivo di scarico. La capacità di abbattimento o estinzione dell incendio è un altro modo di valutare gli schiumogeni. A causa della presenza di un film acquoso, gli schiumogeni sintetici sono solitamente più efficaci di quelli tradizionali a base proteinica in questo settore. Un altra qualità è la resistenza alla consunzione da parte delle fiamme, il tempo di resistenza al calore e al fuoco prima della decomposizione. La durata di utilizzo è l arco di tempo durante il quale un concentrato di liquido schiumogeno rimane stabile, senza mutamenti significativi nelle caratteristiche di prestazione. La domanda da porsi è quindi: Quale durata avrà il materiale conservato in magazzino?. I concentrati sintetici hanno una maggiore durata di conservazione rispetto a quelli organici proteinici; i liquidi schiumogeni filmanti hanno una durata che va dai 20 ai 30 anni ed anche oltre in determinate condizioni. Se conservati nei contenitori originali ed immagazzinati in luogo chiuso, si conserveranno per un periodo di tempo maggiore. La durata di utilizzo viene ulteriormente abbreviata dalla luce solare, dal caldo e dal freddo, dal congelamento e dal movimento. Tipi di concentrati anticongelamento, ai quali è miscelato un additivo glicolico o antigelo, sono disponibili sul mercato.

33 L ultimo criterio di valutazione dei liquidi schiumogeni è il 25% di tempo di drenaggio, chiamato anche quarter life dello schiumogeno, il tempo necessario al 25% dell acqua contenuta nella soluzione per esaurirsi oppure il tempo che la schiuma impiega a perdere il 25% della propria efficacia. Le bolle del prodotto, che trattengono l acqua in una sospensione schiumosa per un periodo limitato, scoppieranno liberando l acqua fino a quel momento trattenuta e facendola affondare attraverso il liquido infiammabile. Più lo schiumogeno è aerato o espanso maggiore è la sua resistenza alla dissoluzione. Ne consegue che una maggiore quantità di prodotto nella applicazione corrisponde ad una durata superiore dello strato dello stesso. In seguito ad una serie di test di laboratorio, il 25% di tempo di drenaggio dei liquidi schiumogeni filmanti si è rivelato di tre minuti. Nel corso di un intervento reale, in una situazione di vento, calore e azioni di disturbo provocate dal camminare sullo strato di schiumogeno, il tempo di drenaggio può rivelarsi più breve di un minuto. Modellizzazione dell incendio flusso termico generato Come sopra specificato è importante approcciare il dimensionamento dell impianto schiuma basandosi sulle effettive condizioni (interne ed al contorno) in cui si trova il potenziale sistema di combustione. Pertanto è necessario modellare l incendio come un sistema termodinamico aperto a regime del quale sono note le equazioni che ne descrivono il comportamento. Ricordiamo che il bilancio energetico del sistema è il meccanismo regolatore delle condizioni di stabilità ed instabilità dello stesso:la transizione alla condizione di negatività del bilancio energetico del sistema porta all incipiente arresto della catena di reazioni e quindi all estinzione dell incendio.

34 Flusso termico generato Le caratteristiche più importanti delle reazioni di combustione sono: Elevata esotermicità (il processo sviluppa una grande quantità di calore); Elevato sviluppo di gas ad alta temperatura Perché si verifichi un incendio è necessaria, come noto, la coesistenza di un combustibile (che contiene gli elementi che subiscono ossidazione), di un comburente (vettore dell ossigeno di ossidazione, in genere aria) e di una sorgente di energia a temperatura sufficiente a dare avvio alla combustione (ignizione). Dall incendio derivano prodotti di reazione che in genere, avendo elevata temperatura (e quindi bassa densità), tendono ad allontanarsi creando un flusso d aria che alimenta la combustione. Da una prima fase iniziale caratterizzata da forte instabilità del sistema si giunge, attraverso fasi intermedie regolate dagli scambi termici tra sistema ed esterno, alla fase di combustione generalizzata o flashover. Questo rappresenta uno stato irreversibile del sistema che dà inizio alla fase stazionaria a velocità di combustione praticamente costante. Ciò premesso occorre anzitutto osservare che, in considerazione della notevole variabilità della fase di pre-flashover e dell inerzia d intervento dell impianto antincendio, è ragionevole ammettere, a favore di sicurezza, che l impianto di spegnimento intervenga ad incendio pienamente sviluppato (cioè in condizioni di post-flashover). Un compartimento sede d incendio in condizioni di post-flashover può essere, pertanto, descritto, a regime, come un sistema termodinamico aperto ed isobaro (in cui avviene la reazione di ossidazione), avente due superfici d ingresso (rispettivamente per il combustibile ed il comburente) ed una d uscita (per i prodotti della combustione). L applicazione, a tale modello, del primo principio della termodinamica unitamente al principio di conservazione della massa (trascurando, come appare certamente lecito, i termini macroscopici cinetici e potenziali e la potenza dinamica scambiata dal sistema con l esterno e ponendo le temperature dei fluidi in ingresso ed uscita uguali ad un valore comune di riferimento) conduce alla nota espressione della potenza termica qc (kw) scambiata dal sistema con l esterno : dove mc (kg/s) è la velocità della reazione di combustione (massa di combustibile consumata per unità di tempo) e Δhc (kj/kg) è la differenza di entalpia totale (termodinamica e chimica) del combustibile tra la fine e l inizio della reazione, come noto coincidente, in un processo a pressione costante completamente sviluppato (combustione completa), con il calore di reazione (ovvero di combustione).

35 È ovvia l estensione al caso di n combustibili presenti nel compartimento: Regimi di combustione Ci si pone in ipotesi, a favore di sicurezza, di incendio pienamente sviluppato (fase di post-flashover). Se in tali ipotesi/condizioni, la velocità di combustione è approssimativamente proporzionale alla quantità di aria che affluisce attraverso le aperture, senza dipendere, in maniera apprezzabile, dalle caratteristiche del combustibile, si dice che la combustione è controllata dalla ventilazione. Viceversa, se, nella medesima fase di post-flashover, la velocità di combustione è ampiamente indipendente dalla ventilazione ma dipende dalla quantità, forma e porosità del combustibile, si dice che la combustione è controllata dagli strati di combustibile. Ovviamente i due predetti regimi di combustione si riferiscono, in pratica, rispettivamente, al caso di aperture di piccole dimensioni in cui la quantità d aria entrante nel compartimento incendiato è critica e, viceversa, al caso di grandi aperture con elevata disponibilità di comburente. Definito il parametro di ventilazione (T. Z. Harmathy, 1972) dove : ρa è la densità media dell aria in condizioni di post-flashover, normalmente compresa tra 0.24 kg/m3 e 0.67 kg/m3 (V. Babrauskas et al., 1978) ; g è l accelerazione di gravità ; Af (m2) è la superficie delle aperture in condizioni di post-flashover (praticamente coincidenti, come noto, con la superficie totale finestrata del compartimento); H (m) è l altezza delle predette aperture (il termine Af H 1/2 è detto fattore di ventilazione); Indicata con Ac (m2) la superficie di combustibile inizialmente a contatto con l aria, il punto di transizione tra i due regimi di combustione si ha approssimativamente per (T. Z. Harmathy, 1972): In pratica per ᶲ / Ac > 0, 263 kg m-2 s-1 possiamo ammettere di essere nel regime di combustione controllato prevalentemente dagli strati di combustibile; viceversa per ᶲ /Ac < 0, 263 il regime di combustione sarà soprattutto controllato dalla ventilazione.

36 Velocità di combustione È essenziale la conoscenza, a priori, della velocità della reazione di combustione mc la cui valutazione sperimentale può essere anche notevolmente inficiata dalle condizioni al contorno del sistema. Esistono diversi software/applicativi per tale valutazione, ma si può fare riferimento a: per regime di combustione controllato dalla ventilazione (per altro il più severo riguardo allo stress termico delle strutture) la funzione esprimente la velocità di combustione è del tipo (A. J. M. Heselden, 1968) : L analisi fluidodinamica dello spazio interno del compartimento consente di esplicitare la predetta funzione che assume la forma (V. Babrauskas et al., 1978) (D. Drysdale, 1986) : essendo k1 una costante opportuna dipendente dal tipo di combustibile. Per combustibili ordinari il cui meccanismo di ossidazione non è molto dissimile da quello del legno, è ragionevole assumere k1= 5 6 kg-5/2 min-1 (A. J. M. Heselden, 1968). Nel regime controllato dagli strati di combustibile la velocità di combustione dipende prevalentemente dalla quantità, forma e porosità del combustibile (V. Babrauskas, 1995). Si può pertanto ritenere che sia : dove : L è il carico d incendio specifico (cioè per unità di superficie del compartimento) del singolo combustibile (da introdurre in GJ/m2), dato nella quale G è la massa del combustibile (kg) ed A la superficie, in pianta, del compartimento (m2) ed S (m2) è la superficie, in pianta, occupata dal combustibile. La forma più semplice che può assumere la funzione della velocità di combustione nel regime controllato dagli strati di combustibile è la seguente (F. Marotta, 1990): dove k2 (da introdurre in min) è una costante opportuna funzione del tipo di combustibile. Il valore di k2 (min) può essere approssimativamente determinato mediante la relazione (F. Marotta, 1991): essendo δ (kg/m3) la densità del combustibile. Tale espressione è da ritenersi valida, con buona approssimazione, per densità maggiore di circa 758 kg/m3.

37 Verificarsi di combustione incompleta In ciò che precede si è ammesso il completo sviluppo della reazione di combustione. Di fatto, negli incendi, la combustione non è mai completa. Ne consegue che il calore di reazione da prendere in considerazione è solo un aliquota dell intero calore di reazione e pari a : dove χcu è un opportuno coefficiente di efficienza minore di uno (A. Tewarson, 1995). Detto coefficiente assume normalmente valori compresi tra circa 0.7 e 0.9 ma può diminuire, anche sensibilmente, in difetto di dove χcu è un opportuno coefficiente di efficienza minore di uno (A. Tewarson, 1995). Detto coefficiente assume normalmente valori compresi tra circa 0.7 e 0.9 ma può diminuire, anche sensibilmente, in difetto di ventilazione. Nel regime di combustione controllato dalla ventilazione può essere pertanto necessario assumere un valore di χcu alquanto piccolo Flusso termico disperso Della potenza termica generata, parte viene persa attraverso le finestre sia per irraggiamento che mediante scarico all esterno dei fumi e dei gas di combustione. Il restante flusso termico generato va a riscaldare le strutture che limitano il compartimento e, parzialmente, l aria entrante nel compartimento stesso. La potenza termica asportata con i fumi ed i gas di scarico attraverso le finestre dipende dal calore specifico dei gas di combustione, dalla differenza delle temperature interna ed esterna e dalla portata dei gas uscenti dal compartimento. La potenza termica irradiata verso l esterno dipende dalla superficie delle finestre, dalla emissività del gas di combustione presso le finestre e dalla quarta potenza delle temperature assolute (legge di Stefan-Boltzman). Una stima grossolana induce a considerare mediamente asportata con i gas di scarico e persa per irraggiamento attraverso le finestre rispettivamente circa il 60% ed il 10% della potenza termica generata.

38 Flusso termico asportato dall acqua L acqua inviata sull incendio esercita, come noto, una forte azione di raffreddamento, dovuta all elevato calore latente di evaporazione ed un azione di diluizione dell ossigeno dovuta al vapore che si viene a formare. Il meccanismo di azione di gran lunga prevalente è senz altro il raffreddamento. Questo porta a trascurare, a favore di sicurezza, tutti gli altri meccanismi di azione. Ciò premesso, il flusso termico asportato dall acqua inviata sull incendio può essere valutato mediante la relazione : dove : mw è la portata in massa di acqua riversata sull incendio (kg/s) ; Δhw è il calore latente di evaporazione dell acqua a 100 C (2256 kj/kg) ; cp è il calore specifico isobaro dell acqua, nella fattispecie praticamente indipendente dalla temperatura, (4.2 kj/kg/ C) ; ΔTw è il salto termico dell acqua dalla temperatura ambiente a quella di ebollizione ( C) ; βw è un coefficiente di efficienza pari al rapporto tra la quantità d acqua riversata realmente sull incendio e che subisce completa vaporizzazione e la quantità totale d acqua erogata. Tale coefficiente rappresenta il rendimento del processo di estinzione. Considerazioni pratiche e sperimentali (M. Delle Chiaie, 1976) portano a stimare valori di βw alquanto bassi, non superiori a , riservando i valori più elevati all erogazione di acqua frazionata da impianti fissi automatici. Negli impianti manuali, in cui il volume d acqua disperso è a volte considerevole, βw può assumere valori molto piccoli. Essendo hw > (cp Tw) si può senz altro scrivere :

39 :Portata critica di estinzione Il bilancio termico del sistema porta a scrivere l equazione dove qr è il flusso termico disperso attraverso le finestre o EFC. Sostituendo a ciascun termine le espressioni precedentemente ricavate si determina la portata in massa di acqua da inviare sull incendio per ottenerne il controllo, che vale : Trascurando, in prima approssimazione e comunque sempre a favore di sicurezza, il flusso termico disperso attraverso le finestre si ha : Autonomia dell impianto antincendio Nell ipotesi (semplificativa) che la potenza termica generata si mantenga costante per tutta la durata dell incendio, si può scrivere : che rappresenta, nelle condizioni predette, la durata teorica dell incendio (s). Cioè a bassa potenza termica erogata corrisponde, a parità di energia, un elevata durata dell incendio e viceversa. Una stima approssimata della durata dell incendio può essere effettuata mediante la relazione (M. Law, 1983) : dove Le (kg) è il carico d incendio in legno equivalente, formalmente analoga a quello sopra riportata con la variante che il calore di reazione del combustibile è rapportato a quello del legno standard. L autonomia dell impianto antincendio t deve essere certamente correlata alla durata dell incendio. Occorre osservare però che il corretto intervento dell impianto di spegnimento deve ovviamente condurre all estinzione dell incendio con sufficiente anticipo rispetto all esaurimento del combustibile. Inoltre, all abbassamento della temperatura media dei gas di combustione a valori prossimi a 300 C corrisponde un emissione di potenza termica relativamente modesta.

40 : Occorre altresì osservare, in base al modello fisico considerato, che la durata dell incendio da assumere per il dimensionamento dello stoccaggio idrico andrebbe valutata con criteri probabilistici connessi al raggiungimento della condizione di negatività del bilancio termico. Ciò premesso, ragionevoli considerazioni pratiche portano a concludere circa l opportunità di fissare, per l'autonomia dell'impianto, un valore superiore di soglia pari a circa 6-8 ore. Valori maggiori devono essere giustificati dalla presenza di condizioni particolari (ad es. elevato carico d incendio). Ulteriori considerazioni devono essere condotte sulla costruzione e l individuazione delle curve T-t ed HRR in funzione delle particolari sostanze presenti nel compartimento o in analisi.

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